Discepolo di Luciano di Antiochia, fu vescovo di Berito e, dal 318, di Nicomedia. Quando Ario arrivò, dopo essere stato scomunicato in Alessandria, nella sua città, lo appoggiò facendo da mediatore con la corte. Nel Concilio di Nicea presentò un proprio simbolo, che fu considerato blasfemo e, benché abbia firmato la formula nicena, poco dopo capeggiò il partito più estremista dell'arianesimo, quello degli eusebiani. Costantino lo esiliò nelle Gallie tre mesi dopo il concilio, ma grazie alla sua influenza sull'imperatrice ottenne il rientro, guadagnò l'appoggio imperiale e fece destituire Eustazio di Antiochia (330), Atanasio (335) e Marcello di Ancira (336). Nel 337 battezzò Costantino e l'anno seguente fu nominato vescovo di Costantinopoli. Morì fra il 341‑342.
OPERE
Si sono conservate varie lettere. È particolarmente importante quella diretta ai vescovi del Concilio di Nicea, dalla quale si deduce che Ario si difese correttamente e che venne perdonato. Bardenhewer ha prospettato la possibilità che questa lettera fosse una falsificazione; dello stesso parere è G. Bardy.
TEOLOGIA
Eusebio sostenne chiaramente la creazione del Figlio e il suo inizio. In questo senso la persona del Figlio non era altro che una mera creatura divina, nel senso che si trattava di un dio inferiore o di una divinità minore, il che non era altro che una forma di politeismo con un'infarinatura cristiana.