GIURAMENTO - GIUSEPPE - GIUSEPPE (SANTO) - DIZIONARIO BIBLICO

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G
GIURAMENTO - GIUSEPPE - GIUSEPPE (SANTO)
GIURAMENTO
In senso stretto il g. è l'invocazione del nome divino a testimonio della verità di un'affermazione o garanzia della realizzazione di una promessa. In senso più largo g. si dice anche una affermazione particolarmente solenne di cui si voglia mettere in risalto la verità assoluta; in questo secondo senso il g. viene attribuito dalla Bibbia anche a Dio stesso (Gen. 26, 3; Ex. 6, 8; 13, 5; 33, 1; Num. 32, 11, ecc.). Anche il g. in senso stretto ricorre spesso nella Bibbia (Gen. 21, 23; 31, 53.; Gal 1, 20; Hebr. 6, 16), e sempre nella sua genuina natura di ricorso più o meno esplicito alla garanzia della divina veracità. Il nome di 'eleh (probabilmente della stessa radice di Elohim) e Shebùah (probabilmente dalla stessa radice del numero sacro "sette"), che nel V. T. designano il g. con le circostanze che solevano accompagnarlo, quali per es. levare la mano al cielo (Gen. 14, 22; Deut. 32, 40), rivelano come il g. per gli Ebrei fosse un vero rito religioso, la cui efficacia veniva basata sulla veracità e giustizia divina. Il g. era così divenuto anche un criterio d'ortodossia: professione di fede vera giurare per il Dio dei padri (Deut. 6, 13; Is. 19, 18), atto di idolatria giurare per gli Dei stranieri (Ier. 5, 7; 12, 16; Am. 8, 4). Data la natura religiosa del g., la Legge Mosaica ne stigmatizzava severamente l'abuso (Lev. 11), 12; Num. 30, 3; Deut. 23, 21). La speculazione rabbinica tuttavia, alterandone non poco la natura creò una serie di giuramenti adattati alle diverse circostanze della vita: di dichiarazione, di falsità, di testimonio, di deposito, ecc. Una complessa casistica che ne regolava la pratica fece sì che se ne attribuisse l'efficacia alle circostanze formali, mentre la molteplicità ne divulgò tanto l'uso da creare la convinzione popolare che solo il g. obbligasse alla verità e non il parlare comune. Nell'ambiente spirituale caratterizzato da questa mentalità ben si comprende l'insegnamento di Gesù (Mt. 5, 33·38). Egli non condanna il g.; come erroneamente pensarono Wicleffiti, Valdesi, Anabattisti; basti considerare la stessa prassi degli Apostoli (Rom. 1, 9; 2Cor 1, 23; Gal. l, 29). In piena armonia con tutto il discorso del monte e con l'insegnamento Apostolico (Iac. 5, 12), Gesù inculca quale ideale del cristiano il culto totale della verità, culto quindi che deve rendere superfluo ogni g., la cui ragione di essere sta unicamente nella falsità e nella probabilità d'inganno. La perfezione che pone come ideale la verità importa anche il superamento del g.; si tratta di perfezione.
[G. D.]

BIBL. - J. PEDERSEN, Der Eid b. den Semiten, Strassburg 1914: J. BONSIRVEN, Le Judaisme Palestinien, II, Parigi 1935, pp. 239 s.

GIUSEPPE
Penultimo figlio di Giacobbe, dalla prediletta Rachele (Gen. 30, 22 s.); il più pio, il più affezionato. In due sogni, Dio gli svela la futura grandezza: i covoni dei fratelli s'inchinano al suo; il sole, la luna e undici stelle gli rendono omaggio. I fratelli se ne adirano, anche perché G. aveva riferito al padre «brutte informazioni sul loro conto». E, quando lo vedono venir loro incontro nei pressi di Sichem, dove si erano spostati da Hebron con le greggi, se ne disfanno, dopo aver financo pensato di ucciderlo, vendendolo per 20 monete (cf. Lev. 27, 5), nonostante le sue lacrime e preghiere (Gen. 42, 21), a dei mercanti che dall'Arabia portavano in Egitto sostanze aromatiche e viscose per l'imbalsamazione dei cadaveri. G. aveva ca. 16 anni. I fratelli, presa ne la tunica (lunga e con mezze maniche, portata dai ricchi, e dai nobili, dono di Giacobbe), la intrisero nel sangue di un capro svenato e la mandarono al povero padre, che pianse inconsolabile la morte presunta del suo diletto (Gen. 37). Nella capitale del Delta, sotto gli Hyksos (sec. XVIII), G. fu venduto a Potifar ufficiale superiore del Faraone, che presto gli si affeziona e gli affida l'amministrazione della casa. G. resiste alla seduzione della padrona; e calunniato da essa è gettato in carcere. Anche qui l'innocente è assistito da Dio; ottiene il favore del carceriere, che gli affida i detenuti, tra i quali capitano il coppiere e il panettiere del Faraone (Gen. 39). G. spiega a questi i loro sogni: il primo ritornerà al suo ufficio, il secondo sarà giustiziato (Gen. 40). La previsione si realizzò. Due anni dopo, il Faraone vide in sogno salir dal Nilo sette belle vacche; quindi sette smunte, e queste divorar le prime; dopo una pausa, su uno stesso gambo sette spighe colme, seguite e divorate da sette bruciate dallo scirocco. Il coppiere si ricordò di G., e questi diede al Faraone la spiegazione: Ci saranno in Egitto 7 anni di abbondanza e, subito dopo, 7 anni di carestia. Dio vi avvisa perché provvediate in tempo. Il Faraone innalza G. ca. trentenne, a suo viceré, con pieni poteri; gli dà un nome egiziano Safnat-paaneh (= largitore di vita) e, in moglie, Aseneth, figlia di un sacerdote di On, dalla quale nascono Manasse ed Efraim, eponimi delle due tribù, talvolta (Deut. 33, 13.16; Ez. 47, 13 ecc.) chiamate collettivamente G. In grandi silos, distribuiti opportunamente per le città egiziane, nei 7 anni di abbondanza G. ammucchia grandiose riserve di viveri. Durante la carestia tutti ricorrono al Faraone; ed egli li manda al suo ministro; «Andate a G.», che mette in vendita, per gli Egiziani e poi per gli stranieri, le riserve accumulate (Gen. 41). Anche Giacobbe manda in Egitto i suoi figli. G. li riconosce subito; nascondendo la propria commozione, li tratta con durezza, quasi fossero spioni, allo scopo di ottenere, senza svelarsi, notizie del vecchio padre e del diletto Beniamino, assente; e per esplorare i loro sentimenti; se sono ancora cattivi come un tempo. Li rimanda così col grano e col danaro da essi pagato che fa nascondere nei sacchi, ma trattiene Simeone; sarà liberato quando gli porteranno Beniamino, come prova che han detto il vero. Finito il grano, i fratelli inducono Giacobbe a lasciar partire con essi Beniamino e ritornarono in Egitto (Gen. 42.43-, 23). G. fa un'ultima prova; finge di fare arrestare Beniamino; nel vedere lo sbigottimento degli altri e l'offerta di Giuda di restare in carcere, pur di evitare il grande dolore al vecchio padre, G. non sa più trattenersi e in pianto si svela ai fratelli, alquanto timorosi, abbracciandoli. È stata la Provvidenza - dice loro - che mi ha mandato qui (Gen. 43, 24-45, 15). Anche per invito del Faraone, G. chiama tutti i suoi in Egitto ed ha la gioia di abbracciare il vecchio padre, che adotta Manasse ed Efraim (v.). G. fa stabilire i suoi con le greggi nella fertile regione di Gessen, lungi dalla capitale e dalle altre città egiziane, perché possano conservare i loro costumi, e la purezza della loro religione (Gen. 46-48). Nel suo profetico addio, Giacobbe ha per G. bellissime parole: «Rigoglioso pollone è Giuseppe, rigoglioso pollone presso una fonte. Albero maestoso le cui superbe fronde si alzano sopra al muro di cinta. Goda di tutte le benedizioni del cielo» (Gen. 49, 22-26,). Morto Giacobbe, G. ne fa imbalsamare il cadavere, con un grandioso corteo lo va a seppellire in Canaan, nel sepolcro di famiglia. A 110 anni, G. sente avvicinarsi la fine; e affida fratelli, figli e nipoti con intensa fiducia alla divina Provvidenza: «Dio vi aiuterà e vi farà risalire alla terra promessa ad Abramo e al nostro padre; allora porterete via di qua le mie ossa» (Gen. 50). Il colore egiziano della narrazione è pronunziato ed esattissimo, sia nei termini adoperati, che nel quadro storico-sociale, e nei particolari. È una vivida pittura degli uomini, dei costumi e degli usi degli Egiziani in tutti i campi della vita (A. S. Yahuda). I Padri son concordi nel vedere in G. una figura di Gesù N. S. perseguitato, venduto, umiliato e risorto per la salvezza del suo popolo. La Chiesa ripete, con felice adattazione, l'invito del Faraone: «Andate a G.», il s. capo della s. Famiglia.
[F. S.]

BIBL. - V. ERMONI, in DB, III, coll. 1655-69: A. MALLON, Les Hébreux en Egypte, Roma 1921; A. VACCARI, La S. Bibbia, I, Firenze 1943, pp. 142-78; H. SIMON - J. PRADO, Vetus Test., I, 6a ed., Torino 1949, pp. 175-83. 190 ss. 195 s.

GIUSEPPE (SANTO)
Sposo di Maria Vergine e padre putativo (Lc. 3, 21) di Gesù, da Pio IX (8 dic. 1870) proclamato «patrono della Chiesa universale». Il nome (ebr. Iasef, apocope di Iehasef, dalla radice iasaf = accrescere) significa "Iahweh accresca". Le fonti per la vita di s. G. sono quasi esclusivamente i brani evangelici (Mt. e Lc.) della infanzia di Gesù; gli apocrifi sono soltanto leggendari. G. era della casa di David: l'Angelo lo chiama infatti «G., figlio di David» (Mt 1, 20; cf. Lc. 2, 4; 3, 23). Il padre si chiamava Giacomo (Iacob) secondo s. Matteo (1, 16), Beli secondo s. Luca (3, 23): Beli però era o padre legale, o padre adottivo (v. Genealogia). Egesippo (Hist. eccl. di Eusebio 3, 11) ricorda anche un suo fratello di nome Clopa o Oeofa. Forse era oriundo di Nazaret (Lc. 1, 26 s.): esercitava la professione di artigiano: *** (Mt. 13, 55; cf. Mc. 6, 3). La Volgata traduce faber, che più ordinariamente significa fabbro ferraio: il termine greco invece allude piuttosto al falegname o carpentiere, come intendono anche le versioni siriaca, copta, etiopica ed una antichissima tradizione rappresentata da B. Giustino e da molti apocrifi. L'ultima opinione sembra più probabile, senza negare però che, all'occorrenza, egli facesse anche lavori in ferro ecc. Il fatto saliente della vita di G. è il suo matrimonio con Maria, avvenuto certamente in età giovanile o nella prima età virile, contrariamente a quanto hanno sognato gli apocrifi ed anche qualche scrittore ecclesiastico. Il Vangelo chiama a più riprese G. sposo ***) di Maria e Maria sposa (***) di G. (Mt. 1, 19.20.24; Lc. l, 27; 2, 5): vero matrimonio dunque quello di G., anche se verginale come risulta dal voto di castità della Madonna (Lc. 1, 34) e dal dogma della sua perpetua verginità. Non molto dopo il matrimonio si accorse dei segni di maternità della sposa (Mt. 1, 18 s.) e pensò di «rimandarla segretamente»: infatti «essendo giusto» (ibid.) e non avendo il minimo sospetto sulla integrità della sposa, davanti all'incomprensibile voleva celare il mistero ed ecclissarsi personalmente. Un angelo gli annunzia il concepimento verginale di Maria (ibid. 1, 20) ed egli «prese (***) presso di sé la Bua sposa» (ibid. 1, 24. Non è certo se, quando tutto questo accadde, Maria e G. erano solo fidanzati (come sembrano pensare con i Padri Greci i più degli esegeti moderni) o già sposati e perciò coabitassero insieme (come pensano invece i Latini e non pochi esegeti odierni). In ogni modo si ricordi che il fidanzamento presso gli Ebrei creava già il vero vincolo matrimoniale. Nell'imminenza della nascita di Gesù, G. si reca a Betlem per iscriversi nelle liste del censimento ordinato da Ottaviano Augusto (Lc. 2, 1-7). Fu presente alla divina natività nella grotta (ibid.) 2, 7) ed all'adorazione dei pastori (ibid. 2, 16). All'ottavo giorno impose al neonato il nome rivelato dall'Angelo (Lc. 2, 21.25). Nella Presentazione di Gesù al tempio, G., in quanto capo della s. Famiglia, portò l'offerta rituale dei poveri per il riscatto del primogenito (Lc. 2, 22 ss.). Fu presente all'incontro del santo vecchio Simeone col Fanciullo e ne ricevette anche la benedizione (ibid. 2, 33 ss.). Dopo la Presentazione ritornò a Betlem, dove, alcuni mesi più tardi, i Magi troveranno la s. Famiglia (Mt. 2, 1-12). Nella notte stessa della partenza dei Magi un Angelo gli appare ancora e gli dice di fuggire in Egitto per salvare la vita del Fanciullo dalle insidie di Erode (ibid. 2, 13 ss.): alla morte poi del tiranno l'Angelo gli riappare e lo esorta a ritornare in patria (ibid. 2, 19-21). Pensava di stabilirsi a Betlem, ma, saputo che Archelao regnava nella Giudea al posto del padre, ebbe timore di andarvi: un Angelo gli appare di nuovo e lo ammonisce di fissare la sua dimora a Nazaret (ibid. 2, 22 s.). Ivi egli visse nel silenzio con Maria e con Gesù (Lc. 2, 40), provvedendo a tutte le necessità domestiche. Ritroviamo ancora s. G. nell'occasione del pellegrinaggio pasquale di Gesù a 12 anni (Lc. 2, 41 ss.); e con Maria soffrì per lo smarrimento di Gesù: «... Ecco che tuo padre ed io dolenti ti cercavamo» (ibid. 2, 48). Dopo di che la s. Famiglia ritornò a Nazaret e di Gesù si dice che obbediva a Maria e a G. (ibid. 2, 51) e cresceva sotto i loro occhi «in sapienza, in statura ed in grazia» (ibid. 2, 52). A questo punto s. G. scompare dal Vangelo. La sua morte deve essere avvenuta prima dell'inizio della vita pubblica di Gesù. Infatti mentre la gente ricorda sua Madre e i suoi cugini (Mt. 13, 55; Mc. 6, 3), non ricorda mai G., e parlando di Gesù lo chiama semplicemente «il figlio di Maria» (Mc. 6, 3). Di s. G., il Vangelo dice soltanto che era "giusto" (Mt. 2, 19), perfetto cioè nei suoi rapporti con Dio e col prossimo. La missione affidata gli da Dio è indice della sua mirabile santità.
[S. C.]

BIBL. - U. HOLZMEISTER, De S. J. quaestiones biblicae, Roma 1945.

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