Tra il linguaggio e la cultura le interdipendenze sono così strette che è difficile studiare la lingua come fatto antropologico specifico. Dall'inizio del secolo XX, le ricerche sulla lingua hanno avuto uno sviluppo così ampio ch'esse oggi costituiscono uno dei principali centri di interesse per le scienze umane e la filosofia. I metodi di osservazione e di analisi non hanno cessato di perfezionarsi. Nel XVI secolo lo studio abbracciava circa venti delle lingue conosciute, oggi se ne contano più di tremila e nuove discipline sono sorte per lo studio della lingua. In parallelo con gli studi filosofici sul linguaggio, che sono oggi notevolmente rinnovati, si vanno sviluppando nuove specializzazioni quali l'etnolinguistica, la psicolinguistica, la sociolinguistica.
Qui cerchiamo di individuare i dati che più direttamente si riferiscono alla dimensione culturale del linguaggio. Rivolgeremo la nostra attenzione ad una scelta di problematiche idonee a dimostrare come lo studio della lingua e quello della cultura si illuminino a vicenda. Dopo una parte più descrittiva, riguardo agli aspetti psicopedagogici e sociografici del linguaggio, esamineremo le teorie che si dedicano alla ricerca dei rapporti che la lingua ha con lo spirito e la cultura dell'uomo.
L'apprendimento della lingua materna
L'apprendimento della lingua materna
Un fatto originale è di fondamento a tutto il resto: la nascita del linguaggio nel bambino. Osservando la meravigliosa trasformazione del bambino che acquista l'arte del parlare, i pensatori di tutti i tempi e gli specialisti di oggi non cessano di interrogarsi sull'umanizzazione e l'acculturazione che si operano con il risveglio del linguaggio. Il ruolo della famiglia nella trasmissione della lingua è un dato antropologico universale che continua a porre problemi di carattere teorico e pratico molto complessi. Per il bambino, imparare la propria lingua materna è, nel medesimo tempo, costituirsi come persona distinta e identificarsi ad una cultura. Gli studiosi di psicopedagogia hanno accuratamente descritto questa lenta maturazione.
Fin dalle prime settimane, il neonato sa riconoscere la voce umana e presto distingue e pronuncia sillabe elementari come: « pa », « ma », « ba ». Ovunque, nel mondo, i bambini cominciano ad usare un linguaggio semplificato, imitato dalla « parlata dei genitori » che omette certe parole e ritiene, invece, una forma di espressione telegrafica riferentesi al proprio universo immediato, fisico e biologico. Il loro linguaggio si sviluppa contemporaneamente alla loro capacità di ragionare e di esprimere pensieri e sentimenti più complessi. E impressionante la reciprocità tra lo sviluppo della lingua e quello del pensiero. Jean Piaget ha giustamente osservato come il risveglio del pensiero infantile sia legato al progressivo apprendimento della lingua: « Il pensiero del bambino - egli dice - si sviluppa in connessione con l'acquisizione del linguaggio ». Questo situa il problema linguistico nel più profondo della psicologia umana.
Giunto all'età scolare, il bambino normalmente sviluppato ha già appreso una lingua elaborata e flessibile. Egli dispone di un vocabolario discretamente ampio e di strutture espressive ben differenziate, ma non è in grado di dire le regole grammaticali che utilizza senza averne conoscenza. La scoperta delle regole esplicite di sintassi e di grammatica sarà frutto di un altro apprendimento e questo fa emergere, come in seguito diremo, gli aspetti più reconditi della lingua.
Lingua orale
Lingua orale
Prima di una qualsiasi conoscenza grammaticale, il linguaggio orale risulta già costituito nelle sue strutture espressive, poiché ogni lingua possiede il suo genio proprio nell'apprensione e nell'interpretazione della realtà. Il linguaggio orale è fenomeno di grande interesse per gli studiosi della materia, perché molte delle lingue del mondo non hanno ancora la scrittura. Sul piano psicologico e culturale il fatto da rilevare è che l'espressione orale richiede il contatto tra le persone che parlano e questo condiziona un particolare tipo di cultura in cui domina lo scambio diretto, interpersonale, interpellativo e memorizzato.
Lingua primaria, lingue seconde
Lingua primaria, lingue seconde
Il modo di assimilazione della lingua materna deriva da processi psicologici e pedagogici che non agiscono più nella stessa maniera nell'apprendimento di un'altra lingua. L'adulto che studia una lingua straniera difficilmente riuscirà, anche dopo molti anni, ad esserne padrone come i figli del paese. Quando i bambini sono educati in una famiglia perfettamente bilingue, essi riescono fin dalla prima età ad assimilare i due linguaggi, ma, in generale, uno di essi domina in pratica e, in questo caso, si raccomanda che la lingua dominante sia il principale mezzo di comunicazione nella formazione scolastica. L'uso simultaneo di due lingue sul piano scolastico è, tuttavia, frequente soprattutto nei paesi in cui coesistono più lingue o dialetti parallelamente alla lingua o alle lingue ufficiali. Ciò che abbiamo rilevato riguardo alle diversissime condizioni che presiedono all'apprendimento della lingua materna e delle seconde lingue, suggerisce agli educatori un approccio pedagogico che tenga conto del grande sforzo che è richiesto per dominare una lingua non trasmessa dall'ambiente familiare.
Identificazione ad una comunità linguistica
Identificazione ad una comunità linguistica
L'esperienza vissuta dal bambino che ha imparato a parlare nell'ambiente familiare, quasi spontaneamente e senza particolare tecnica pedagogica, costituisce un fenomeno che apre grandi orizzonti sulla socializzazione e sull'emergere dell'identità culturale.
Tra la lingua e la società di appartenenza, i rapporti sono molto più complessi di quanto lo credessero certi etnologi orientati, nel passato, a classificare le lingue secondo i tratti fisici o sociali dei popoli: lingue dei popoli dai capelli crespi, dei popoli dai capelli biondi, dei popoli agricoli o non agricoli. I linguisti moderni rifiutano queste visuali deterministiche tese a stabilire un vincolo diretto di causalità tra una lingua e una società. Emile Benveniste (1974) lo precisa in questi termini: « L'idea di cercare tra due realtà delle relazioni univoche, che farebbero corrispondere ad una data struttura sociale una data struttura linguistica, sembra lasci trasparire una visione molto semplicistica delle cose ».
La lingua, tuttavia, è profondamente legata alla comunità culturale con cui il parlante s'identifica. La lingua è il vincolo vivo con una comunità linguistica, con un gruppo con cui si condivide la medesima storia e il medesimo destino umano. Maneggiare una lingua è un modo per comprendere il mondo, per situarsi nell'universo, per identificarsi con un gruppo di appartenenza e con i suoi valori. Non ci sono due lingue capaci di esprimere esattamente la stessa percezione dell'universo materiale e spirituale, di mettere in comunione con le stesse risonanze del sentire umano. Da qui nasce la difficoltà, praticamente insormontabile, di una traduzione perfetta da una lingua ad un'altra. Ogni lingua interpreta ed esprime una propria visione della realtà, ed è in questo ch'essa è, nello stesso tempo, condizione e prodotto di una particolare cultura. Questi fatti sono stati studiati con chiarezza da antropologi famosi quali F. Boas, E. Sapir, A. Kroeber, annoverati trai più importanti linguisti moderni.
Diversità linguistiche e culturali
Diversità linguistiche e culturali
L'appartenenza a comunità linguistiche distinte permette, di fatto, di specificare la diversità delle identità culturali, perché la lingua è, per eccellenza, la rivelazione di una cultura. Noi, tuttavia, vediamo che le comunità linguistiche ricoprono aree culturali molto differenziate. Alcune lingue hanno, nel corso del tempo, acquisito una diffusione straordinariamente estesa: pensiamo al ruolo del greco e del latino e, poi, quello del francese. Oggi l'inglese ha acquisito un carattere internazionale, ed anche lo spagnolo ha un ruolo analogo, benché più circoscritto.
La condizione linguistica e culturale di chi parla l'inglese o lo spagnolo comporta vantaggi che non ha chi parla una lingua di diffusione limitata, come, per esempio, l'ungherese, il finnico, lo svedese. La comunità internazionale riconosce questo fatto e giustamente guarda alle possibilità di un ascolto universale, quale lo meriterebbero, le grandi opere scritte nelle lingue dette minori. D'altra parte, l'appartenere ad una famiglia linguistica con vocazione internazionale non elimina affatto i particolarismi che si manifestano, per esempio, nei diversi popoli d'espressione anglofona, spagnola o araba.
Accade spesso che la comunità linguistica corrisponda praticamente alla nazione, la cui cultura riveste una propria espressione linguistica. Ma in un grande numero di paesi esiste una situazione di multilinguismo; ci sono paesi che sono ufficialmente bilingui o trilingui. Accade anche che decine o centinaia di lingue o dialetti coesistano su di uno stesso territorio nazionale. Gli Stati optano allora per una o più lingue ufficiali. L'Indonesia ha scelto con successo l'uso dell'indonesiano. L'India ha dichiarato l'indostano e l'inglese lingue ufficiali, senza ottenere ancora che il loro impiego sia generalizzato in tutto il paese. Israele ha riadattato l'uso dell'ebraico. L'Irlanda ha optato per il gaelico e l'inglese, che rimane, in pratica, il mezzo comune di espressione.
Questi esempi dimostrano come l'identificazione tra la lingua e la comunità culturale debba essere interpretata con molte sfumature. La pluralità linguistica costituisce la realtà di un gran numero di paesi ed è il contesto culturale in cui si opera l'acculturazione delle giovani generazioni. Oggi si assiste anche ad una rivalutazione dei dialetti tradizionali, come modi di espressione culturale, concepiti come patrimonio da preservare e da sviluppare per il bene stesso delle nazioni. Questo movimento, che è sensibile in Asia e in Africa, conosce un netto recupero nei paesi occidentali.
A questa molteplicità linguistica si aggiunge l'interpenetrazione delle culture favorita dagli scambi, dai viaggi e soprattutto dai mezzi di comunicazione sociale che tendono ad imporre certe lingue, soprattutto l'inglese diventato oggi onnipresente. Notiamo, di passaggio, che la straordinaria diffusione della cultura giapponese nella tecnica, nelle arti, nelle finanze e nei media non è accompagnato da un'eguale diffusione internazionale della lingua giapponese. Un fenomeno analogo si osserva in Corea.
Pur riconoscendo la validità dell'analsi del linguaggio nel contesto di comunità linguistiche ben definite, occorre oggi, più che mai, tenere conto dell'immenso mescolarsi delle culture e della rapidità delle comunicazioni che tendono a porre fine all'isolamento tradizionale dei gruppi linguistici. Questi fatti forniscono una ragione in più per evitare una interpretazione rigida delle interdipendenze tra le lingue e le diverse culture, come certi teorici hanno preteso di fare. Vi è il rischio del relativismo culturale denunciato dagli antropologi: le lingue e le culture verrebbero allora a non essere più comprese fuori del loro quadro socio‑storico, concepito in maniera troppo rigida. L'attuale linguistica ha, al contrario, aperto l'analisi a dimensioni molto più universali.
Le caratteristiche comuni delle lingue
Le caratteristiche comuni delle lingue
Ciò che emerge chiaramente dagli studi moderni sulla lingua, sono i tratti comuni che caratterizzano tutte le lingue. In un certo senso, le lingue hanno delle caratteristiche comuni che sono più importanti delle loro differenze. Esistono categorie linguistiche universali, che fanno parte del patrimonio culturale di tutta l'umanità.
Ferdinand de Saussure, nel suo Cours de linguistique générale, tenuto, all'inizio, a Ginevra nel 1916, ha dato un impulso privilegiato allo studio della lingua concepita come fenomeno specifico. Egli ha introdotto una netta distinzione tra la lingua, come sistema da studiare in sé, e la parola, come espressione dell'individuo. Già con Locke, la ricerca tentava di esplicitare una forma di grammatica universale del linguaggio. Questa intuizione si è notevolmente arricchita con gli studi di C. S. Peirce, di R. Jakobson, di F. de Saussure, di E. Benveniste e di N. Chomsky. Possiamo qui tracciare le linee principali di queste ricerche, che più direttamente interessano la dimensione culturale.
Queste osservazioni moderne partono da una teoria generale dei segni, la semiologia: essendo l'uomo un essere atto a simboleggiare, egli si esprime con gesti, segni, riti e costumi. La lingua s'iscrive in questa capacità espressiva universale. In un certo senso, la lingua è subordinata alla semiotica, la scienza dei segni, non essendo che uno dei modi della generale facoltà espressiva dell'uomo, ma, paradossalmente, è la lingua che fornisce il modello strutturale che è alla base di tutti gli altri modi della comunicazione umana.
In un senso molto reale, noi parliamo con molte altre espressioni oltre che con le parole. Ma, in fondo, c'è sempre soggiacente un riferimento al linguaggio. Parlare è saper maneggiare il gioco complesso che porta dal significante al significato, secondo la spiegazione di F. de Saussure.
Benveniste fa notare che questa capacità di simboleggiare e di esprimersi con segni, o mediazioni tra l'uomo e il mondo, rivela uno dei dati più profondi della condizione umana. « Il linguaggio rappresenta la forma più alta di una facoltà che è inerente alla condizione umana, la facoltà di simboleggiare. Intendiamo, con questo, in senso largo, la facoltà di rappresentare il reale mediante un « segno » e di comprendere il « segno » come rappresentante del reale, dunque di stabilire un rapporto di « significazione » tra una cosa ed altre cose »: 1966, 1974.
Strutture universali del linguaggio
Strutture universali del linguaggio
Abbiamo già detto che le ricerche moderne si concentrano sempre più sulle regolarità comuni a tutte le lingue. Per Noam Chomsky, la cui influenza si rivela oggi notevole, la questione primaria ed essenziale da esplorare è il fatto che lo spirito umano genera strutture linguistiche e che questa capacità si sviluppa in noi spontaneamente e naturalmente.
Queste strutture del linguaggio umano offrono delle regolarità universali e, in generale, si ritrovano in tutte le lingue. Ciò che il bambino apprende, non è tanto una lingua già fatta, ma piuttosto la capacità di generare un numero indefinito di espressioni, di frasi, di proposizioni. Il locutore è colui che possiede questa conoscenza ovvia, tacita, inconscia, dell'arte di esprimersi. Praticamente Chomsky intende dire che « le lingue non esistono » e che è piuttosto lo spirito umano che acquista la struttura mentale che lo rende capace di una creazione espressiva sempre rinnovata. Di qui la teoria di Chomsky, che porta la denominazione di « grammatica generativa e trasformazionale ».
La linguistica non si ferma alle diverse lingue costituite, ma piuttosto alle leggi che governano lo spirito del locutore.
Sul piano metodologico, può sembrare giustificato studiare la linguistica in sé, come sistema di coerenza interna, indipendentemente da ogni riferimento sociale, ma non bisogna esagerare questa autonomia d'analisi, perché verrebbero trascurati precisamente i rapporti necessari ed inconfutabili che esistono tra la lingua e la cultura. F. de Saussure (1916), che fu uno dei primi a presentare la linguistica come scienza autonoma, dalla quale chiedeva che fosse tolto tutto ciò che è estraneo al sistema linguistico stesso, non ha mai trascurato di attirare l'attenzione su ciò ch'egli chiama « la linguistica esterna », nella quale si rivelano le dimensioni culturali della lingua: « Queste sono, prima di tutto, i punti attraverso cui la linguistica ha rapporto con l'etnologia, tutte le relazioni che possono esistere tra la storia di una lingua e quella di una razza o di una civiltà... tra la lingua e la storia politica... i rapporti della lingua con le istituzioni di ogni genere... infine tutto ciò che si riferisce all'estensione geografica delle lingue e al frazionamento dialettale ».
La lingua e la cultura come sistemi di comunicazione
La lingua e la cultura come sistemi di comunicazione
Le scienze umane invitano ad esaminare ancora più a fondo la simbiosi che si stabilisce tra la cultura e la lingua. L'ipotesi di lavoro che tende ad imporsi è il fatto che le realtà sociali, proprio come la lingua, sono fatti di comunicazione e modi di scambio. Si tratta di una teoria della comunicazione che considera tutti i fatti della società come forme di espressione e di comunicazione: l'arte, la politica, il diritto, la famiglia, la religione. In questo senso, la cultura è strutturata come una forma di espressione, come una lingua. Talcott Parsons considera così il sistema monetario come un codice espressivo e un modo di comunicazione per lo scambio. Lévi‑Strauss (1958), da parte sua, ha analizzato i miti come unità espressive, analoghe alle unità più semplici della lingua che sono le frasi. Egli ha anche avanzato l'ipotesi, ardita, temeraria secondo alcuni, che tutta la vita sociale si spieghi con una teoria generale della comunicazione, che si applica soprattutto ai tre ordini di scambi fondamentali che si riferiscono alla famiglia, ai beni economici e ai messaggi linguistici: « Già da ora, questo tentativo è possibile a tre livelli: poiché le regole della parentela e del matrimonio servono ad assicurare la comunicazione delle donne tra i gruppi, come le regole economiche servono ad assicurare la comunicazione dei beni e dei servizi, e le regole linguistiche la comunicazione dei messaggi ». Questa teoria è stata fortemente criticata per il senso ambiguo che attribuisce al concetto di comunicazione; e sembra offensivo considerare le donne oggetto di scambio come i beni economici o come gli elementi di un messaggio linguistico. Lévi‑Strauss risponde che la vita sociale deve essere intesa come un insieme strutturato che include tutti i modi di espressione, anche i più segreti. Secondo questa spiegazione, linguaggio e società avrebbero inconsciamente dei fondamenti comuni, a livello della comunicazione, poiché la cultura sarebbe una realtà codificata come la lingua. Lo psicanalista Jacques Lacan afferma perfino che « l'inconscio è strutturato come un linguaggio ».
Al limite, queste spiegazioni condurrebbero a concludere che il soggetto che parla è il puro prodotto del linguaggio piuttosto che il suo creatore. Paul Ricoeur ha chiaramente dimostrato come queste teorie strutturaliste, malgrado il merito ch'esse hanno di situare il linguaggio in un sistema semiologico che abbraccia tutta la cultura, sfociano spesso in un'« esaltazione del soggettivismo ». Sono teorie che costituiscono un prolungamento dell'influenza di Nietzsche che si è sempre violentemente opposto ad ogni forma di grammatica, come ad ogni tipo di teologia; esse risentono anche dell'influenza di Spinoza che voleva una contemplazione della verità facendo astrazione da ogni soggetto. Ricoeur (1985) chiaramente l'osserva: « Lo strutturalismo oscilla tra due pretese: una pretesa «spinoziana» di esprimere l'ordine del vero senza soggetto e una pretesa «nietzscheana» di esprimere il gioco del significante e del significato, al di là della morte di Dio, dell'uomo, del soggetto, delle norme, della grammatica e della sintassi ».
La linguistica, per quanto siano suggestive e stimolanti le sue ipotesi, è lungi dall'aver chiarito tutti gli enigmi del linguaggio. Il libero dibattito tra specialisti ha posto in valore i vantaggi dei diversi tipi di approccio alla linguistica, ma ha anche fatto emergere tutti gli scogli e i rischi di teorie troppo unilaterali riguardo alla lingua. Abbiamo notato tre di questi scogli: quello del relativismo culturale, che finisce per vincolare in modo esagerato la lingua ed una sola cultura; quello del soggettivismo linguistico, che riduce il parlante ad un essere creato dalla lingua, piuttosto che suo inventore; quello del formalismo linguistico che pone talmente l'accento sulle strutture universali del linguaggio da trascurare le lingue in sé.
Queste critiche, che gli specialisti della linguistica si rivolgono tra di loro, non infirmano, tuttavia, le loro profonde intuizioni e l'immenso apporto delle loro ricerche. Altri studiosi fortunatamente giungono a prolungarne l'esplorazione con metodologie diverse, particolarmente con l'ermeneutica congiunta all'analisi culturale.
Ermeneutica e analisi culturale
Ermeneutica e analisi culturale
L'ermeneutica, o l'interpretazione del discorso umano, è una ricerca volta ad illuminare in maniera complementare e indispensabile il significato contemporaneamente personale e culturale del linguaggio. Paul Ricoeur è uno degli studiosi che ha cercato di conciliare i punti di vista della linguistica con quelli della filosofia.
L'analisi antropologica ed ermeneutica ci fa accedere al piano superiore in cui il discorso umano si rivela come lo strumento per eccellenza della creazione culturale. Se la lingua è un sistema di segni, è perché essa è al servizio di un essere alla ricerca del significato e del senso ultimo delle cose. Se la lingua è collegata a culture particolari, essa è anche e soprattutto una mediazione verso la cultura umana in senso proprio. I più validi rappresentanti della linguistica e dell'ermeneutica sono concordi su di un punto essenziale: studiare la lingua nelle sue strutture e nelle sue regole interne è anche esplorare l'attributo proprio del locutore dotato di una capacità espressiva aperta all'universale. La facoltà del dire s'illumina da ciò che è detto e dalle opere che crea la lingua umana.
I capolavori dell'umanità, frutto del genio di scrittori, di poeti, di pensatori, si affermano come una prova irrefutabile che la lingua dell'uomo è il segno per eccellenza della sua capacità creatrice, della sua libera espressione e della sua superiore dignità. Omero, Virgilio, Dante, Cervantes, Shakespeare, Goethe, Pascal non sono riconducibili a nessuna delle teorie esplicative della lingua. Da Aristotele e sant'Agostino, che si sono interrogati sui misteri della lingua umana, molte risposte sono state date, ma gli interrogativi più difficili rimangono tali e probabilmente per sempre. Questi interrogativi riguardano ciò che vi è di più profondo nello spirito e nella cultura dell'uomo.
Lo spirito umano è fatto per dire e ammirare la verità. In Wahrheit und Methode H.G. Gadamer ha dimostrato come le due grandi modalità dell'interpretazione sono la comprensione della propria storia e la comprensione estetica. Attraverso questa regola superiore dell'intelligenza umana, ogni altra comprensione s'illumina e ogni cultura trova la sua propria ricchezza. Riconoscere ciò che è vero nella nostra tradizione culturale e saper scoprire la bellezza del reale costituiscono le operazioni più alte del discorso degli uomini. E la tradizione interpretativa ereditata dal mondo greco‑romano e dalla cultura biblica. Altre tradizioni, nate dalla sapienza e dalla spiritualità orientali, lo confermano: il linguaggio umano si è arricchito storicamente di un valore sacro ed estetico. Gli interrogativi millenari sulla natura e il significato del linguaggio continueranno a stimolare gli spiriti migliori, perché è sempre appassionante sollevare il velo sulle molle segrete dello spirito umano alle prese con la totalità del reale.
Questi problemi sono del più alto interesse, soprattutto per quelli che cercano di studiare i complessi processi dell'educazione e dell'acculturazione, essendo una delle questioni centrali il comprendere come un sistema di pensiero o un corpo dottrinale possano essere trasmessi intatti ed arricchiti, di generazione in generazione, a culture e a lingue in costante cambiamento. E la grande sfida umanistica e spirituale posta dall'evoluzione delle culture e delle lingue umane. Tutte le religioni e tutte le culture tradizionali lo riconoscono. La Bibbia, che ha posto il Verbo all'origine di ogni realtà, offre una risposta che fonda la nuova cultura. Il cristianesimo ha perfino identificato la Parola al Figlio di Dio e l'uomo è l'interlocutore privilegiato che gli risponde nella verità e nell'amore.
Vedi
Cultura
Comunicazione sociale
Educazione
Acculturazione
Bibl.: E. Benveniste 1966, 1985. N. Chomsky 1968, 1980, 1989, 1991. F. de Saussure 1916, 1979, 1993. H. G. Gadamer 1960, 1976, 1983. M. Houis 1968. C. Lévi‑Strauss 1958, 1962, 1964‑1969. Ch. S. Peirce 1980, 1987. J. Piaget et al. 1986. P. Ricoeur 1985. J. A. Rondal 1983, 1989. B. Weinstein et al. 1990. P. Achard 1993. J. Bernicot 1992. B. de Boyson‑Bardies 1996. C. Hagège 1996. A. Jacob 1990. M. Malherbe 1983. G. Pammier 1993.