NEBO - NEFTALI - NICODEMO - NICOLAITI - DIZIONARIO BIBLICO

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NEBO - NEFTALI - NICODEMO - NICOLAITI
NEBO
(LXX ***, cf. Nabù, dio della scrittura, figlio di Marduk nel mondo mesopotamico). È il monte (Gebel en-Neba) della catena di Abarim, ad est del Mar Morto, sul quale Mosè contempla, il paese promesso agl'Israeliti e muore (Deut. 32, 48 ss.; 34, 1). Alto 835 m., dista 3-4 km. da Ràs es-Siàga nel quale si riconosce a buon diritto il Pisgàh (Deut. 3, 27; 4, 49; Ios. 12, 3; 13, 20). Neba e Siàga formano i 2 gioghi della medesima groppa che si profila ad ovest tra due precipizi: Wadi ‘Ayun Mfìsà a nord, Wadi el-Gedeid a sud. La città di N., oggi comunemente identificata con Mehajjet, è ricordata in Num. 32, 3; 33, 47, dalla stele di Mesa (nbh), da Is. 15, 2; Ier. 48, 1, 1Mach. 9, 37, dall'Onomasticon e dalla vita di Pietro Iberico (sec. V), e non doveva essere lontana dal monte N. Il sito è ricco di pavimenti in mosaico (sec. VII) eseguiti dalla scuola artistica di Madaba come risulta dagli scavi intrapresi dalla Custodia della Terra Santa (1931-1938).
[F. V.]

BIBL. - F. M. ABEL. Géographie de la Palestine, I. Parigi 1933, pp. 379-84; II, 1938. p. 397 s.; S. SALLER - B. GAGATTI, The Town of N. (Khirbet el-Mekaayyat), Gerusalemme 1949: H. SCHNEIDER. The Memorial of Moses on Mount Nebo, ibid. 1950.

NEFTALI
Figlio di Giacobbe e di Bala, schiava di Rachele, e capostipite della tribù omonima. Il nome è spiegato dalla radice npl (forma nifal) col significato di «gara, lotta» (cf. Gen. 30, 8). Egli è nominato solo nei cataloghi genealogici (ibid. 35,25; 46, 24; 1Par. 2, 2). Anche la tribù ebbe relativamente una parte secondaria nella storia ebraica (Num. 1,42; 13, 14; 34,28; Deut. 27, 13). Ai Neftaliti, «cerva sciolta ed amante dei bei canti» (Gen. 49, 21) fu assegnata la zona attorno al lago di Tiberiade (Deut. 33, 23). Dalla descrizione di Ios. 19, 32·39 si deduce che la tribù si estendeva fino a sud del Tabor, avendo ad occidente la tribù di Aser, a nord la Fenicia, ad est la Transgiordania, mentre confinava a sud con Issachar e Zabulon, con cui appare in rapporti molto stretti. Nella zona vi erano tre città levi ti che per i Gersoniti (Ios 21, 6.32). Si allude alla difficoltà incontrata con le popolazioni cananee locali (Iudc. l, 33). Neftalita era Barac, che sotto la guida spirituale della profetessa Débora, combatté contro Iabin e Sisara (ibid. 4, 6 ss.) attorno al monte Tabor. Il fatto fu eternato in maniera squisitamente poetica nel cantico di Débora (ibid. 5, 2-31), ove si condannava l'indifferenza di diverse tribù, mentre si esaltava la parte svolta da N., da Zabulon e da Issachar (ibid. 5, 15.18). L'eco della vittoria si registra anche in libri posteriori (Ps. 68, 28; Is. 8, 23). I Neftaliti parteciparono anche all'impresa di Gedeone contro i Madianiti (Iudc. 6, 35; 7, 23). In seguito la tribù condivise la sorte, che toccò al regno d'Israele, subendo non poche invasioni straniere (cf. I Reg. 15, 20) fino alla completa sottomissione agli Assiri (722 a.C.), che ne deportarono parte della popolazione in Mesopotamia. Fra i Neftaliti condotti in Ninive vi fu Tobia (Tob. 1. 1). Nel Nuovo Testamento si riporta l'oracolo di Isaia (8, 2
[A. P.]

BIBL. - L. SZCZEPANSKI, Geogr. historica Palaestinae antiquae, Roma 1926, pp. 67. 140-44. 152. 159, 202.

NICODEMO
Nobile giudeo, appartenente al Sinedrio. È celebre il suo incontro notturno con Gesù. L'ora scelta rivela la sua paura dei Giudei; mentre le parole che egli pronunzia manifestano la profonda impressione prodottagli da Gesù. N. appare un fariseo osservante, retto, alieno dalla mentalità meschina di molti Farisei suoi contemporanei, ma influenzato dalla concezione corrente di un Messia nazionalista. Il divin Redentore nel colloquio confuta i punti di tale erronea concezione: il regno di Dio è di natura spirituale, e si richiede pertanto per entrarvi una rinascita spirituale; non è un privilegio della razza giudaica; il Messia compirà la sua missione soffrendo e morendo crocifisso. N. è detto "capo" o "comandante" (***) dei Giudei, senza dubbio nel significato di nobile o di persona rispettabile. Quale membro dell'aristocrazia faceva parte del Sinedrio (Io. 7, 50). Egli era noto anche per la sua dottrina; era "maestro in Israele" (ibid. 3, 10). Rimase simpatizzante ma non osò divenire apertamente discepolo di Gesù. Più tardi, però, quando si discuterà fra Farisei e sacerdoti sul modo e su le possibilità di eliminare Gesù, N. ha il coraggio di pronunziare una timida difesa: «Forse che la nostra legge condanna un uomo senza che prima l'interroghi e conosca che cosa fa?». Bastò per adontare i suoi colleghi, che ribatterono: «Forse che anche tu sei della Galilea? Informati ed impara che non sorge profeta dalla Galilea» (Io. 7, 50 s.). Dopo la morte di Gesù, N. aiuta Giuseppe d'Arimatea a seppellirne il cadavere. Egli vi contribuì con 100 libbre (= 32 kg. ca.) di mirra e di aloè (ibid. 19, 39 s.). Quanto si legge negli Apocrifi è incerto. Esiste perfino un Vangelo di N. od Atti di Pilato e Discesa del Cristo agli inferi (cf. C. Tischendorf, Evangelia apocrypha, 2a ed., Lipsia 1876, pp. 333-432). Secondo una tradizione N. sarebbe convertito al cristianesimo. Il suo nome si legge nel Martirologio Romano (3 agosto), perché il suo corpo sarebbe stato trovato insieme a quello di s. Stefano (cf. Epistula Luciani ad omnem Ecclesiam; PL 41, 807-15).

BIBL. - L M. VOSTÉ, Studia Ioannea. Roma 1930, pp. 101-128; U. HOLZMEISTER, in Zeitschrift fur kathol. Theologie, 45 (1921) 527-48.

NICOLAITI
Setta o fazione della Chiesa primitiva a carattere libertino-gnostico. Clemente Alessandrino (PG 8, 1061.1129-32), parzialmente confermato da altri Padri (Ireneo, Ippolito, ecc.), la riconnette al diacono Nicola, ultimo dei 7 primi diaconi (At. 6, 5), il quale accusato di gelosia verso la propria moglie, per scagionarsi dichiarò che permetteva a chiunque di sposarla poiché "bisogna ***", ossia "mortificare la carne", le cattive tendenze della natura umana, "trascurare la carne", non darle importanza, abusare del proprio corpo. Con queste parole alcuni cristiani, detti poi N., avrebbero giustificato ogni disordine morale e perfino l'adulterio. Tuttavia il diacono Nicola avrebbe condotto una vita esemplare, almeno secondo Clemente A. (contraddetto in ciò da Epifanio). Altri negano qualunque relazione fra lui e i N.; si tratterebbe di un ignoto Nicola (Cassiano), o della semplice traduzione greca (*** = "vincitore del popolo") dell'ebraico Bala'am ("dominatore del popolo"), nome del profeta che fece prevaricare il popolo di Dio (Num. 31, 16), come facevano i N. (Ap. 2, 14): così J. C. Eichhorn, R. H. Charles, ecc. I N. sono espressamente nominati in Ap. 2, 6.14 s.; cf. l'allusione del v. 20. Operavano ad Efeso, validamente contrastati dai cristiani; non così da quelli di Pergamo e di Tiatira. S. Giovanni caratterizza la loro dottrina come avente delle ripercussioni nella vita pratica ("dottrina" ed "opere" dei N.), e la paragona a quella del profeta Balaam e di Iezabele (peccato di idolatria). Sembra dunque che la setta insegnasse un'eccessiva libertà nell'uso degli idolotiti e dei culti pagani in genere e probabilmente nella dottrina morale. I loro subdoli "argomenti di Satana" (Ap. 2, 24.), sarebbero connessi alle dottrine gnostiche contemporanee. La setta ebbe breve durata; verso la fine del II sec. si fuse con altre sette gnostiche. Nel medioevo furono detti N. gli oppositori del celibato ecclesiastico.
[L. V.]

BIBL. - H. LESETRE, in DB. IV, coll. 1616-19; E. AMANN, in DTh-C, XI, coll. 499-506; E. B. ALLO, L'Apocalypse, 3a ed., Parigi 1933, p. 57 ss.

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