PHILIPS G., L'Église et son mystère au II Concile du Vatican. Histoire, texte et commentaire de la constitution Lumen gentium, Paris, Descleé, 1968; IDEM, Le Saint'Esprit et Marie dans l'Eglise. Vatican II et perspective du problème, in Etudes mariales 25 (1968) pp. 9-11.
A) Al principale redattore del capitolo VIII, G. Philips, si deve il commento più autorevole ed oggettivo del medesimo. Esso non costituisce un libro a parte, ma è contenuto nel grande commento a tutta la Lumen gentium: L 'Eglise et son mystère au II Concile du Vatican. Con equilibrio e maestria il commentatore lovaniense precisa la intenzione del Concilio circa titoli controversi, come «madre della Chiesa» che non viene recepita perché è un'espressione rara e quindi non tradizionale e d'altra parte è difficile vedere Maria come origine di tutta l'istituzione di Cristo; perciò il Concilio si limita a chiamarla con s. Agostino «madre delle membra di Cristo» (LG 53). Egli fornisce poi la chiave di lettura dei paragrafi riguardanti l'infanzia e la vita pubblica di Gesù: «Maria è unita a suo Figlio nell'opera della redenzione, dal momento della concezione verginale di Gesù fino al mistero della sua passione inclusivamente». Seguono precisazioni sul linguaggio metaforico per esprimere la maternità di Maria nell'ordine della grazia, su Maria e la Chiesa, sul culto e la predicazione. La relativa brevità del commento non ha permesso a G. Philips di illuminare tutti i punti e di trarre una valutazione complessiva del testo mariano. Egli però fa altrove un equilibrato bilancio della dottrina mariana del Vaticano II: «Essa è tutta impregnata di profondo rispetto e di gratitudine per il mistero rivelato. E sobria, positiva, senza nulla di banale. La sua esposizione segue di proposito lo svolgersi dell'evento della salvezza, a partire dalle sue sorgenti più pure attraverso la storia divino-umana della comunità ecclesiale».
B) Intervenendo nel 1968 con il suo approfondito articolo Le Saint'Esprit et Marie dans l'Eglise sui rapporti di Maria con lo Spirito Santo, in ottica di precisione razionale, G. Philips si propone di «evitare il miscuglio tra le diverse metafore», che rischiano di «imbrogliare le idee», e indica tre «vie apparentemente senza uscita» per esprimere questi rapporti:
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1. Sponsalità di Maria in rapporto allo Spirito.
Il teologo lovaniense allarga la prospettiva ricordando che alcuni autori della «scuola francese» di spiritualità presentano Maria come sposa del Padre (Bérulle, Condren, Gibieuf, Olier), mentre Scheeben farà di Maria la sposa di Cristo «nella costruzione strana di una maternità sponsale... che ha lo svantaggio di voler enunciare insieme due figure tra loro incompatibili». Il titolo più diffuso resta quello che pone in rapporto sponsale Maria e lo Spirito Santo. G. Philips accetta il titolo di Maria «sposa dello Spirito santo», poiché «è chiaro che l'allegoria suppone precisamente la distinzione tra i due partners, e la trascendenza divina resta salva, almeno se non si perde di vista che dallo Spirito alla creatura non puo esistere una reciprocità come quella che caraterizza l'unione coniugale». È tuttavia da preferire - come ha fatto il Concilio - il titolo di santuario a quello di sposa, in quanto la matermta divina di Maria appartiene in modo singolare all'ordine della grazia, e dunque, secondo il linguaggio biblico, alla «inabitazione dello Spirito santo nel suo tempio d'elezione».
2. Femminilità della Ruah (Spirito) e di Maria.
È vero che il pensatore ortodosso P. Evdokimov, con i sofiologi russi, scorge un legame profondo tra lo Spirito, la Sofia, la Vergine e il femminile; è vero che lo Spirito, per lo più, in ebraico, è di genere femminile (ruah) ed è chiamato nei testi siriaci «consolatrice». Tuttavia, - nota G. Philips - la mentalità razionale d'occidente fa difficoltà a seguire questa via della femminilità per due motivi: «Nella Scrittura le persone divine sono completamente fuori di ogni sessualità;... quando lo Spirito discende sulla comunità ecclesia le in formazione, è proprio per unire la Chiesa come fidanzata eletta al Cristo-sposo».
3. Sterilità e fecondità dello Spirito attualizzata per mezzo di Maria.
Questo tema, risalente a Bérulle, rappresenta un tentativo meno riuscito, in quanto sostiene «Una passività che, per uno strano ritorno delle cose, diviene un principio sovranamente dinamico ed attivo». Grignion de Montfort segue l'esempio di Bérulle, ma sente il bisogno di aggiungere «Un commento restrittivo, che riconduce l'esposizione alle affermazioni correnti della teologia»: cioè lo Spirito santo non produce (ad intra) nessuna persona divina, ma attualizza (ad extra) la sua fecondità «producendo in Maria e per mezzo di lei Gesù Cristo e i suoi membri» (Trattato della vera devozione a Maria, n.21 ). Si ha qui un pensare rispettoso del mistero, ma che «non resiste alla tentazione d'una logica razionale sfiorante la contraddizione». G. Philips conclude indicando come linee di armonizzazione del ruolo dello Spirito con quello partecipato a Maria e alla Chiesa, le affermazioni che fanno della Chiesa - e in essa, in modo speciale e unico, di Maria - un luogo di incontro, una testimonianza e un segno della presenza attiva dello Spirito. Maria, più che rappresentare lo Spirito, è «innanzitutto l'icona della Chiesa terrena che è sotto l'azione dello Spirito». Nonostante il monito implicito di G. Philips a non imboccare le tre vie impercorribili della sponsalità, femminilità e fecondità, queste sono riemerse nel post-concilio per esprimere i rapporti tra Maria e lo Spirito santo.
Maria nella teologia contemporanea, pp. 115-116 e 278-279.