SINAGOGA - SINAGOGA (LA GRANDE) - SINAI - DIZIONARIO BIBLICO

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SINAGOGA - SINAGOGA (LA GRANDE) - SINAI
SINAGOGA
Essenzialmente, luogo di preghiera e d'istruzione religiosa, per i Giudei, in Palestina e altrove. Il termine (da ***, ebraico recente keneseth, aramaico kenista') = "convegno", "adunanza" (specialmente religiosa, cf. At. 13, 43; Iac. 2, 2); quindi, la "collettività", "comunità" (At. 9, 2; Ap. 2, 9), e per lo più "l'edificio", il luogo dove la comunità si aduna (***, beth kenista', Mt. 4, 23; Mc. 1, 21-23 ecc). Dai giudei-ellenisti, dai pagani, e nelle iscrizioni giudaiche riesumate nelle varie parti dell'impero romano, si indica la comunità, mentre l'edificio o il luogo del convegno è detto ***) (preghiera, luogo di preghiera, oratorio), cf. At. 16, 13.16; Giovenale, Satire III, 296; J. B. Frev, Corpus Inscr. iud., I, Roma 1936, p. LXX; 1952,. n. 1440-1444 ecc. Si è concordi nel rimettere a dopo l'esilio, e probabilmente al periodo della diaspora, III sec. a. C., l'inizio dell'organizzazione sinagogale. Il testo più antico, al riguardo, è del regno di Tolomeo Evergete (246.221 a. C.). Al tempo di N. Signore, ogni centro abitato della Palestina, anche se di scarsa importanza, e ogni comunità giudaica dovunque nell'impero, aveva almeno una s. Essa era il pronao spirituale del Tempio, per istruirsi nella Legge, per radunarsi in preghiera, e proteggersi dalla corruzione del circostante ambiente idolatrico. Raramente i fedeli lontani potevano visitare il Tempio e risentire l'efficacia spirituale di questo focolare del giudaismo; era necessario, per la vitalità di quest'ultimo, supplire a tale deficienza, per rendere continua ed estendere siffatta efficacia; e questo fu il compito della s. tra i Giudei della Palestina e della diaspora; L'edificio era sostanzialmente una sala; rettangolare - tipo basilicale - a tre navate; disposto in modo che i fedeli fossero rivolti nella direzione di Gerusalemme. Talvolta, la sala era preceduta da un atrio con in mezzo una vasca per le abluzioni; e aveva addossate ai lati delle stanze destinate a scuola dei fanciulli e ad ospizio dei pellegrini. La sala poteva esser decorata con pitture e mosaici. Il mobile principale era l'armadio o arca, dove si custodivano i rotoli dei libri sacri: quindi un pulpito, mobile o fisso, che serviva al lettore della Scrittura e poi all'oratore. Sedili di pietra erano disposti lungo le tre pareti, dei quali i «primi posti», argomento di ambizione e di gloria per i Farisei (Mt. 23, 6) occupavano la parete, guardata dagli oranti; la «cattedra di Mosè» (Mt. 23, 2) era il seggio particolarmente ornato che in alcune s. era destinato al capo della comunità. Utensili liturgici erano le trombe, le lampade e i tappeti. Varia ne è stata la decorazione; al riguardo la più famosa resta la s. di Dura-Europos, le cui tre pareti (era esclusa quella d'ingresso) recano ciascuna tre stupende zone d'affreschi per una superficie complessiva di ca. 100 mq.; con personaggi isolati (ad es. Mosè) e avvenimenti biblici (l'esodo e il passaggio del Mar Rosso; le storie di David, Salomone ed Ester; la visione di Ex. delle ossa chiamate a vita). Il capo della s. (= archisinagogo; cf. Mt. 9, 18; Lc. 13, 14; At. 13, 15 ecc.) era coadiuvato dal "ministro" (hazzan, Lc. 4, 20), incaricato di tutelare l'ordine, in specie segnalare con la tromba i sabati e le solennità ed eseguire le sentenze di flagellazione (Mt. 23, 24). La liturgia sinagogale si esprimeva nella preghiera e nell'istruzione dei fedeli. Questi dovevano intervenire nei sabati e nelle feste; liberi di farlo negli altri giorni, principalmente nel lunedì e nel giovedì, destinati al digiuno. Il servizio liturgico aveva inizio con la recita in comune della preghiera sema' (= ascolta, o Israele ecc.), formata da Deut. 6, 4-9; 11, 13- 21; Num. 15, 37-41; seguiva la supplica semone 'esre = diciotto benedizioni, così detta dal numero delle preghiere che la componevano, entrata in uso al tempo di N. Signore. Quindi si leggeva la Bibbia. I libri sacri erano divisi in modo che tanto la Legge (Torah) con le sue 154 sezioni (perasoth), bastevoli per tre anni, quando i Profeti (da Ios. ai profeti minori) con le loro suddivisioni fornissero per tutti i singoli sabati «la lettura della Legge e dei Profeti» (At. 13, 15). Alla lettura dell'originale ebraico, seguiva la traduzione (targum) in aramaico; quindi un sermone parenetico (At. 13, 15), che, per invito dell'archisinagogo poteva esser pronunziato anche da un ospite (Gesù nella sinagoga di Nazaret: Lc. 4, 15; 6, 6; di Cafarnao: Io. 6, 59 ecc.; e s. Paolo nella s. di Antiochia di Pisidia: At. 13, 14 ss.). Finita la predica, altra preghiera e infine la benedizione (Num. 6, 24 ss.), recitata da un sacerdote. Le sinagoghe diffusero tra i pagani la conoscenza del monoteismo, e servirono dappertutto alla prima predicazione degli Apostoli (At. 9, 20; 14, 1; 16, 13; 17, 1 s. ecc.), i quali potevano iniziare l'annunzio del vangelo senza ricorrere ad autorizzazioni, necessarie per una religione non ancora riconosciuta lecita. Distrutto il Tempio, il giudaismo si rifugiò integralmente nelle s., e così poté conservarsi finora (Holzmeister).

BIBL. - E. SCHURER. Geschichte de. judischen Volkes ..., I. 4a ed. Leipzig 1901. pp. 306- 400; STRACK-BILLERBECK. Kommentar zum N. T. aus Talmud und Midrasch. IV. Monaco 1928. pp. 115-152. 253-88; M. J. LAGRANGE. Le Judaisme avant J.-C., Parigi 1931, pp. 285-91; J. BONSIRVEN. Le judaisme palestinien ..., II, ivi 1935, pp. 136-41; U. HOLZMEISTER, Storia dei tempi del N. T. (trad. it.), Torino 1950, pp. 204-215; A. G. BARROIS, Manuel d'archéologie biblique, II, Parigi 1953, pp. 460-68.

SINAGOGA (LA GRANDE)
Dai commentatori giudaici del medioevo, seguiti dai moderni storici del giudaismo, fu così denominata una specie di grande istituzione di cui parla il Talmud. Erano ad essa attribuiti compiti diversi, principalmente dottrinali; tra l'altro la composizione di vari libri del Vecchio Testamento, e la formazione del Canone (v,) ebraico. Altri (A. Kuenen) ne negavano l'esistenza rigettando come fantastici gli accenni del Talmud. L'esame delle fonti talmudiche, svela che la Grande S. è un'invenzione pura e semplice dei commentatori. Il Talmud parla di «uomini della grande raccolta» o «del grande raduno» (anse keneset ha-gedolah). Il termine cioè non indica un'istituzione, ma tutta una generazione. E precisamente (cf. ad es. Midras Genesis, XXXV, 2 [90 d. C.]) sono così chiamati gli antichi esuli ritornati in Palestina. In realtà si tratta di terminologia presa dai profeti. Cf. Ez. 34, 13; 36, 24: «Vi radunerò da tutte le genti e vi ricondurrò nel vostro paese»; cf. Ier 31, 8. Ma specialmente Ez. 39, 27 s.: «Li radunerò nel loro paese»; e Ps. 147 [146] dove e adoperato lo stesso verbo kanas "radunare". I deportati che erano ritornati a Gerusalemme con Zorobabele e con Esdra ricevettero il nome di «uomini della grande raccolta», vaticinata da Isaia Geremia ed Ezechiele.
[F. S.]

BIBL. E. BICKERMAN, Viri Magnae Congregationis. in RE. 55 (1948) 397-402.

SINAI
Vasta penisola di forma triangolare, posta fra l'Asia e l'Africa, lunga 400 e larga 210 km., delimitata a nord dal Mediterraneo, a sud-ovest dal golfo di Suez, a sud-est dal golfo di 'Aqabah, denominata dal gruppo montagnoso che sorge nella sua parte meridionale (ebr. Sinai; greco ***; araho Tur Sina). Originata dagli sprofondamenti tettonici che diedero origine alla espressione del Mar Morto, al golfo di Aqahah e dal Mar Rosso, dotata di un reti colato idrografico molto complesso, tributario al Mediterraneo (Wadi el 'Arish) o al golfo di Suez: (Ba'ba'ah, Mukattab) o al golfo di el 'Aqabah (Wadi en Nasb, el Keid), con Clima temperato o caldo-arido, assai salubre, con piogge invernali, il S. presenta nel tavolato interno e calcareo, ad eccezione delle grandi oasi di Feiran e Nakhl, una steppa arida, sufficiente per Un pascolo ridotto; nel massiccio cristallino del S., fornito di ricche sorgenti perenni una vegetazione lussureggiante. Fu abitato da stirpi semitiche fin dai primordi, dedite alla pastorizia e ad una scarsa agricoltura e mai passate ad una sviluppata civiltà sedentaria. La penetrazione egiziana nel S., segnalata fin dalla III dinastia; ebbe come unico scopo il possesso e lo sfruttamento delle miniere di rame e di turchese che si trovano in varie località della penisola e specialmente nel Wadi al-Magharah ("wadi della caverna" a motivo delle ancora esistenti gallerie minerarie). In questo wadi ed in particolare nella località montagnosa detta Sarabith al Khadim "cunicoli dello schiavo" furono scoperte tracce cospicue di antichi lavori minerari, un santuario di una dea egiziana con numerose iscrizioni geroglifiche attestanti il culto della dea dalla XII dinastia in poi. Particolare interesse presentano le 25 iscrizioni "sinaitiche" (v.), ivi studiate da A. H. Gardiner nel 1917 e da W. F. Albright nel 1948 Altre numerose iscrizioni nabatee, dovute probabilmente a pellegrini nabatei recati si agli antichi santuari del S. tra il sec. I-II d. C., furono scoperte in varie località, in particolare nel Wadi Feiran. La penisola fu teatro dell'esodo ebraico (Ex. 15 ss.; Num. 33), diretto verso il S. seguendo un'antica pista carovaniera fiancheggiante il golfo di Suez, già praticata dagli Egiziani per recarsi a Sarabith el Khadim e circostanti miniere di turchese. Al monte S. sinonimo del biblico Horeh, usato sempre in Deut. (eccetto 33, 2) (cf. Ex. 3, I-II con At. 7, 30 ss.; Ex. 19, 18 con Deut. 4, 10.15; 5, 2 ecc.) avvenne la visione mosaica del roveto ardente con l'ordine divino di ritornarvi ad adorare Dio dopo l'uscita dall'Egitto (Ex. 3,2.12); l'adunanza del popolo ebraico con la grandiosa teofania e l'alleanza sinaitica (Ex. 19, 18 ss.; Deut. 4, 10.15; 5, 2; 18, 16); la consegna delle tavole della legge e la loro collocazione nell'arca ivi costruita (Deut. 9, 8 ss.; I Reg. 8, 9; 2Par. 5, 10); la promulgazione della legge (Mal. 3, 22); l'adorazione del vitello d'oro (Ps. 106, 19; Deut. 9, 8 ss.); il prolungato soggiorno per più di un anno degli Ebrei usciti dall'Egitto (Deut. 1, 2.19 ecc.). Al S. si rifugiò pure il profeta Elia, perseguitato dall'empia regina Iezabele (I Reg. 19, 8). La tradizione, salda, nonostante i vari tentativi di altre identificazioni, perché rappresentata da testi scritti (F. Giuseppe, Peregrinatio Egeriae), da monumenti locali (memorie di Mosè ed Elia nell'attuale convento di s. Caterina e sui monti circostanti), dalla trasmissione toponomastica (Gehel Miìsa "monte di Mosè") e confermata dall'identificazione dell'itinerario esodico (Num. 33), identifica l'Horeb. S. biblico coll'attuale Gebel Musa (m. 2244) e l'altipiano su cui erano accampati gli Ebrei con ar-Rahah. Un'altra tradizione locale, meno autorevole, identifica il S. con la cima meridionale (Gebel Musa) e l'Horeh con quella settentrionale (Ras Es-Safsaf, m. 1214). ]
[A. R.]

BIBL. - M. J. LAGRANGE. L'itinéraire des Israélites... in RB. 9 (1900) 63-86. 273-87. 443· 49; ID., Le S. biblique., in RB, 8 (1899) 378-92; P. VINCENT. Un nouveau S. biblique, in RB, 39 (1930) 73-83; F. M. ABEL, Géographie de la Palestine, I, Parigi 1933, pp. 391-96. Iscrizioni protosinaitiche: H. G. MAY. in Bib. Arch.. 8 (1945) 93-99; W. F. ALBRIGHT. in BASOR, 109 (1948) 5-20; ID., in BASOR. 110 (1948) 6-22; e ibid. 118 (1950) 12-14.

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