MONDO - MORTE - DIZIONARIO BIBLICO

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MONDO - MORTE
MONDO
Il senso primordiale, restato classico, di *** è "bellezza" e "ordine". Questo è il senso abituale anche nei LXX, nel N. T. solo in 1Pt. 3, 3. L'evoluzione semantica presenta diversi aspetti.
1 - Universo, insieme delle creature visibili. Sconosciuto ai LXX, che con l'ebraico rendono «cielo e terra» o «il tutto», questo senso è frequente in Sap., 19 volte; 2Mach., 19 volte, in Filone e nel giudaismo ellenistico. Nel N. T. questo senso è sempre in rapporto con l'atto creatore o sovranità di Dio (At. 17, 24; Rom. 1, 20; Eph. 1, 4).
2 - Terra come dimora degli uomini o più generalmente l'ambiente in cui agisce il genere umano. Questo senso, sconosciuto o quasi al greco classico, è comune nel N. T. (I Tim. 6, 7; I Cor 5, 10 ecc.).
3 - Genere umano, gli abitanti della terra (Rom. 3, 6; 3, 19; I Cor 4, 13 ecc.).
4 - Umanità in quanto avversa a Dio e alla redenzione di Cristo. Acquista così un senso peggiorativo di ordine religioso-morale. Soprattutto in s. Paolo e in s. Giovanni. Nel primo, lo spirito del m. e lo spirito di Dio son contraddittori. (1Cor 2, 12; 2Cor 7, 10) Il profondo contrasto è dovuto all'entrata del peccato nel m. (Rom. 5, 12 ss.). Poiché tutti sono peccatori, tutta l'umanità è colpevole davanti a Dio (ibid. 3, 19) e soggetta al giudizio (ibid. 3, 6; I Cor 6, 2). La riconciliazione operata da Cristo (Col. l, 16 ss.) compone il dissidio tra m. e Dio. Quindi il m. è l'insieme della creazione turbata dal peccato, caduta sotto il giudizio e redenta da Cristo. In quanto redento il m. non è più m. (***), non più «secolo presente» (***), ma è «regno di Dio» e «secolo venturo» (***). Perciò la "Chiesa" non appartiene al m.; i "Santi" vivono sì nel m., ma come se non se ne servissero (I Cor 7, 31), poiché la loro vita non è più «vita nel m.» (Col. 2, 20). Con la croce di Cristo, essi sono crocifissi al m. (Gal. 6, 14). Il concetto di m., quale potenza avversa a Dio, è al centro del pensiero teologico di S. Giovanni, con una drammaticità superiore e con una terminologia ancor più netta. Il m., come contro-attore di Cristo nella storia della salvezza, prende l'aspetto di una personalità collettiva invasata dal "Maligno" e succube del «Principe di questo m.». Il giudizio contro quest'ultimo, iniziato alla morte di Cristo (Io. 12, 31; 16,. 11; 14, 30), è anche vittoria contro il m. (16, 33). I "fedeli" non son del m., benché scelti dal m. (15, 19; 17, 14) e viventi nel m. (17, 11: I Io. 4, 17); essi «sono nati da Dio» (Io, 1, 12); in essi dimora «lo Spirito di verità che il m. non può ricevere», perché «chi appartiene al m. non ha l'amore di Dio in sé» (I Io. 2, 15): cf. Iac. 4, 4. Bisogna guardarsi dal m. e dalle sue concupiscenze (I Io. 2, 16), perché «il m. passa e le sue concupiscenze, ma chi fa la volontà di Dio dura in eterno» (I Io. 2, 17). Qui non parla la negazione né il disprezzo del m., ma la fede che ha vinto il mondo (I Io. 5, 4).
[S. R.]

BIBL. - G. KITTEL. ***, in ThWNT, III, coll 868-96; F. ZORELL, N. T. Lexicon Graecum, Parigi 1931, col. 729 ss.; J. BONSIRVEN, Il Vangelo di Paolo, Roma 1951, p. 86 s.

MORTE
Conseguenza e pena del peccato (v. Adamo): Gen. 2, 27; 3, 3. Come tale consta della separazione dell'anima dal corpo, col disfacimento di questo «sei polvere e in polvere ritornerai» (Gen. 3, 191): m. fisica; e della separazione da Dio, con la discesa dell'anima nel tenebroso se'ol (v.) o inferi. La prima per sé è un debito della nostra natura; solo per un dono particolare, Dio aveva concesso all'uomo, destinato a una vita beata nell'intima familiarità con lui, di rinnovare le sue energie e di non morire. L'elemento formale, l'essenza della severa condanna «senz'altro morrai», è la perdita della familiarità con Dio; lo stato di completa separazione da Lui che consegue immediatamente la m. fisica. «Iddio creò l'uomo per l'immortalità, ma per l'invidia del diavolo entrò nel mondo la m. (cf. Eccli. 25, 23; l'accenno di N. Signore: Satana fu omicida dall'inizio, Io. 8, 44; Rom. 5, 12); e ne fanno l'esperienza quelli del suo partito» (Sap. 2, 23 s.; cf. 1, 13 s). Anche per i giusti la m. implicava la fine di ogni rapporto con Dio. In vita era ancora possibile amare, lodare Iddio, vederlo nelle sue opere, comunicare con Lui nella preghiera, nel culto; era possibile ottenerne qualche intervento sensibile. Appena nello se'ol cessava ogni speranza al riguardo. «Non vedrò più Iahweh», geme Ezechia (Is. 38, 11); e il Salmista: «Può lodarti la polvere, può decantare la tua fedeltà?» (Ps. 30 [29], 10). Dei morti che stanno nello se'ol, («tu non serbi più memoria ... I defunti si leveranno a ringraziarti? Si narra forse la tua bontà nel sepolcro?...» (Ps. 88 [87], 6.11 ss.). Perciò il giusto considera la vita lunga, una benedizione, un premio di Iahweh. Alla venuta del Messia, questo stato di condanna cesserà per i giusti, mentre diventerà immutabile ed eterno per i peccatori, i partigiani di Satana, che pertanto rimangono le vere vittime della m. «In quel tempo sarà salvato il popolo tuo ... E molti di quelli che dormono nella polvere (= che stanno nello stato di inattività nello se'ol) si desteranno, questi per la vita eterna, quelli... per l'infamia eterna». Daniele parteciperà alla gioia dei primi (Dan. 12, 2.13, F. Spadafora, Gesù e la fine di Gerusalemme, Rovigo 1950, p. 35 ss). Il Salmista volge talvolta il pensiero a questa futura, lontana speranza, d'altronde abbastanza indeterminata (Ps. 11, 7; 16, 11; 17, 15; 73, 23-26 [Volg 10.15.16.72]; Sap. 2.5); cui si rifanno implicitamente i seguenti passi: Prov. 10, 2; 11, 4; 14, 27; Tob. 12, 9 ecc. «la giustizia libera dalla morte»; mentre il peccato conduce alla m.: Prov 11, 19; 14, 12 ecc.; Eccli. 41, 12 ss. e spesso nei profeti (cf. Ez. 18: il giusto vivrà, il peccatore morrà). Questo pensiero risolve lo scandalo costituito dal benessere degli empi quaggiù (Ps. 73, 17). Mentre la m. è comune a tutti (Ps. 89 [88], 48 s. ecc.; Eccli. 9, 20); e separa definitiva mente dal mondo (Eccli. 41, 1 ecc.). La m. fisica talvolta è punizione di una trasgressione positiva (Gen. 7, 21; Num. 16, 32; 2Sam 6, 6 s. ecc.); e nella Legge la pena di m. era comminata per la violazione di alcuni precetti. Con la discesa di Gesù agli inferi si realizzò la speranza dei giusti del Vecchio Testamento, che parteciparono ai frutti già acquistati dal Messia con la sua m. redentrice (I Pt. 3, 18 ss.; 4, 5 s.). Gesù pose termine al regno del peccato e della m. (Rom. 5, 1-21); ha distrutto la m. (2Tim. 1, 10; Hebr. 2, 14 s. ecc.), nell'elemento più tetro di condanna: la separazione da Dio. La m. fisica, infatti, per l'effetto immediato della Redenzione, congiunge subito l'anima del giusto con Dio; segna la fine del nostro ce peregrinare lungi dal Signore» (2Cor 5, 6-8); immette nella vera vita: «per me la vita è Cristo e la m. un guadagno; ho più caro di morire e d'esser con Cristo» (Phil. 1, 23 s.). E durante la stessa vita, il giusto è già in unione col Cristo (Io. 14, 15; Gal. 2, 20); tempio dello spirito vivente (2Cor 6, 16); la vita della grazia è la stessa vita della gloria; si tratta solo di modo e di grado di perfezione (Io. 17, 3; Rom. 6, 23). Appena battezzato e perciò innestato al Cristo, il cristiano è definitivamente liberato dalla schiavitù del peccato e della m. (Rom. 6, 1.11). Ma la Redenzione estende la sua virtù sullo stesso corpo; tale effetto non è immediato, ma si realizzerà quando la vita umana cesserà sulla terra; alla fine pertanto della fase terrestre del regno di Dio, con la risurrezione dei corpi (Rom. 8; I Cor 15; I Ts. 4, 13-17). Pertanto, la separazione dell'anima dal corpo è solo temporanea; e il Nuovo Testamento usa per essa la metafora del sonno (I Ts. 4, 13; I Cor 7, 39; 15, 20 ecc.). Solo per coloro che rigettano il dono della Redenzione, o ritornano al peccato, la m. sancisce la loro già attuale separazione da Dio, in modo definitivo. E questo loro stato di eterna dannazione spesso nel Nuovo Testamento è chiamato soltanto m. (Io. 6, 50; 11, 25 s.; Rom. 7, 24; passim nel c. 6; ecc.) o seconda m. (Ap. 2, 11; 20, 6.24; 21, 8). La m. fisica costituisce pertanto il punto determinante, per la sorte definitiva, immutabile per ciascuno (Hebr. 10, 27). Perciò N. Signore, conoscendo la nostra fragilità, ci ricorda tanto, nel suo insegnamento ascetico, questo valico decisivo (Lc. 12, 20 s. 35-48; 13, 4 s. 6-9 ecc.; Mt. 24, 37-25, 13), che costituisce per noi la fine del mondo; fine imprevista e spesso improvvisa. Lo stesso fanno gli Apostoli (I Cor 7, 29 ss. «passa veloce la scena di questo mondo», nel dare la dottrina evangelica sul matrimonio e la verginità; Rom. 13, 11 s.; Hebr. 13, 14 ecc.). Non c'è forse altra concezione e realtà che sottolinei e ci dimostri quasi sensibilmente il valore dell'opera del Cristo e perciò l'infinita superiorità della nuova sulla precedente economia.

BIBL. - R. BULTMANN, in ThWNT, III, pp. 13-21; P. HEINISCH, Teologia del Vecchio Testamento (trad. it.; La S. Bibbia), Torino 1950, pp. 287 ss., 311-25; J. BONSIRVEN, Teologia del Nuovo Testamento (trad. it.; ibid.), 1952, pp. 209-15. 248.

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