Da molti millenni, le città e i centri urbani hanno avuto un ruolo di primo piano nella cultura delle nazioni. Atene e le altre città greche, Roma, Gerusalemme, Alessandria costituiscono gli esempi più noti. Lewis Mumford diceva in The Culture of Cities (1938): « La città, come la si scopre nella storia, rappresenta il punto massimo della concentrazione del potere e della cultura per una collettività ». Ed aggiungeva che la città stessa è una delle più belle realizzazioni della cultura: « Insieme al linguaggio, essa è la più grande opera d'arte dell'uomo ». Ma, se la città è sorgente di civiltà, essa è anche un fattore di mutamento delle culture. Dalla rivoluzione industriale soprattutto, l'urbanizzazione ha profondamente trasformato i modi di vivere della famiglia umana e questi cambiamenti andranno ancora accentrandosi fino alla fine del secolo, mentre le città del terzo mondo si prevede che si accresceranno di più di un miliardo di abitanti. Come comprendere un fenomeno così complesso?
Aspetti demografici e culturali
Aspetti demografici e culturali
L'urbanizzazione riveste una moltitudine di aspetti e ciò esclude una semplice ed univoca descrizione del fenomeno che richiede considerazioni statistiche, demografiche, amministrative, politiche, economiche e culturali. La sociologia urbana, che ha avuto il suo primo sviluppo nell'università di Chicago negli anni '20, e, in seguito, in Francia e in Inghilterra, ha insistito sugli aspetti demografici e socioculturali dell'urbanizzazione. E quest'ultimo punto di vista che costituirà particolare oggetto della nostra attenzione, dopo una breve considerazione riguardo ai criteri demografici dell'urbanizzazione. Tra i problemi demografici che presenta l'urbanizzazione, ricordiamo i seguenti: la ripartizione delle popolazioni urbane e rurali nel paese; l'ampiezza delle città e la dimensione delle popolazioni urbane; la composizione delle popolazioni urbane secondo le categorie di età, di occupazione, di gruppi etnici, ecc; l'aumento del numero delle città nel mondo; la classificazione e la tipologia delle città secondo criteri numerici, geografici, di livello di vita, di grado di concentrazione; lo studio delle reti interurbane, delle conurbanizzazioni, cioè delle città contigue che formano un vasto spazio urbanizzato.
Il paragone tra il grado di urbanizzazione delle diverse regioni del mondo è reso difficile per l'assenza di criteri numerici uniformi che definiscano ciò che è una località chiamata urbana. La cifra minima, secondo i paesi, varia tra i duemila e i settemilacinquecento residenti. Le Nazioni Unite considerano come urbane tutte le località che contano almeno duemila abitanti.
Tra le unità demografiche comunemente considerate negli studi, segnaliamo: l'agglomerazione urbana formata dalla città e dal suo circondario sub‑urbano; l'area metropolitana, che conta almeno centomila abitanti; le città che superano cinque milioni di abitanti, ecc. L'Università di California ha perfezionato questo tipo di ricerche nel quadro dell'International Population and Urban Research. La fonte indispensabile di ogni ricerca internazionale in questo campo, è il United Nations Demographic Yearbook che si pubblica dal 1948.
Se ci si sofferma ora agli aspetti socioculturali dell'urbanizzazione, si osserva una differenza fondamentale nello stile della vita urbana sia nel periodo che precede sia in quello che segue la rivoluzione industriale. E utile, quindi, paragonare, nelle loro grandi linee, i tratti culturali della città preindustriale con le caratteristiche culturali della città moderna.
La cultura della città preindustriale
La cultura della città preindustriale
La città preindustriale, quale è stata studiata, per esempio, da G. Sjoberg (1960) e da Y. Barel (1975), rivela, per prima cosa, che l'urbanizzazione antica si produceva a ritmo molto lento. Le principali città d'Europa si sono formate nel corso di secoli o anche di millenni. La città si distingueva nettamente dal suo circondario rurale ed era, in generale, circoscritta da mura. I cittadini di quei tempi erano inseriti in strutture rigide e stabili: i quartieri dei nobili, dei ricchi, dei lavoratori, e dei poveri erano nettamente distinti. La mobilità sociale era praticamente inesistente. Nella città preindustriale, la famiglia aveva un ruolo preponderante; appartenere ad una famiglia era una condizione d'inserzione nella città e nei mestieri. Le strutture economiche erano anch'esse stabili e non si modificavano che molto lentamente. Nella città preindustriale, la religione occupava una posizione centrale, culturalmente e spazialmente: le chiese, i monasteri, i conventi, i templi erano situati nel cuore dello spazio urbano. Storici come Fustel de Coulanges sostengono che la città sia nata intorno al culto degli dei e il fatto storico di Atene, di Roma, di Gerusalemme sembra corroborare la tesi che collega la vita urbana tradizionale con il culto religioso.
In questo ambiente urbano, la socializzazione delle generazioni giovani, anche in assenza di scuole, si esercitava attraverso la famiglia, le istituzioni religiose e, più tardi, attraverso le corporazioni di mestieri e le associazioni. Le feste e le celebrazioni, civili e religiose, costituivano i momenti forti nei quali si affermava l'identità dei cittadini con la propria comunità urbana. Le relazioni tra persone rimanevano a misura d'uomo. Anche se non tutte le persone si conoscevano, non esisteva una massa anonima. I rapporti sociali erano di tipo comunitario e si esercitavano attraverso la famiglia, il vicinato, la gilda, la parrocchia. Si produceva una simbiosi tra tutti i livelli di appartenenza e di identificazione sociale: famiglia, parrocchia, quartiere, classe sociale, mestiere, regione. La città stessa era collegata da un commercio costante con il suo circondario rurale.
La comunicazione era soprattutto di tipo orale tra individui e tra gruppi. I dialoghi e le conversazioni dirette occupavano uno spazio privilegiato nelle relazioni sociali ed è nella città che soprattutto si sono sviluppate l'arte raffinata della conversazione, le buone maniere, i costumi educati. Questo saper‑vivere si è sviluppato ed è diventato ciò che più tardi è stato chiamato civiltà o l'arte di vivere nella città. Le maggiori città della storia si vantano di essere state centri di civilizzazione. Fichte non ha esitato a dire della Germania che il tempo dello sviluppo delle sue città, tra il dodicesimo e quindicesimo secolo, è stato il periodo del suo maggiore splendore.
L'arte della vita nella città era dunque considerata come uno stato di equilibrio, un ideale di umanità. Questo modo ideale - o idealizzato - di guardare la città non ci impedisce di vedere le miserie e le carenze che spesso vi si potevano osservare. Bisogna, tuttavia, ammettere che le collettività preindustriali avevano progressivamente inventato un'arte sociale che era il frutto di una esperienza secolare la quale rappresentava ciò che oggi chiameremmo un modello urbano a misura umana.
Urbanizzazione e cultura moderna
Urbanizzazione e cultura moderna
La cultura della città moderna, in paragone, offre un forte contrasto che permette di misurare i cambiamenti culturali provocati dalla rivoluzione industriale. I sociologi sono d'accordo nel distinguere due fasi principali dell'urbanizzazione del mondo moderno.
La prima fase corrisponde alla rivoluzione industriale del secolo XIX che ha provocato soprattutto una concentrazione rapida delle popolazioni. In molti casi questa urbanizzazione è stata disordinata ed è sembrata più un ammasso umano che un'urbanizzazione strutturalmente sviluppata.
Una seconda fase d'urbanizzazione inizia a configurarsi dopo la prima guerra mondiale e si accentua fortemente dopo il 1950. Questo processo d'urbanizzazione, sotto la spinta della motorizzazione e dei trasporti rapidi, fa sopravanzare lo spazio urbano verso zone sempre più vaste chiamate suburbane. E il fenomeno dell'estraurbanesimo e dall'inurbamento, cioè della penetrazione dei modi di vita della città nell'insieme del territorio nazionale. L. Wirth (1938) ha efficacemente descritto questo tipo di urbanizzazione come contagio di un modo di vita: « Urbanization as a way of life ».
La diffusione moderna della cultura urbana impedisce di tracciare limiti precisi tra la città e l'ambiente rurale. Il fenomeno urbano assomiglia ad una nebulosa in crescita. Questo processo di urbanizzazione continua il suo corso nei paesi industrializzati e progressivamente tende a guadagnare le nuove nazioni. Per la prima volta, nella storia, i cittadini diventano maggioritari in molti paesi ed esistono oggi nazioni interamente urbanizzate, cioè che contano più di due‑terzi della propria popolazione nelle città.
La cultura urbana comporta innegabili aspetti positivi: concentrazione delle competenze, dei servizi, delle istituzioni sanitarie, dell'insegnamento, della cultura e dei media. Lo psicologo William James diceva di Londra ch'essa è uno dei più alti centri di concentrazione della cultura, una specie di compendio universale di civiltà. I vantaggi della vita urbana fanno inconsciamente parte integrante della cultura moderna ed anche nei paesi più poveri si nota un'aspirazione generale dei rurali a trasferirsi in città. E infatti la città, soprattutto la grande città, ad apparire come l'incarnazione dei sogni di libertà, di progresso, di arricchimento. Le osservazioni correnti dimostrano, tuttavia, la parte d'illusione che riserva l'esodo rurale verso le città, poiché queste, nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, accolgono masse che difficilmente riescono ad integrarsi nella vita sociale ed economica urbana. Gli immigrati interni vengono ad aggiungersi al numero di coloro che si chiamano i « cittadini abusivi » e non è esagerato, in questo caso, parlare di falsa urbanizzazione, ciò che ricorda gli ammassi inumani avvenuti nei primi tempi della rivoluzione industriale.
Anche nelle città razionalmente costituite ed efficacemente gestite, si possono osservare forti condizionamenti culturali. La grande città industriale rende difficile la sopravvivenza delle comunità primarie tradizionali, con tutte le conseguenze che ne risultano per la stabilità e la sicurezza dei cittadini. La stabilità di un tempo, geografica, culturale e psicologica, è scossa dall'incessante mobilità e dai rapidi cambiamenti che caratterizzano la cultura urbana. Il cittadino può essere paragonato ad un nomade, ad un emigrante, che deve imparare a vivere, a lavorare, a riposarsi, a ricrearsi in spazi spesso molto diversificati. Questi mutamenti si accompagnano ad un sentimento di esodo, di nomadismo, di sradicamento. Nella grande città moderna, l'accelerazione del ritmo di vita, l'onda costante dei rumori, delle immagini, delle informazioni, obbligano il cittadino ad una vigilanza sensoriale permanente. Le relazioni sociali tra individui possono ancora rimanere intime, ma in un settore sempre più ridotto. Nel lavoro, nelle relazioni commerciali, nei trasporti, l'individuo deve coltivare una specie di anonimato, di silenzio che lo protegge contro la molteplicità dei contatti con una massa di estranei. Da ciò quel tipo di « comportamento disincantato » del cittadino, secondo alcuni sociologi. Questa situazione provoca un sentimento di solitudine, di spersonalizzazione dei rapporti, un isolamento dell'individuo in una massa anonima e spesso anche un senso di alienazione.
La città come sfida etica
La città come sfida etica
La città moderna rappresenta un nuovo fenomeno morale, nel senso che l'uomo vi si trova in una nuova condizione di vita. La coabitazione di tanti individui e gruppi, con idee e ideologie contrastanti, favorisce un pluralismo di giudizi, di opinioni, di credenze. L'urbanizzazione moderna è accompagnata da un pluralismo culturale molto diverso dall'unanimità culturale della città d'un tempo. La città, tuttavia, i cui vantaggi economici e culturali poggiano sulla specializzazione delle funzioni e la complementarità dei compiti, accentua nei cittadini il sentimento di un'interdipendenza di tutti e di ciascuno. Poiché i rapporti sociali si moltiplicano, attraverso l'offerta e la richiesta dei servizi, questi tendono a divenire sempre più obbiettivati e giustificati, cioè oggetto di un calcolo freddo, impersonale, simboleggiato dallo scambio monetario.
Contrariamente alle città tradizionali, la città moderna porta alla regressione delle comunità a misura umana. La famiglia, in particolare, raramente costituisce oggetto prioritario della pianificazione urbana, perché molto spesso questa obbedisce a considerazioni di ordine economico dell'habitat e dello spazio. Il ruolo della famiglia si è progressivamente ristretto, tanto più che molti dei coniugi, uomini e donne, lavorano fuori casa. E nelle città, soprattutto nelle grandi città, che le conseguenze di questa regressione delle famiglie, si fanno sentire, particolarmente nel fenomeno della crescita della delinquenza giovanile e in quello del moltiplicarsi delle malattie nervose e psicologiche. Altre forme di comunità primarie subiscono analoghe regressioni: il vicinato, la parrocchia, i gruppi artigiani.
Urbanizzazione intenzionale
Urbanizzazione intenzionale
La sociologia urbana pone in rilievo che l'urbanizzazione, anche nei paesi più industrializzati, comporta spesso ancora una larga parte di irrazionalità. Occorre fare un nuovo sforzo per ridefinire il ruolo delle comunità primarie nella città, in particolare quello della famiglia, delle relazioni tra parenti e tra amici. La difficile situazione dei lavoratori immigrati nelle città dell'Europa e dell'America del Nord ha attirato l'attenzione sull'importanza dei gruppi primari nella vita delle comunità urbane in crescita. Questo esige il favorire l'ambiente familiare come pure le relazioni etniche, linguistiche, religiose degli immigrati per facilitare l'integrazione culturale di questi nuovi cittadini nella città industriale. Gli studi sulla cultura urbana orientano dunque la riflessione dei sociologi e dei pianificatori, verso ciò che oggi si chiama un'urbanizzazione intenzionale, che permette di superare un tipo di urbanizzazione fondata troppo esclusivamente su criteri di rendimento economico e di speculazione sullo spazio urbano. La posta in gioco più importante è di saper conciliare due esigenze fondamentali: quella volta a godere della mobilità, della libertà, delle possibilità straordinarie che offre un ambiente urbano, e quella che esige sicurezza, radicamento e integrazione dei cittadini in un ambiente umanizzato.
Quale urbanizzazione per il Terzo Mondo? L'urbanizzazione dei paesi in via di sviluppo trarrà profitto dall'esperienza dei due ultimi secoli d'urbanizzazione nei paesi occidentali? Molti sono gli errori da evitare. Sarà possibile, in partenza, avere consapevolezza degli obbiettivi culturali ed umani che ogni pianificazione urbana deve fissarsi? Il pericolo è di andare verso una falsa urbanizzazione e verso collettività disumanizzanti.
Il problema riveste una gravità che non può essere minimizzata. Le statistiche delle Nazioni Unite lasciano prevedere, per la fine del secolo, un gigantesco movimento di urbanizzazione che interesserà l'insieme del globo, e soprattutto riguarderà il terzo mondo. Si prevede che, alle soglie del 2000, circa il cinquantadue per cento della popolazione mondiale vivrà in zone urbane, mentre nel 1950 la proporzione era del ventinove per cento. Il terzo mondo, da solo, conterà quarantacinque città la cui popolazione supererà i cinque milioni di abitanti e diciotto città avranno più di dieci milioni di abitanti. Nel 1950, nel mondo c'erano solo sei città che contavano cinque milioni di abitanti. Nel 2000 ce ne saranno dieci volte di più, cioè sessanta, di cui quarantacinque saranno situate nei paesi in via di sviluppo. L'Asia da sola ne conterà ventinove.
E la famiglia umana, nel suo insieme, che dovrà, nel corso degli anni futuri, affrontare un fenomeno di mutamenti culturali dalle proporzioni mai conosciute nella storia.
Vedi
Civiltà
Industrializzazione
Lavoro
Modernità
Città‑campagna
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