MOSÈ - MUSICA - DIZIONARIO BIBLICO

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MOSÈ - MUSICA
MOSÈ
Fratello di Aronne e Maria, della tribù di Levi (Ex. 6, 11), nato nel periodo dell'oppressione egiziana ed esposto perciò dalla madre nella giuncaia del Nilo in una cesta di vimini spalmata di pece e bitume (Ex. 2, 1-4), salvato e adottato da una figlia del Faraone (2, 5-10); tenace assertore della concordia e libertà dei suoi fratelli, uccide un egiziano sorpreso meno tre percuoteva un ebreo e fugge in volontario esilio nella terra di Median (2, 11-15); quivi, mentre pascolava il gregge di Ietro, suo suocero, ha la visione divina, la rivelazione del nome "Iahweh" e la vocazione a salvare il suo popolo conducendolo nella terra promessa (2, 23; 4, 23). La sua persona è quindi indissolubilmente legata alla storia del popolo ebreo di cui fu liberatore, condottiero e supremo legislatore, fino alla sponda del Giordano (cf. Ex., Num., Deut.). La sua persona, quale appare dalla narrazione biblica, si inquadra perfettamente nell'ambiente e nel periodo storico. Nome: gli egittologi rigettano comunemente la etimologia data da Flavio Giuseppe e Filone, cioè mò = acqua, jses = salvato (cf. Ant. 2, 9, 6; De Vita Mosis 1, 4), ritengono invece come possibili le due seguenti etimologie: 1) Mw = acqua, e in senso traslato, seme, figlio, se = lago, e in senso traslato, Nilo: quindi "figlio del Nilo"; 2) Msw = figlio, termine generalmente congiunto ad un nome divino (cf. Ahmose, Ptamose, Tuthmose); vi furono tuttavia degli egiziani che si chiamarono semplicemente Msw (cf. Papyrus Anastasi 1, 18, 2; Pap. Salt. 124, 2, 17): quindi M. = figlio. Alla storia di M. è spesso avvicinata la favolosa origine di Sargon I (Sharrukin, ca. 2358) grande re di Accad e fondatore della sovranità accadica sui Sumeri ed Elamiti. Questi, figlio di una povera vestale e di padre ignoto, fu dato alla luce di nascosto e messo segretamente su di un fiume, in una cestella di canne chiusa e ricoperta di pece; preso e adottato da Akki presso cui fece l'ortolano; godendo della predilezione della dea Istar, fu da lei posto sul trono di Accad. Le divergenze delle due narrazioni parlano da sé. L'uomo da Dio scelto per salvare il suo popolo, non era «di facile parola», ma «impacciato di bocca e di lingua» (Ex. 4, 10; 6, 12). Umile (3, 11), nonostante i grandi privilegi concessigli da Dio, fu sempre conscio dell' opera della grazia e avrebbe voluto che tutti avessero spirito profetico (Num. 11, 29; 12, 1-13). Resistette alla chiamata divina, ritenendosi indegno di un compito cosi sublime; ma presa la decisione, non indietreggiò davanti ad alcuna difficoltà; si assunse la responsabilità di tutto il popolo e, nei momenti più difficili e drammatici, sua unica fiducia e forza era Dio (Ex. 14, 11-14), convinto che la di Lui presenza era il vero fattore decisivo (Ex. 33, 12-17; 34, 9). Perdona i congiunti che gli amareggiavano l'esistenza (Num. 12), prega per il popolo ogni qual volta spaventato dai pericoli, stanco della vita desertica, impreca contro di lui; nei capricci e nelle voglie materiali di una schiera di uomini impegnati in una lotta spirituale gigantesca, ma continuamente incapaci di superarsi, M. è sempre il mediatore, la forza, il profeta, la guida (Ex. 14,11 ss.; 15,22-26; 32,33; Num. 11; 14; 16; 20; 21). Ed in uno dei momenti più tragici della sua missione, offre se stesso a Dio per salvare il popolo (Ex. 32, 31 s.). Quando Dio, stanco dei peccati d'Israele, manifesta l'intenzione di distruggerlo e costituire M. capo stipite di una nuova stirpe, M. rifiuta: la sua vita è per quel popolo che discende dai Patriarchi (Ex. 32, 10 ss.; Num. 14, 12 ss.). Ma un giorno egli pure scoraggiato dalla continua mancanza di fiducia in Dio da parte del popolo, avrebbe desiderato morire: in fondo non era lui il padre di quella moltitudine cocciuta (Num. 11-15). La sua indulgenza non fu mai debolezza: azioni di estrema energia caratterizzano il suo agire (spezza le tavole della Legge ed il vitello d'oro: Ex. 32, 19 ss.; ricorre alla spada per punire i più pervicaci: Num. 25, 5). Suo conforto e rifugio era la preghiera (Ex. 5, 22; 8, 4.24; 10, 17; 14, 15; 15, 25; 27, 4; Num. 11, 11 ecc.). «Che egli stando in una quasi continua opposizione al suo popolo, lo amasse così tanto e abbia voluto sacrificarsi per lui, è la grandezza della sua vita. Il popolo non riuscì ad alzarsi e vibrare con il suo carattere religioso: ed egli fu solo nella sua grandezza, come nella solitudine morì» (Heinisch, 95). Il nuovo nome di Dio «Iahweh», domina completamente la sua vita. M. lo incontrò non nella sua stirpe, non in Egitto, ma nella povertà, nella terra d'esilio, nel quadro del popolo madianita: Iahweh non ha vincoli di sangue con Israele, non è legato a spazio e tempo, ma la sua manifestazione è effetto di una libera e graziosa scelta. Punto centrale per M., è che egli nella solitudine del Sinai ha incontrato il suo Dio, non legato ad alcun luogo di culto, ma nella piena libertà divina che fa grazia e misericordia a chi e quando vuole. Iahweh non è un Dio nuovo: è quello dei Padri. La fede di M. è la medesima fede di Abramo, Isacco, Giacobbe. Conoscenza decisiva per M. e punto cruciale per tutto il popolo. Iahweh, Dio del presente rivelatosi a M., è anche il Dio del passato che operò nell'epoca dei Patriarchi, e sarà ancora il Dio del futuro: Egli elesse Israele a suo collaboratore nella storia umana, per preparare la salvezza messianica, realizzazione del suo disegno di misericordia. M. comprese questo e perciò la sua fede non è soltanto illimitata, ma anche «carica di dinamite che distrugge ogni opposizione e libera dalle catene della servitù». M. fu il più grande profeta del V. T.: con lui Dio parlava «faccia a faccia» (Ex. 33, 11; Num. 12, 6 ss.); contemplò la sua gloria ed entrò nei misteri della divinità, per quanto è possibile ad un mortale (Ex. 33, 18-23; 34, 5-10). Dal lungo contatto con Dio sul Monte santo, la sua intima sublimazione gli apparve sul volto «raggiante» (non «cornuta ... facies» come traduce la Volg.: Ex. 34, 29). «Non sorse più un profeta pari a M. col quale Iahweh trattasse a faccia a faccia»: Deut. 34, 10. Solo una volta egli mancò, non per amar proprio, per mancanza di sacrificio, ma perché pensò (probabilmente, essendovi nel testo più di una reticenza) che la misericordia di Dio poteva stancarsi di perdonare, e non gli fu quindi concesso di passare il Giordano (Num. 20, 2-13): il suo dolore fu certo profondo, ma il primo pensiero va al popolo per il quale domanda a Dio un nuovo capo (Num. 27, 15-23). La missione di M. era terminata (Num. 20, 12; 27, 13; Deut. 32, 52): alla morte aveva 120 anni, ma «la sua vista non si era indebolita, e la sua freschezza non era ancora scomparsa» (Deut. 34, 7).; dal monte Nebo, Iahweh gli concede di contemplare la terra promessa, ed in tale visione morire (Deut. 34, 1-5). Fu sepolto nella valle, ma il sepolcro restò segreto: un culto idolatrico non ne doveva macchiare la memoria (Deut. 34, 6; per le leggende giudaiche cf. E. Schiirer, Geschichte des judischen Volkes, III, 301 ss., e Iud. 9). Aveva liberato il popolo dall'Egitto, unito e guidato nel periodo più decisivo della sua storia, era stato il mediatore della alleanza sinaitica, aveva fatto conoscere e inculcato la venerazione del solo Dio dell'alleanza; delle 12 tribù aveva fatto un popolo con leggi politiche, sociali, religiose e cultuali, legando indissolubilmente Israele a Iahweh: ambedue i nomi resteranno stretti per sempre. Il primo altare che M. eresse chiamandolo «Iahweh nissi = Iahweh è la mia bandiera», è il motto della sua vita (Ex. 17, 15). Un monumento perenne gli elevò l'elogio di Gesù figlio di Sirac (Eccli. 44, 23b-45, 5), ma assai più sublime fu il riconoscimento della sua personalità nel N. T., che considera M. come tipo del nuovo Legislatore, Sacerdote, Profeta, Mediatore dell'Alleanza (Hebr. 3, 3.6; Mt. 17, 3; cf. Io. 5, 45 s.; I Cor 10, 2; Hebr. 11, 23 s.).
[L. M.]

BIBL. - P. HEINISCH, Geschichte des Alten Testaments, Bonn 1951, pp. 76-94; W. F. ALBRIGHT, From the Stone Age to Christianity, Baltimora 1946, pp. 189-207; O. PROCKSCH, Theologie des Alten Testaments, Gutersloh 1950, pp. 69-103; F. SPADAFORA, Storia e spiritualità di Mosè ed Elia, in Tabor 20 (1956) 165-194.

MUSICA
Non possediamo né testi musicali né opere teoriche sulla m. ebraica del periodo biblico; la S. Scrittura però ci dà non poche indicazioni al riguardo. Come presso gli Egiziani e gli Assiri, anche presso gli Ebrei la m., vocale e strumentale, accompagnava quasi tutti gli atti della vita, sia profana che religiosa. Così nel deserto si davano segnali con trombe d'argento (Num., 10, 2 ss.); al suono di trombe caddero le mura di Gerico (Ios. 6, 4,·20); con canti, suoni e danze fu celebrato il trionfo di David sul gigante Golia (I Reg. 18, 6 s.); con la cetra, David placava l'ira di Saul (I Reg. 16, 23); con la tromba ed altri strumenti si annunciava la dichiarazione di guerra (Is. 18, 3) e si celebrava la vittoria (2Par. 20, 28). La m. rallegrava i conviti (Is. 5, 12; 24, 8; Eccli. 32, 7; 49, 2 ecc.) e le nozze (I Mac. 9, 39), la vendemmia e la mietitura (Iudc. 9, 27; Is. 9, 3; 16,10; 25, 6; Ps. 4, 8), il lutto ed il pianto (2Par. 35, 25; 11: Reg. l, 17; Ier. 9, 17; Mt. 9, 23) ecc. Nelle cerimonie religiose poi non mancava mai la m.: così dopo il passaggio del Mar Rosso Mosè canterà un inno accompagnato col timpano dalla sorella Maria (Ex. 15, 1.20); i sacerdoti daranno con la tromba il segnale delle feste, delle calende, dei giubilei, dei sacrifici ecc. (Num. 10, 2-11); nelle scuole profeti che si faceva uso della m. (I Reg. 10, 5; 19, 20); le varie traslazioni dell'Arca furono accompagnate da canti e suoni guidati dallo stesso David (2Reg. 6, 5.12-15; 1Par. 13, 8; 15, 16). Proprio a lui spetta il merito di aver organizzato un ottimo ordinamento musicale per il servizio liturgico: fece costruire numerosi strumenti per i leviti (1Par. 23, 5) onde accompagnare i Salmi da lui stesso composti (2Par. 7, 6; 29, 26 s.); organizzò varie classi di cantori (4.000 leviti! 1Par. 23, 5) e di strumentisti (1Par. 15, 22; 16, 5, 6; 25, 1-7; 23, 31; Eccle. 47, 11 s.). Anche Salomone fece costruire degli strumenti musicali (2Par. 19, 10-11). Al ritorno dall'esilio cantori (Esd. 2, 70; Neh. 7, l; 12, 45) e sacerdoti (Esd. 3, 10) ripresero servizio nel tempio: e così si fece al tempo dei Maccabei (1Mach. 4, 54). Strumenti musicali. Se ne attribuisce l'invenzione a Iubal, figlio di Lamec (Gen., 4, 21; cf. 31, 27). Possiamo distinguerne 3 categorie: strumenti a corda, a fiato, a percussione. Tra i primi, tutti della famiglia dell'arpa, ricordiamo il nebhel o grande arpa (I Reg. 6, 5; Ps. 57, 9; Is. 5, 12 ecc.: si fa menzione anche di un nebhel 'asor, cioè a 10 corde: Ps. 33, 2; 144, 9) ed il kinnor, di minore grandezza e con poche corde (Gen. 4, 21; 31; 27; 1Reg. 10, 12; I Par. 13, 8; 15, 28; Is. 5, 12; 16, 11 ecc.); strumenti affini erano la sabhka ed il pesanterin (*** Dan. 3, 5.7.10.15). Tra gli strumenti a fiato importanti erano lo sophar fatto con corna di caprone o di montone (detto perciò anche qeren, Ios. 6, 4. 5) e che serviva per convocare il popolo alla guerra, alle feste religiose o profane (Iudc. 7, 18; 1Reg. 13, 3; 2Reg. 15. 10; Ex. 19, 13.16; Lev. 23, 24 ecc.), nonché per indicare il giubileo (Lev. 25, 9: detto perciò anche iobhel); l'ughabh, o piccolo flauto (Gen. 4, 21; Ps. 150, 4 ecc.), il halil o grosso flauto (1Reg. 10,5; Is. 5,12; 30, 29 ecc.) è la hasoserah *** (Num. 10, 3-10; 31, 6; Ps. 98, 6 ecc.). Degli strumenti a percussione ricordiamo il toph o tamburo (1Reg. 10, 15; Is. 30, 32 ecc.) suonato per lo più da donne (Ex. 15, 20; Ps. 68, 26), i selselim o cimbali (I Reg. 6, 5), i mesiltaim o cembali doppi (I Par. 13, 8), i mena'an'im o sistri (2Reg. 6, 5) ed i salisim (I Reg. 18, 6). Gli strumenti a percussione erano usati specialmente nelle feste, religiose o profane, e nelle danze. Dopo la distruzione di Gerusalemme (70 d. C.) l'arte strumentale cadde in disuso, mentre quella vocale si tramandò nelle sinagoghe. Molti accenti del testo masoretico non sono altro che segni musicali, anche se non corrispondono esattamente alle nostre note: si chiamano te'amim o neghinòt («note», «toni»). La m. ebraica era solo melodica: ignote del tutto l'armonia ed anche la polifonia. La scala non era cromatica o enarmonica, ma diatonica: in una ottava si potevano avere fino a 24 gradi! È innegabile un certo influsso della m. ebraica sul canto gregoriano.

BIBL. - A. GASTOUÉ, Les origines du chant romain, Parigi 1907, c. I; F. X. KORTLEITNER, Archeologia Biblica, Innsbruck 1917, pp. 635-41; H. BERL, Das Judentum in der Musik, Berlino-Lipsia 19,26; A. Z. IDELSHON, Jewish music in its historical development, New-York 1929 (classico).

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