La modernità come tipica forma mentale del mondo contemporaneo è di abbastanza facile apprendimento da parte della coscienza comune, ma rimane la sua definizione in gran parte inafferrabile. La modernità s'impone a noi come un certo stato della cultura e noi cercheremo di esplorarne la realtà col metodo dell'analisi psicosociale.
Per cogliere la cultura della modernità sembra utile ed illuminante partire dal fatto stesso della modernizzazione, i cui criteri sono socialmente osservabili. Si tratta di un processo storicamente reperibile nei suoi segni e nei suoi effetti sulle società umane. Tenteremo di tracciare un prospetto sintetico delle descrizioni che i sociologi offrono riguardo alla modernizzazione. Ci chiederemo soprattutto come i mutamenti tecnici della rivoluzione industriale, seguita dalla rivoluzione urbana, abbiano segnato l'anima profonda delle popolazioni che ne sono state i testimoni, gli attori, i beneficiari, ma anche spesso le vittime.
Se consultiamo le analisi fenomenologiche della modernizzazione, quale si è venuta formando con la rivoluzione industriale ed urbana del secolo XVIII in Inghilterra e del secolo XIX in Francia, possiamo descriverla con una prima approssimazione, partendo da quattro indicatori principali.
Progresso delle scienze e delle tecniche
Progresso delle scienze e delle tecniche
E prima di tutto il progresso delle scienze e della tecnica che rese possibile la rivoluzione industriale. Lo sviluppo decisivo è stato dato dal passaggio delle scoperte scientifiche alla loro utilizzazione tecnica. E diventando empiriche ed utili che le scienze hanno trasformato il lavoro e la produzione. Poi, il prodigioso sviluppo delle scienze fisiche, chimiche e biologiche ha prodotto lo slancio industriale ed agricolo che ha trasformato tutta l'attività economica e l'insieme dei modi di vivere. I mutamenti tecnici e culturali sono, come lo vedremo, paralleli.
L'obbiettivo del mondo industrializzato era la produzione razionalizzata e massimalizzata. Il valore economico del lavoro tendeva ormai a prevalere sul valore umano del lavoratore e ciò portava con sé una rivoluzione psicosociale che i nostri contemporanei ancora non sono riusciti completamente a dominare.
Il progresso delle scienze ha, d'altra parte, prodotto una rottura sempre più netta con le conoscenze tradizionali concernenti la natura dell'uomo e l'uomo stesso. La fisica ha rifiutato le cosmologie bibliche. Le scienze umane hanno offerto una nuova immagine, empirica e positivistica dell'essere umano. Comte, Marx, Freud hanno a lungo influenzato la rappresentazione dell'uomo moderno, individuale e collettivo. L'impatto di questa rivoluzione scientifica sulle culture resta ancora da approfondire.
Mobilità delle persone e dei capitali
Mobilità delle persone e dei capitali
Nelle società stabili del passato, le persone e le ricchezze non si spostavano che a ritmo lento, perché la vita economica era largamente collegata alla terra; ma tutto è cambiato con l'industrializzazione. La mobilità delle persone e dei capitali è stata una conseguenza della concentrazione manufatturiera, presto accompagnata da una centralizzazione commerciale e finanziaria. Le ricchezze sono diventate liquide e i capitali si sono presto messi in movimento per essere investiti nelle nascenti industrie.
Le popolazioni, in maggior parte rurali fino a quel momento, affluirono verso i centri manifatturieri, attratti dall'esca del guadagno. Gli uomini, le donne, i bambini venivano a vendere il loro lavoro, ma senza la protezione di un contratto preciso. In un movimento precipitoso ed incontrollato di urbanizzazione, sorsero i primi quartieri operai, ammassi umani più che comunità ordinate, la cui terribile miseria materiale e morale, descritta da P. Gaskell in Inghilterra (1833) e da L. R. Vilermé in Francia (1840), doveva servire da base ai primi conflitti operai e ai fermenti rivoluzionari di Marx ed Engels. L'urbanizzazione moderna è nata storicamente come un fenomeno destabilizzante per le comunità tradizionali, per la famiglia in particolare.
La città, bisogna riconoscerlo, rappresenta d'altra parte una conquista culturale di cui conviene sottolineare l'apporto positivo alla civiltà. Ma è un fatto che l'avventura urbana dell'uomo, anche nei paesi più « urbanizzati » comporta delle contraddizioni evidenti e siamo ancora lontani da quell'« urbanizzazione intenzionale » che farebbe delle città moderne comunità umanamente arricchenti.
L'emergere dello Stato moderno
L'emergere dello Stato moderno
Un altro fattore di modernizzazione è l'emergere dello Stato centralizzato, burocratico, rappresentativo. Lo Stato veniva ad assicurare una funzione necessaria per l'ordine delle attività economiche e sociali dei gruppi con interessi contrastanti, ma si sarebbe rivelato come un potere astratto, sempre più distinto dalla società, fenomeno che Marx ed Engels denunciarono come vizio fondamentale della società moderna. Qualunque sia il giudizio riguardo a queste critiche, è certo che i nostri contemporanei devono ancora affrontare una grave crisi dell'autorità civile e non sanno come far fronte alle esorbitanti pretese dello Stato provvidenza, che tende a diventare il padrone del diritto, della legge ed anche dell'economia, dell'educazione, della cultura, della comunicazione, della salute, della demografia, per non parlare dei rivolgimenti della politica ideologizzata dei paesi totalitari moderni.
Individualizzazione delle persone
Individualizzazione delle persone
L'accentuarsi dell'individualismo è un altro fenomeno concomitante della modernizzazine. L'accresciuta mobilità delle persone, la promiscuità delle collettività urbane hanno prodotto il distacco degli individui dalle proprie comunità di appartenenza tradizionale, il villaggio, la parrocchia, la famiglia. La ricerca di autonomia esalta l'individuo che si propone ormai di scegliere da solo i propri ruoli nella società, mentre nel passato i ruoli erano prescritti dall'ambiente, l'età, la famiglia, la condizione sociale.
Le correnti di pensiero nate dal romanticismo, dall'illuminismo e dalle filosofie hanno diffuso l'ideale di una più profonda consapevolezza delle libertà e una rigorosa affermazione della persona. La mentalità moderna ha fatto suo il valore positivo di questi diritti fondamentali, pur cercando d'integrarli in un progetto allargato di solidarietà universale. L'equilibrio tra questa duplice richiesta, personale e collettiva, rimane una delle grandi sfide della cultura moderna.
Lo sviluppo dello spirito democratico e la volontà di autonomia, la mobilità e l'arricchimento degli individui hanno dato un forte impulso al movimento dell'educazione generalizzata, uno dei fattori indispensabili dello sviluppo sociale, culturale, economico e politico.
Una conseguenza particolarmente segnata dall'individualizzazione è la crisi delle istituzioni e delle comunità tradizionali. Il mutamento dell'istituto familiare è emblematico. La famiglia è, ormai, sempre più definita in funzione dell'autonomia delle persone nel lavoro e nella società. La famiglia perde il suo ruolo educativo tradizionale e le sue funzioni produttive ed economiche.
La crisi della famiglia è uno degli indici più tipici della modernizzazione, e questa crisi è andata aggravandosi da un secolo, al punto che, oggi, l'avvenire stesso dell'istituto familiare è messo in causa dal rifiuto del matrimonio civilmente o religiosamente sanzionato, dal fenomeno della coabitazione giovanile, dalla moltiplicazione dei divorzi, dalla crescente pratica della sterilizzazione e dell'aborto, dalla diffusione dell'omosessualità come modo di vita e come una nuova subcultura.
La rivoluzione industriale è stata accompagnata da una vera rivoluzione culturale che ha provocato l'erosione dei valori centrali sui quali riposava l'ordine tradizionale: le antiche gerarchie sociali, i modi di lavoro e di associazione, i rapporti dell'uomo con la natura, il ruolo delle comunità familiari, religiose, locali. La nuova cultura ha proposto un'altra maniera di conoscere il mondo e di sfruttarlo. Le somme del sapere, pazientemente elaborate dai teologi, sono state sostituite dalle scienze empiriche e dalle tecniche di sfruttamento della natura e di gestione socioeconomica.
Questa evoluzione storica ha creato un mondo con tutti i vantaggi che gli sono propri, ma ad un costo umano e spirituale molto elevato. Come questa evoluzione segnerà ora i paesi in via di sviluppo? La questione è fondamentale per l'avvenire della modernità. Queste poste in gioco ci invitano ad un esame critico della cultura della modernità quale si rivela nei suoi effetti positivi e negativi nel processo storico della modernizzazione.
Modernità: progresso e contraddizioni
Modernità: progresso e contraddizioni
E' innegabile che la cultura moderna ha apportato all'umanità vantaggi quali nessun periodo anteriore aveva potuto nemmeno osare sperare. La nostra epoca prova una particolare fierezza e una legittima soddisfazione nel constatare il salto di qualità e l'incredibile massa di scoperte scientiche e tecniche dovute ai ricercatori moderni.
Ma, al di là di questo sentimento di fierezza e di ammirazione per il progresso tecnico, la modernità ci fa paura mentre ci seduce. Nel cuore della psicologia contemporanea nascono profonde inquietudini. La cultura moderna, meravigliosa per le sue creazioni, si accompagna di contraddizioni e di minacce latenti che tormentano l'inconscio collettivo.
Mito del progresso e delusione
Mito del progresso e delusione
Questa angoscia generalizzata ha, per buona parte, la sua spiegazione nel crollo di un mito che a lungo ha ispirato lo sviluppo delle società industriali: quello del progresso irreversibile. Assistiamo alla caduta di un'ideologia che, per circa due secoli, ha guidato la speranza acritica dei popoli occidentali, cioè l'utopia del progresso fondata sulla comune credenza dell'avvento certo di una società felice, grazie all'instaurarsi della razionalità empirica e alla vittoria finale della ragione e della giustizia.
Il mito del progresso ha trascinato nella luce del suo fascino, in conclusione ingannatore, sia le società dette liberali che le nazioni a regime socialista, anche se queste ultime sono state più lente a prendere atto del raffreddamento dell'ideologia progressista.
Accanto alle speranze più valide secretate dalla modernizzazione, che si chiamano progresso, liberazione, razionalità, l'uomo e la donna ordinari sono sempre più disincantati da un progresso deludente e da una falsa razionalità. La nostra generazione vive con angoscia il senso umano del limite, della precarietà e dell'effimero. La storia non gioca più automaticamente in nostro favore, le catastrofi passate e quelle a venire, notava Adorno, hanno fatto aprire gli occhi.
I valori dominanti della modernità si rivelano oggi con più chiarezza nella loro ambivalenza, generando insieme un senso di attrazione e di rigetto, di seduzione e di delusione. Fino ai nostri giorni la società moderna ha considerato l'individualismo, la razionalità, il pluralismo, le comunicazioni di massa, la scienza tecnologica come valori sicuri, e ancora essi rimangono, sul piano psico‑sociale, le forze propulsive del progresso sperato. Ma gravi contro‑valori sono sorti, che drammaticamente sottolineano i loro limiti e le loro contraddizioni. Questa dialettica in discesa, fonte di serie inquietudini morali e spirituali, può essere illustrata da alcuni fatti che verremo citando.
La razionalità contro la ragione
La razionalità contro la ragione
E' un fatto ovvio, per esempio, che lo spirito razionalistico ha trasformato le società tradizionali fornendo loro mezzi produttivi, amministrativi, commerciali, finanziari infinitamente più efficaci di quelli del passato e questo costituisce un progresso che nessuno può contestare e da cui nessuno vorrebbe tornare indietro. Ma il razionalismo, introducendo il sistema tecnico e burocratico, ha spersonalizzato il lavoro, le relazioni sociali e i rapporti tra chi governa e chi è governato.
Privilegiando l'efficienza e la produttività massimale, la società tecnica ha favorito una tendenza schizofrenica dei comportamenti. Per uno strano paradosso, la società del benessere ha prodotto una nuova alienazione, quella degli individui anonimi considerati artificiosamente come semplici consumatori, elettori, contribuenti. La contraddizione si aggrava quando il sistema economico si perfeziona fino a generare la disoccupazione detta tecnologica, che lascia milioni di persone senza lavoro e socialmente emarginate. Questo blocco rappresenta una situazione eplosiva. L'economia non può pretendere a lungo di progredire sacrificando il fattore umano. I provvedimenti socioeconomici, che sarebbero necessari, sembrano essere una sfida alla razionalità vigente.
L'individualismo e la folla solitaria
L'individualismo e la folla solitaria
Anche lo spirito individualistico può essere considerato un valore ed una conquista. Certo, l'individuo libero ha reso possibili la democrazia, lo spirito d'impresa, la libertà d'espressione, l'esigenza di giustizia per tutti, il bisogno generalizzato di educazione e di partecipazione ai benefici della cultura. Queste aspirazioni fanno progredire la società moderna e le nazioni giovani vi tendono con tutte le loro forze malgrado ostacoli e drammatiche difficoltà. Sulla via verso lo sviluppo integrale, non ci si può che rallegrare della promozione, nella società, di persone libere e responsabili.
Ma le contropartite dell'esaltazione dell'individualismo sono evidenti. Il culto dell'individuo ha distrutto il senso della tradizione e colpito l'istituto della famiglia, lasciando le persone senza difesa in seno ad un pluralismo livellatore. Per millenni, l'uomo ha vissuto seguendo le orme di costumi e di tradizioni rispettate, attingendovi una sapienza popolare ed una cultura di sostegno. Oggi non c'è più tradizione che sia al riparo dalla contestazione.
E in questo contesto culturale che oggi si afferma l'uomo che vive in ambiente pluralistico e areligioso. L'individuo entra allora a far parte della folla solitaria dei suoi simili, nella quale ciascuno si ripiega sui propri valori, imparando con difficoltà a vivere in un ambiente segnato dal pluralismo degli assoluti, dove ognuno si dà soggettivamente le proprie ragioni di vita. Il pluralismo culturale della società moderna, dobbiamo riconoscerlo, comporta degli aspetti chiaramente positivi, poiché favorisce la libertà di credenza, la comprensione dell'altro, l'accoglienza delle minoranze, la tolleranza e la volontà di promuovere un ordine sociale rispettoso delle differenze e delle diversità inseparabili della società moderna. Ma, un'accettazione generalizzata e troppo passiva del pluralismo rischia di annullare la libera scelta delle persone, quando tende a prevalere un nuovo conformismo di massa, uno sconsiderato consumismo di beni e di idee, un livellamento culturale verso il basso: vedi: Pluralismo. Questa tendenza alimenta il relativismo e il soggettivismo della società dei consumi.
Si tratta, inoltre, di atteggiamenti diffusi da certi « nuovi intellettuali » che si guadagnano la vita con la produzione del sapere e dell'informazione. Questa « Nuova classe », come spesso viene indicata, rappresenta un potere in ascesa e tende a dominare nelle ricerche, nel sistema educativo e nei media.
La comunicazione che unisce e destruttura
La comunicazione che unisce e destruttura
La comunicazione sociale deve essere considerata un valore e un prodotto culturale e dobbiamo dire che i media moderni, sotto questo punto di vista, ci hanno proiettato in un'altra dimensione del tempo e dello spazio. Noi stiamo ancora vivendo questo grande stupore ed ancora ci interroghiamo riguardo a queste straordinarie possibilità di comunicazione tra noi. Ne deriva un sentimento di esaltazione della solidarietà universale, della virtuale corresponsabilità riguardo agli affari dell'intero pianeta.
Tuttavia, le frontiere tradizionali così importanti per secoli in quanto protettrici delle culture nazionali, hanno ceduto di fronte all'irresistibile invasione delle onde che veicolano, nel libero spazio, le immagini, la pubblicità, le sollecitazioni della radio e della TV. Questa invasione delle nostre frontiere e delle nostre dimore è, noi diciamo, il prezzo da pagare alla modernità e ci meravigliamo che ogni uomo ed ogni donna siano potenzialmente collegati a tutti i fratelli e le sorelle. Le scuole, le università, gli istituti culturali si preoccupano di sfruttare queste possibilità, in un certo senso troppo rapidamente offerte, col pericolo ch'esse possano rivoluzionare strategie educative e pedagogiche.
Ai risultati delle comunicazioni elettroniche si aggiungono quelle dei rapidi trasporti. Tutti i punti del globo sono diventati straordinariamente vicini nel tempo e nello spazio. I viaggi aerei soprattutto hanno stabilito un sistema praticamente unificato di scambi e di rapporti tra tutti i paesi. I concetti di straniero, di vicino, di prossimo, di viaggiatore hanno subito, nella nostra mente, una netta relativizzazione. La famiglia umana si fa più vicina e presente.
Verso una supercultura?
Verso una supercultura?
Di fronte a questi fenomeni di comunicazione universalizzante, il nostro discernimento rimane ancora insufficiente, anche perché gli effetti dei media sono lungi dall'essere tutti positivi. Uno degli effetti più notevoli è la nascita di una cultura di massa, portata dalla strandardizzazione dei gusti, dalla diffusione universale degli stili di vita e di consumo, dalla crescente influenza delle industrie culturali che sanno abbinare la creazione di opere popolari con il successo finanziario. Ne risulta una omologazione della cultura ed una nuova forma di predominio occidentale, americano, ma in nessun modo esclusivo, come noteremo. I valori ludici a sfondo materialistico e edonistico seducono le masse, i cui gusti tendono ad assomigliarsi in ogni parte del mondo. Questa supercultura, universalizzandosi progressivamente, costituisce una minaccia per le culture regionali, nazionali, etniche, religiose. I valori che sono legati alla famiglia e alle collettività tradizionali subiscono un'erosione quasi irreparabile. Molte comunità culturali rischiano di sparire, alcune si difendono, altre si oppongono violentemente, come si può vedere nel risorgere dei fondamentalismi e dei fanatismi religiosi.
Un problema grave si pone alla nostra epoca, quello di riuscire a conciliare l'avvento di una supercultura con la coesistenza pacifica delle culture particolari, in una ricerca cosciente di equilibrio tra una cultura omogenea universalizzata, già presente, e le policulture vive, già in stato di difesa. Questo internazionalismo culturale, fondato su di un pluralismo rispettoso, trova oggi difensori realisti e chiaroveggenti. Si tratta di una forma di difesa dell'uomo in quanto tale, che non può lasciare indifferenti.
La cultura di massa, propagata dai media, ha raggiunto il suo limite, al di là del quale essa distruggerà se stessa? E una delle questioni morali e politiche più urgenti e difficili che sono chiamati a porsi i cittadini preoccupati di assicurare la sopravvivenza delle istituzioni fondamentali della società moderna.
La scienza tecnologica creatrice e omicida
La scienza tecnologica creatrice e omicida
La scienza e la tecnica, lo abbiamo riconosciuto, sono stati i fattori di propulsione della modernizzazione e le scoperte della creatività scientifica hanno per sempre arricchito la civiltà. Soltanto movimenti anti‑scientifici e anti intellettuali possono sognare un illusorio ritorno ad una società prescientifica e naturista. Occorre, però, capire le motivazioni che ispirano queste nostalgie. La scienza‑tecnica, che ieri era una trionfante speranza e realmente creatrice di meraviglie, è oggi citata nel tribunale della coscienza universale. Il suo potere è cresciuto, quasi senza limiti, per il benessere, ma anche per la distruzione dell'uomo e del suo habitat. Non c'è uomo né donna che oggi non si senta minacciato dal fuoco assassino e suicida delle armi moderne. Hiroshima ha, per sempre, scosso la psiche collettiva.
La natura e la biosfera sono già gravemente danneggiate e ripetute catastofi ecologiche sollevano un'angoscia generale che spesso confina col panico. L'irrazionalismo della società industrializzata e militarizzata conduce alla devastazione. I movimenti ecologici e pacifisti possono irritare per i loro eccessi, ma le loro denunce poggiano largamente su fatti ben fondati. Essi interpellano le nostre culture troppo poco preoccupate e passive di fronte ai danni prodotti dall'industrializzazione e di fronte a programmi militari che meritano condanna. I nostri contemporanei sono angosciati, hanno paura di ciò che si annuncia. Rimarchiamo che il nostro ambiente sociale è altrettanto, se non di più, minacciato del nostro ambiente fisico.
E le scienze umane?
E le scienze umane?
Le produzioni delle scienze umane sono meno visibili di quelle delle tecniche, ma il loro impatto è, per questo, meno profondo? Quando oggi si considera la scienza, si presta una sufficiente attenzione alle scienze del comportamento? Queste discipline hanno considerevolmente approfondito la nostra conoscenza dell'uomo individuale e sociale e hanno permesso di compiere notevoli progressi nell'organizzazione e nella direzione delle comunità umane. Il funzionamento della società moderna sarebbe inconcepibile senza le scienze sociali e queste sono indispensabili alla modernizzazione del mondo. Ma correnti di pensiero imbevute di determinismo e di strutturalismo tendono praticamente a distruggere il concetto umanistico ereditato dalla Bibbia e dal mondo greco‑romano. Molti sociologi, economisti e politologi diffondono la concezione materialistica dell'uomo. Smontando i meccanismi dell'inconscio e le strutture segrete del comportamento, gli antropologi e gli psichiatri hanno messo a nudo l'anima umana nei confronti delle forze oscure ed angoscianti che l'abitano. L'essere umano, si sostiene, non sarebbe che il povero giocattolo dei propri impulsi inconsci.
Paul Ricoeur (1978) si è a lungo soffermato su questi interrogativi lanciati alla cultura moderna, alla filosofia e alla teologia in particolare. Le istituzioni culturali nel passato trovavano la loro legittimazione nella religione, ma oggi « la religione non è più direttamente funzionale » né nel campo scientifico, né in quello etico, politico, sociale. Queste constatazioni ci rivelano la condizione dell'uomo moderno in tutta la sua radicalità: quest'uomo è ancora capace di situarsi esistenzialmente e in una relazione psicologicamente significativa, di fronte all'assoluto e alla trascendenza? Se la risposta è negativa, avverte Ricoeur, l'umanesimo e la cultura si distruggeranno nel nichilismo.
Verso l'autodistruzione della modernità?
Verso l'autodistruzione della modernità?
Diversi studiosi concludono che la modernità è ormai votata all'autodissoluzione. Il progresso caccerà il progresso e la cultura umana. L'agitata corsa verso la novità, la sovrabbondanza di sensazioni sempre nuove, il cambiamento per il cambiamento finirà per distruggere la modernità, che si degrada in un cambiare di mode effimere. La modernità avrebbe esaurito il proprio dinamismo innovatore e noi saremmo già entrati nell'epoca del post‑moderno nel quale la storia sarà da riprendere in mano con un sforzo concorde a scala planetaria. La storia ha cessato d'essere tutelare, secondo l'utopia del secolo XIX. Toccherà ora a ciascuno di noi fare una storia intenzionale, umanizzata, costruita con corresponsabilità. In caso contrario, la schiacciante egemonia della scientificità, delle tecniche e dei media ci porterà all'agonia dell'umanità, all'estinzione della civiltà. Noi staremmo già entrando in una nuova forma di barbarie. Diversi osservatori lo sostengono con serietà, mediante analisi che provocano gravi inquietudini, anche se non è ancora il momento di abbandonarsi alla disperazione.
All'inizio del secolo, Spengler si era eretto a profeta pessimista ed aveva predetto l'ineluttabile declino dell'Occidente. La storia si è rivelata molto più complessa. L'Occidente, infatti, ha continuato la sua marcia in avanti e, d'altra parte, Spengler non aveva previsto che la modernità ben presto avrebbe cessato di identificarsi col solo mondo occidentale.
La leadership mondiale tende a diventare policentrica e una concorrenza sempre più diversificata si va sviluppando tra l'America del Nord, il continente europeo, il Giappone. Le nazioni del Sud‑Est asiatico stanno facendo progressivamente pendere gli equilibri internazionali verso la zona del Pacifico.
La modernità, ancora occidentale?
La modernità, ancora occidentale?
Il problema che ora si pone è di sapere in che senso la modernità rimanga un fenomeno occidentale a dominante americana. Una chiara internazionalizzazione culturale si è prodotta e la modernità tende a diventare una cultura comune a tutti i popoli che hanno accolto l'industrializzazione come modo di vita. Kenneth Boulding (1969) già aveva notato questa transnazionalizzazione della modernità: « La supercultura è la cultura degli aeroporti, delle autostrade, dei grattacieli, delle ibride varietà dei mais e dei fertilizzanti artificiali, della pillola e delle università. Essa è universale nel suo raggio d'azione e, in un senso anche molto reale, tutti gli aeroporti sono un solo e medesimo aeroporto, tutte le università una sola e medesima università. Essa possiede anche la sua lingua universale, che è l'inglese tecnico e un'ideologia comune, quella della scienza ».
Possiamo ricordare quanto aveva affermato Gregory Claeys (1986) professore ad Hanovre: « Appariva sempre più evidente, verso l'inizio degli anni 1960, e come si vuol riconoscere oggi, che la trasformazione dell'Europa del dopo‑guerra aveva, di fatto, meno a che vedere con l'americanizzazione che con la diffusione di un nuovo stile di consumi e con nuove forme di produzione e di distribuzione, proprie ad un particolare stadio dell'evoluzione della società industriale »: cf J. R. Blau, 1989.
Paesi poveri e modernità
Paesi poveri e modernità
Se si ammette che la modernità s'identifica con le nazioni più ricche industrialmente, un interrogativo si pone: che ne sarà dei paesi più poveri? Siamo costretti ad ammettere che il mondo moderno non ha saputo abbordare con successo i problemi dello sviluppo. Malgrado i grandi sforzi, spesso generosi, il numero dei poveri, degli analfabeti e degli affamati aumenta nel mondo; si tratta di un grave fallimento per la cultura moderna.
Il mondo moderno non ha saputo mobilitare le risorse e le iniziative che erano necessarie a far decollare, sul piano socio‑economico, l'insieme dei paesi. I mezzi tecnici, i capitali, le capacità esistono, ma non sono stati messi in opera con volontà lucida. Nel frattempo, somme favolose e enormi energie sono servite a militarizzare il pianeta, i paesi ricchi come quelli poveri, fino ad un punto di saturazione suicida.
Questa contraddizione sta probabilmente ad indicare la malattia più tragica della cultura moderna, ma la modernità in sé non è da condannare. Malgrado i tanti fallimenti e i tanti sbagli, bisogna sperare in un sobbalzo morale di tutte le nazioni, ricche e povere. E richiesta nella nostra epoca una conversione culturale capace di mobilitare le energie umane e i mezzi efficaci capaci di suscitare le solidarietà necessarie allo sviluppo di tutti i popoli, in uno sforzo unitario di tutti gli interessati a dimensione mondiale.
Non dimentichiamo che la modernizzazione, come progetto ideale, continua ad alimentare i sogni e le speranze legittime di ogni persona, anche della più sprovveduta. Al di là delle loro differenze e dei loro orientamenti ideologici, tutti i paesi in sviluppo aspirano alla modernizzazione e devono confrontarsi con la cultura della modernità. Quale volto dovremo dare alla modernità che un giorno, certamente, si sarà estesa all'intera famiglia umana?
Vedi
Industrializzazione
Urbanizzazione
Sviluppo culturale
Pluralismo culturale
Società dei consumi
Società post‑industriale
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