Descritto nel capitolo 15 del libro degli Atti degli Apostoli, ebbe come finalità quella di sanare le discussioni in merito ai gentili convertiti al cristianesimo. La lettera Lai Galati, senza dubbio scritta prima della celebrazione del concilio, riferisce che già esisteva una certa regolamentazione « de facto » della situazione, consistente nell'esimere i gentili dalla circoncisione (Gal 2,3) e dall'osservanza della Legge mosaica, poiché si partiva dalla base che la salvezza era ottenuta per grazia di Dio attraverso la fede in Cristo (Gal 2,15‑21), senza le opere della Legge. Il pericolo di un'antinomismo era scongiurato perché questa fede diventa operante mediante l'amore (Gal 5,6).
L'insistenza di alcuni giudeo‑cristiani, presumibilmente seguaci del fariseismo, per i quali i gentili dovevano essere circoncisi e osservare la Legge mosaica fu risolta mediante un accordo unanime degli apostoli, partendo dal quale si stabiliva l'esenzione dalla circoncisione e dalla Legge mosaica per i convertiti provenienti dal paganesimo, e nello stesso tempo, sicuramente per evitare lo scandalo di alcuni giudeo‑cristiani, si raccomandava di osservare quello che nel giudaismo è conosciuto come Legge di Noè, cioè, la moralità sessuale, la proibizione di mangiare animali ancora vivi (è a questo che si riferisce l'ordine riguardo il sangue nel giudaismo), ecc.
Il concilio di Gerusalemme riveste un'enorme importanza non solo perché è stato il primo, ma anche perché i Padri conciliari che vi parteciparono lo fecero con la convinzione di essere assistiti dallo Spirito Santo nelle loro decisioni (At 15,28ss) e di godere di una autorità data loro specificatamente da Cristo per stabilire norme che nel giudaismo potrebbero chiamarsi « Gialachiche », cioè, non solo interpretative della legge di Dio, ma anche vincolanti per tutti i credenti. Ambedue i principi sembrano essere assunti nei concili ecumenici posteriori.
CONCILIO DI NICEA
CONCILIO DI NICEA
Questo concilio fu convocato per dibattere sull'eresia predicata dal presbitero Ario. Questi affermava che Cristo non era eterno ed era stato creato. In questo modo, Ario si faceva portavoce delle tesi che difendevano l'esistenza di esseri intermedi tanto popolari nell'ellenismo. L'acredine della controversia indusse Costantino, preoccupato più delle ripercussioni politiche che dell'aspetto spirituale, a convocare un concilio che avrebbe dovuto decidere in modo definitivo sulla questione. A Nicea si riunirono tra i duecentosettanta e i trecentodiciotto vescovi, secondo i dati delle diverse fonti. Il vescovo di Roma non fu presente e inviò come suoi legati Vittore e Vincenzo. La prima riunione ebbe luogo il 20 maggio e fu presieduta da Costantino, che si limitò a sottolineare la necessità di giungere ad una unità dottrinale che egli avrebbe appoggiato. La formula del « homoùsios » (consostanziale), proposta da Osio, si impose nel concilio e sulla base di tale formula fu redatto il credo o simbolo di Nicea, nel quale si dichiarava dogmaticamente che il Figlio era stato generato e non creato, essendo consostanziale al Padre o della sua stessa sostanza. La formula fu sottoscritta da tutti i presenti tranne che da Teona di Marmarica e Secondo di Tolemaide. Costoro furono esiliati dall'imperatore come del resto Ario ed Eusebio di Nicomedia, che ritratterà posteriormente la sua sottoscrizione. In questo concilio fu condannato anche lo scisma di Melezio, il quale usurpava la diocesi di Alessandria, si risolse la questione della Pasqua, si dettarono una ventina di canoni disciplinari riguardo al battesimo degli eretici e ai lapsi o apostati e si parlò della preminenza delle sedi patriarcali. Il concilio si chiuse il 19 giugno del 325, data che coincideva con il ventesimo anniversario dell'impero di Costantino.
CONCILIO DI COSTANTINOPOLI
CONCILIO DI COSTANTINOPOLI
Convocato dall'imperatore Teodosio I, ebbe la partecipazione di circa centonovanta vescovi, assente il vescovo di Roma che non inviò neppure i suoi legati. Di questi centonovanta, trentasei erano favorevoli all'eresia macedoniana, che negava la divinità dello Spirito Santo. Il concilio fu presieduto da Melezio di Antiochia e, alla morte di questi, da Gregorio di Nazianzo. In seguito fu presieduto da Nettario fino alla chiusura avvenuta il 9 luglio del 381. Dopo le prime sessioni, i macedoniani si ritirarono, ma ciò non interruppe la celebrazione del concilio. Questo confermò il simbolo di Nicea e condannò gli ariani, i sabelliani, i macedoniani e gli apollinaristi. Risultato del concilio fu il credo niceno costantinopolitano, fatta eccezione del « filioque », nel quale si affermava che lo Spirito Santo, Signore e datore di vita, è adorato e glorificato con il Padre e il Figlio. Il concilio fu accettato con una relativa facilità in Occidente, fatto salvo il suo terzo canone nel quale si affermava che il vescovo di Costantinopoli aveva la preminenza di onore dopo quello di Roma. Tale canone andava a ledere la tradizione delle sedi più antiche, come, quella di Alessandria e di Antiochia. L'imperatore Teodosio, con il decreto del 30 luglio del 381, impose in tutto l'impero le decisioni del concilio.
CONCILIO DI EFESO
CONCILIO DI EFESO
Il concilio di Costantinopoli aveva condannato l'eresia di Apollinare, il quale sosteneva che l'unione della divinità e dell'umanità in Cristo si realizzava mediante la sostituzione dell'anima umana con il Verbo, tesi che mutilava chiaramente la piena umanità di Cristo. Contro tale posizione, e anche dell'eresia ariana, si era pronunciata la scuola di Antiochia (Diodoro di Tarso, Teodoro di Mopsuestia) sostenendo la tesi secondo la quale Cristo aveva due nature, umana e divina, esagerando però la separazione fra le stesse e dando vita alla teoria della doppia personalità di Cristo in termini di « dimora » o di « sovrapposizione » o, ancora meglio, di « congiunzione ». Nestorio, discepolo di Teodoro e Diodoro, monaco antiocheno che si era scontrato con gli ariani, nel 428 fu eletto patriarca di Costantinopoli. Gli insegnamenti di Nestorio, secondo il quale il Verbo non si era fatto realmente carne ma aveva dimorato nella carne e Maria non era la madre di Dio, ma aveva soltanto dato alla luce un uomo nel quale, dopo la sua nascita, abitò il Verbo, originarono immediatamente un conflitto. La posizione di Nestorio fu immediatamente combattuta da Eusebio di Dorilea, Cirillo di Alessandria e dallo stesso Celestino I. Dopo le decisioni contrarie al nestorianesimo emesse dai sinodi di Roma (430) e di Alessandria, Nestorio non ritrattò le sue tesi. Viceversa, convinse l'imperatore Teodosio II a convocare un concilio ecumenico. Il concilio fu convocato il 7 giugno del 431 ad Efeso. Vi presero parte, come legati del vescovo di Roma, i vescovi Arcadio, Proietto e il presbitero Filippo. A Efeso giunsero Nestorio con sedici vescovi e Cirillo con una cinquantina. Riunitisi i circa centosessanta vescovi, non essendo ancora arrivati i legati del vescovo di Roma, Cirillo rimandò l'apertura del concilio al 22 giugno del 431. Tale azione provocò la protesta di sessantotto vescovi e del patriarca Giovanni di Antiochia, il quale era appena giunto con quarantatré vescovi e che si rifiutò di entrare in città fino alla conveniente risoluzione del problema. Nonostante ciò, il 22 si celebrò la prima sessione presieduta da Cirillo, Giovenale di Gerusalemme e Memnone di Efeso, alla presenza di cinquantatré vescovi. Il conte Candidiano, delegato imperiale, aveva inutilmente tentato di rimandare l'inizio del concilio. Dopo la lettura della corrispondenza fra Cirillo e Nestorio, del sinodo romano del 430 e di una selezione di testi patristici presumibilmente contrari a Nestorio, fu pronunciata la condanna di quest'ultimo e se ne ordinò la destituzione. Il 26 giugno entrò nella città il patriarca Giovanni con i suoi vescovi, dichiarando a sua volta destituiti Cirillo e Memnone. Lo stesso imperatore si pronunciò contrario alla prima riunione dichiarandola illegale. L'arrivo dei legati pontifici, che avevano il compito di appoggiare Cirillo, salvò la situazione, poiché il concilio tornò a riunirsi e approvò tutte le decisioni raggiunte fino ad allora. Giovanni di Antiochia scelse di non comparire alle sessioni successive. Il 7 luglio, alla fine della settima sessione, il concilio si dichiarò sospeso, ma non chiuso. In agosto un legato imperiale arrivò con l'ordine dell'imperatore di destituire Nestorio insieme a Cirillo e a Memnone. Per eliminare la possibilità di proteste, Teodosio II dichiarò terminato il concilio e sollecitò la nomina di un successore di Nestorio per la sede di Costantinopoli. Il 25 ottobre venne così consacrato Massimiano. Per ciò che riguardava la nomina dei successori di Cirillo e Memnone non fece pressioni e, di fatto, sia Cirillo che Memnone tornarono alle loro rispettive diocesi e continuarono a governarle. Nestorio fu esiliato nel monastero di Euprepio, vicino ad Antiochia. Il concilio affermò che il Verbo era, fin dal primo momento del concepimento verginale, unito alla natura umana nel seno di Maria e che per questo il nato da Maria era Dio e uomo allo stesso tempo sin dal primo istante in cui venne alla luce. Per questo Maria poteva essere chiamata « Theotokos » o Madre di Dio. Il concilio condannò anche il pelagiano Celestio, riconobbe il primato della sede di Roma e riaffermò la formula di Nicea. L'« Editto di unione » del 433, approvato da Sisto III, fu un autentico sigillo di questo concilio nella misura in cui permise che Cirillo di Alessandria conciliasse la sue posizioni con quelle di Giovanni di Antiochia e Teodoreto di Ciro.
CONCILIO DI CALCEDONIA
CONCILIO DI CALCEDONIA
Purtroppo, la questione monofisita non fu sanata in modo definitivo dal concilio di Efeso. Dioscoro di Alessandria e l'archimandrita Eutiche sostenevano che, nell'unione del Verbo divino con la natura umana, quest'ultima era stata assorbita da quella divina. Eutiche ebbe un notevole ascendente sull'imperatore Teodosio II e l'imperatrice Eudossia. In un sinodo celebrato a Costantinopoli nel 448, Eutiche fu condannato per monofisismo, ma si appellò al papa Leone I. La risposta del vescovo di Roma, esposta nella sua Epistula dogmatica ad Flavianum, fu chiaramente contraria a Eutiche, ma ciò nonostante l'imperatore Teodosio II fece pressione su Flaviano di Costantinopoli perché riammettesse Eutiche nella comunione, ma, non avendolo ottenuto, convocò un concilio ad Efeso. Tale concilio, passato alla storia con il deplorevole nome di « latrocinio di Efeso », fu teatro di violenze imperiali contro Flaviano e i legati romani. Leone I logicamente non accettò il concilio. Teodosio II però non soltanto insistette sulla validità dello stesso, ma destituì Flaviano. Il 28 luglio del 450 Teodosio II morì e ascese al trono sua sorella Pulcheria, che associò il suo sposo Marciano al governo dell'impero e convocò, vedendone la convenienza, un concilio ecumenico. Tale concilio doveva tenersi a Nicea, ma, di fronte all'impossibilità di Marciano di trasferirsi in tale luogo, il concilio fu celebrato a Calcedonia. L'8 ottobre del 451 si riunirono circa seicento vescovi dei quali soltanto i due legati romani erano occidentali. Dioscoro sollecitò la condanna di Leone I, ma, non venendo soddisfatta la sua richiesta, abbandonò la seconda sessione conciliare. Tanto lui quanto Eutiche furono condannati e destituiti. Nella quindicesima, e ultima, sessione, furono approvati 28 canoni disciplinari, in assenza dei legati romani allora già sulla via di ritorno, dei quali l'ultimo equiparava in giurisdizione le sedi di Roma e Costantinopoli. Il vescovo di Roma confermò le decisioni conciliari eccezion fatta, come era d'aspettarsi, per i canoni disciplinari. Gli imperatori appoggiarono senza esitare le decisioni conciliari. Eutiche e Dioscoro furono esiliati e furono promulgati degli editti imperiali contro i monofisiti. Ciò nonostante, si può affermare che tali editti non ottennero la loro finalità e cioè quella di sradicare il monofisismo.