La contro‑cultura corrisponde ad una mentalità diffusa che tende a contestare le istituzioni, i valori, i modi di vivere, le tradizioni della cultura dominante. La contro‑cultura si manifesta sia come rivolta e come rigetto dello status quo ma anche come un'utopia e una forma di rappresentazione, spesso parossistica, dell'avvenire. La contro‑cultura può essere, infine, la forma collettiva che prende la protesta morale contro una società secolarizzata e disumanizzante: in questo senso, i gruppi religiosi sono spesso detti « contro‑culturali ».
Fenomeno di generazione
E soprattutto negli ambienti studenteschi degli anni 1960 che l'espressione contro‑cultura è diventata di moda. I primi studi su questo fenomeno complesso ed ambiguo hanno insistito sui suoi aspetti conflittuali ed alienanti. I termini generalmente usati per descrivere la contro‑cultura dei giovani sono rivelatori: si parla di rivolta, di rivoluzione, di conflitto tra generazioni, di generazione scettica, di rigetto globale, d'opposizione giovanile, di marginalità, di comportamenti contestatari, di atteggiamenti irrazionali, della tendenza a cercare la liberazione nella cultura dell'istinto, nel sesso e nella droga. La contro‑cultura può così degenerare in anticultura. Se questi aspetti negativi fossero gli unici a descrivere le nuove generazioni, si potrebbe disperare riguardo all'avvenire della scuola, dell'università e dell'educazione in genere. Ma oggi assistiamo allo sforzo profondo che si va facendo per conoscere meglio la psicologia delle giovani generazioni, in maniera da rinnovare la pedagogia fondandola su di una più vera conoscenza delle aspirazioni della gioventù, come anche sul rispetto del sapere acquisito e dei valori permanenti del passato. Gli specialisti di antropologia culturale e di psico‑pedagogia hanno appena iniziato, malgrado l'abbondanza degli studi sulla questione, l'analisi delle attuali trasformazioni delle generazioni. Margaret Mead, parlando di « cultura prefigurativa » per indicare il mondo dei giovani, ci ricorda che la rivoluzione culturale è già all'interno dei nostri muri. In altri termini, la cultura di domani è già in germe, in gestazione e in atto nel comportamento collettivo delle giovani generazioni. Questa rivoluzione dovrebbe renderci attenti, non tanto per le sue violenze esterne e i suoi eccessi frenetici, quanto per il mutamento intrinseco della società post‑industriale ch'essa annuncia. Charles A. Reich (1970) così descrive il fenomeno: « Una rivoluzione sta producendosi. Essa non sarà come le rivoluzioni del passato; il suo punto di partenza sarà nell'individuo e nella cultura e cambierà la struttura politica soltanto nel suo stadio finale. Non esigerà violenza per imporsi e non potrà neppure essere efficacemente fermata dalla violenza. Questa rivoluzione si estende con sorprendente rapidità e già le nostre leggi, le nostre istituzioni e la nostra struttura sociale stanno cambiando per causa sua ».
La posta in gioco educativa
La posta in gioco educativa
Gli educatori si sforzano di comprendere che cosa si stia producendo nei sistemi educativi in mutamento. Finora l'insegnante ha avuto un ruolo centrale. Oggi sta perdendo il monopolio che aveva. L'educazione e la cultura dipendono sempre più dalle fonti d'informazione e di esperienza esterne alla scuola o all'università. I mass‑media forniscono ai giovani una parte considerevole della cultura ed anche dell'istruzione che la società globale offre loro. D'altra parte, la gioventù d'oggi sente l'esigenza di un'educazione integrale che includa una certa forma di esperienza o di prassi ed avverte che l'educazione non è autentica se resta confinata sul piano della razionalità. L'arte, l'amore e la fraternità fanno parte delle aspirazioni tipiche dei giovani d'oggi. Un certo culto dell'immediatezza e della soddisfazione istintiva, può, è vero, fomentare le speranze e le delusioni dei giovani. Come nota Françoise Mallet‑Joris in La maison de papier, lo spontaneismo rischia di far confondere i valori istintivi con i valori ultimi: « In quest'epoca c'è una forma di venerazione dell'istinto, dello spontaneismo che ha il suo aspetto liberante, ed anche creativo, ma che talvolta mi urta perché eleva ciò che è più sfuggevole, più soggettivo al rango di verità suprema ed intangibile... ». Ciò che è difficile da percepire, da parte degli adulti e degli educatori, è la logica interna della cultura che si va elaborando. Con molti educatori si può pensare che la gioventù moderna sia soprattutto caratterizzata da un'inquietudine che concerne la sua identità profonda e le sue ragioni di vivere. La sua crisi è, nel suo fondo, morale e spirituale. Comprendere le preoccupazioni fondamentali dei giovani significa, per gli educatori, essere condotti ad una revisione non soltanto delle strutture dell'insegnamento, ma del suo orientamento culturale, morale e spirituale. La complessità e l'intensità dei problemi sollevati dai giovani, sia nelle loro esplicite dichiarazioni, che nei loro comportamenti, dovrebbero suscitare negli educatori una risposta credibile riguardo al destino dell'uomo e alle ragioni di vivere in società. L'università conserva e conserverà a lungo il suo ruolo proprio di acculturazione. Ma è anche vero che un fenomeno inverso si sta producendo sotto i nostri occhi che potremmo dire di inculturazione dell'università, cioè la sua trasformazione attraverso l'accoglienza, nel proprio interno, dei valori che i giovani vi importano. Questa è forse la forma più tipica di socializzazione che subisce l'Università del nostro tempo. Si potrebbe parlare di una rivoluzione generazionale come, nel passato, si è parlato di rivoluzione proletaria. L'Università, in queste condizioni, non ha da trattare soltanto con degli individui, cioè con degli studenti isolati, ma con una massa, un'intera generazione che ha improvvisamente preso coscienza del potere ch'essa può esercitare sull'istituzione universitaria come sulla società. La funzione di acculturazione dell'università si trova posta in stato di fallimento, almeno parziale, per la presa di coscienza delle nuove generazioni e le loro contestazioni collettive nei confronti dell'università come del sistema sociale costituito. I giovani mettono radicalmente in causa le strutture industriali, commerciali e giuridiche delle nazioni moderne. Si contesta la « società bloccata », secondo l'espressione di Michel Crozier. Queste espressioni richiedono evidentemente di essere colte nelle loro sfumature. I giovani stessi sono fra loro molto divisi nei giudizi come sui mezzi e gli obiettivi della contestazione. Stiamo parlando di una tendenza che sembra generalizzarsi sotto forme diverse nella maggior parte dei paesi.
La contestazione studentesca
La contestazione studentesca ha dunque favorito la contro‑cultura
Theodore Roszak (1969) ha condotto una buona analisi del fenomeno nel suo saggio The Making of a Counter‑Culture. Il primato dei valori classici, le funzioni socio‑economiche dell'Università, i presupposti culturali della società moderna sono radicalmente contestati e rigettati. Per sostituire i valori di una società che si reputa condannata, si rivendica la spontaneità individuale, si sogna un ethos più umano e fraterno per soppiantare la falsa razionalità del sistema sociale dominante. Roszak fa notare che i giovani aderiscono a questa idea‑forza perché vogliono che le loro critiche e i loro sogni costruiscano una società più umana, anche se dubitano della loro effettiva potenza di raggiungere lo scopo. « I giovani d'oggi, egli scrive, non hanno forse la potenza morale di lanciare la rivoluzione storica che desiderano, ma non illudiamoci, essi non vogliono niente di meno ».
I valori in causa
I valori in causa
Ciò che è messo in causa sono i presupposti culturali come i valori primari sui quali poggia la società industriale ed urbana. Qualunque siano gli eccessi della contestazione o le effervescenze della critica, non si risponderà all'attuale crisi senza andare in fondo al problema. Siamo di fronte ad un conflitto tra generazioni. Si può dire, senza voler troppo semplificare, che fino al 1950 circa, la società moderna ha conosciuto un conflitto di classi; oggi il conflitto si è sviluppato tra le generazioni. C'è rottura, rigetto, incomprensione reciproca. La crisi, possiamo dire, sembra soprattutto d'ordine morale. Il conflitto non verte tanto sulla divergenza d'interessi o sui mezzi per dominare i poteri economico‑politici. La crisi rivela una rottura della reciproca fiducia; non si parla più la stessa lingua; ci si riferisce ad universi culturali che sembrano alla deriva. Le generazioni hanno sempre avuto difficoltà a comprendersi e ad interpretarsi reciprocamente, ma l'accelerazione del cambiamento sociale e le contraddizioni della società tecnologica hanno trasformato il divario tra generazioni da semplice ritardo nella comprensione in processo di crescente opposizione. Questo fenomeno ci sembra sia, prima di tutto, di natura spirituale, perché impegna concezioni che divergono sui valori supremi, che riguardano la giustificazione delle istituzioni primordiali, in una parola, le ragioni fondamentali della vita. La nostra descrizione non può che tratteggiare a grandi linee la situazione in corso. Molti giovani già si identificano con le generazioni a loro prossime di adulti, ed è vero che tra queste generazioni, soprattutto a livello degli intellettuali, si ritrovano le stesse aspirazioni e gli stessi atteggiamenti di contestazione che si osservano nei giovani. La contro‑cultura è dunque spontaneamente associata alla contestazione. Pur riconoscendo il risultato perverso di una contestazione anarchica e nichilista, occorre riconoscere il ruolo di stimolo della contestazione, soprattutto quella dei giovani, per un rinnovamento delle culture, per la loro purificazione e la loro apertura ai valori del Vangelo. Giovanni Paolo II lo ha ricordato in questi termini in occasione del centenario della Rerum novarum: « Da tale ricerca aperta alla verità, che si rinnova ad ogni generazione, si caratterizza la cultura della Nazione. In effetti, il patrimonio dei valori tramandati ed acquisiti è sempre sottoposto dai giovani a contestazione. Contestare, peraltro, non vuol dire necessariamente distruggere o rifiutare in modo aprioristico, ma vuol significare soprattutto mettere alla prova la propria vita e, con tale verifica esistenziale, rendere quei valori più vivi, attuali e personali, discernendo ciò che nella tradizione è valido da falsità ed errori o da forme invecchiate, che possono essere sostituite da altre più adeguate ai tempi. In questo contesto, conviene ricordare che anche l'evangelizzazione si inserisce nella cultura delle Nazioni, sostenendola nel suo cammino verso la verità ed aiutandola nel lavoro di purificazione e di arricchimento. Quando, però, una cultura si chiude in se stessa e cerca di perpetuare forme di vita invecchiate, rifiutando ogni scambio e confronto intorno alla verità dell'uomo, allora essa diventa sterile e si avvia alla decadenza »: Centesimus Annus, 1991, n. 50. Si dovrà, infine, constatare che la contro‑cultura può manifestarsi in ogni società in movimento, qualunque sia il suo orientamento ideologico. Il movimento si diffuse prima in Occidente, poi nel terzo mondo e finalmente raggiunse le strutture del mondo comunista. L'atteggiamento contro‑culturale potrà divenire anche un'esigenza spirituale nei credenti che rifiutano i valori di una società disumanizzante. E un approccio indispensabile per la critica costruttiva delle culture, prima tappa della loro evangelizzazione.
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Cultura
Anticultura
Educazione
Acculturazione
Rivoluzione culturale
Bibl.: H Carrier 1990a. M. Mead 1970. C. Reich 1970. T. Roszak 1969. J.L. Harouel 1994. J.B. Twitchell 1992.