SANSONE - SANTIFICAZIONE - DIZIONARIO BIBLICO

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SANSONE - SANTIFICAZIONE
SANSONE
(Ebr. Shamsòn = "solare"; cf il nome della località cananea Bèt-Semes "Casa del [dio] sole"). Uno dei "giudici" d'Israele, celebre per la forza straordinaria (c. 1070-1050 a. C.), del quale parla Iudc. 13-16. Dan, la tribù di S., era allora dominata dai Filistei, e Dio lo fece nascere miracolosamente (13, 2-24) affinché «cominciasse a liberare Israele» dal nemico (13, 5). E l'opera di S. fu solo un "indizio": egli fu essenzialmente un combattitore isolato, che i suoi si guardavano bene, per allora, dal seguire, pur ammirandolo: ai Filistei recò più danno con il suo esempio di resistenza che con i fortunati colpi di mano: Il testo ne ricorda alcuni, occasionati dal progettato matrimonio di S. con una filistea (14, 1-11). Un indovinello, proposto da S. ai Filistei durante il banchetto nuziale e sciolto per la complicità della sposa (14, 12.18), portò S. ad uccidere 30 Filistei per pagare la scommessa (14, 19). Tornato poi a prendere la moglie e trovatala data ad altri, sguinzagliò per le messi 300 sciacalli con fiaccole accese alla coda (15, 1-8). Lasciatosi consegnare ai Filistei, legato, da quei di Giuda, ruppe i legami e, con una mascella d'asino, uccise 1000 nemici; dopodiché lo dissetò una fonte sgorgata miracolosamente (15, 9-20). Oltre il troppo spinto scherzar col pericolo (16, 1 ss.), lo perdette l'amore per Dalila, forse ebrea, che, corrotta dai Filistei con denaro, carpì a S., dopo ripetute istanze (16, 4- 14), il segreto della sua forza, cioè il suo nazireato (16, 15.18): tagliatigli i capelli nel sonno, lo consegnò, ormai privo dell'aiuto divino, ai nemici, che, accecatolo, lo condannarono a girare una macina (16, 19-22). Si vendicò durante una festa filistea: avendo ottenuto da Dio, col pentimento, la sua forza antica, fece crollare l'edificio su sé e su i nemici, che perirono in numero di 3000 (16, 23-31). Come appare chiaramente dal testo, la forza di S. era un dono (forse neppure abituale), legato non alla capigliatura in se stessa, ma alla fedeltà alla sua vocazione di nazireo, di cui la capigliatura era il segno esteriore: perdé la forza quando al suo voto antepose l'amore della donna; la riacquistò con il pentimento e la preghiera.
[G. B.]

BIBL. - H. CAZELLES, in DEs, IV col. 1405 ss.; L. DESNOYERS, Histoire du peuple hébreu, 1, Parigi 1922, pp. 191-208: R. TAMISIER, Le Livre des Juges (La Ste Bible, ed. Pirot, 3), ivi 1949, pp. 246-67.

SANTIFICAZIONE
La parola santo (dal latino sancire: stabilire, fissare come sacro o consacrato a Dio) nei LXX e nel Nuovo Testamento traduce il greco *** (che negli autori profani si adoperava per designare quelle cose che incutono un terrore religioso) e l'ebraico kados, la cui etimologia sembra derivarsi da kadab (separare dall'impurità o dall'uso profano). Tanto nel latino, come nel greco ed ebraico esistono parole di significato approssimativo come sacro, ***, tahor (= puro), dalle quali si scosta per acquistare nei libri sacri un senso ben definito (cf. ThWNT I, 87-116; III, 221-248).
A) Nel Vecchio Testamento
Nel Vecchio Testamento, santo per eccellenza viene affermato (Ex. 15, 11) e proclamato (Is. 6, 3) Iddio per la sua maestà ed inaccessibilità. È lo stesso Dio che si attribuisce spesse volte a se stesso questa proprietà (Lev. 11, 44; 19, 2; 20, 6... ) ed è proprio Lui che santifica gli altri (di Mosè: Ex. 19, 10,14; di Samuele: 2Sam 16, 15; di tutto il popolo: Ex. 20, 12). Questi però in confronto colla santità di Dio sono sempre impuri (Iob 4, 17; 25, 4-6) e nessuno innanzi al Signore può presentarsi come giusto (Ps. 142, 2) né semplicemente avvicinarglisi (cf. Ex. 19 ss. dove ripetute volte esige il Signore che il popolo non salga sul monte Sinai, santificato dalla presenza di Dio, sotto pena di morte). I profeti hanno sentito (come anche prima di loro Mosè: Ex. 3, 5) vivamente la loro indegnità e impurità innanzi al Signore (Am. 2, 7; Is. 6, 3-7) e al "Santo d'Israele" (29 volte in Isaia). Dio esige dagli uomini la santità anche con terribili castighi (I Sam 6, 20; Is. 5, 16) e ripete insistentemente che il motivo e modello della santità dell'uomo deve essere la stessa santità di Dio: «Siate santi perché io sono santo» (Lev. 19, 2; 20,26... ). Più la esige ancora dal suo popolo (Ex. 19, 6 «voi sarete per me un regno di sacerdoti, gente santa») in virtù del patto stabilito per cui Israele tanto collettivamente come individualmente deve essere santo. La consacrazione al Signore può avere nei singoli individui una espressione più viva nella vita dei nazirei (Num. 6; cf. v. Nazireato) e nella santità richiesta da quelli che vengono dedicati al culto divino (Lev. 21; cf. V. Sacerdozio). Non si tratta soltanto di mondezza legale, che viene anche comandata dal Signore con molteplici precetti, ma di una adorazione interna e di una vita morale pura che suppone l'adempimento delle leggi morali e concretamente del Decalogo (Ex. 20; Deut. 5). Anche gli oggetti possono essere santi nel loro rapporto tanto col culto divino (tabernacolo: Ex. 28, 43; sacrificio: Ex. 28, 38; vesti sacerdotali: Ex. 28, 2.4; incenso, olio... ) come con la presenza di Dio (terra di Canaan: Zach. 2, 17; città di Gerusalemme: Is. 48, 2; roveto ardente: Ex. 3, 5).
B) Nel Nuovo Testamento
Nel Nuovo Testamento, Dio è affermato anche santo, benché non così spesso come nel V. T. Apoc. 4, 8 ci ha conservato un'eco di Is. 6, 3, e lo stesso Cristo nella sua orazione sacerdotale invoca il Signore "Padre santo" (Io. 17, 11). Piuttosto si mette in rilievo la santità di Cristo (Lc. 1, 35; At. 3, 14; 4, 27.30; Io. 6, 69 gr. *** Volg. "Christus Filius Dei") che in Apoc. 3, 7 viene designato come "santo e vero" *** è un termine amato da Giovanni). Se nel V. T. la santità del fedele ha un motivo nella santità divina (Lev. 11, 44; 19, 2); nel N. T., Cristo in virtù dell'incarnazione può presentarsi come modello più prossimo, da imitarsi (1Pt. 1, 15-16) o direttamente in persona o indirettamente (1Cor 4, 16; 11, l; 1Ts. l, 6); ed è un modello senza macchia (1Pt. 2, 22; 3, 18; 1Io. 3, 5) che possiede la pienezza dello Spirito santificatore (Lc. 4, 14.21). Lo Spirito ha santificato l'incarnazione (Lc. 1, 35); il battesimo (3, 21-22); il digiuno e le tentazioni (4, l); tutta l'attività apostolica (4, 14-21) condotta (4, 1) dallo Spirito. Santi vengono chiamati tutti i cristiani ripetuta mente dall'Apocalisse (5, 8; 8, 3.4; 13, 10; 14, 12; 16, 6; 17, 6; 18, 24; 19, 8; 20, 8) benché tale appellativo sia dato precedentemente trenta volte da s. Paolo (Rom. 1, 7; 1Cor 1, 4; 2Cor 13, 12; Phil. 4, 22; Eph. 3, 8; 1Tim. 5, 10...). La santità acquista nel N. T. un carattere particolare come unione intima con Cristo (Gal. 2, 19-20; Rom. 15, 12) che trasforma la nostra natura fino a diventare una *** (Gal. 6, 15) e non ha quei limiti e caratteri nazionali che distinguono nel V. T. il "peculio di Dio": Giudei e Gentili entrano con gli stessi diritti in questo nuovo popolo di Dio. Tutti quelli che credono (At. 26, 18) appartengono a questa società di santi; tutti ottengono la remissione dei peccati per mezzo del Battesimo (Eph. 5, 26) e sono santificati per lo Spirito Santo (Rom. 15, 16) che condurrà ad un termine glorioso tutta la vita del cristiano fino alla resurrezione dei corpi, dovuta anche all'azione dello Spirito (Rom. 8, 11 ***; Volg. propter corrisponde piuttosto al *** coll'accusativo). Non si tratta soltanto di una impurità da evitare ma di un principio nuovo di vita che ci trasforma in Christo (tipica espressione paolina). Circa i termini coi quali viene chiamata questa santità ***… cf. ThWNT I, 87-116; F. Prat, La Théologie de S. Paul, II, 301-302.
[F. P.]

BIBL. - U. BUNZEL, Der Begriff der Heiligkeit im AT, Breslau 1914; ThWNT, I, 87-116; III, 221-248: W. EICHRODT, Theologie des A.T. Leipzig 1933, I, 139-146; P. VAN IMSCHOOT, La Sainteté de Dieu dans l'A.T., in La vie spirituelle 1946, n. 309, p. 30-44; P. REMY, Le sens du mot sainteté in Etudes franciscaine, 49 (1937) pp. 464,-474,; J. DILLENSBERGER; Das Heilige im N.T., Kuisein 1926; E. ISSEL, Der Begriff der Heiligkeit im N.T., Leiden 1887; A. MORALDI, Dio è amore, Roma 1954, p. 133-144; F. PRAT, La Théologie de S. Paul, Paris 1925, II, p. 301-304; A. J. FESTUGIÈRE, La sainteté, Paris 1942.

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