Coscienza collettiva - DIZIONARIO DELLA CULTURA

Vai ai contenuti

Menu principale:

Coscienza collettiva

C
La coscienza collettiva è un'espressione spesso usata per descrivere la mentalità di un gruppo, il suo modo di pensare e di giudicare. Alcuni la impiegano come sinonimo approssimativo di cultura, volendo insistere sugli aspetti percettivi, cognitivi ed etici di questa. Possiamo, d'altra parte, ricordare che nel secolo scorso l'espressione coscienza collettiva aveva acquisito un senso oggi inaccettabile: per coscienza collettiva s'intendeva una specie di super‑spirito o di anima comune reggente la vita di un gruppo. Nessun sociologo contemporaneo sosterrà più, come Auguste Comte, che la vita sociale è diretta da un'anima collettiva, assimilata all'umanità, cioè « l'essere collettivo che regola direttamente i nostri destini seguendo la propria fatalità modificata dalla propria Provvidenza »: Système de politique positive, 1854. Da parte sua, Durkheim e i suoi discepoli si facevano anch'essi un'idea molto realistica delle rappresentazioni collettive. Tutto ciò che, secondo loro, si rifaceva alla coscienza individuale era ritenuto profano, e tutto ciò che proveniva dalla coscienza collettiva portava il segno del sacro e del religioso. E in questo clima di positivismo sociale che bisogna situare i famosi studi di S. Sighele su « la folla criminale » 1892, lavori ripresi da Gustave Le Bon nella sua Psychologie des foules: 1895. Non soltanto si postulava l'esistenza di una coscienza propria delle folle, ma si descrivevano le norme morali che di solito seguono le collettività nei loro comportamenti. Le Bon, per esempio, ci dice che le folle sono talvolta feroci, ma che hanno una loro « sensibilità »; esse sono « sanguinarie », ma tuttavia conservano certi scrupoli e una certa moralità elementare. Per il sociologo d'oggi non si può propriamente parlare di coscienza collettiva nel senso di una mentalità totalizzante, assorbente la coscienza delle persone. Gli studi sul tema hanno dimostrato con quale prudenza la psico‑sociologia debba abbordare i comportamenti detti collettivi o le « condotte istituzionali ». Oggi si ritiene che non sia più il caso di ricorrere al « monismo » morale per comprendere i comportamenti comuni. Inversamente, si è ripetutamente sottolineato l'errore che consiste nello studiare l'individuo fuori del suo contesto sociale proprio. In altre parole, si sono rigettate le teorie che confondono l'individuale col sociale e si è, d'altra parte, compresa meglio la simbiosi che unisce la persona al proprio gruppo di appartenenza. Ne è risultata una concezione dell'ordine sociale eminentemente personalizzata, in cui ogni singolo individuo, anche solidale di un gruppo, merita rispetto ed è soggetto unico di diritto. Questo approccio psico‑sociale riguardo ai comportamenti umani aiuta a comprendere le responsabilità proprie della persona e del gruppo, dove si articola sempre, in forma più o meno cosciente, la congiunzione tra l'individuale e il collettivo. Una luce nuova è così proiettata su problemi complessi quali, per esempio, la colpevolezza collettiva dei belligeranti, i pregiudizi collettivi, le oppressioni economiche, le strutture d'ingiustizia. I concetti di peccato collettivo, di strutture di peccato sono da analizzare da questo punto di vista. Certo, i gruppi possono essere ritenuti moralmente responsabili di colpe collettive ed essere passibili di giudizio, soprattutto se erano stati stipulati obblighi contrattuali, o se erano state chiaramente ratificate decisioni politiche criminali. Ma, a rigore, bisogna dire che nel fondo delle colpevolezze sociali ci sono sempre delle responsabilità che si possono attribuire a persone per colpe precise, decisioni morali, complicità, omissioni o tolleranza abusiva. Tutte queste colpe si sommano, si combinano per un effetto di trascinamento, debilitante la coscienza delle persone e generante, alla fine, una situazione d'oppressione, d'ingiustizia, di peccato. Questa analisi non nega la realtà di una coscienza collettiva, cioè di un fenomeno di natura sociale che richiede d'essere affrontato come tale. Quando i modelli di comportamento si diffondono in un ambiente, prende forma una coscienza collettiva che s'impone a molti. Questa coscienza collettiva agisce potentemente sulle coscienze individuali e le porta sia verso l'elevazione morale e la difesa di cause generose, sia verso l'apatia morale, gli egoismi e le pratiche disumanizzanti. Queste osservazioni confermano ciò che si è detto sulla cultura, in quanto realtà individuale e collettiva, di cui bisogna necessariamente tenere conto in ogni tentativo di educazione, di promozione, di evangelizzazione, di sviluppo culturale. Bisogna educare e convertire contemporaneamente le coscienze personali e la coscienza collettiva. Con questo intendiamo dire che occorre agire a livello dei valori e dei modelli di comportamento che richiedono d'essere elevati, purificati, riformati, evangelizzati. E in questo senso che oggi si parla di evangelizzazione delle culture.

Vedi
Cultura
Ideologia
Evangelizzazione della cultura
Educazione
Ethos
Identità culturale

Bibl.: C.R. Badcock 1980. P.L. Berger et al. 1973. R. Binion 1982. M.T. La Vecchia 1995. J. Mugnyl 1995. W.J. Ong 1977. G. Rosolato 1993. M. Siguam 1987.
HOME | A | B | C | D | E | F | G | I | K | L | M | N | O | P | R | S | T | U | V | ESCI | Mappa generale del sito
Torna ai contenuti | Torna al menu