In generale, valore indica ciò che in una cosa è desiderabile o utile, ciò che rende una persona degna di stima, ciò che costituisce il suo merito. Il termine è correntemente usato in morale, in economia, in sociologia, in estetica.
L'evoluzione storica del concetto di valore permette di comprenderne l'utilità per lo studio delle culture. Un uso antico identificava valore con coraggio. Lo storico scozzese Thomas Carlyle (1795‑1881) fa il raffronto tra i termini inglesi valour e value, notando il passaggio dal senso militare al senso economico: Gli eroi, I. I seguaci di Saint‑Simon sostennero che questo passaggio è una legge generale. Non ci soffermiamo sulla discussione in merito, ma è utile vedere come il concetto di valore si sia evoluto dal campo economico a quello culturale.
Gli economisti, abituati a far uso del concetto di valore, diedero un notevole contributo alla sua chiarificazione. Verso la metà del secolo XIX, gli economisti inglesi svilupparono un concetto di valore che fu ridefinito da Karl Marx nella celebre teoria del plus‑valore. Più ampiamente, l'economia politica, dopo aver inizialmente distinto il valore lavoro dal valore capitale ha approfondito in seguito le dimensioni più complesse del concetto di valore: accanto al valore di scambio e al valore d'uso di un bene economico, si scoperse, poco a poco, che la valorizzazione dei beni comporta gradi soggettivi di preferenze. La vita economica, lungi dall'obbedire a leggi predeterminate, è fortemente condizionata dai sistemi morali, dalle scelte soggettive dei consumatori, dalle mode e gusti cangianti, in altri termini, dai valori culturali. Questo approccio amplia considerevolmente la concezione tradizionale di economia politica facendola uscire dal campo delle interpretazioni positivistiche.
Nelle scienze umane - la storia, la sociologia, l'antropologia - la scoperta dei valori, come ispiratori dei comportamenti sociali, ha apportato un netto progresso a queste discipline, permettendo loro di superare lo storicismo, l'evoluzionismo, lo scientismo che avevano dominato una parte degli studi sociali nel secolo XIX. Si vide svilupparsi in Germania la Geisteswissenschaft o la scienza dello spirito, della coscienza. Ricordiamo, per esempio, i lavori di J. G. Droysen (circa 1858), come anche quelli di F. R. Ratzel (1844‑1904), che ebbero un'influenza determinante su Franz Boas (1858‑1942), d'origine germanica, il fondatore dell'antropologia americana. Ratzel gli insegnò l'importanza dei fatti culturali e dei valori, quali la lingua, i miti, le rappresentazioni, come fattori esplicativi della vita sociale. D'altra parte, tutta una scuola di scienze sociali, ispirate da Immanuel Kant, abbandonava il positivismo evoluzionistico per riaffermare il ruolo delle realtà culturali, delle religioni, delle credenze, delle ideologie. Questa corrente fu più tardi brillantemente illustrata da Max Weber, che si fece critico del positivismo e avvocato dei fatti intenzionali, dimostrando la necessità di comprendere dall'interno i fatti sociali piuttosto che spiegarli dall'esterno. Per Weber e i suoi numerosi discepoli, i fatti sociali appaiono come fatti di coscienza. Occorre ricercarne i moventi nelle motivazioni nascoste degli attori sociali, nelle finalità dei comportamenti, nei sistemi di credenze, nella dimensione morale delle scelte collettive. Questo orientamento ha permesso un superamento delle spiegazioni unilaterali che fanno appello ad una causalità sociale, concepita con determinismi analoghi a quelle delle scienze della natura. Questo nuovo approccio scientifico, che lascia alla dimensione morale dei comportamenti quanto le compete, è stato arricchito e continuato da Lucien Febvre e da Marcel Mauss in Francia, da Clifford Geertz negli Stati Uniti.
Valori culturali
Valori culturali
Dal punto di vista culturale, il valore appare dunque come un dato fondamentale, poiché è attorno ad un sistema di valori che una cultura si caratterizza e attinge il proprio dinamismo. I valori culturali possono essere descritti come beni che sono degni di scelta, di selezione, di preferenza. L'idea di valore connota ciò che è desiderabile e augurabile riguardo ad un giudizio collettivo. Ogni cultura suppone un processo di valutazione dei beni preferibili e la selezione si opera sia a livello intellettuale che affettivo e operativo, cioè sul piano dell'azione. I valori di una cultura assumono il ruolo di norme pratiche per i desideri, i comportamenti, gli atteggiamenti, i giudizi.
In un senso ampio, gli interessi materiali e immateriali possono anche essere considerati come valori, in quanto oggetto di preferenza e valutazione. I valori culturali dominanti non coincidono necessariamente con i valori morali. Una data cultura, in una data epoca, per esempio, sarà segnata da una tendenza all'individualismo materialistico, alla segregazione raziale, all'edonismo, all'intolleranza religiosa. Dal punto di vista etico, si parla sempre di contro‑valori.
In seno ad una cultura, i valori si ordinano in « sistemi » che condizionano, ispirano ed orientano i comportamenti; per esempio: il rispetto dell'uomo, come valore fondamentale, richiama come valore connesso, l'osservanza della giustizia, un regime di leggi; il valore della patria richiama quello del servizio al bene comune, del civismo, della partecipazione politica. Occorre notare che i valori sono sia di natura materiale che di natura immateriale o spirituale. Una cultura che privilegia i valori materiali avrà una configurazione diversa da quella di una società che dà il primato ai valori non materiali. Nelle società di tradizioni giudeo‑cristiane, i valori spirituali e morali tendono ad esercitare un ruolo prioritario nella vita culturale.
Ogni gruppo, in pratica, procede ad una gerarchizzazione dei beni culturali con tutte le conseguenze che ne derivano per le proprie scelte collettive. Ci si chiederà, per esempio, quale importanza una società riservi al valore dell'educazione morale, alla stima del bene comune, a questo o quel modello familiare, al rispetto della vita, al ruolo della donna, alla disciplina del lavoro, all'accoglienza degli stranieri, al rispetto delle credenze, ecc. Coscientemente o inconsciamente, gli ordini di preferenza che concernono i valori danno una fisionomia propria ad ogni cultura.
Posto questo, noi potremmo descrivere i valori culturali come: tutto ciò che è comunemente stimato e apprezzato in una collettività, tutto ciò che dà un orientamento distintivo agli atteggiamenti e alle istituzioni, e tutto ciò che è trasmesso culturalmente alle nuove generazioni.
Come si possono osservare i valori caratteristici di una società? Essi si rivelano da più indizi, formali o non formali; essi appaiono nei codici di legge, nelle abitudini sociali di un gruppo, nello stile di vita della gente, nelle tradizioni popolari, nelle regole pratiche di azione, nell'esercizio delle professioni e dei mestieri, nelle arti e nella letteratura.
Valori comuni a tutti i popoli?
Valori comuni a tutti i popoli?
Se i valori servono a identificare i tratti caratteristici di una particolare società, è legittimo chiedersi se esistano valori universali, comuni a tutti i popoli. Molti antropologi lo sostengono ed affermano che questi valori comuni costituiscono la base di un consensus gentium. C. S. Lewis, nel suo studio su numerose civiltà antiche, è giunto a far emergere una « dottrina del valore assoluto », che fonda otto valori oggettivi comuni a tutti questi popoli. Eccone alcune espressioni tipiche: la legge della benevolenza generale; la legge della benevolenza particolare per i prossimi; i doveri verso i genitori, i primogeniti e gli antenati; la legge della giustizia; la legge della buona fede e della veracità; la legge della misericordia; la legge della magnanimità: The Abolition of Man London, 1947.
Il dibattito sull'esistenza di valori universali trova, a livello di ricerca antropologica e storica, solide conferme, per esempio in autori quali C. Kluckhohn e C. Lévi‑Strauss. Inoltre, l'analisi attenta dei grandi testi dell'umanità dimostra chiaramente che un valore comune si è imposto ovunque con lo sviluppo della vita in società: è la dignità dell'uomo e il suo diritto originario e costitutivo d'essere uomo. Jeanne Hersch, nella sua raccolta Le droit d'être un homme (1968), ha dimostrato l'universalità di questa aspirazione primordiale, raggruppando testi provenienti da tutti i continenti e di tutte le epoche. Le narrazioni, i proverbi, i miti, i racconti sacri, i testi religiosi esprimono le speranze, i lamenti e il desiderio indelebile dell'uomo che incessantemente difende la propria umanità e la propria dignità costitutiva. Tutte le religioni e tutte le civiltà proclamano, a loro modo, questo principio etico universale, nella famosa regola d'oro: « Non fare ad altri ciò che non vuoi che altri facciano a te » o, positivamente: « Fai ad altri ciò che vuoi che sia fatto a te ». Partendo da questo « consenso etico » si può concludere che un valore universale fonda radicalmente l'unità della famiglia umana. La fraternità originaria s'impone alla coscienza dei popoli e a tutte le generazioni, costituendo il fondamento primo di una cultura propria di ciascun uomo e di tutti gli uomini, in ragione stessa del riconoscimento della propria umanità. E' il principio primo d'ogni cultura.
In ultima analisi, questa questione impegna una concezione dell'uomo. La tradizione umanistica non esita a riconoscere i valori comuni che fanno la grandezza dell'uomo. Cicerone, per esempio, ha esaltato l'amore del genere umano, « caritas generi humani »: De finibus bonorum, V, 23, 65. E onore della civiltà greco‑romana aver affermato il valore universale dell'uomo, e i grandi autori di Atene e di Roma appartengono ormai alla cultura umana in quanto tale. Poi venne il cristianesimo che chiama l'uomo alla sua più alta perfezione, predicandogli la carità come virtù suprema, fondamento della fraternità universale.
E' nel campo religioso soprattutto che si osservano i valori assoluti di una società: per esempio, il senso della vita e della morte, il senso della responsabilità, della dipendenza da Dio. I valori religiosi si esprimono nella dottrina e nella fede della gente, nel loro credo e nel codice della moralità in vigore in una data società.
E' attraverso i valori dominanti e, particolarmente, attraverso i valori assoluti, nella scala delle proprie preferenze, che un gruppo umano manifesta i tratti della propria cultura.
Vedi
Ethos
Cultura
Analisi culturale
Religione e cultura
Antropologia
Bibl.: R. Boudon e F. Bourricaud 1982. J. Hersch 1968, 1985. Cl. Kluckhohn 1957. F.R. Kluckhohn and F. L. Strodtbeeck 1961. A. H. Maslow 1954. G. McLean et al. 1989. A. Naud 1985.