PASTORALI (LETTERE) - PASTORE - PATER NOSTER - DIZIONARIO BIBLICO

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PASTORALI (LETTERE) - PASTORE - PATER NOSTER
PASTORALI (LETTERE)
Sono I-II Tim. e Tit. (v.); così denominate perché in esse s. Paolo impartisce istruzioni pratiche intorno al governo della chiesa ai suoi due giovani sostituti, da lui posti rispettivamente a dirigere la chiesa di Efeso e quella di Creta. La stessa critica interna, attualmente, stabilisce la loro autenticità.
[N. C.]

BIBL. - C. SPICQ, Les Epitres pastorales, Parigi 1947; P. DE AMBROGGI, Le epistole pastorali di s. Paolo a Timoteo e a Tito, Torino 1953.

PASTORE
(Ebr. ro'eh=gr. ***). - Denota persona elevata in dignità col compito specifico di governare una moltitudine e dirigerla a determinati fini. Anche nel mondo extrabiblico è assai comune tale accezione in senso metaforico. Omero (II. I, 263, ecc.) chiama re e condottieri «pastori di popoli»; così pure Senofonte paragona Ciro ad un valente pastore (Cir. I, 1, 2-3). Nel V. T., Dio è il vero P. del popolo d'Israele, non solo nel suo insieme (Neh. 9, 21; Is. 40, 11), ma anche riguardo ad ogni singolo israelita (Gen. 48, 16; Ps. 23, l). Mosè, i Giudici, i Re e i Profeti sono ministri e coadiutori di Iahweh, che per loro mezzo guida il suo popolo alla terra promessa e lo nutre di giustizia, di verità e di pace. L'espressione massima del concetto e dell'ufficio di p. si ha in Ez. 34, 2-3l. Nel N. T., Dio per mezzo del Figlio suo attua quanto aveva promesso in Ez. 34, 15: «Io stesso pascerò le mie pecore»; il Messia-Pastore, "Princeps Pastorum" (I Pt. 5, 4) proclama un nuovo Codice pastorale per i suoi collaboratori (Io. 10, 1-18.26-29), e pone se stesso a loro modello. La soave figura del Buon P. che riporta sulle spalle la pecorella smarrita (Lc. 15, 4 ss.), sempre pronto a dare la vita per il gregge, domina tutto il N. T. e influisce a preferenza nella letteratura e nell'arte della chiesa primitiva.
[N. C.]

BIBL. - F. SPADAFORA, Ezechiele, 2a ed., Torino 1951, pp. 254-61: N. CAVATASSI, in VD, 29 (1951) 215-27. 275-85.

PATER NOSTER
(Mt. 6, 9-13; Lc. 11, 2-4): la preghiera insegnata da Gesù Cristo ai suoi discepoli. Non soltanto si differenziano parzialmente le recensioni di Mt. e Lc., ma anche sembrano differenti le circostanze storiche nelle quali Cristo la insegna: Mt. la mette nel discorso montano, Lc. più tardi e fuori di questo discorso. Sembra più probabile che Mt., secondo un modo suo di ordinare i fatti e i discorsi di Cristo, l'abbia trasportata al discorso montano, tanto più che in questo si parlava già dell'orazione (6, 5-8). È tradizionale distinguere 7 petizioni secondo il testo di Mt., che è quello entrato nella liturgia già dai primi tempi (Cf. Didachè 8, 2 con una dossologia aggiunta non evangelica, ma ammessa anche in alcuni codici del Vangelo); benché la sesta e la settima potrebbero ridursi ad una sola. Lc. però ne omette la terza e la settima, secondo il testo critico, poiché in alcuni codici sono facili i salti da un evangelista all'altro. Lc. ci ha conservato meglio la circostanza storica (dopo l'episodio di Betania) e premette la domanda fatta dai discepoli (11, 1) per avere un insegnamento intorno alla preghiera, come lo aveva dato Giovanni Battista.
Le invocazioni
Le tre prime invocazioni hanno come oggetto più diretto la gloria di Dio, le quattro ultime hanno un rapporto ai bisogni dell'uomo.
Le prime tre invocazioni
Nelle tre prime, di carattere ebreo ed evangelico più spiccato, si chiede il regno di Dio (tema fondamentale della predicazione sinottica) in tre modi diversi, che vengono ad esprimere il desiderio di propagazione del regno di Dio sotto tre formo le quasi equivalenti. Riconosciamo nella triplice invocazione a Dio come Padre, Re e Padrone supremo dell'umanità, e vogliamo insieme collaborare per l'attuazione di questa triplice prerogativa. «Il tuo nome sia santificato» cioè benedetto, stimato dappertutto come santo; e sostituendo «nome» per «persona» secondo l'uso semitico, invochiamo che Dio sia conosciuto ed amato da tutti. Nella seconda invocazione «venga il tuo regno» desideriamo si dilati dappertutto la sovranità di Dio con vera unione degli uomini nella giustizia e nella pace. Nella terza, che «si adempia la tua volontà...» vogliamo negli uomini la stessa prontezza con cui nel cielo gli angeli eseguiscono i voleri divini.
Le quattro ultime invocazioni
Le quattro ultime abbondano in difficoltà esegetiche. Chiediamo nella quarta il pane *** che la Volgata in Luca ha tradotto «quotidianum» ed in Matteo «supersub-stantialem» - forse si dovrebbe tradurre meglio «necessario per sussistere» -, mentre alcuni hanno tradotto «del dì seguente» ed altri hanno sospettato nel «super-substantialem» di s. Girolamo quasi un accenno alla Eucaristia. La quinta invocazione provoca da Cristo un più ampio commento, conservatoci da Mt. (v. 14.15) dopo la formola stessa. La sesta e la settima petizione, in intimo rapporto, hanno l'espressione ambigua ***, che intesa nel genere neutro chiederebbe la liberazione da tutti i mali (Cf. Didachè 10, 5), ed in maschile, quella dal diavolo o dal maligno (Cf. Mt. 13, 19.38; I Io. 5, 18.19). L'Amen del testo latino (manca nel gr.) è un'aggiunta entrata nella Volgata dall'uso liturgico. Così intesa l'orazione domenicale è un «compendio di celeste dottrina» (s. Cipriano, De orat. dominica: PL 4, 535-562) ed una sintesi o «breviario di tutto il vangelo» Tertulliano, De orat.; PL 1, 1255); preghiera per eccellenza del cristiano, modello d'ogni altra.
[F. P.]

BIBL. - S. AGOSTINO, Serm. de monte, II. 15-1'1; V. N. DEL GIUDICE, Il P. N. commentato dai SS. Padri..., Roma 1934; J. B. FREY, Le Pater est-il iuif ou chrétien? in RR. 1915. 556-563; A. HARNACK, Die Ursprungl. Gestalt des Vaterunsers, in Sitzungber. der konigl. preuss. Alcademie der Wiss. Berlin 1904, p. 202-208; J. P. VAN KASTEREN. Was Jesus predigte. Eine Erklarung des Vaterunsers, Friburgo in Br. 1920; J. HENSLER. Das Vaterunser, text-und literarkritische Untersuchungen, in Neut. Abhandl. IV. 5, Munster 1914; H. LECLERCQ, Oration dominicale, in DAGL, XII col. 2244-2255; G. DALMANN. Die Worte Jesu. 2a ed., Leipzig 1930. p. 283 ss.

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