Per uno strano paradosso, il fatto religioso è una delle questioni che più hanno attratto l'attenzione degli antropologi pur non essendoci tra loro accordo sul modo di definire la religione. Come la cultura, la religione è più facile da intuire che da definire logicamente, perché queste due nozioni sono tra le più comprensive, in quanto toccano praticamente tutti gli aspetti della vita dell'uomo.
Nel quadro del presente discorso concentreremo la nostra attenzione sul contributo che le scienze umane possono fornire allo studio dei rapporti tra religione e cultura.
Le difficili definizioni
Le difficili definizioni
Una delle prime constatazioni è l'apparente impossibilità di formulare, in una proposizione che possa essere comunemente accettata, ciò che è la religione. Sono numerosi i tentativi fatti da una sessantina di anni: centinaia di definizioni sono state raccolte, analizzate, messe a paragone per cercare una convergenza sulla definizione del fatto religioso. Si possono, per esempio, citare gli studi riportati in Journal of Religion (1927), in Journal of Social Psychology (1958), la rivista Concilium (1980); vedi: C. Skalicky, 1982. Tutti i ricercatori sentono, tuttavia, il bisogno di circoscrivere, in una formula almeno provvisoria, ciò che costituisce l'oggetto dei loro studi socio‑religiosi. Per quanto ci riguarda, in partenza noi optiamo per la descrizione che prende ispirazione dalla scuola storico‑culturale rappresentata particolarmente da Wilhem Schmidt, Henri Pinard de la Boullaye e i numerosi ricercatori ch'essi hanno ispirato. Questi distinguono gli aspetti oggettivi della religione da quelli soggettivi. Oggettivamente, la religione corrisponde ad un insieme di credenze e di comportamenti che si riferiscono ad una realtà concepita come oggettiva, suprema, trascendente, nei confronti della quale l'uomo individuale e collettivo si sente legato e dipendente. Soggettivamente, la religione è l'atteggiamento delle persone riguardo a realtà percepite come trascendenti.
Vedremo in seguito come questa accezione della religione può aiutarci a comprendere la varietà dei fatti religiosi, quali si manifestano nelle società tradizionali, ma anche nelle nostre società dette secolarizzate.
I falsi problemi eliminati
I falsi problemi eliminati
L'attuale antropologia si è liberata dai falsi problemi su cui si erano accaniti molti autori del secolo XIX e dell'inizio di questo secolo: per esempio, la pretesa di « spiegare » l'origine della religione partendo da un « ateismo positivo »: John Lubbock. Altro falso problema, l'ipotesi di un evoluzionismo naturale delle religioni per stadi progressivi dall'animismo primitivo: Edward B. Taylor. Del resto, all'epoca dell'Illuminismo, la tesi del « declino delle religioni » era stata accettata come il postulato che una sociologia della modernizzazione ha sostenuto a lungo, tesi seguita da un marxismo smentito dai fatti, anche nei paesi ufficialmente atei. La superstizione, come presunta causa di ogni religione, è una spiegazione oggi smentita, anche da autori che si dicono agnostici. Nessuno cita più il celebre detto di Voltaire, che rivela un ateismo un tempo di moda: « I nostri preti non sono ciò che un vano popolo pensa, la nostra credulità costituisce tutta la loro scienza ».
Per una sorta di conversione metodologica, l'osservatore moderno ha abbandonato la pretesa di « spiegare » la religione partendo da un punto di vista areligioso e cerca piuttosto oggi di comprendere l'uomo religioso dall'interno, ponendosi, per così dire, al posto del credente o delle comunità credenti: C. Geertz. Il riduttivismo, come spiegazione atea delle origini della religione, o come predizione del suo fatale declino, è riconosciuto come un errore di metodo dal punto di vista rigorosamente empirico. Un fatto soprattutto è in contraddizione col riduttivismo: la religione, non soltanto non si riduce, né declina con la modernità, ma risorge sotto forma straordinariamente tenace nel cuore stesso delle società più sviluppate. La cultura e le religioni hanno sorte collegata.
E, questo, un vincolo indissolubile, come sostengono molti tra gli autori recenti? Interroghiamo gli antropologi che ci aiuteranno a comprendere le interrelazioni che si creano tra le credenze, il fatto sociale e la cultura.
Relazioni tra religione, cultura, società
Relazioni tra religione, cultura, società
Un fatto s'impone subito all'inizio all'osservazione: la religione si concentra prima di tutto sui punti cruciali della vita sociale: la nascita, la socializzazione del bambino, la pubertà, il matrimonio, la parentela, la morte. Nelle società tradizionali, la religione è il centro di tutto, è l'essenziale, il « vero reale » - the real real, secondo Geertz -, « la vita presa sul serio » (Durkheim), o ancora « la vita sociale in quei punti in cui è più intensamente sentita »: R. Benedict. Queste affermazioni sottolineano il vincolo nascosto con il trascendente, che fonda ogni società permanente. Senza ritenere i presupposti di un funzionalismo rigido, oggi non accettato, può essere fonte di chiarezza l'interrogarsi sul ruolo che l'antropologia moderna attribuisce alla religione nel dinamismo sociale.
Sembra ci sia largo consenso tra gli autori più conosciuti sul modo di analizzare le relazioni tra la religione e la cultura: M. Griaule, C. Kluckhohn, A. Radcliffe‑Brown, Cl. Lévi‑Strauss. Ricordiamo le grandi linee di queste analisi. Le credenze religiose apportano ad un gruppo umano, sempre alle prese con le angosce, le forze centrifughe e il tragico della vita, « un sentimento di coerenza e di realtà ». I bisogni d'integrazione, di convalida, di legittimazione, essenziali ad ogni società, sono soddisfatti con « sanzioni sopra‑naturali », prescrizioni sacre, riti che celebrano e restaurano l'unità, dando risposta ai « perché dell'anima » riguardo al senso della vita e della morte. Le conoscenze empiriche non potrebbero, da sole, assicurare l'integrazione di una comunità umana. Per illuminare i significati ultimi, gli esseri umani ricorrono a espressioni simboliche apportatrici di credenze e di pratiche ch'essi situano in una dimensione sopra‑biologica ed immateriale.
Queste forme di religiosità sono pure illusioni e proiezioni di bisogni umani fondamentali, come hanno sostenuto Sigmund Freud e Geza Roheim? Gli antropologi non accettano queste interpretazioni riduttive, anche se riconoscono i processi inconsci che orientano l'anima collettiva di una comunità credente. I concetti di simbolo e di proiezione - non ristretti al livello psicanalitico - sono oggi ampiamente usati per studiare i rapporti tra religione e cultura, particolarmente per comprendere i processi di socializzazione del bambino, il ruolo delle cosmogonie come guida delle condotte sociali, sotto la luce dei poteri supremi che reggono l'universo.
E nel quadro di una cultura tutta pervasa da religiosità che il bambino acquista il suo « equipaggiamento mentale » e la sua « personalità di base »: A. Kardiner e M. Mead.
Le ricerche dimostrano che la religione influenza tutti i settori della vita sociale, la parentela, la politica, il lavoro, l'arte, gli scambi e l'economia. Gli studi di R. Firth (1951) hanno particolarmente sottolineato questa influenza comprensiva della religione sull'insieme delle attività sociali. Una domanda si pone a questo punto: quale valore universale rivestono queste teorie esplicative? Valgono soltanto per le società arcaiche, primitive o tradizionali? Il dibattito è aperto e le considerazioni che seguono permettono di intravvederne la portata.
Religione e cultura moderna
Religione e cultura moderna
La tendenza degli antropologi e dei sociologi più recenti è quella di attenuare la dicotomia troppo rigida che i loro predecessori avevano posto tra le società dette primitive e le società moderne. Senza negare i contrasti tra questi due tipi di strutture sociali, gli autori sono attenti ora a percepire le continuità, le analogie, le similitudini culturali che si stabiliscono tra di esse. L'antropologia, che oggi s'interroga sull'universalità della cultura umana, afferma molto più chiaramente che in passato che la religione costituisce una categoria universale del comportamento umano. Questa problematica può gettare una luce nuova sul dibattito sempre attuale della secolarizzazione, come potremo vedere in seguito.
Max Weber, uno dei più prestigiosi fondatori della sociologia religiosa, ha apportato un contributo solido alla tesi secondo cui tutta la società, sia antica che moderna, si fonda, in definitiva, su di un'idea religiosa almeno implicita. Rigettando i postulati dei filosofi dell'età illuministica e quelli di Karl Marx, secondo cui la maturità sociale e culturale si attuerebbe con l'evacuazione delle superstizioni, delle credenze e dei miti, Max Weber ha dimostrato, al termine di una monumentale inchiesta riguardo alle religioni dell'Oriente e dell'Occidente, che il pensiero religioso ha sempre condizionato, ieri come oggi, le forme di vita nella società. Descrivendo più specificamente il ruolo culturale del cristianesimo, egli ha sostenuto che è il fattore religioso ad aver svolto un ruolo decisivo nel processo di modernizzazione della società industriale. Contrariamente ad altre forme religiose che hanno condotto i credenti ad una fuga dal mondo, ad un misticismo passivo e fatalista, il protestantesimo, secondo Max Weber, ha proposto un'ascetica, un'etica del lavoro, dello scambio, della responsabilità ed ha suscitato una cultura della trasformazione e della creazione attraverso lo spirito d'impresa. Il principale elemento esplicativo, egli dice, è la razionalizzazione del mondo e della società, ispirata dall'etica protestante, che ha dato i suoi propri valori alla società industriale moderna ed ha aperto così la strada ad un nuovo tipo di sfruttamento della natura, della produzione, della circolazione e dello scambio dei prodotti del lavoro umano. Una « economia‑mondo » prendeva forma, stimolata dai « pellegrini » diventati coloni in America e dallo spirito sopra‑nazionale del cristianesimo. Notiamo che Weber non stabilisce un vincolo di causalità tra il protestantesimo e il capitalismo, ma piuttosto pone in rilievo la « congruenza », cioè la compatibilità tra fede cristiana, razionalità del mondo e slancio industriale.
La tesi socio‑religiosa di Max Weber ha influenzato tutti coloro che hanno studiato il processo di ammodernamento e d'industrializzazione del mondo occidentale. Ma le furono apportati critiche e completamenti importanti. Werner Sombart, per esempio, ha osservato che artefici della modernità erano stati anche gli Ebrei sefarradi e i re cattolici, che seppero, ciascuno nel proprio modo, dare un impulso storico allo sviluppo del commercio e della finanza, come all'esplorazione e al progresso del Nuovo Mondo.
Non bisogna neppure minimizzare l'apporto significativo dei grandi Ordini religiosi, quali i Benedettini, che furono all'origine di un cospicuo sviluppo dell'agricoltura e della vita sociale in Europa. Si deve a loro l'introduzione di tecniche artigianali ed agricole e di nuove macchine, quali il mulino ad acqua, « per salvare il tempo della preghiera ».
Leo Moulin (1964) ha posto in evidenza il contributo dei monaci e dei religiosi nella fondazione della vita democratica attraverso la pratica della vita capitolare; le loro Costituzioni e i loro regimi di direzione sono una prefigurazione delle forme moderne di governo. San Benedetto non è soltanto patrono dell'Europa per il suo irradiamento spirituale: egli è stato con i suoi monaci un focolaio di umanesimo, di progresso sociale, economico e culturale.
Leo Moulin dice dell'organizzazione dei Domenicani ch'essa è « una cattedrale del diritto costituzionale ». Talcott Parsons, pur essendo un fedele seguace di Weber, ha riconosciuto, in seguito, che l'etica protestante non aveva avuto il ruolo esclusivo che il suo maestro sembrava riconoscergli. Egli faceva notare, per esempio, che sant'Ignazio di Loyola e i Gesuiti furono anch'essi gli iniziatori di un nuovo senso dell'impresa, i formatori di una nuova generazione di esploratori, di missionari, di educatori che hanno affrettato il processo di ammodernamento del mondo contemporaneo.
Verso quale secolarizzazione delle culture?
Verso quale secolarizzazione delle culture?
Molti dei sociologi seguaci delle teorie di Marx e Freud avevano predetto l'affievolimento e l'estinzione progressiva delle religioni nel mondo. La Rivoluzione stava finalmente per liberare l'Uomo nuovo, e la religione, cioè il « sospiro della creatura oppressa », non avrebbe avuto più ragione d'esistere.
L'uomo adulto, d'altra parte, avrebbe finito per rigettare le proprie illusioni inconsce e le proprie proiezioni infantili di un Dio paterno: vedi P. Gay, 1991. Queste teorie hanno ispirato sistemi politici e pedagogici che avrebbero dovuto, secondo le previsioni, affrettare l'avvento di una società e di una cultura senza Dio, obbiettivo che è stato perseguito ufficialmente in molti paesi socialisti.
Un'altra ipotesi prevedeva che la società industriale, urbana e pluralistica, stava per evacuare le religioni tradizionali per effetto della razionalità e dei valori materialisti. Mircea Eliade (1965) ha saputo descrivere con penetrazione la cultura dell'uomo che aveva la pretesa di realizzarsi diventando areligioso: « L'uomo si costruisce da se stesso e non giunge a costruirsi completamente che nella misura in cui si desacralizza e desacralizza il mondo. Il sacro è l'ostacolo per eccellenza di fronte alla sua libertà, egli non diventerà se stesso che nel momento in cui sarà radicalmente demistificato. Egli non sarà veramente libero che nel momento in cui avrà ucciso l'ultimo dio ». Eliade mostra come la desacralizzazione conduca alla disumanizzazione.
La secolarizzazione è, certamente, un fatto massiccio del secolo ventesimo, ma la natura del fenomeno, nota Eliade, è lungi dall'essere così chiara come avevano affermato alcuni osservatori ancora venticinque anni fa. Una nuova lettura delle realtà socio‑religiose giustifica ormai un interrogativo fondamentale: le psicologie e le culture possono essere totalmente secolarizzate? Il fatto religioso è ora riscoperto sotto forme inattese o male percepite fino ad oggi. Questo ci conduce a chiederci se la religione non sia effettivamente una categoria antropologica universale e permanente.
Se è innegabile che le religioni istituzionali dell'Occidente sono state colpite dalla secolarizzazione della cultura e ch'esse hanno largamente perduto l'influenza che esercitavano sull'insieme della vita sociale - famiglia, lavoro, economia, politica, arte, filosofia, letteratura - non bisogna trascurare l'impatto culturale che continua chiaramente ad affermarsi sulle comunità islamiche, buddiste e induiste. Il cristianesimo da parte sua ha trovato nuove vie alla propria azione nel mondo pluralistico e i risultati sono visibili nelle antiche cristianità ed anche, in forma notevole, nei paesi del terzo mondo e nell'America Latina. Pur riconoscendo che le religioni istituzionali subiscono una forma di regresso culturale, non per questo, tuttavia, la religione scompare dalla società moderna, come rivela l'affermarsi dei nuovi movimenti religiosi e dei culti e il riemergere del sacro, anche nelle società di industria avanzata.
E importante notare che, al di là della privatizzazione reale del sentimento religioso, si può osservare una nuova forma sociale della religione nella società industriale, che Thomas Luckmann (1967) chiama « religione invisibile ». Con il suo collega Peter Berger egli offre una spiegazione del fenomeno che merita attenzione. Partendo da una teoria della conoscenza applicata all'individuo in seno alla cultura, Berger e Luckmann (1966) dimostrano quanto sia eminente il ruolo del sacro nella formazione dell'« io », che richiede un dispositivo cognitivo e normativo atto a legittimare un universo socialmente costruito. Il sacro ha sempre espresso la speranza dell'uomo in un ordine culturale che abbracci tutta la realtà e dia un significato ultimo alla vita.
L'uomo non può vivere senza questa proiezione di un ordine trascendente, e questa espressione simbolica offre allo spirito « strutture plausibili » e corrisponde alle « protoforme universali della religione ». La religione appare dunque come il fenomeno antropologico per eccellenza; è essa che interiorizza, nella persona, l'universo culturalmente costruito e contribuisce a strutturare la sua coscienza. In questa prospettiva, la secolarizzazione totale equivarrebbe semplicemente alla disumanizzazione. « La struttura sociale è secolarizzata, l'individuo no »: T. Luckmann.
Essere umano è essere religioso
Essere umano è essere religioso
Il concetto di religione qui adottato è quello che si rapporta alla concezione dei teologi e alla definizione da noi data all'inizio. Essa ha il merito di sottolineare il ruolo soggettivo e culturale delle credenze e di porre in rilievo il carattere universale del fatto religioso.
« L'uomo dovrebbe cessare di esistere, perché cessi la religione »: T. Luckmann. La religione è un elemento strutturante della coscienza umana, una categoria universale indispensabile all'antropologia, perché appare come un fenomeno caratteristico di tutte le società e di tutte le culture passate, presenti e future. Carl Jung l'ha riconosciuto, in posizione di contrasto con le teorie antireligiose di Freud. Questa è la conclusione a cui è giunto, alla fine della sua vita, Mircea Eliade, uno dei più grandi storici delle religioni: « Io non credo che sia possibile l'esistenza di un uomo completamente areligioso. Essere - o piuttosto divenire - un uomo significa essere religioso ». Per Eliade, ogni cultura attribuisce più o meno coscientemente un carattere sacramentale agli atti più importanti di chi vive in quanto essere umano: « Ai livelli più arcaici della cultura, vivere in quanto essere umano è, in sè, un atto religioso perché l'alimentazione, la vita sessuale e il lavoro hanno un valore sacramentale. In altri termini, essere - o piuttosto divenire - un uomo significa essere religioso »: La nostalgie des Origines, Paris, 1971.
Questa ottica offre una chiave di lettura per comprendere molte forme di religiosità caratteristiche del nostro tempo, quali le religioni secolarizzate, cariche di dimensioni carismatiche e profetiche, che suscitano convinzioni e dimensioni assolute. Anche i comunisti ricordano che Marx, discendente da stirpe di rabbini e formato dal cristianesimo di Hegel, aveva immaginato la « società liberata » dell'avvenire sul modello inconscio di un messianesimo guideo‑cristiano. I comunisti cinesi, che prendono ora le distanze da Mao e da Lenin, sembrano voler riabilitare il ruolo integrante della religione nella cultura, come dichiaró Zhao Fusan all'Accademia delle Scienze Sociali di Pechino nel 1985: « La religione è parte integrante della civiltà spirituale di ogni nazione... L'idea che la religione sia soltanto l'oppio dello spirito è insufficiente e antiscientifica ». Jean Guéhenno, uno scrittore notoriamente agnostico, onestamente confessava la religione umanistica che nell'intimo lo guidava: « C'è un universale umano. Nel più profondo dell'io, c'è questa fede della specie, se mi è lecito dirlo. La trovo da sempre in me, come un fatto ben più commovente di qualunque favola teologica o metafisica. La sola parola « uomo » risveglia in me un certo brivido. Io credo come vivo e voglio credere »: Jean Guéhenno, Ce que je crois, Paris, Grasset, 1964.
A questo punto, il credente, membro di una religione istituzionale, s'interrogherà sulla legittimità di definire il fatto religioso sul solo versante soggettivo ed avrà ragione di osservare che il sacro non si può concepire senza rapporto con un Assoluto oggettivo, con una dottrina, un codice di condotta, con dei riti prescritti. Ma, dal punto di vista psicosociale ed antropologico, sembra difficile negare ogni carattere sacro alle credenze ultime - a questo « ultimate concern » di cui parlava Paul Tillich - e nel quale ogni essere umano ricerca un significato ultimo alla propria esistenza. Questo ci riconduce, in definitiva, al problema iniziale che è quello di definire la religione in maniera sufficientemente larga per non trascurare nessuna delle dimensioni del religioso in seno alle culture vive.
Questo dibattito, la cui conclusione è impossibile dal solo punto di vista fenomenologico, pone le Chiese cristiane di fronte ad un interrogativo fondamentale: l'uomo moderno, detto secolarizzato, deve essere abbordato come un essere areligioso o, invece, come un credente, la cui religione, più o meno cosciente, entra in concorrenza con la fede cristiana? I chiarimenti, forniti dalle scienze umane sul rapporto tra religione e cultura, richiedono considerazioni dottrinali molto più specifiche da approfondire soprattutto nell'analisi del processo d'inculturazione del Vangelo, illustrato da tutta la storia dei rapporti tra cultura e cristianesimo: Christopher Dawson, 1948, 1958. Questo argomento richiede una particolare trattazione.
Vedi
Inculturazione
Evangelizzazione
Educazione
Catechesi
Arte
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