Nacque in Bretagna verso il 354, probabilmente figlio di funzionari romani della regione. Fra il 380 e il 384 arrivò a Roma, mentre era papa Atanasio, e fu battezzato. Non si sa se Pelagio fosse monaco, benché V. Grossi sostenga che potesse esserlo, anche se della specie secolare e non cenobitica. Ebbe grande successo fra le famiglie romane. Nel 410, dopo il sacco di Roma, si rifugiò in Africa e successivamente si recò a Gerusalemme. Alla fine del 415 due vescovi galli esiliati, Eros e Lazzaro di Aix, a Dioscopoli accusarono Pelagio di difendere la possibilità di reale impeccabilità dell'uomo in base al suo libero arbitrio e la sua capacità di obbedire ai comandamenti divini. La disputa magistralmente impostata da Pelagio, che prese le distanze da Celestio, si concluse con la sua assoluzione. Ciò nonostante, la Chartula defensionis giunse ad Agostino, provocando la reazione di cinque vescovi africani che chiesero a Innocenzo I di condannare Pelagio, cosa che il papa fece nonostante manifestasse la speranza di un cambiamento di atteggiamento da parte di quest'ultimo. Morto Innocenzo I nel 417, gli succedette Zosimo, che convocò Pelagio e Celestio nella Basilica di San Clemente, in quello stesso anno. Questi adottarono nuovamente una brillante linea di difesa fino al punto da essere non soltanto assolti, ma da ottenere anche la revoca della condanna del 411 di Celestio. Gli Africani convocarono allora un concilio nel loro continente, che elaborò un documento che chiedeva a Roma la condanna di Pelagio e Celestio. Zosimo, nel 418, rispose negativamente alle pressioni degli Africani. Questi ultimi allora ricorsero a Ravenna da dove venne emanato un rescritto di condanna il 30 aprile 418 e un altro alla fine di quello stesso anno. Il concilio di Cartagine di quello stesso anno condannò varie proposizioni pelagiane, e ciò, unito all'atteggiamento imperiale, portò Zosimo a scrivere la lettera Tractoria del 418, nella quale fece sua la decisione di Cartagine e chiese l'adesione delle principali sedi episcopali di Oriente e Occidente. Pelagio, quindi, si rifugiò in Egitto. Nel 425 Valentiniano III dettò un rescritto contro i pelagiani del sud delle Gallie e infine il concilio di Efeso dichiarò anateme le tesi di costoro. I papi Bonifacio e Celestino adottarono la linea del concilio di Cartagine e della Tractoria di Zosimo.
OPERE
OPERE
C. P. Caspari ha diviso le opere di Pelagio in certe, dubbiose e di altri autori, sebbene il suo punto di vista fosse assai lontano dall'essere unanimemente accettato. A questa difficoltà va unito il fatto che, già all'epoca di Pelagio, lui e i suoi seguaci negavano di assumersi la redazione di alcuni scritti proprio per evitare le condanne canoniche. Fra le sue opere certe emergono: Spiegazione delle tredici lettere paoline, il libro Sulla durezza di cuore del faraone, Esposizione interlineare del libro di Giobbe, il Libello sulla fede, ecc.
TEOLOGIA
TEOLOGIA
V. Grossi ha diviso la teologia pelagiana in tre periodi rispettivamente situati prima del 411, fra il 411 e il 418 e dopo il 418. Nella prima fase Pelagio si dichiara credente in una predestinazione che proviene dai meriti derivati dall'osservanza dei precetti divini resa possibile dalla libertà personale insita nella natura umana. Dio predestina alla salvezza gli obbedienti, coloro che sa che rimarranno fedeli cristiani riuscendo a sopportare, senza venir meno, le sofferenze che potranno patire. In un secondo tempo, Pelagio nega di credere in un traducianesimo del peccato originale, che si scontra, fra le altre cose, con la pratica del battesimo dei bambini precisamente destinato a cancellare tale peccato nel bambino, e sostiene che tutti gli uomini nascono nella stessa condizione di Adamo, la morte è qualcosa di naturale, giacché il peccato di questi non ebbe conseguenze sui posteri che possono peccare o non peccare. Se i bambini venivano battezzati non era per rimettere un peccato, ma per rigenerarli. La natura umana ha la possibilità naturale di fare il bene ed evitare il male, altra cosa che necessariamente contrastava con la teologia di Agostino, riducendo così la grazia alla Legge rivelata da Dio per mostrare agli uomini ciò che va fatto. La grazia, quindi, si riduce praticamente alla libertà e la salvezza viene anch'essa ottenuta dall'uomo in base ai suoi propri e unici sforzi. Dopo Pelagio (dopo il 418), le posizioni andarono progressivamente radicalizzandosi intorno all'eresia del predestinazionismo (Dio predestina alcuni alla salvezza ed altri alla condanna; Cristo non morì per tutti, ma solo per i predestinati; Dio non desidera la salvezza di tutti, ecc.) condannata nel concilio di Arles del 473 e recuperata da Calvino nel XVII secolo nella sua Istituzione della religione cristiana e dal sinodo di Dort.