DIAVOLO - DIGIUNO - DILUVIO - DIZIONARIO BIBLICO

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D
DIAVOLO - DIGIUNO - DILUVIO
DIAVOLO
Invisibile potenza personale che dirige le forze del male in lotta con i disegni di Dio e a danno dell'uomo. È denominato in ebraico has-satan "l'avversario" (Iob 1, 6.9.12; 2, 3.4.6.7; I Par. 21, 1; Zach. 3, 1.2), termine che, senza articolo, indica un nemico umano (1Sam 29, 4; 2Sam 19, 22; ecc.). Nel greco dei Settanta si trova ***, da *** "accusatore", "calunniatore", che traduce l'ebraico has-satan éd anche sar e sorer "nemico" (in Esth. 7, 4; 8, l); si trovano anche *** e ***: termini con i quali i Greci intendevano soprattutto la divinità che presiede ai destini umani, il genio tutelare inferiore agli dèi, le anime dei morti, ma che i Settanta adoperano per indicare il d., traducendo i nomi ebraici se'irim (Lev, 17, 7; 16, 8.10; II Par. Il, 15; Is. 13, 21; 34, 14); sedim (Deut. 32, 17; Ps. 106, 37: acc. Sidu); elilim (Ps. 96, 5) Sijjim (Is. 34, 14). Responsabile principale della caduta e della conseguente privazione dei doni soprannaturali e preternaturali dei progenitori (Gen. 3, l ss.; cf. Sap. 2, 24; Io. 8, 44; Heb. 2, 14; Apoc. 12, 9; 20, 2), questo invincibile nemico è concepito onnipresente, come spia che accusa gli uomini presso Dio e li tenta per farli condannare (Iob 1, 6 ss.; I Par. 21, l; Zach. 3, 1 s.). D. della libidine, vinto dalla preghiera, e dalla mortificazione, è detto Asmodeo in Tob. 3, 8; 6, 8 ss.; 12, 3.14. Secondo una opinione rabbinica, seguita da Origene (PG II, 1364) e ripresa dai moderni, Azazel di cui Lev. 16, 8 ss. per il giorno dell'espiazione (v.) sarebbe un d. o addirittura il principe dei d. Ma probabilmente Azazel è soltanto un nome dello stesso capro espiatorio, scacciato nel deserto (Clamer). Nel Nuovo Testamento il d. o satana (spesso singolare collettivo, per gli angeli ribelli in genere) è il capo degli angeli ribelli che fomenta il male e la perdizione (Ap. 9, 11; 12, 7- 9). Il termine (o ***) sempre al singolare, è usato 39 volte in questo senso tecnico di nemico di Dio e dei suoi fedeli; in tre casi, al plurale, come attributivo "accusatore" (1Tim. 3, 11; 2Tim. 3, 3; Tit. 2, 3). Ricorre anche 36 volte o c)O:TO:VCi.ç, oltre alle voci affini, oL *** (Mt. 8, 31) e *** (63 volte, 27 al singolare ma 36 al plurale). In Ap. 12, 9 e 20, 2 il D. o satana è identificato al dragone (v;). È denominato anche il "tentatore" (o ***: Mt. 4, 3); il "malvagio" (***: At. 19, 12; I Io. 2, 13); lo "spirito immondo" (***: Mt; 12, 43); in Ap. 12, 10 è qualificato come "l'accusatore dei fratelli nostri (i cristiani) che li accusa dinanzi a Dio giorno e notte"; e in rapporto al giudizio che ci attende è detto anche "l'avversario in tribunale" ( ***: I Pt. 5, 8). Il D. è un angelo peccatore e punito. L'antica tradizione religiosa ebraica, relativa al peccato degli angeli, è riportata da s. Pietro (2Pt. 2, 4) e da s. Giuda (1, 6) ed accennata da Cristo; «Egli era omicida fin dal principio e non perseverò nella verità, perché la verità non è in lui» (Io. 8, 44) e da s. Giovanni «fin dal principio il diavolo pecca» (I Io. 3, 8). Si dà la preferenza al peccato di superbia, più consono alla natura angelica spirituale. Confinati negli abissi tenebrosi (2Pt. 2, 4; Iud. l, 6) e puniti col fuoco eterno per loro creato (Mt. 25, 41), questi angeli decaduti, assai numerosi (Mc. 5, 9; cf. Lc. 8, 30), hanno un potere limitato sugli uomini (I Pt. 5, 8) fino alla condanna nel giudizio finale (2Pt. 2, 4; Iud. 1, 6). Come «capo di questo mondo» (Io. 12, 31; 14, 30; 16, 11), «dio di questo secolo» (2Cor 4, 4) e «padrone» (Mt. 4, 9; Lc. 4, 6) manifesta la sua potenza nelle tenebre dell'idolatria (At. 26, 18; Col. l, 13). La lotta diabolica è portata anzitutto contro Cristo; dopo le iniziali tentazioni a carattere messianico, lo avversò fino alla morte, suggerendo il tradimento a Giuda Iscariota (Io. 13, 2; cf. 6, 71) e pigliando saldo possesso del suo spirito (Lc. 22, 3; Io. 13, 27; cf. Lc. 22, 53). La lotta contro la Chiesa di Cristo è tratteggiata nelle parabole del seminatore e della zizzania (Mt. 13, 19.25.39; Mc. 4, 15; Lc. 8, 12). Dopo Cristo, sono tentati i cristiani (At. 5, 3), con grande astuzia (I Cor. 7, 5; 2Cor. 2, 11; I Ts. 3, 5; ecc.), dal d. che si trasforma in angelo di luce (2Cor. 11, 14), promotore di dottrine false (I Tim. 4, l). Soprattutto i propagatori del cristianesimo sono oggetto dell'odio diabolico (Lc. 22, 31; 2Cor. 12, 7; I Ts. 2, 18). Cristo però inferse al d. la prima grave sconfitta, quando realizzò la profezia genesiaca (Gen. 3, 15; Luc. 10; 18; Io. 12, 31; 14, 30; 16, 11; I Io. 3, 8), con la sua morte distrusse il dominatore della morte (Hebr. 2, 14) e liberò i soggiogati dal terrore della morte (Hebr. 2, 15; Col. 2, 14 s.). Ma poiché la sconfitta definitiva avverrà solo alla fine del mondo, quotidiana deve essere la resistenza dei cristiani ai suoi attacchi (I Pt. 5, -8.9), con "intera l'armatura" soprannaturale (Eph. 6, 16; 2Cor. 12, 7 ss.; Rom. 16, 20). Né infrequente sarà il successo del d.; al tempo di Cristo vi sono seguaci fedeli del d. (Io. 8, 41.44); nell'età apostolica l'incestuoso di Corinto e gli apostati Imeneo ed Alessandro sono abbandonati in punizione in potere di Satana (I Cor. 5, 5; I Tim. l, 20). Fino al giorno del giudizio vi sarà opposizione fra i "figli di Dio" ed "i figli del d." (Io. 8, 44.47; I Io. 3" 8.10), i quali compiono le "opere del d." (At. 13, 10) che si riassumono nell'impostura o seduzione (Io. 8, 44; I Tim. 4, 2; Ap. 12, 9; 20, 9) con cui alla verità e alla giustizia viene sostituito il peccato (Rom. l, 25 ss.; Iac. 5, 19).
[A. R.]

BIBL. - KAUPEL, Die Damonen im A. T. Augsburg 1930; A. BROCK-UTNÉ, «Der Feind », in Klio, 28 (1935) 219-227; M. .I. GRUENTHANER, The Demology of the O. T., in CatBibQ, 6 (1944) 6-27; B. NOACK, Satanas und Soteria, Kopenhagen 1948; F. ZEMAN, Indoles daemonum in scriptis prophetarum, in VD, 27 (1949) 270-77; 321-35; 28 (1950) 18-28; 89-97; P. VAN IMSCHOOT, Théologie de l'Ancien Testament. I, Parigi-Tournai 1954, pp. 130-141.

DIGIUNO
Lev. 16, 29 (e 23, 27. 32; Num. 29, 7) per il grande giorno del perdono o espiazione (il 10 del 7° mese, tisri, sett.-ott.) prescrive, con l'astensione dal lavoro, di "affliggersi, mortificarsi" (Volg. = affligetis animas vestras; nefes = persona), espressione che indica sempre il d. Non semplice privazione, pertanto, di alimenti, ma mortificazione di quel che può piacere e che soddisfa l'orgoglio; espressione dell'interno senso di penitenza; scopo morale e religioso. La preghiera (Tob. 12, 8) ne è inseparabile, e devono accompagnare il d. le opere di giustizia e di misericordia (cf. Ier. 14, 12; Is. 58, 3.7; Zach. 7, 2-7). La tradizione giudaica chiamò il giorno dell'espiazione "il d." (At. 27, 9) o "festa del d.". È il solo giorno di d. prescritto dalla Legge; andava dal tramonto del 9 al tramonto del 10 (Lev. 23, 32); e come i rabbini precisavano, appena eran visibili almeno tre stelle (cf. Tertulliano, De jejunio, 16: PL 2, 977); d. rigoroso: le prescrizioni rabbiniche, proibivano di toccar cibo, bere, ungersi, portare i sandali, usar del matrimonio (Joma, 8). Da Num. 30, 14 appare l'esistenza di d. praticati spontaneamente. Il d. divenne in Israele un mezzo, molto in uso, per propiziarsi Iddio. Si hanno d. pubblici straordinari: per colpe generali (I Sam 7, 6; Ier. 36, 9; Ioel l, 12-2, 17 ecc.); prima di iniziare una guerra (Iudc. 20, 26; 2Mac. 13, 72); per scongiurare una calamità pubblica (Iudt. 4, 8.12; Esth. 4, 3.16 ecc.; cf. Ion. 3, 5 ss.); per la morte di un re (I Sam 31, 13). D. particolari: David per la morte di Saul: 2Sam l, 12; per implorare la guarigione del neonato: 2Sam 12, 16·.21 ss. Spesso nei Ps. come espressione di penitenza, o per invocare l'aiuto divino: 69, 11; 109, 24 (Volg. 68. 108). Sara per essere liberata dal demonio (Tob. 3, 10); Ester (14, 2) per la liberazione, Daniele (9, 3) per la restaurazione d'Israele. Per voto (Tob. 7, 10; At. 23, 21); ecc. Durante l'esilio furono imposti giorni di d. in ricordo delle sciagure nazionali; Zach. 7, 2- 5; 8, 19 parla di d. al 4°, 5°, 7°, 10° mese; rispettivamente, per la cessazione del sacrificio; per la rovina del Tempio; per l'uccisione di Godolia; per l'assedio e la distruzione di Gerusalemme (cf. S. Girolamo, In Zac. 2, 8; PL 25, 1475). Il Sinedrio imponeva d. di tre giorni ciascuno, qualora tardasse la pioggia nei mesi ott.·nov. e nov.-dic. Le sinagoghe prescrivevano d. locali (cf. i trattati Ioma e Taanìth). Sono celebri i d. di Mosè, Elia, di quaranta giorni (Ex. 24, 18; e I Reg. 19, 8). I Farisei zelanti, per pura devozione, digiunavano ogni lunedì e giovedì in memoria del principio e della fine del d. di Mosè al Sinai (cf. Lc. 18, 12; Taanith 2, 9). Il divin Redentore incominciò la sua vita pubblica con un d. di 40 giorni (Mt. 4, 2; Mc. l, 13; Lc. 4, 1) che la Chiesa onora nel d. quaresimale. Nel suo insegnamento riprende gli energici richiami di Is. 58, 3-7; Ier. 14, 12; Zach. 7, 2-7 contro la mancanza delle condizioni che rendono il d. piacevole a Dio. Quello dei Farisei, fatto con ostentazione, non è più il d. prescritto nel V. T., espressione dell'ultimo pentimento (Eccli. 34, 26), mortificazione dell'orgoglio (Lc. 18, 12), e accompagnato dalla preghiera e dalle opere di misericordia. Quando si digiuna, si eliminino le esteriorità (Mt. 6, 16 s.), Non è il d. o qualsiasi pratica esteriore che conta, senza quello spirito nuovo che è il lievito portato dal Cristo Gesù per la trasformazione dell'umanità (Mt. 9, 14·17; Mc. 2., 18 ss.; Lc. 5, 33 ss.). La pratica del d. fu familiare ai primi cristiani (At. 13,2 s.; 14,22; I Cor 9, 27; 2Cor 6, 5; 11, 27). La critica testuale esclude Mt. 17, 21 «questa specie di demoni ecc.» preso da Mc. 9, 29 dove, inoltre, sembra da espungere *** «e col digiuno» (Buzy- Pirot).
[F. S.]

BIBL. - A. LESETRE, in DB, III, coll. 1528-32; H. L. STRACK - P. BILLERBECK, Kommentar zum LV. T. aus Talmud und Midrasch. IV, Monaco 1928, pp. 74-114; A. CLAMER, Lévitique (La St. Bible, ed. Pirot, 2), Parigi 1940, Pp. 130-73; D. Buzy e L. PIROT (ibid., 9), ivi 1946, pp. 231, 507.

DILUVIO
Castigo divino per distruggere l'umanità peccatrice. È il tema di un lungo racconto della Genesi (6, 1-9, 17). In una breve pericope introduttiva (6, 1-8), si descrive la ragione del d. La malvagità degli uomini era tale che Dio si pentì di averli creati. La causa principale è posta nella relazione carnale fra i "figli di Dio" e le "figlie degli uomini" (ibid. 6, 2). La prima terminologia insolita occasionò l'opinione che si trattasse d’immoralità praticata fra gli Angeli e le donne. La nozione imperfetta della natura di esseri spirituali giustifica tale interpretazione presso gli Ebrei (Libro di Enoch, dei Giubilei, Testamento dei dodici Patriarchi, Filone, Giuseppe) e presso alcuni padri della Chiesa (Giustino, Clemente Alessandrino, Tertulliano, Ireneo, Cipriano). Essa ora è condivisa soltanto da scrittori razionalisti, che segnalano la pericope come indice di antiche leggende mitologiche politeistiche, e da qualche cattolico (cf. J. Chaine, Le livre de la Genèse, Parigi 1949, pp. 101-104) come un adattamento alla mentalità semplicistica degli antichi Ebrei. L'opinione comune - specie fra i cattolici - scorge nell'espressione "figli di Dio" i discendenti di Seth e di altri patriarchi, lodati per la loro pietà, di fronte alle donne della stirpe di Caino. Nella distruzione generale si salva solo Noè e la sua famiglia, in tutto otto persone (cf. I Pt. 3, 2.0; 2Pt. 2, 5). Egli viene avvisato da Dio di costruirsi una grande arca, che era una specie di natante (lunga circa m. 150, larga m. 25, alta m. 15 circa). In essa entrano la famiglia di Noè con due animali di ciascuna specie (6, 19; ma secondo 7, 2 gli animali dovevano essere sette delle specie pure e due di quelle impure). Dopo sette giorni avviene il d.; l'acqua ricopre i monti più alti dell’Armenia con uno spessore di 15 cubiti (circa m. 7,50). L'inondazione dura sette mesi; infine l'arca si posa su i monti suddetti. Per constatare il prosciugamento delle acque Noè emette dall'arca prima un corvo, quindi due volte una colomba. La seconda volta questa non tornò nell'arca; Noè attende ancora sette giorni e quindi esce dall'arca. Il patriarca offre un solenne sacrificio a Dio, che lo benedice insieme ai figli e gli promette che mai più una simile catastrofe si sarebbe abbattuta sulla terra. Comunemente si riconosce che nella narrazione del d. Mosè fuse due fonti affini (6, 5,8; 7, 1-5.7-10.12; 16.22-23; 8, 3.6-13. 20.22; 9,18 s. e 6, 9-21; 7,6.11.13 ss. 21.24; 8, 1- 5.13-19; 9, 1-17 con lievi differenze secondo i vari esegeti). Sui rapporti con le narrazioni babilonesi, v. Genesi. Le somiglianze maggiori si notano con l'epopea di Gilgames, scoperta in 12 tavolette cuneiformi nel 1872 nella biblioteca di Assurbanipal. Nella tavoletta undicesima è narrato il d., dal quale scampa solo Utnapistim con i suoi, perché prediletto da Ea, dio del mare. Fra i due racconti sono molteplici le somiglianze. Ut-napistim, ammonito da un dio, costruisce una grande zattera in maniera simile a quella di Noè; vi entra con la famiglia e gli animali; si assicura della fine del d. con l'invio di tre uccelli (colomba, rondine, corvo) e offre un sacrificio su la sommità dei monti, ove si era posata la zattera. Ma notevoli sono le differenze: le misure dell'arca, il numero delle persone salvate; la distruzione dell'umanità è prodotta da molti elementi della natura (tempesta, venti, acqua, fuoco ecc.); principalmente il motivo del d. e la figura puerile, la natura capricciosa delle divinità. Generalmente si ammette che i due racconti rispecchiano un'identica tradizione primitiva, ma con caratteristiche molto diverse, che denotano la differenza irriducibile fra il puro monoteismo ebraico e il politeismo mitologico babilonese. Ma probabilmente si tratta di racconti affatto diversi; il d. avvenne ca. 100.000 anni a. C. alle origini dell'umanità; mentre nei racconti babilonesi si tratta di un’inondazione locale (A. Parrot). Di comune o affine c'è solo la forma letteraria. Gli antichi ammettevano che il d. ricoprì tutta la terra e distrusse tutti gli uomini, all'infuori della famiglia di Noè. Ora sono ben pochi quelli che sostengono un'universalità geografica, che risulterebbe dalle espressioni enfatiche del testo, ma urta con non poche difficoltà di ordine fisico e zoologico. Che il d. invece abbia abbracciato tutti gli uomini (cf., oltre al racconto genesiaco, Sap. 10, 4; 14, 6; Eccli. 44, 17 s.; Mt. 24, 37 s.; 2Pt. 3, 5 ss.; 1Pt. 3, 20), si comprende facilmente se appunto si rimette alle origini dell’umanità. Alcuni tuttavia ritengono l'universalità relativa anche per gli uomini; sebbene non sia loro facile dare una spiegazione dei passi ora citati; e sebbene non ci siano seri motivi per una tale interpretazione.
[A. P.]

BIBL. - A. BEA, Institutiones biblicae. vol. II: De Pentateucho. Roma 1933, pp. 168-80; F. CEUPPENS, De historia primaeva. Roma 1934. Pp. 225-376; P. HEINISCH, Problemi di storia primordiale biblica, trad. ital., Brescia 1950, pp. 133-64.

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