ZARRI A. Impazienza di Adamo. Ontologia della sessualità, Boria, Torino 1964.
Nel suo saggio Impazienza di Adamo. Ontologia della sessualità, la Zarri cerca di affrontare seriamente una riflessione non soltanto sulla donna, ma sulla sessualità umana in vista di una «spiritualità dei sessi» come modo differenziato di tendere a Dio. La considerazione dei sessi è risolta con il riferimento alla Trinità, senza la quale «niente può essere compreso appieno» . Per questo A. Zarri non esita a portare il discorso sul mistero trinitario chiedendosi espressamente in che modo si possa parlare di sessi come immagine dell'unitrinità di Dio. La risposta è condensata in queste parole: «Il sesso non trova in Dio una rispondenza biologica, come talvolta la trovava in certi dei pagani, fatti su misura dell'uomo; ma trova una rispondenza metafisica... Dio contiene l'archetipo dell'Uomo e, in questo archetipo, c'è un movimento interno che si riflette nel movimento umano della sessualità». Qual è quest'immanente divenire nella stessa divinità? È il movimento interno per cui «l'essere divino ... è - e pienamente è - solo nel cerchio delle tre Persone». Dio è uno, ma raggiunge - possiamo dire - la pienezza dell'unità attraverso le opposizioni relazionali che sono il cardine della Trinità: attraverso la dimensione pluralistica trinitaria Dio tocca l'unità.
La vicenda trinitaria si riflette nell'uomo attraverso un triplice processo:
A) Adamo, ossia l'Uomo, giace immerso nel sonno: in lui dorme l'intera sostanza umana non ancora definita nella polarità maschile e femminile. È l'uomo iniziale e potenziale, il primo gomitolo dell'essere, compatta completezza di entità inarticolata. Ma Adamo è inquieto perché è una realtà monistica: è un'uniformità gravida di latenti contrasti, una immanente pluralità non ancora svolta e condotta all'unità.
B) Segue il momento della pluralità effettiva: è la nascita di Eva e di Adamo come realtà consapevoli del proprio sesso. Adamo solo è triste: è l'essere che non può raggiungere la pienezza senza il divenire. Eva, che con il suo apparire gli dà la possibilità di maturare e di svolgersi nella storia, rappresenta il momento della molteplicità, della parzialità, del divenire. La femminilità è il cammino storico e metafisica dell'uomo. Ma in Eva la femminilità si è orientata verso il male, trasformando la mera possibilità di peccare in peccato. Eva è la separatrice, non perché la sua realtà sia un male, ma perché si è configurata in un divenire negativo che «non rigiunge all'essere e all'uno ma si disperde nella varietà». La femminilità trova allora il suo polo positivo in Maria, l'unificatrice. La Vergine è ripetizione e antitesi di Eva. Maria raccoglie tutta la carne generata da Adamo per offrirla e trascenderla nell'incontro col Verbo.
C) Cristo, Verbo Incarnato segna il terzo momento della vicenda umana: l'unità, è soluzione del monismo attraverso il pluralismo. « È solo nel Cristo - dopo la strada di Eva e l'unificazione di Maria - che l'uomo tocca l'unità e la virilità nella piena misura conferitale da quel cammino storico e metafisico». Cristo è il nuovo Adamo; l'uomo finale e pienamente attuato in cui la molteplicità degli uomini è trascesa non nella somma ma nell'unità. «In Cristo non c'è più né maschio né femmina» (Gal 32).
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Nonostante l'ancoraggio nella Trinità, dove sussiste la massima uguaglianza tra le persone, il ruolo della donna non viene riscattato dalla subalternità. Interpretando letteralmente il testo biblico che fa derivare la donna dall'uomo, la Zarri riconosce alla virilità una certa prevalenza sulla femminilità: «Il maschio è stato la casa della sostanza umana». Pertanto all'uomo compete la tipica attitudine di rappresentanza umversale dei due sessi, quale figura e simbolo della totalità nell'unità. Per questo Cristo è uomo, il sacerdote è uomo e la consacrazione della stirpe ebraica a Dio si fa attraverso la circoncisione maschile. Avendo derivazione esistenziale dall'uomo, la donna è essere relativo, essenzialmente sesso e parte. Essa tende all'uomo come suo principio; la sua missione è di rendergli possibile lo svolgimento e di fargli trovare l'unità dopo il processo. La donna ha dunque funzione mediatrice: è il punto centrale del destino umano e deve portare l'ascetismo umano alla mistica, l'amore antologico all'amore di Dio. In rapporto a Dio, la donna si qualifica nel ricevere, nel gesto della povertà che aspetta. La vocazione muliebre del ricevere, si fonda sulla natura stessa della donna che è la povertà della povertà avendo ncevuto da Adamo, il quale a sua volta ha ricevuto da Dio. Si spiega così perché la donna sia più portata alla religiosità (che è è un rapporto di attendere e ricevere prima vhe di dare) e abbia più attitudine alla mistica. Ha coscienza di non poter stare alla pari con Dio e con gli uomini: con più facilità accetta di essere beneficata; nel Vangelo non è presentata come farisea, ma come debitrice. Anche quando dà, come nella maternità, la donna si sente debitrice e passiva: sa che il suo stesso figlio le conferisce la fecondità rendendola madre e completandola come donna. Perfino di fronte ai sacrifici e al tradimento riceve affinamento dal dolore reso più puro. Per questo il moto più vero della donna è la riconoscenza.
La donna si rispecchia in Maria, che «Sola innocente della progenie d'Eva, è la più grande perdonata», ed insieme colei che riscatta la donna dalla maledizione di Eva: «La dimensione muliebre, maledetta dalla scelta di Eva, è stata benedetta dalla scelta di Maria, e la femminilità, dimensione nella quale si è incarnata la colpa, è anche la dimensione nella quale si è incarnato Iddio». Il culto della Vergine deve evitare di assumere un carattere frammentario, dispersivo e 'involutore', perché il suo compito è di risolversi nel culto cristocentrico, che è l'unità. Diversamente si scambia Maria con Eva: «Ma arrestarsi a un pluralismo culturale, lontano dal senso liturgico, unitario, cristocentrico, è negare le qualità catartiche, risolutrici, unificatrici di Maria: è quanto di più antimariano si possa concepire perché proietta su Maria la dispersione del peccato dal quale essa ha cominciato a salvarci dandoci l'Unificatore; la fa regredire al livello di Eva, la disgregatrice, l'anti-Maria. Ma Maria, proprio perché è la femminilità, va amata virilmente, in quella sua virtù unificatrice che è al sommo dell'azione muliebre. Perché la donna - al vertice: in Maria - è l'unificatrice, mentre l'uomo - al vertice: nel Cristo - è l'unità. La Maria che ci giova, la Maria che ci salva non è l'estenuazione in un marianesimo devozionale: è la risoluzione nel culto cristocentrico. Maria va amata non nella dispersione che è la misura d'Eva ma nell'unificazione che è la misura mariana: la sua misura: il vertice della femminilità che salva il problematicismo della storia portando i suoi dubbi, il suo tempo, la sua carne all'assoluta verità del Verbo».
Il tentativo della Zarri di interpretare trinitariamente (e secondo la struttura hegeliana) la vicenda dei sessi nel cammino storicosalvifico, non sembra aver un seguito nella teologia. Evidentemente si paventano forzature in campo trinitario più che in altri misteri e si stenta ad inoltrarvisi soprattutto a partire dal sesso.