PARALIPOMENI (I-II) - PARASCEVE - PARUSIA - DIZIONARIO BIBLICO

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PARALIPOMENI (I-II) - PARASCEVE - PARUSIA
PARALIPOMENI (I-II)
Originariamente constava di un solo libro (cf. Baba Bathra, fol. 14a; Origene, in Eusebio, Hist. eccl. VI, 25; Girolamo, Prol. Galeat.) denominato in ebraico "dibhre hajjamim" (s. Girolamo, Liber Verborum Dierum) nel senso di "annali" (cf. Esth. 2, 23; 6, 1; Neh. 12, 23), nei LXX e nelle versioni latine invece *** "Paralipomena" in quanto presenta elementi omessi in Sam e Reg.; attualmente, di preferenza "Cronache" (cf. Prologo Galeato di S. Girolamo). La divisione in due libri è già presente nei codici A e B ed è adottata da tutte le edizioni. Contiene le genealogie (I, 1-9) di quelle tribù che ebbero relazioni molto strette con David e il Tempio; la storia di David, particolarmente la sua attenzione nel ristabilire e fomentare il culto; i casi particolari di quei re che furono molto solleciti riguardo al culto e al Tempio (Salomone, Asa, Iosafat, Ezechia, Iosia: cf. I Par. 10; 11, 36, 21); l'epilogo ci dà l'inizio del decreto di Ciro per la riedificazione del Tempio (2Par. 36, 22-23). Dall'esame interno risulta che la sua composizione bisogna porla, con molta probabilità, agli anni 300-250. Nel I Par. 29, 7 si parla della moneta d'oro ('àdarkonim) introdotta da Dario (521-486). Quindi doveva almeno essere incominciato il governo di quel re. Dove si parla del regno persiano (2Par. 36, 20) bisogna intenderlo come di un regno già tramontato a cui succede un altro, quello greco. Se poi si amo mette che i libri di Esdra e di Neemia ano che originariamente appartenevano ai Par., bisogna pure aggiungere; secondo la testimonianza di Flavio Giuseppe (Antiq. XI, 8.7), che il sommo sacerdote Iaddua fu contemporaneo di Alessandro il Grande. È certo che il libro è anteriore all'Eccli. (cf. 47, 11; I Par. 16, 4; 23, 30-32; 25, 1-7). L'autore cita molte fonti. Il Podechard (cf. RB, n. s., 12 [1915] 236-47) ne enumera ventitré. Altri invece hanno pensato che si tratti solo di due fonti, una contenente la storia dei re di Giuda e di Israele e l'altra la storia degli altri profeti da Samuele a Isaia, citate ora in un modo ora in un altro. Altri restringono le fonti a una sola che abbracciava nello stesso tempo la storia dei profeti e dei re. Oltre a queste fonti esplicitamente citate l'autore si serve anche di altre senza nominarle (Gen.-Ios.). Ma non sappiamo se attinge direttamente o attraverso riproduzioni. Lo stesso si dica dei libri Sam e Reg. (cf. H. Van Den Bussche, Le texte de la pròphétie de Nathan sur la dynastie davjdique, in EthL, 24 [1948] 354-394). Oggi si riconosce, finalmente, anche dai critici il valore storico dei fatti narrati in I-II Par. (cf. Bea, art. cit.). È vero che spesso il cronista tratta molti avvenimenti in un modo diverso dagli altri autori. Ciò però dipende dal fatto che egli intende sottolineare che cosa di religioso sia essenziale e perseverante. Quindi mentre non svisa gli avvenimenti, li considera tuttavia sotto l'aspetto religioso: che cioè la storia teocratica d'Israele cominciò non alle falde del Sinai ma con il patto di Abramo; che nel regno d'Israele il posto più eccellente l'ha non il sommo sacerdote, ma il re che siede sul trono del regno di Iahweh (I Par. 28, 5); che tra tutti i re David spicca sovranamente e, siccome gli altri successori non seguirono i suoi esempi, eccetto pochi, né potettero fondare il governo teocratico, non resta altro che attendere la venuta del David ideale, il Messia (cf. A. Noordtzy, art. cit.).
[B. N. W.]

BIBL. - J. GOETTSBERGER, Die Bucher der Chronik oder Paralipomenon, Bonn 1939; A. BEA, Neuere Arbeiten zum Problem der Chronikbucher, in Biblica, 22 (1941) 46-58; A. NOORDTZY, Les intentions du Chroniste, in RB, 49 (1940) 161-68; W. RUDOLPH, Chronikbucher (Handb. z. A. T., 21), Tubingen 1955; cf. Rivista Biblica, 4 (1956) 185-191.

PARASCEVE
Giorno di preparazione al sabato (dal gr. *** "preparazione", trascritto dalla Volgata senza essere tradotto). Secondo Ex. 16, 5 in esso bisognava preparare quanto occorreva per il sabato, raccogliendo doppia razione di manna (16, 22). Eguale significato nei Vangeli. Giuseppe d'Arimatea richiede a Pilato il corpo di Cristo Crocifisso a p. ossia prosabato (***) giorno che precede il sabato (Mc. 15, 42; cf. Iudt. 8, 6; F. Giuseppe, Ant. XVI, 6, 2). Lc. 23, 54 dice «era il giorno di p. ed il sabato s'iniziava») (per gli Ebrei il tramonto era l'inizio del nuovo giorno). Mt. 27, 62 «nel giorno dopo la P. (al sabato) si radunarono i capi dei sacerdoti ed i Farisei da Pilato». In Io. 19, 14 «era la p. della Pasqua», la vigilia della solennità pasquale che in quell'anno era un sabato (19, 31; 19, 42).
[A. R.]

PARUSIA
È il greco *** (*** = presente) "presenza", come in 1Cor 16, 17; 2Cor 10, 10; Phil. 2, 12. Nell'accezione popolare ellenistica (III sec. a. C. - II sec. d. C.) è adoperato come nome d'azione "il presentarsi" (dal v. ***). "venuta" o "visita" solenne di un re o di un imperatore (cf. 2Cor 7, 6 ss.). Così Corinto e Patrasso, in ricordo della visita (= p.) di Nerone, coniarono monete con la scritta «Adventus (= p.) Augusti». E, in senso derivato (cf. ***, Phil. 1, 26) "ritorno". La stessa Incarnazione, o prima venuta del Cristo, è detta p., in 2Pt. 1, 16. Il termine pertanto riveste nel Nuovo Testamento questi vari significati; lo conferma l'uso notevole e chiarificatore delle seguenti espressioni che gli equivalgono; «giorno del Signore» (17 volte in s. Paolo; At. 2, 20; I Pt. 3, 10.12; Ap. 16, 14); "manifestazione" ***, 5 volte nelle lettere Pastorali: 2Tim. 1, 10 della prima venuta del Cristo, ecc.); "rivelazione" ***; I Cor 1, 7; 2Ts. l, 7; 1Pt. 1, 7.13; 4, 13); o semplicemente "visita" (***: Lc. 19, 44; 1Pt. 2, 12), secondo l'espressione profetica pequddah: Is. 10, 3; Os 9, 7; Num. 16, 29 = la morte che tutti attende. Misconoscendo tale palese diversità di sensi, durante il predominio dell'escatologismo, si arrivò a ritenere p. termine tecnico per la venuta o ritorno fisico di Gesù alla fine del mondo. Nella 2Ts. 2, 9 la P. dell'anticristo (v.) è la manifestazione o esplosione violenta dell'odio o della ferocia degli Zeloti. Negli altri testi (ca. una ventina) si parla della p. del Signore. Dall'esame accurato, risulta che due sole volte, essa equivale con certezza alla venuta fisica del Cristo, alla fine dei tempi, dopo la resurrezione dei corpi (1Ts. 4, 15; 1Cor 15, 23 «Tutti risorgeranno: quelli che appartengono al Cristo, alla sua p.». In Mt. 24, 3.27.37.39 p. del Signore è l'intervento punitivo di Gesù contro Gerusalemme, la manifestazione della potenza e della giustizia sovrana del Messia contro il giudaismo deicida; V. Escatologia (cf. Mt. 10, 23; 26, 64; Spadafora, Gesù e la fine di Gerusalemme, Rovigo 1950, pp. 24-28); è lo stesso senso di "giorno del Signore", spesso adoperato nei profeti, quando il Signore interviene per punire o anche per premiare (cf. Lc. 17, 22 «desidererete vedere uno solo dei giorni del Figliol dell'uomo»; Spadafora, op. cit., pp. 62-68). Eguale significato in 1Ts. 5, 23; 2Ts. 2, 1.8 (v. Tessalonicesi; e in Rivista Biblica, 1 [1953] 5-24); e, probabilmente, in 1Ts. 3, 13; 2Pt. 3, 4.12 (v. Rigenerazione). In 1Ts. 2, 19 p. del Signore esprime il giudizio particolare, alla morte di ciascuno (v. Escatologia); "il giudice è alle porte''', "continuamente viene" o "s'approssima", come s'esprime s. Giacomo (5, 7 ss., dove usa p. in tal senso). Così ancora chiaramente in I Io. 2, 28 (v. Morte). «La p., dunque, è la teofania rinnovatrice che riempie il "giorno del Signore", che è il "giorno di Iahweh" dei profeti (Is. 2, 12; 13, 6.10 ecc.) ». È l'intervento di Dio nella storia; nella vita di ciascuno. Intervento che si perpetua. «Anche l'Incarnazione era detta p. (s. Ignazio, ad Philad., 9, 2). La p. del Cristo è l'inizio e l'epilogo, l'inaugurazione e la conclusione, la fede e la beata speranza (Tit. 2, 11 ss.; Col. 3, 1-4); non si limita all'episodio terminale del dramma umano; perciò "aspettare la p." (I Cor l, 7; Phil. 3, 20; Rom. 8, 19-25) non equivale ad aspettare la fine del mondo» (A. Romeo). Ogni giorno noi preghiamo: «Venga il tuo regno», ogni giorno auspichiamo questo intervento di Dio, nella storia, nella società, per stabilire il "suo regno". E i primi cristiani, nello stesso senso, sospiravano ardentemente: ."Maranatha" (I Cor 16, 22; Ap. 22, 20; Didachè 10, 5), "vieni, o Signore Gesù", manifesta la tua gloria e la tua potenza, in favore della tua Chiesa; vieni a ricongiungerci a te, nella tua gloria (cf. Phil. 1, 23; 3, 20). La p. finale, l'ultima venuta o manifestazione, quando il Cristo suggellerà il suo trionfo anche sulla morte risuscitando i corpi, e, presentando gli eletti al Padre, chiuderà la fase terrestre del regno di Dio (I Ts. 4, 14-17; I Cor 15, 22-28.50-57), è la solenne conferma ed epilogo di tutte le sue parusie precedenti, come giudice alla morte di ciascuno, come vindice e protettore della sua Chiesa e della giustizia nel mondo, attraverso tutti i tempi.
[F. S.]

BIBL. - A. ROMEO, in Enc. Catt. It., IX, coll. 875-82: L. TONDELLI, Gesù Cristo, Torino 1936, pp. 309-13. 328-39. 350-402; A. FEUILLET, Parousie, in D.Rs, VI (1957), coll. 1331- 1419; F. SPADAFORA, L'escatologia in S. Paolo, Roma 1957.

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