PATRIACHI - PECCATO - DIZIONARIO BIBLICO

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PATRIARCHI - PECCATO
PATRIARCHI
Discendenti di Adamo fino a Noè (p. antidiluviani) e di Sem fino a Thare (p. postdiluviani). Sono chiamati p. anche Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe (v. le singole voci).
Liste genealogiche dei Patriarchi
I p. antidiluviani sono presentati in due liste genealogiche; Gen 4, 17-24 (linea di Caino) e Gen 5, 3-32 (linea di Seth). La somiglianza di nomi nelle due liste (Enoc, Lamec, Irad, Mathusalah) inclina parecchi autori ad affermare una sola genealogia, presentata però da due tradizioni diverse; la sacerdotale (Gen. 5, 3-32) e la iahwista (Gen. 4, 17 ss.) (cf. R. De Vaux, op. cit.). La genealogia dei Sethiti (Gen. 5, 3-32) nota per ognuno dei 10 p. l'età in cui generò il successore, i successivi anni di vita, la somma totale degli anni, la procreazione di altri figli e figlie e la morte, ad eccezione di Enoch. La genealogia dei Cainiti (Gen. 4, 17-24) presenta invece i p. come gl'iniziatori di una progredita cultura neolitica in contrasto con un accentuato regresso morale (poligamia e prepotenza feroce di Lamec). I p. postdiluviani, semiti per la linea di Arphaxad (Gen. 11, 10-26; cf. 10, 22), riportati con le stesse formule dei Sethiti, meno l'indicazione dell'età complessiva e della morte d'ognuno, nel testo masoretico ebraico sono nove, nei LXX ed in Lc. 3, 36 sono invece dieci per l'aggiunta di Cainan. La prima difficoltà contro l'oggettività di queste liste è la discordanza cronologica fra i testi masoretico (TM), samaritano (Sam.) e greco (LXX) da Adamo fino al Diluvio: TM 1656 anni, Sam 1307, LXX 2262; dal Diluvio poi fino ad Abramo: TM 390 anni, Sam 1040, LXX 1170; e soprattutto la sproporzione enorme tra i dati della Bibbia e quelli della Scienza paleontologica (da 50.000 a 200.000 anni) relativi all'età del genere umano. Una seconda difficoltà è la longevità dei p. che raggiunge il massimo di 969 anni con Mathusalah per declinare ma senza regolarità all'avvicinarsi dell'età storica; ma è di molto inferiore a quella proposta nelle liste dei re sumerici anti e postdiluviani, le quali però non hanno relazione con le liste bibliche né per il carattere né per i nomi né per il numero degli anni. La soluzione di queste difficoltà va ricercata nel genere letterario della genealogia che non ha uno scopo rigidamente storico o cronologico ma piuttosto religioso e giuridico; la genealogia biblica vuole documentare l'appartenenza di un individuo ad un determinato gruppo, necessaria soprattutto in una società patriarcale nella quale l'individuo ha determinati suoi diritti solo in quanto discendente da un determinato capostipite. In queste genealogie i termini generare, figlio assumono un significato ampio e designano un legame genealogico ano che assai lontano (es. il Messia è detto figlio di David). Altro scopo della genealogia è quello di riassumere un periodo storico senza pretese cronologiche (cf. le genealogie di I-II Par.). Per facilitare poi la trasmissione orale di queste genealogie si fa spesso una esemplificazione sistematica (cf. Mt. 1, 17), omettendo anelli intermedi (cf. Mt. 1, 8 e 2Reg. 8, 24). Le genealogie dei p., mentre riempiono gli intervalli di tempo intercorrenti fra la creazione ed il Diluvio e tra il Diluvio ed Abramo, assicurano la legittimità della discendenza di Israele da Adamo, linea Seth. Noè-Sem-Thare-Abramo, ed il suo diritto alle promesse divine loro comunicate progressivamente. La storicità di alcuni nomi della genealogia dei Semiti (Serug, Thare) è comprovata dal riscontro di tali nomi nella Mesopotamia del Nord, culla degli antenati di Abramo (R. De Vaux, art. cit.; N. Schneider, art. cit.).
La cultura patriarcale
La cultura patriarcale (Gen. 1-11) sotto l'aspetto intellettuale-religioso s'accorda con quella documentata dall'etnologia, per la cultura dei popoli nomadi, allevatori di bestiame (tra i quali, i Semiti): perché caratterizzate da un elevato grado intellettuale e morale (monoteismo, monogamia, assenza di sacrifici umani, concetto di Provvidenza). Vi è invece il disaccordo sotto l'aspetto tecnico: mentre la cultura documentata dalla Scienza presenta alternanze e variazioni nel tempo e nello spazio (paleolitico, mesolitico e neolitico con le loro suddivisioni) ed inoltre complessità di tipi e di razze che appaiono e scompaiono completamente, la cultura patriarcale si presenta molto semplificata ed unitaria, quasi tutta restringibile nell'ambiente neolitico (agricoltura: Adamo e Caino, Gen 2, 15; 3, 17-18; allevamento del bestiame: Abele, Gen 4, 2-3; piantagione di viti: Noè, Gen 9, 20), nella cornice geografica della Mesopotamia e Palestina, con una durata incredibilmente breve del genere umano (v. Genesi). Il colore neolitico della Preistoria biblica viene interpretato come una proiezione della cultura neolitica contenuta nelle fonti più antiche utilizzate dall'autore (P. Reinisch, op. cit. G. Castellino, op. cit.), cui sarebbe stato aggiunto dall'autore o da un glossatore (A. Bea, art. cit.) la notizia della lavorazione metallurgica dei Cainiti (Gen. 4, 22).

BIBL. - J. PRITCHARD, Ancient Near Eastern Texts relating to the O. T., Princeton 1950, p. 265 s.: liste sumeriche regali; J. DE FRAINE. in VD, 25 (1947) 43-53; P. HEINISCH, Problemi di storia primordiale biblica. trad. ital., Brescia 1950. pp. 119-32; 177-96; E. GALBIATI-G. PIAZZA. Pagine difficili del V. T ., Genova 1951, pp. 163-68; B. COUROYER, in RB, 58 (1951) 75.91; R. DE VAUX, La Genèse (La Bible de Jérusalem), Parigi 1951; ID., Les Patriarches hébreux et les découvertes modernes, in RB, 53 (1946) 321-368; 55 (1948) 321-368; 56 (1949) 5-36; N. SCHNEIDER, in Biblica, 33 (1952) 516- 22; A. BEA, Praehistoria et exegesis libri Genesis, in VD, 17 (1937) 344-47. 360-6; 18 (1938) 14.20; G. CASTELLINO, in Questioni bibliche alla luce dell'enc. "Divino afflante Spiritu", Roma 1949, pp. 31-61.

PECCATO
Già tra i Babilonesi, il p. «è più di una semplice impurità rituale: è un'infrazione di questa legge morale che doveva regolare i rapporti tra gli uomini e gli dèi, come tra gli uomini e i loro fratelli» (Dhorme). Per gli Egiziani, cf. il c. 125 del Libro dei morti, la cosiddetta "confessione negativa", come indice più eloquente del loro sentimento morale (L. Speleers). Corrispondentemente a quanto l'etnografia attesta del concetto elevato di morale tra i primitivi (Cathrein, Schmidt).
Nel Vecchio Testamento
Nel Vecchio Testamento risalta la superiorità incomparabile della dottrina morale del iahwismo su quella di tutte le altre religioni dell'antico Oriente. Specialmente per il concetto di colpa, sia che si tratti delle relazioni della collettività con Iahweh, sia per quelle del singolo israelita. Il p. è sempre una trasgressione di un dato positivo della legge religiosa; il concetto di p. e di castigo è adeguato al concetto purissimo della giustizia assoluta di Iahweh; infrazione morale con piena responsabilità del colpevole. Gli stessi termini principali adoperati per indicare il p. sembrano supporre e confermare anch'essi tale nozione: hata', più generico = "p.", "colpa", è ogni azione che devia, che non è secondo la regola del bene: mancare lo scopo, il segno; pesa = "infrazione", spezzare, infrangere una barriera; 'awon = "delitto", "violazione", agire di traverso (Bonsirven). Oltre alle trasgressioni della legge religiosa, Iahweh, con non minor rigore, castiga le colpe morali dei suoi fedeli, senza distinguere tra quelle che lo riguardano personalmente e quelle che importano danno al prossimo. Basti ricordare la punizione del p. di David (2Sam 11-13.16.18). Nei Salmi, tra i più antichi, è celebrata frequentemente la sovrana giustizia di Iahweh, vindice delle colpe morali. Cf. Ps. 4, 3.5.6. Queste vengono così elencate, ad es., nel Ps. 7, 4 S. «Se c'è iniquità nel mio operato, se ho fatto del male a chi mi voleva bene, se ho depredato colui che mi odia senza motivo,... mi perseguiti pure il nemico... ecc. ». I Salmi deprecano frequentemente l'orgoglio dell'empio, gl'intrighi contro il pio e l'afflitto; la spudorata spregiudicatezza dell'iniquo; la bocca piena di maledizione e d'inganno. Ad essi oppongono l'azione onnipotente della giustizia divina. «Giudicami, o Signore... Tu sorreggi il giusto, Tu che scruti i cuori e le viscere, Dio giusto ... Giusto Giudice». Ps. 7, 7-12; Ps. 10. ecc. E nel Ps. 51 abbiamo un attestato indiscusso della più elevata vita interiore: «Crea in me un cuor puro o Dio, e rinnova dentro di me uno spirito fermo»; donami uno spirito nuovo che sia stabile; il salmista supplica Dio di purificarlo delle sue colpe e, nel timore di ricadervi, d'operare in lui una trasformazione radicale, che equivale ad una creazione (Van Imschoot). Ma basti ricordare la stessa carta costituzionale del iahwismo, il Decalogo (v.); tutti devono riconoscerne il valore religioso e morale. E al primo precetto del monoteismo, e agli altri nove precetti morali, hanno perenni riferimenti gli scritti profetici e didattici. Il p. deve essere espiato; la giustizia di Dio lo esige, sia per la nazione, come per ciascun individuo: la pena, pur manifestandosi quaggiù, va però oltre la vita presente. "Morte" (v.) e vita, come si può constatare specialmente in Ez. 18, stanno in rapporto con la condotta morale di ciascuno. La misericordia di Dio però attende: «non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva»; e l'uomo può passare dal p. alla giustizia, come dalla giustizia all'iniquità; Dio adegua la sua sanzione alla condotta dell'uomo. Il p. è fonte pertanto di ogni dolore, di sventura; la sola giustizia o sapienza (pratica dei precetti morali o della religione) è la fonte della nostra gioia e di ogni bene; come inculcano frequentemente i libri sapienziali (dai Ps. ai Prov,. Eccli., Sap.). Tra le molteplici distinzioni, tra p. di pensiero, di parole, di opere, tra p. di azione e di omissione (cf. il p. di Eli, I Sam 3, 13-), il V. T. ha anche quella tra i p. commessi per errore, involontariamente contro qualcuno dei precetti di Iahweh, facendo qualcosa che era proibita; e i p. commessi "a mano alzata" (cf. Num. 15, 30 s.), cioè i P. audaci e scandalosi, che direttamente ledono l'autorità ,divina. Il p. per errore" involontario, abbraccia il vasto campo delle colpe, più o meno gravi, più o meno volontarie, che 'hanno la loro fonte nella fragilità umana. Per essi era offerto il sacrificio di espiazione (volg. "pro peccato"): Lev. 4, 1-5, 13. Per i secondi invece era comminata la pena di morte (Deut. 13, 6; 22, 21-24 ecc.). Quattro p. «gridano vendetta al cospetto di Dio»: l'omicidio (Gen. 4, 10; Ex. 20, 13); il p. di sodomia (Gen. 18, 20; Lev. 18, 22); l'oppressione dei poveri, delle vedove, degli orfani (Ex. 22, 21 ss. 26); il defraudare la giusta mercede (Deut. 24, 14 s.; Lev. 19, 13; cf. Iac. 5, 4).
Nel Nuovo Testamento
Nel Nuovo Testamento viene adoperato il ricco vocabolario della versione greca del V; T. per indicare il p.: violazione della legge, impurità, empietà, errore, disobbedienza, trasgressione, mancare lo scopo (dieci termini, *** ecc.); quest'ultimo termine è il più frequente, cf. l'ebr. hata; al plur., indica i p. personali; al sing., molto spesso esprime sia la potenza, del p., sia la nozione generica del p. Da questi termini si deduce la definizione del p.: mancanza, contro Dio (contro la sua volontà), che produce un debito e muove l'ira divina. Gesù precisa che il p. viene dal cuore, cioè dalla facoltà spirituale dell'uomo, sede dei suoi pensieri, dei suoi desideri, fonte delle sue decisioni coscienti (Mt. 15, 10-20; Mc. 7, 14.23): Ma scorge in Satana l'autore del p. (Io. 8, 41.44; Mc. 1, 13; 8, 33). La liberazione dal p. è opera esclusiva del Redentore; egli solo lo può (v. Romani, lettera ai) e l'ha fatto (Rom. 6 ecc.); egli con la sua morte ci ha riscattato (Mt. 20, 28: «Il Figliuol dell'uomo, non è venuto a esser servito, ma a servire, e a dare la sua vita in riscatto per tutti)); cf. Phil. 2, 5-11: 1Cor. 6, 20; 7, 23; Rom. 3, 24 s., ecc.). Egli è venuto a portare la salvezza a tutti coloro che erano perduti (Mt. 9, 13; 10, 6; 15, 24; Lc. 19, 9.10; 10.10, 91; 12, 47; ecc.). Egli è l'agnello che toglie il p. del mondo (Io. 1, 19-33). Non c'è pagina, in cui più profondamente e adeguatamente venga offerta la psicologia del peccatore, le vie, gli effetti del p. in noi; e, d'altra parte, l'accesso al ritorno, al pentimento; l'azione, la risposta di Dio; della parabola del figliuol prodigo (Lc. 15, 11-32). «Vi è più festa in cielo per un solo peccatore, che si converte, che per novantanove giusti che non han bisogno di pentimento» (Lc. 15, 7). La prima condizione per ottenere il perdono, è il riconoscimento della propria miseria (Lc. 18, 13 s.), della propria indegnità; il desiderio della nuova vita, l'amore (Lc. 7, 42.47- 50), Gesù ha comandato e comunicato agli Apostoli, alla Chiesa il suo senso di misericordia, e il potere di rimettere i p. (Io. 20, 22 s.). Incentivo al p.; anche per il battezzato, rimane la concupiscenza, i pravi istinti della nostra carne; il seguirli porta alla morte eterna; perciò la necessità della mortificazione, della preghiera (Rom. 7; Gal. 5, 16- 6, 10; 1Cor. 9.10; Lc. 13, 5; 1Cor 9, 27 «maltratto il mio corpo e lo rendo schiavo, perché non accada che dopo aver predicato agli altri, io stesso divenga reprobo»; Mt. 26, 41; Lc. 21, 36; 1Ts. 5, 17 «pregate incessantemente»).

BIBL. - v. ***, in ThWNT, I, pp, 267. 336; Ibid., III, pp, 302-311; P. HEINISCH, Teologia del Vecchio Testamento, (trad. it.), Torino 1950, pp. 273-94; .l'. GUILLET, Thèmes Bibliques, Paris 1951, pp, 94-129, 141-49, 151-58; L, CERFAUX, Le Christ dans la théologie de s. Paul, ivi 1951, pp. 105-117; J. BONSIRVEN, Teologia del N. T., (trad. it.), Torino 1952, pp. 54-59; ID., Il Vangelo di Paolo, Roma 1951, pp. 113 ss. 121-28; F. SPADAFORA, Collettivismo e individualismo nel V. T., Rovigo 1953, pp. 331 s. 347-50. 94 s. 222-30.

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