PACE - PADRE - DIZIONARIO BIBLICO

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PACE - PADRE
PACE
Vecchio Testamento
Il senso fondamentale dell'ebraico salom, che si suol tradurre con p. è "benessere", con varie sfumature: sanità («T'informerai presso i tuoi fratelli circa il loro s.», I Sam 17, 18; cf. Is. 38, 17), sicurezza («Chiedete lo S. di Gerusalemme: siano al sicuro quelli che ti amano»: Ps. 122, 6 ss.; Ier. 29, 7), incolumità («Lasciare che un nemico se ne vada con s.», 2Sam 3, 21.23), prosperità «S. a te, alla tua casa, a quanto possiedi!», 1Sam 25, ,6), successo «Lo s. della guerra [!]», 2Sam 11, 7; cf. 18, 28). Perciò le lettere cominciano con «Al tale, s. nella sua totalità» (Esd. 5, 7), oppure: «Il vostro s. si moltiplichi» (Dan. 3, 31; cf. Lettere di Lachis e di Elefantina); la formola di saluto è «S. a te» (Iudc. 19, 20), e quella di commiato «Va con s.» (1Sam 1, 17), L'opposto dunque dello S. è il male in genere (Is. 45, 7), solo secondariamente la guerra e le liti in ispecie (Eccle. 3, 8), essendo la loro assenza postulata dall'idea di benessere: se due persone o popoli sono concordi, «c'è S. tra» loro (Iudc. 4, 17; 1Sam 7, 14); uno da cui nulla ho da temere è «l'uomo del mio s.» (Ps. 41, 10). Ora questo S. è un dono di Dio (Is. 45, 7; Iob 25, 2; Ps. 147, 14); lo merita il giusto (Is. 32, 17; Ps. 11 lì, 165; Prov. 3, 2); nemico dello s. è il peccato (Is. 48, 18); non c'è infatti s. per gli empi (Is. 48, 22). Una grande restituzione di s. a tutta l'umanità, che l'ha perduto per il peccato, avverrà ad opera del Messia (Is. 53, 5; 57, 19): il patto messianico sarà essenzialmente «un patto di s.» (Is. 54, 10), di s. abbondante (Ps. 72, 3.7), senza fine (Is. 9, 7), ed il Messia sarà «principe di s.» (Is. 9, 6), anzi lo s. stesso (Mi. 5, 5): e Dio «parlerà di s.» anche ai Gentili (Zach. 9, 10).
Nuovo Testamento
Nel Nuovo Testamento, il termine adoperato è ***, che per i Greci valeva tranquillità pubblica immune da risse, concordia tra le nazioni per l'assenza di guerre (così anche in Mt. 10, 34; At. 12, 40; Ap. 6, 4). Ma abitualmente in *** è trasferito il complesso di significazioni di s. (per il benessere in genere cf. le formole di commiato: At. 15, 33; 16, 36; I Cor 16, 11), con assoluta preponderanza del seno so messianico, inteso di quel bene d'ordine soprannaturale che il Messia Gesù ha realizzato sulla terra e in cielo (Lc. 2, 14; 19, 38), togliendo per sempre ogni inimicizia tra Dio e gli uomini «Giustificati dunque dalla fede, abbiamo p. con Dio», Rom. 5, 1), tra Israeliti e Gentili (Eph. 2, 14), meritando ci ogni bene celeste (Eph. 1, 3-14). Questa "p." Gesù ha lasciato ai suoi Apostoli (Io. 14, 27) ed essi l'annunciano a tutti (Mt. 10, 12 s.), l'augurano all'inizio d'ogni loro lettera insieme alla "grazia" di Dio (1Ts. 1, 1; Rom. 1, 7; I Pt. 1, 2 ecc.), ché qui sta tutto il "vangelo" (Eph. 6, 15). Ed essa "domina nei cuori" dei singoli cristiani (Col. 3, 15), dolce certezza di salute, fonte di gioia interiore che può avere continuo incremento (Rom. 15, 13).
[G. B.]

BIBL. - G. VON RAD-FOESTER, in ThWNT, n, pp. 398-418; L. CERFAUX, Le Christ dans la théologie de s. Paul, Parigi 1951, p. 110 s.; J. BONSIRVEN. Il Vangelo di Paolo. Roma 1951. p. 308.

PADRE
Il termine dice generatore, conservatore, educatore amorevole e fermo, tutto dedito al bene vero della sua prole. Fa perciò parte della terminologia religiosa d'ogni tempo e paese (Egitto, Assiria-Babilonia, popoli primitivi).
I. Vecchio Testamento
Nell'antica economia il patto di Dio è avvenuto in primo luogo con la nazione, e solo secondariamente con i singoli individui. 1. D'Israele in quanto nazione Dio stesso si proclama P.: «Figlio mio, mio primogenito è Israele» (Ex. 4, 22); «Quando Israele era fanciullo, l'amai tanto che fin dall'Egitto chiamai il mio figliolo ... Son io che insegnai ad Efraim a camminare, me lo presi in braccio,... me l'avvicinai alle guance come un lattante, m'inchinai per cibarlo» (Os. 11, 1-4). Dio ha generato Israele (Deut. 32, 6), l'ha sorretto, come un figlio piccolino, durante l'esodo (ivi 1, 31), ma non gli ha risparmiato la necessaria correzione (ivi 8, 5). Perciò Israele si rivolge di frequente a Dio come a suo P.: «Tu sei nostro P.! Abramo non sa chi siamo, Israele non ci riconosce, ma tu, o Signore, sei il P. nostro ... Noi siamo l'argilla, tu colui che ci formi, e noi siam tutti l'opera delle tue mani!» (Is. 63, 16; 6-4, 8; cf. pure Ier. 3, 4.19; Sap. 2, 16; Eccli. 23, 1 ecc.). 2. Che il singolo israelita chiami Dio suo P. è cosa assai più rara. Va tuttavia ricordato l'uso frequente, anche in epoche antichissime, di nomi teofori con il composto "p.": p. es. Abisu («mio P. [= Dio] è salvezza!»), Absalòm («il P. è pace»), Abijjah («mio P. è Iahweh!»), Eliab («il mio Dio è P.»), ecc. Ma i passi più espliciti sono degli ultimi secoli precristiani: «O Signore, tu sei mio P.!» (Eccli. 51, 10); gli empi dicono del giusto che cc vanta per p. Iddio» (Sap. 2, 16 s.; cf. 5, 5). Va pure ricordato, a parte, che Dio promise di far da padre in modo tutto speciale ai discendenti della linea davidica regia (2Sam 7, 14; Ps. 89, 27).
II. Nuovo testamento
1. Sta a sé la paternità di Dio rispetto a Gesù, Verbo di Dio incarnato: la Persona del Verbo, che assume nel tempo la natura dell'uomo nascendo da donna, fu generata ab aeterno dal P. Mai Gesù dice «P. nostro», ma sempre «P. mio» (Io. 5, 17 s.; Mt. 26, 29.39 ecc.); e negli scritti apostolici c'è tutta una serie di testi in cui si parla di Dio come di «P. del Signor nostro Gesù Cristo» (Rom. 15, 6; 2Cor 1, 3; 1Pt. 1:3 ecc.), ed un'altra serie in cui P. è termine trinitario correlativo a Figlio (1 Io. 1, 3.23 s.; 1Pt. 1, 2 ecc.; cf. pure Mt. 28, 19).
2. «P. nostro che sei nei cieli» ricorre anche nel giudaismo dell'epoca di Cristo (con riferimento esclusivo ad Israele), ma Gesù ha fatto di questo concetto il centro della sua dottrina, estendendolo a tutta l'umanità (Mt. 5, 45). Era l'immediata conseguenza dell'incarnazione e redenzione: se ciascuno dei redenti forma con Cristo un'unità reale-mistica, quale intercorre tra il capo e le membra (Eph. 1. 22 s.), tra la vite e i tralci (Io. 15, 1-8), ogni redento, a qualunque razza appartenga, diventa figlio adottivo di Dio (Rom. 8, 15 S8.), «partecipe della natura divina» (2Pt. 1, 3 s.). Allora colui che è di Cristo non ha più motivo d'affannarsi per il vitto e il vestito, avendo un P. in cielo (Mt. 6, 26-34); potrà tutto chiedere con fiducia a un tal P. (Mt. 7, 11), certo che il P. lo ama (Io. 16, 26 s.), che ha cura anche d'un solo capello del suo capo (Mt. 10, 29 s.). Dottrina con altrettanta frequenza inculcata negli scritti apostolici (1Ts. 1, 3; 3, 11.13; 2Ts. 1, 1; I Cor 1, 3; 2Cor 1, 2; Gal. 1, 3,4; 4.5 s.; Rom. 1, 7; 8, 15 s.; 1Pt. 1, 17 ecc.). Anzi il cristiano ha imparato a parlare di Dio come del "P." senz'altra determinazione (Iac. 1,27; 3, 9; 110. 2, 15 s.; 3, 1; 2 Io. 4; Iud. 1 ecc.). 3. Da questa realtà sgorgano molteplici doveri per i «figli del P. celeste»: eseguirne la volontà (Mt. 7, 21), zelarne l'onore e cooperare alla realizzazione dei suoi disegni sulla terra, amare e perdonare i fratelli perché anch'essi figli dello stesso P. (Mt. 6, 9-12).

BIBL. - J. M. LAGRANGE, La paternité de Dieu dans l'A. T., in RE. 1908, p. 481-99; ID., Le Judaisme avant Jésus-Christ. Parigi 1931. pp. 459-63; P. HEINISCH, Teologia del V. T., Torino 1950, pp. 103-107; J. BONSIRVEN, Teologia del N. T., ivi 1952, pp. 30-35. 95- 103. 166-95.
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