Una delle evoluzioni tipiche della società moderna è quella che vede la scienza diventare istituzione e costituire ciò che si chiama il settore scientifico. La scienza non è più semplicemente oggetto di studio per il ricercatore, ma è ormai un settore di attività che occupa uno spazio ed ha un ruolo riconosciuto dalla società. Il mondo scientifico ha una sua propria fisionomia, proprie regole di condotta e fa valere i propri interessi, i propri valori, il proprio potere. La scienza è ora oggetto di una politica consapevole nello Stato e la creazione di ministeri per la ricerca scientifica, in quasi tutti i paesi, pone in rilievo il fatto che la scienza è diventata una nuova istituzione. Ciò che bisogna soprattutto sottolineare è che il potere scientifico è collegato all'industria, alla tecnologia, all'amministrazione moderna e ai modi di vita dei nostri contemporanei. In altri termini, è la scienza, in quanto attività organizzata, che rende possibile la società post‑industriale, fondata sulla tecnologia e le comunicazioni moderne. Occorre intendere qui la scienza nel senso più ampio, comprendente le scienze naturali, le scienze esatte, come pure le scienze della cultura o scienze umane. Gli uomini dediti alla scienza costituiscono una categoria professionale particolare che partecipa in maniera decisiva al funzionamento della società industrializzata. La scienza, la tecnica e la ricerca istituzionalizzate sono oggi diventate un oggetto privilegiato di studio per i sociologi e i politologi e si constata il moltiplicarsi degli studi sulla sociologia della scienza, la politica della scienza ed anche della scienza della scienza.
E proprio grazie all'organizzazione della scienza che il mondo moderno ha potuto sperimentare i suoi successi più spettacolari. Basti pensare ai meravigliosi progressi realizzati nei campi della medicina, dell'agricoltura, delle comunicazioni, dei trasporti. Senza le scienze sociali, le forme moderne di gestione, di finanza, di amministrazione pubblica sarebbero impensabili. La pedagogia stessa ha fortemente beneficiato di tutte le risorse dell'elettronica e dell'informatica. Ma l'ammirazione dei nostri contemporanei per la scienza non è senza contropartita. La scienza, come istituzione dal potere quasi illimitato, suscita un atteggiamento ambivalente fatto di ammirazione e di timore, di fierezza ed anche di angoscia. La scienza, meravigliosa creazione dell'umanità, fa ora paura all'uomo, anche s'egli riconosce di non poterne più fare a meno. La scienza, come istituzione, è oggi entrata in crisi e gli scienziati sono i primi ad avvertire inquietudine.
Crisi della scienza
Crisi della scienza
Sembra un paradosso, ma bisogna constatare che è in buona parte a causa dei suoi prodigiosi successi che la scienza è entrata in crisi. Il ritmo delle scoperte e l'esplosione del sapere sono tali, che l'individuo prova un vero sentimento d'impotenza di fronte ad ogni tentativo di sintesi; egli è condannato a non dominare che una frazione, sempre più limitata o specializzata, del patrimonio scientifico mondiale. Siamo di fronte ad un cambiamento culturale che ha avuto un effetto traumatico: l'uomo moderno sembra schiacciato psicologicamente dall'accumulo delle conoscenze ch'egli ha messo in circolazione. La frammentarietà del sapere appare soprattutto nella proliferazione delle opere scientifiche; in ogni settore, le pubblicazioni specialistiche si sono moltiplicate e ciò che è ancora più notevole è che l'accelerazione sembra seguire un ritmo esponenziale. La classificazione e la conservazione della letteratura scientifica sono diventate uno dei problemi più importanti e tutte le grandi biblioteche sono alle prese con questa difficoltà. La proliferazione delle riviste scientifiche presenta un aspetto ancora più sorprendente, forse, dell'esplosione stessa del sapere moderno.
Tutto questo, tuttavia, non rivela che un aspetto globale del fenomeno. Guardando le cose più da vicino, si constata che ogni disciplina ha la tendenza a differenziarsi sempre più con il progresso delle ricerche. La lista delle specializzazioni scientifiche, per ogni disciplina, tende a crescere in modo quasi illimitato. Il paradosso è evidente: mentre da una parte la scienza è diventata la grande impresa della società moderna, di cui la principale risorsa è il maneggiare le conoscenze, dall'altra parte, l'accumulo indefinito di nuove conoscenze è proprio ciò che pone l'istituzione scientifica in grave difficoltà.
L'impresa sembra essere sfuggita al controllo di colui che l'ha lanciata. La superproduzione del sapere ha gettato l'uomo moderno nella perplessità e l'incertezza. Fermiamoci a considerare alcuni degli aspetti socioculturali del fenomeno.
Ripercussioni psico‑sociali
Ripercussioni psico‑sociali
La progressiva specializzazione obbliga il ricercatore ad approfondire un settore sempre più circoscritto della realtà. Difficilmente egli può sfuggire all'impressione di lavorare su di un oggetto frammentario, parziale. Egli prova grande difficoltà a comunicare, sul piano professionale, all'infuori del gruppo che è al suo livello. La sua ottica di specializzato lo porta, quasi inevitabilmente, all'isolamento, perché il suo sapere è inaccessibile a chi non è stato iniziato. Senza ch'egli lo voglia, la sua professione è spesso circondata da segretezza e mistero.
Il ritmo delle scoperte produce, inoltre, nello scienziato la persuasione che le sue conoscenze siano precarie e obsolescenti. Certamente, ciò che è vero e dimostrato oggi, conserverà tutto il suo valore domani, ma l'esperienza insegna che il ritmo delle invenzioni obbliga lo scienziato ad una costante revisione e spesso anche all'abbandono di teorie ch'egli aveva ritenuto vere.
Questa è la ragione per cui il mondo scientifico è segnato dalla spietata concorrenza e dall'insicurezza nei confronti dell'avvenire. Il giovane scienziato che oggi esce dall'università deve sapere che il proprio bagaglio di conoscenze sarà presto in buona parte rinnovato dal progresso delle ricerche e delle tecniche.
Più che mai, il diplomato dovrà imparare ad autoeducarsi e a riciclarsi continuamente, altrimenti, per il semplice gioco della competizione, rischia un invecchiamento precoce.
E' opportuno aggiungere che, nell'esercizio dell'attività scientifica, è difficile evitare una certa forma di alienazione. La crescente massa del sapere appare ormai come irragiungibile anche da parte dell'individuo più dotato. Egli deve rassegnarsi a coltivare un unico settore limitato del sapere e questa rassegnazione talvolta si traduce in fatalismo o in noncuranza di quell'insieme, non controllabile, delle conoscenze umane. Ci sono osservatori che hanno parlato di schizofrenia per descrivere la mentalità dello specialista moderno, spesso rappresentato come un uomo diviso in se stesso, prigioniero della propria specializzazione, che appare deluso e scettico riguardo alle possibilità di collegare l'insieme del sapere per il servizio del bene comune.
E' difficile che, in queste circostanze, il mondo scientifico conservi la fiducia popolare; si diffida di questa nuova categoria sociale costituita dagli specialisti. Se è vero che l'opinione pubblica, in generale, dubita e la sua fiducia è scossa, è vero anche che sono soprattutto gli scienziati stessi ad essere i più preoccupati. Possiamo quindi constatare che sia tra gli studiosi delle scienze della natura che tra quelli che coltivano le scienze umane esiste un grave malessere. Grande è il contrasto tra questa angoscia d'oggi e l'atteggiamento di utopica esaltazione che ha caratterizzato gli studiosi di scienze nel secolo scorso. Ernest Renan, nel suo celebre libro L'avenir de la science (1849), descrive la scienza con un fervore religioso. Era il credo dei nuovi tempi. La scienza, diceva Renan, è « la sola religione definitiva »; in essa si trova « una religione così soave e così ricca di delizie da essere come quella del più venerabile dei culti ».
Ciò che nell'attuale crisi è posto in causa sono precisamente i due presupposti che fino ad oggi avevano ispirato l'attività dei ricercatori. Il primo dei presupposti può così esprimersi: il progresso della scienza racchiude in sé la promessa di un progresso continuo dell'uomo e della società. Il secondo presupposto sostiene implicitamente che la scienza può ottenere il sostegno incondizionato della società.
Questi presupposti si fondavano su di una fiducia praticamente illimitata nel potere della scienza ad assicurare l'avvenire dell'uomo. Alfred Nobel, che ha notevolmente contribuito a fare della scienza un'istituzione, scriveva nel suo testamento nel 1895: « Diffondere la conoscenza è diffondere la prosperità - voglio dire la prosperità vera, non le ricchezze individuali - e con la prosperità il male... in gran parte sparirà. Le conquiste della ricerca scientifica... istilleranno in noi la speranza che i microbi, quelli dell'anima come quelli del corpo, saranno poco a poco sterminati e che l'unica guerra in cui l'uomo s'impegnerà sarà la guerra contro questi microbi ».
Di fronte al potere difficilmente controllabile della scienza, l'uomo moderno appare sconcertato dalle proprie scoperte. Egli è profondamente perplesso ed inquieto. Sarà possibile controllare il potere particolarmente distruttore dei nuovi armamenti? A quale prezzo si potrà con processo ininterrotto sfruttare la natura? Come la scienza e la tecnica possono servire all'avvento di un mondo più giusto? Questi, gli interrogativi che l'opinione pubblica non può più eludere. Un dubbio profondo si è impossessato del nostro spirito e le giovani generazioni ne sono particolarmente colpite.
Henri Bergson aveva già espresso angoscia di fronte ad uno sviluppo tecnico e scientifico che non fosse orientato da un progresso spirituale adeguato. Nel ricevere il premio per la letteratura il 10 dicembre 1928, Bergson dichiarava: « Se il secolo decimonono ha dato un meraviglioso slancio alle invenzioni meccaniche, (Nobel) ha creduto che queste invenzioni... avrebbero elevato il livello morale del genere umano. L'esperienza ha dimostrato, al contrario, ... che la crescita dei mezzi materiali di cui l'umanità dispone può presentare dei pericoli se non è accompagnata da uno sforzo spirituale corrispondente ».
Dopo la morte di Bergson nel 1941, l'umanità è stata drammaticamente scossa da Hiroshima e da gravi catastrofi ecologiche e biologiche.
Critica dell'opinione pubblica
Critica dell'opinione pubblica
Si è dunque prodotto uno strano rovescimento dell'opinione pubblica nei confronti della scienza: essa non beneficia più a priori di una fiducia senza riserve. Certo, nessuno pensa a negare i benefici della scienza e della tecnica moderne. Neppure i critici più accesi della tecnica e coloro che professano un antintellettualismo alla moda sono inclini a rifiutare i vantaggi che quotidianamente ci procurano le meraviglie della tecnica quali l'aereo, la televisione, il computer, le comunicazioni attraverso satellite e i più recenti prodotti della biochimica medica. Non è in questo che consiste il problema; si tratta piuttosto del fatto che, malgrado l'universale ammirazione dei nostri contemporanei per i risultati della tecnica, un grave dubbio si pone riguardo agli obbiettivi e alle condizioni dell'attività scientifica. La società ha perduto fiducia nel potere illimitato della tecnologia e gli scienziati stessi non hanno più la stessa sicurezza di prima.
Questo cambiamento di atteggiamento è dovuto a più cause, tra le quali hanno una particolare importanza le seguenti: ripugna l'uso di tecniche sofisticate ai fini dell'aggressione militare; si temono le rovine che la tecnologia può creare riguardo alla natura e alla biosfera; si giudica esorbitante il costo delle imprese spaziali e sproporzionato rispetto ai bisogni sociali più immediati; ci si augura che lo Stato determini in maniera più razionale le priorità della ricerca in funzione del bene comune; si è più coscienti del neo‑colonialismo che genera il progresso tecnico dei paesi più sviluppati. Le armi nucleari non sono le sole a suscitare indignazione. L'impiego delle nuove armi scientifiche urta profondamente la coscienza universale.
Le scienze esatte e le tecnologie non sono le sole a costituire oggetto di riflessione. Le scienze umane, come l'antropologia, la sociologia e la psicologia sociale sono anch'esse oggetto di gravi critiche. In molti paesi, l'antropologia è entrata in grave crisi, quando il pubblico è venuto a conoscenza che specialisti di fama avevano attivamente collaborato a piani paramilitari ed avevano partecipato a ciò che si chiama la guerra psicologica. Non sono mancate denuncie aperte anche riguardo all'impiego abusivo delle scienze umane nelle imprese di colonizzazione o di dominio ideologico.
Un'altra contraddizione difficile da sopportare è quella che nasce dall'interrogativo: gli scienziati stessi non costituiscono forse spesso un nuovo potere e una nuova ideologia la cui razionalità è oggi contestata?
Oggi le posizioni si sono capovolte: la scienza che si proclama figlia del razionalismo è posta in processo proprio a causa delle sue acquiescenze irrazionali riguardo alle ideologie e ai nuovi poteri della società industriale. La scienza, si constata, non è un'istituzione neutra; essa ha costituito il dinamismo fondamentale della società moderna sia nei paesi dell'Est che in quelli dell'Ovest. Non è esagerato dire che un mito crolla: quello della scienza in quanto attività autonoma e apolitica.
Scienza e promesse di sviluppo
Scienza e promesse di sviluppo
Malgrado tutte queste critiche, una speranza sussiste e un problema si pone: quale è il ruolo che la scienza avrà nella promozione universale dello sviluppo? Se c'è un campo in cui i risultati della scienza sono deludenti è proprio quello dello sviluppo. Siamo tanto lontani da quelle promesse di un progresso continuo che gli scienziati delle generazioni passate avevano fatto intravvedere. Le nazioni tecnicamente sviluppate godono ricchezza ed opulenza, ma un'intollerabile povertà rimane la sorte della maggiore parte del genere umano. Tutto il sapere umano, tutte le nostre tecniche sembrano colpite da impotenza di fronte ai problemi che si aggravano, invece di attenuarsi. Bisogna semplicemente riconoscere la nostra ignoranza. Noi ancora non sappiamo realizzare programmi atti a promuovere lo sviluppo universale. Non disponiamo ancora di una scienza comprensiva dello sviluppo. I nostri contemporanei, che hanno saputo allestire équipes di ricerca imponenti nel campo militare e in quello delle comunicazioni interplanetarie, non hanno ancora scoperto il metodo per far lavorare insieme gli specialisti dell'agricoltura, dell'industria, delle scienze politiche, economiche e sociali, in modo da stabilire un piano più realistico per un giusto sviluppo del mondo. Le conoscenze scientifiche e tecniche, che costituiscono la ricchezza delle nazioni industrializzate, sono difficilmente trasferite o anche trasferibili nei paesi che ne avrebbero un grande bisogno. Siamo qui di fronte ad una grande delusione; la scienza, anche quella meglio organizzata, sembra impotente a far regredire la miseria nel mondo. Questa presa di coscienza è forse tardiva, ma salutare.
Sarà dunque necessaria una mobilitazione internazionale del mondo scientifico per affrontare con competenza compiti di tale ampiezza.
Nella nuova etica oggi chiamata a guidare la pratica scientifica c'è l'imperativo della collaborazione, su scala internazionale, a progetti di sviluppo globale. La sfida posta ai nostri contemporanei è, prima di tutto, quella di comprendere che cosa comporti la socializzazione della scienza e la creazione di un'azione concertata che si serva di tutta la creatività scientifica ed etica per lo sviluppo integrale dell'umanità.
Vedi
Sviluppo
Modernità
Scienza (politica della)
Bibl.: H. Carrier 1975. cap. I‑II. L. Giard 1995. Salomon 1970. M. Serres 1989. L. Sklair 1973. H. Zuckerman 1988. B. Mazlisch 1989.