OBBEDIENZA - OVILE - DIZIONARIO DI TEOLOGIA BIBLICA

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O: OBBEDIENZA - OVILE

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  ................. LUIS MARTINEZ FERNANDEZ

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    OBBEDIENZA (inizio)

    Lungi dall’essere costrizione e sottomissione passiva, l’obbedienza, libera adesione al *disegno di Dio ancora racchiuso nel *mistero ma proposto dalla *parola alla *fede, permette all’uomo di fare della propria vita un *servizio di Dio e di entrare nella sua gioia.
    I. LA CREAZIONE OBBEDISCE A DIO
    Nella stessa *creazione, al di fuori dell’uomo, appare come un presentimento di questa obbedienza e di questa *gioia. Il fatto che il Signore metta un anello a Behemoth (Giob 40, 24) o schiacci Rahab (Sal 89, 11) costituisce la prova del suo dominio sovrano; il fatto che Gesù calmi la tempesta o scacci i *demoni costituisce la prova che, appunto come i demoni, «i venti ed il mare gli obbediscono» (Mt 8, 27 par.; Mc 1, 27), e questi atti di potenza provocano un *timore religioso; ma più che non il *silenzio dell’universo che riconosce il suo padrone, ciò che meraviglia la Bibbia e la muove al *ringraziamento, è lo slancio glorioso delle creature che accorrono alla voce di Dio: «Gli *astri brillano... nella gioia; egli li chiama ed essi dicono: "Eccoci!" e brillano con gioia per colui che li ha creati» (Bar 3, 34 s; cfr. Sal 104, 4; Eccli 42, 23; 43, 13-26). Dinanzi a questo ardore delle creature più belle nel compiere la missione che Dio assegna loro nel suo universo, l’umanità «racchiusa nella disobbedienza» (Rom 11, 32) evoca inconsciamente e dolorosamente ciò che avrebbe dovuto essere la sua obbedienza, e Dio le fa intravvedere e sperare quel che può essere l’obbedienza spontanea ed unanime della creazione liberata mediante l’obbedienza del suo Figlio (Rom 8, 19-22).
    II. IL DRAMMA DELLA DISOBBEDIENZA
    1. Fin dalle origini, *Adamo disobbedisce a Dio, trascinando nella sua ribellione tutti i suoi discendenti (Rom 5, 19) ed assoggettando la creazione alla vanità (8, 20). Per contrasto, la rivolta di Abramo fa vedere quel che è l’obbedienza e quel che Dio si aspetta da essa: è la sottomissione dell’uomo alla *volontà di Dio, l’esecuzione di un comando di cui non vediamo il senso ed il valore, ma di cui percepiamo il carattere di imperativo divino. Se Dio esige la nostra obbedienza, si è perché ha un disegno da compiere, un universo da costruire, e gli occorre la nostra collaborazione, la nostra adesione nella fede. La *fede non è 1’obbedienza, ne è il segreto; l’obbedienza è il segno ed il frutto della fede. Se Adamo disobbedisce, si è perché, dimenticando la *parola di Dio, ha ascoltato la voce di Eva e quella del tentatore (Gen 3, 4 ss).
    2. Per salvare l’umanità, Dio suscita la fede di *Abramo e, per accertarsi di questa fede, la fa passare attraverso l’obbedienza: «Lascia la tua terra» (Gen 12, 1), «cammina alla mia presenza e sii perfetto» (17, 1), «Prendi il tuo figlio... offrilo in olocausto» (22, 2). Tutta l’esistenza di Abramo poggia sulla parola di Dio, ma questa parola gli impone continuamente di avanzare alla cieca e di compiere atti il cui senso gli sfugge. Perciò l’obbedienza è per lui una *prova, una tentazione di Dio (22, 1), e per Dio una testimonianza inestimabile: «Non mi hai rifiutato il tuo figlio, il tuo unico» (22, 16).
    3. L’alleanza suppone esattamente lo stesso comportamento: «Tutto ciò che Jahvè ha detto, noi lo faremo e gli obbediremo», risponde Israele aderendo al patto che Dio gli propone (Es 24, 7). L’*alleanza implica una carta, la *legge, una serie di comandamenti e di istituzioni che inquadrano l’esistenza di Israele e sono destinati a farlo vivere come *popolo di Dio. Parecchie di queste disposizioni impongono doveri di obbedienza agli uomini, verso i genitori (Deut 21, 18-21), i re, i profeti, i sacerdoti (17, 14 - 18, 22). Spesso questi doveri sono già insiti nella natura dell’uomo, ma la parola di Dio, incorporandoli nella sua alleanza, fa della sottomissione dell’uomo un’obbedienza nella fede. Poiché la *fedeltà alla legge non è vera che nella adesione alla parola ed all’alleanza di Dio, l’obbedienza ai suoi precetti non è una sottomissione da schiavi, ma un atto di *amore. Già il primo decalogo opera il collegamento: «... coloro che mi amano ed osservano i miei comandamenti» (Es 20, 6); il Deuteronomio lo riprende e lo sviluppa (Deut 11, 13. 22); i salmi celebrano nella legge il grande dono di amore di Dio agli uomini e la fonte di un’obbedienza d’amore (Sal 19, 8-11; 119).
    III. CRISTO, NOSTRA OBBEDIENZA
    Ma nessuno obbedisce a Dio. Israele è «una casa ribelle» (Ez 2, 5), «dei figli ribelli» (Is 1, 2); «ponendo il suo vanto nella legge, egli disonora Dio trasgredendola» (Rom 2, 23); non può accampare alcuna superiorità sul pagano, è con esso «racchiuso nella disobbedienza» (3, 10; 11, 32). *Schiavo del *peccato, l’uomo, che nondimeno vi aspira in fondo al suo io, è incapace di obbedire a Dio (7, 14). Per giungervi, per trovare «la legge nel fondo del suo essere» (Ger 31, 33), bisogna che Dio mandi il suo *servo, «ogni mattina risvegli il [suo] orecchio» (Is 50, 4), affinché questi possa dire: «Ecco, io vengo... per fare le tue volontà» (Sal 40, 7 ss). «Come per la disobbedienza di uno solo gli altri sono stati costituiti peccatori, così per l’obbedienza di uno solo gli altri saranno costituiti giusti» (Rom 5, 19). L’obbedienza di *Gesù Cristo è la nostra salvezza e ci dà modo di ritrovare l’obbedienza a Dio. La vita di Gesù Cristo fu, sin «dal suo ingresso nel mondo» (Ebr 10, 5) e «fino alla morte di croce» (Fil 2, 8), obbedienza, cioè adesione a Dio attraverso una serie di intermediari: persone, eventi, istituzioni, Scritture del suo popolo, *autorità umane. Venuto «per fare non la [sua] volontà, ma la volontà di colui che [lo] ha mandato» (Gv 6, 38; cfr. Mt 26, 39), egli trascorre tutta la sua vita nei doveri normali dell’obbedienza ai genitori (Lc 2, 51), alle autorità legittime (Mt 17, 27). Nella *passione spinge l’obbedienza al culmine, abbandonandosi senza resistere a poteri disumani ed ingiusti, «facendo attraverso tutte le sue sofferenze la esperienza della obbedienza» (Ebr 5, 8), facendo della sua morte il *sacrificio più prezioso a Dio, quello dell’obbedienza (10, 5-10; cfr. 1 Sam 15, 22).
    IV. L’OBBEDIENZA DEL CRISTIANO
    Divenuto per la sua obbedienza «il *Signore» (Fil 2, 11), investito di «ogni potere in cielo ed in terra» (Mt 28, 18), Gesù Cristo ha diritto all’obbedienza di ogni creatura. Per mezzo suo, per mezzo dell’obbedienza al suo vangelo ed alla parola della sua *Chiesa (2 Tess 3, 14; Mt 10, 40 par.), l’uomo raggiunge Dio nella fede (Atti 6, 7; Rom 1, 5; 10, 3; 2 Tess 1, 8), sfugge alla disobbedienza originale ed entra nel *mistero della salvezza: Gesù Cristo è l’unica *legge del cristiano (1 Cor 9, 21). Questa legge comprende pure l’obbedienza alle autorità umane legittime, genitori (Col 3, 20), padroni (3, 22), sposi (3, 18), poteri pubblici, riconoscendo dovunque «l’autorità di Dio» (Rom 13, 1-7). Ma il cristiano, non obbedendo mai che per *servire Dio, è capace, se occorre, di sfidare un ordine ingiusto e di «obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (Atti 4, 19).
    C. AUGRAIN e J. GUILLET
    → Abramo I 2, II 3 - allean
    za VT II 2 - ascoltare 1 - autorità - disegno di Dio - fede - fedeltà - legge - peccato I 1, IV 3 - pietà VT 2 - prigionia - seguire 1 - servire II 2 - servo di Dio III 2 - virtù e vizi 1 - vocazione - volontà di Dio.

    OCCHIO (inizio)

    → luce e tenebre VT II 1.2; NT II 3 - scandalo II - semplici - vedere.

    ODIO (inizio)

    L’odio è il contrario dell’amore, ma gli è pure vicinissimo. Se l’amore di Amnon per Thamar si cambia d’un subito in avversione violenta, si è perché la sua passione era ardente (2 Sam 13, 15). Molte formule bibliche, che presentano in modo assoluto l’antitesi amore-odio (Mt 5, 43; 6, 24), suppongono questa reazione naturale dell’amore, di prendere in orrore ciò a cui più teneva. È lo stato d’animo supposto dal Deuteronomio nel caso del marito che ripudia la moglie (Deut 22, 13. 16). Questa violenza nelle reazioni è alla base del linguaggio semitico, che ricorre volentieri alle antitesi, senza notare le sfumature intermedie. Ma la realtà non sempre risponde al vigore del linguaggio, ed in una famiglia poligamica si può dire che la moglie non preferita, oppure semplicemente meno amata, è odiata (Deut 21, 15; cfr. Gen 29, 8. 31 ss). Queste osservazioni possono spiegare talune formule sorprendenti (Lc 14, 26; cfr. Mt 10, 37), ma lasciano intatto il problema religioso posto dall’odio: perché e come l’odio si presenta nell’umanità? Che vuol dire la Bibbia quando ne applica la nozione a Dio? Quale atteggiamento ha assunto Cristo di fronte all’odio?
    I. L’ODIO TRA GLI UOMINI
    1. Il mondo in balia dell’odio.
    - L’odio tra gli uomini è un fatto di sempre. La Genesi ne nota la presenza già nella prima generazione umana (Gen 4, 2-8) ed i sapienti sanno osservarlo con occhio lucido (Prov 10, 12; 14, 20; 19, 7; 26, 24 ss.; Eccli 20, 8). Ma su questo fatto la Bibbia dà un giudizio degno di riguardo. L’odio è un male, frutto del peccato, perché Dio ha fatto gli uomini *fratelli affinché vivano nel mutuo *amore. II caso tipico di Caino fa ben vedere qual è il processo dell’odio: nato dalla gelosia, tende alla soppressione dell’astro e porta all’omicidio. Ciò basta a denunciarne l’origine diabolica, come spiega il libro della Sapienza: invidioso della felicità dell’uomo, il demonio lo ha preso in odio e ne ha provocato la morte (Sap 2, 24). Da allora il mondo è in balia dell’odio (Tito 3, 3).
    2. Il giusto è oggetto di odio.
    - Fin dalle sue origini lontane, lo schema «invidia - odio - omicidio» si applica sempre nello stesso senso: l’empio odia il *giusto e si comporta come suo *nemico. Così Caino verso Abele, Esaù verso Giacobbe, i figli di Giacobbe verso Giuseppe, gli Egiziani verso Israele (Sal 105, 25), i re empi verso i profeti (1 Re 22, 8), i malvagi verso i pii dei salmi, gli stranieri verso l’unto di Jahvè (Sal 18; 21), verso Sion (Sal 129), verso Gerusalemme (Is 60, 15). È quindi una legge permanente: colui che Dio ama è odiato, sia che la sua scelta susciti l’invidia, sia che egli costituisca un rimprovero vivente per i peccatori (Sap 2, 10-20). Ad ogni modo, attraverso il sito eletto, Dio stesso è preso di mira e diventa oggetto di odio (1 Sam 8, 7; Ez 3, 7).
    3. Il giusto può odiare?
    - In risposta a quest’odio, di cui è vittima, il giusto può odiare? All’interno del popolo di Dio è prescritto di amare il *prossimo (Lev 19, 17 s); perciò la legislazione ordina di mettere a morte l’assassino che ha ucciso per odio (Deut 19, 11 ss), nel momento stesso in cui si sforza di mitigare la pratica della *vendetta del sangue con l’istituzione delle città di asilo (Deut 19, 1-10). Ci sono tuttavia altri casi: quelli dei malvagi che odiano i giusti, quello dei nemici del popolo di Dio; gli uni e gli altri si comportano come nemici di Dio (Num 10, 35; Sal 83, 3). Ma su questo fatto la Bibbia emette un giudizio oggettivo (Prov 10, 12; 14, 20; 19, 7; 26, 24 ss; Eccli 20, 8). La condotta, che qui l’amore di Dio detta, può apparire sorprendente. Israele odierà i nemici di Dio per non imitarne la condotta; questo è il senso della *guerra santa (cfr. Deut 7, 1-6). Il giusto sventurato, che sarebbe tentato di invidiare i malvagi e di imitarli (Prov 3, 31; Sal 37; 73), per guardarsi dal peccato, odierà il partito dei peccatori (Sal 26, 4 s; 101, 1 ss). «Amare coloro che odiano Jahvè» (2 Cron 19, 2) sarebbe scendere a patti con gli empi e diventare infedeli (Sal 50, 18-21). All’amore geloso di Dio deve rispondere un amore totale (Sal 119, 113; 97, 10). Bisogna abbracciare in tutto la sua causa: amare ciò che egli ama, odiare ciò che egli odia (Am 5, 15; Prov 8, 13; Sal 45, 8). Come non odiare quindi coloro che lo odiano (Sal 139, 21 s)? Questo atteggiamento non è esente da ambiguità e da pericolo: non si giungerà facilmente a vedere in ogni nemico personale o nazionale un nemico di Dio per riservare egoisticamente a sé i privilegi dell’*elezione divina? Il pericolo non era chimerico: votando «un odio eterno» al partito di Belial, i settari di Qumrân identificavano di fatto il «partito di Dio» con il loro gruppo chiuso. «Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico» (Mt 5, 43): non era la lettera della legge antica, ma molti ammettevano questa interpretazione abusiva, dettata da uno stretto esclusivismo.
    II. C’È ODIO IN DIO?
    Come si può parlare di odio a proposito del Dio di amore? Effettivamente Dio non può odiare nessuno degli esseri che ha creato (Sap 11, 24), e sarebbe ingiuria accusarlo di odio per il suo popolo (Deut 1, 27; 9, 28). Ma il Dio di amore è anche il Dio *santo, il Dio geloso. Il suo stesso amore implica una repulsione violenta per il *peccato. Egli odia 1’*idolatria, quella dei Cananei (Deut 12, 31; 16, 22) o quella di Israele (Ger 44, 4). Odia 1’*ipocrisia cultuale (Am 5, 21; Is 1, 14), la rapina ed il delitto (Is 61, 8), il falso giuramento (Zac 8, 17), il ripudio (Mal 2, 16), e più generalmente la collezione di peccati enumerati in Prov 6, 16-19. Ora il peccatore, in certo modo, fa corpo con il suo peccato; si mette in posizione di *nemico (cioè di «odiatore» di Dio: Es 20, 5; Deut 7, 10; Sal 139, 21; Rom 1, 30). L’incompatibilità totale, che con la sua colpa egli pone tra sé e Dio, è resa pure nella Bibbia in termini di odio: Dio odia il *violento (Sal 11, 5), l’idolatra (Sal 31, 7), l’ipocrita (Eccli 27, 24) ed in generale tutti i malfattori (Sal 5, 6 ss). Odia Israele infedele (Os 9, 15; Ger 12, 8), come ha odiato i Cananei a motivo dei loro delitti (Sap 12, 3). Il caso è un po’ più complesso quando dichiara: «Ho amato Giacobbe e odiato Esaù» (Mal 1, 2; Rom 9, 13); qui Giacobbe designa Israele, e Esaù Edom (Mal 1, 4; cfr. Gen 25, 30; 32, 28); Dio stigmatizza inoltre le violenze di Edom nei confronti di Israele (cfr. Sal 137, 7; Ez 25, 12 ss; Ab 10, 14); dimostra poi con quest’espressione l’*elezione implica una preferenza, simile a quella dell’uomo che «ama» una delle sue spose e «odia» l’altra (cfr. Gen 29, 31 ss; Rom 9, 11 ss). Ma se questa preferenza e questa repulsione sono realtà molto positive, nelle quali Dio si afferma con tutta la sua forza, non si può tuttavia dar loro il nome di odio se non a condizione di purificare questa parola da tutto ciò che, nel nostro mondo peccatore, essa implica di rancore malvagio, di volontà di nuocere e di distruggere. Se Dio quindi odia il peccato, si può dire che Dio odia veramente il peccatore, egli che «non vuole la sua morte, ma che si *converta e viva» (Ez 18, 23)? Attraverso l’*elezione ed il *castigo Dio persegue un unico disegno di amore su tutti gli uomini; sarà il suo *amore ad avere l’ultima parola. Esso è pienamente rivelato in Gesù. Perciò il NT non parla mai di odio in Dio.
    III. GESÙ DI FRONTE ALL’ODIO
    1. L’odio del mondo contro Gesù.

    - Comparendo in un mondo agitato dalla passione dell’odio Gesù ne vede convergere verso di sé le diverse forme: odio dell’eletto di Dio che si invidia (Lc 19, 14; Mt 27, 18; Gv 5, 18), odio del giusto la cui presenza significa condanna (Gv 7, 7; 15, 24); i capi di Israele lo odiano pure perché vogliono riservare a se stessi l’elezione divina (cfr. Gv 11, 50). D’altronde, dietro di essi, è tutto il *mondo malvagio ad odiarlo (Gv 15, 18): in lui odia la *luce, perché le sue *opere sono malvagie (Gv 3, 20). Si compie così il mistero, annunziato nella Scrittura, dell’odio cieco, senza motivo (Gv 15, 25): al di là di Gesù, esso ha di mira lo stesso Padre (Gv 15, 23 s). Gesù quindi muore, vittima dell’odio; ma con la sua morte uccide l’odio (Ef 2, 14. 16), perché questa morte è un atto di *amore che introduce nuovamente l’amore nel mondo e ve lo fissa definitivamente.
    2. L’odio del mondo contro i cristiani.
    - Chiunque *segue Gesù conoscerà la stessa sorte. I *discepoli saranno odiati, «a motivo del suo *nome» (Mt 10, 22; 24, 9). Non devono stupirsene (1 Gv 3, 13); anzi se ne devono rallegrare (Lc 6, 22), perché così sono associati al destino del loro maestro; il mondo li odia perché non sono del mondo (Gv 15, 19; 17, 14). Si rivela così il *nemico che agiva fin dalla origine (Gv 8, 44); ma Gesù ha pregato per essi, non perché siano tolti dal mondo, ma perché siano salvaguardati dal maligno.
    3. Odiare il male e non gli uomini.
    - Come Gesù, contro il quale il principe di questo mondo non può nulla (Gv 14, 30; 8, 46), come il Dio santo, il Padre santo (Gv 17, 11), così anche i discepoli avranno l’odio del male. Sapranno che c’è incompatibilità radicale tra Dio ed il mondo (1 Gv 2, 15; Giac 4, 4), tra Dio e la *carne (Rom 8, 7), tra Dio ed il denaro (Mt 6, 24). Per sopprimere in sé ogni complicità con il male, essi rinunceranno a tutto e giungeranno fino ad odiare se stessi (Lc 14, 26; Gv 12, 25). Ma di fronte agli altri uomini non ci sarà odio alcuno nel loro cuore: «chi odia il proprio fratello è nelle tenebre» (1 Gv 2, 9-11; 3, 15). L’amore è la sola regola, anche nei confronti dei nemici (Lc 6, 27). Al termine di questa storia dell’odio, la situazione per il cristiano è quindi chiara, e una netta linea di condotta è stata tracciata: amare tutti gli uomini, odiare se stesso. L’uomo senza Cristo (Ef 2, 11 ss; Tito 3, 3 s) poteva immaginare di trovare nell’odio una affermazione di sé, ma il tempo di Caino è passato; il cristiano sa che solo l’amore fa vivere e rende simile a Dio (1 Gv 3, 11-24).
    J. BRIÈRE
    → amore - fratello VT 1 - guerra NT II 1 - ira - nemico - peccato IV 2 c - persecuzione I 1 - vendetta - violenza.

    ODORE (inizio)

    → profumo.

    OFFERTA (inizio)

    → altare - culto - dono VT 2; NT 2 - eucaristia IV 2, V - pane II - primizie - profumo 2 - sacrificio - vino I 2.

    OFFESA (inizio)

    → peccato III 2 - perdono - vendetta.

    OLIO (inizio)

    1. L’olio, dono di Dio.
    - Con il frumento ed il *vino, l’olio è uno degli alimenti essenziali, con cui Dio sazia il suo popolo fedele (Deut 11, 14) nella terra, ricca di olivi (Deut 6, 11; 8, 8), dove lo ha collocato gratuitamente. Esso appare come una *benedizione divina (Deut 7, 13 s; Ger 31, 12), la cui privazione castiga l’infedeltà (Mi 6, 15; Ab 3, 17), la cui abbondanza è segno di salvezza (Gioe 2, 19) e simbolo della felicità escatologica (Os 2, 24). D’altronde l’olio non è soltanto un nutrimento indispensabile, anche in tempo di carestia (1 Re 17, 14 s; 2 Re 4, 1-7); è un unguento che profuma il corpo (Am 6, 6; Est 2, 12), fortifica le membra (Ez 16, 9) e lenisce le piaghe (Is 1, 6; Lc 10, 34); infine l’olio delle lampade è fonte di luce (Es 27, 20 s; Mt 25, 3- 8). Di quest’olio non bisogna servirsi per rendere culto ai Baal, come se da essi venisse la fecondità della terra, né per procurarsi la alleanza degli imperi pagani, come se la salvezza del popolo di Dio non dipendesse unicamente dalla fedeltà all’alleanza (Os 2, 7. 10; 12, 2). Per essere fedeli all’alleanza, non basta riservare ai sacerdoti l’olio migliore (Num 18, 12), né mescolare olio alle oblazioni in conformità col rituale (Lev 2, 1...; Num 15, 4; 28-29), e nemmeno versare a torrenti le libagioni di olio: tali osservanze sono gradite a Dio solo se si cammina con lui nella *via della giustizia e dell’amore (Mi 6, 7 s).
    2. Simbolismo dell’olio.
    - Se l’olio è il segno della benedizione di Dio, l’olivo verdeggiante è un simbolo del *giusto benedetto da Dio (Sal 52, 10; 128, 3; cfr. Eccli 50, 10) e della sapienza divina che rivela nella legge la via della giustizia e della felicità (Eccli 24, 14. 19-23). Quanto ai due olivi il cui olio alimenta il candelabro dalle sette lampade (Zac 4, 11-14), essi rappresentano i due «figli dell’olio», i due unti di Dio, il re ed il sommo sacerdote, che hanno la missione di illuminare il popolo e di condurlo nella via della salvezza. Se, in via accessoria, si paragona l’olio a ciò che, come esso, s’insinua ed è inafferrabile (Prov 5, 3; Sal 109, 18; Prov 27, 16), vi si vede soprattutto l’unguento il cui profumo incanta e rallegra, bel simbolo dell’amore (Cant 1, 3), dell’amicizia (Prov 27, 9) e della felicità dell’unione fraterna (Sal 133, 2). L’olio è pure simbolo di *gioia, perché sia l’uno che l’altra fanno risplendere il volto (Sal 104, 15). Infondere olio sul capo di uno significa quindi augurargli gioia e felicità e dargli un segno di amicizia e di onore (Sal 23, 5; 92, 11; Lc 7, 46; Mt 26, 7). L’olio dell’*unzione regale merita in sommo grado il nome di «olio di gioia» (Sal 45, 8); segno esterno dell’*elezione divina, essa è accompagnata dall’irruzione dello *spirito, che prende possesso dell’eletto (1 Sam 10, 1-6; 16, 13). Questo legame tra l’unzione e lo Spirito è all’origine del simbolismo fondamentale dell’olio nei sacramenti cristiani, specialmente nell’unzione dei *malati, già menzionata dalla lettera di Giacomo (Giac 5, 14; cfr. Mc 6, 13); gli oli santi comunicano al cristiano la grazia multiforme dello Spirito Santo, di quello Spirito che ha fatto di *Gesù l’unto per eccellenza ed il Figlio di Dio (Ebr 1, 9, che applica il Sal 45, 8 a Cristo, per proclamarne la divinità).
    C. LESQUIVIT e M. F. LACAN
    → messia - profumo - unzione.

    OLIVI (MONTE DEGLI) (inizio)

    → ascensione II 3.4 - monte III 1.

    OLOCAUSTO (inizio)

    → fuoco VT II 1 - sacrificio VT II; NT I.

    OMAGGIO (inizio)

    → adorazione - lode - obbedienza.

    OMBRA (inizio)

    Come la *notte o la *nube, l’ombra simboleggia una duplice esperienza, secondo che afferma l’assenza o suppone la presenza della *luce. L’uomo vuole la piena luce e ricerca l’ombra; Dio è luce e *fuoco ardente, ma anche ombra rinfrescante, ed ha deciso di abitare nella nube oscura. La Bibbia gioca su questa ambivalenza di significato.
    I. ANNUNZIO DI MORTE
    1. L’ombra che fugge.
    - Creatura che sa di essere votata a scomparire, l’uomo riconosce il suo destino nel salire o nella presenza fugace dell’ombra: «Il giorno declina, le ombre della sera si allungano» (Ger 6, 4), così la vita umana, i cui gradi si aggiungono inesorabilmente nel quadrante del tempo (2 Re 20, 9 ss). «Un’ombra che fugge senza arrestarsi», tale è l’uomo (Giob 14, 2; cfr. 8, 9); i suoi giorni declinano nella *notte come l’ombra (Sal 102, 12; 144, 4), passano senza speranza alla morte (1 Cron 29, 15; Sap 5, 9). Come un’ombra (Sal 39, 7) egli cammina sul filo di una vita di vanità (Eccle 6, 12); ma in questo sviluppo irreversibile, constatando la sua propria variabilità, egli tiene fede al «Padre degli astri, nel quale non esistono né le variazioni, né le ombre di un mutamento» (Giac 1, 17).
    2. Le tenebre e l’ombra della morte.
    - Ricorrendo ad una etimologia discutibile, ma con un senso profondo della realtà, i Settanta hanno tradotto ordinariamente la parola ebraica che significa «ombra profonda» con «ombra della morte»; gli evangelisti hanno dato loro ragione (Is 9, 1; Mt 4, 16; Lc 1, 69). Di fatto l’ombra non è semplicemente un fenomeno che muta e fugge, è un vuoto, un niente, quell’oscurità tenebrosa che Giobbe desidera nella sua sventura (Giob 3, 1-6). Lo sheol senza speranza, paese della *morte, è la terra di tenebre e di ombra (10, 21) dove ogni chiarezza non è che notte. La *prova, già in questa vita, priva l’uomo della luce dei viventi: «sulle mie palpebre è l’ombra» (16, 16).
    3. Il padrone dell’ombra.
    - Dinanzi all’ombra minacciosa della morte non c’è altro aiuto che Dio solo. Egli, che cambia in ombra spessa la luce fittizia che il peccatore si ripromette (Ger 13, 16; cfr. Sal 44, 20), può pure «portare alla luce l’ombra oscura» (Giob 12, 22), «trarre dall’ombra e dalle tenebre coloro che ne erano prigionieri» (Sal 107, 10. 14). Perciò il salmista, pieno di *fiducia, esclama: «Anche se dovessi andare in valle tenebrosa, non temerei alcun male, perché tu sei con me» (Sal 23, 4). Questa speranza è diventata realtà dopo che in Cristo si è compiuta la profezia di Isaia: «Sugli abitanti delle ombre della morte risplendette una luce» (Mt 4, 16; Is 9, 1).
    II. PRESENZA PROTETTRICE
    Come la *nube era tenebra minacciosa per gli uni, luce e protezione per gli altri, così l’ombra terribile può essere protettrice; attraverso la protezione che essa assicura, l’uomo scopre una presenza.
    1. Ombre terrene.
    - Nella vita quotidiana, soprattutto in Oriente, l’ombra è apprezzata, perché preserva dall’ardore del sole. Le creature domandano tutte ombra: al loto, il feroce Behemoth (Giob 40, 22), agli *alberi, uccelli, animali e uomini (Ez 31, 6). Perciò l’albero che dà ombra simboleggia la *potenza protettrice; come Daniele spiega a Nabuchodonosor: «l’albero sei tu, o re» (Dan 4, 17 ss). Così pure la sicurezza è garantita all’ombra del *re (Giud 9, 15); il principe giusto è «come l’ombra di una *roccia su una terra arida» (Is 32, 2). Solo che una simile ombra, ambigua, può deludere: sia quella del ricino seccato sul capo di Giona (Giona 4, 5 ss), come quella del re di Israele (Lam 4, 20); quanto più quella dell’Egitto (Is 30, 2), o quella dei «cedri del Libano», che possono essere divelti in un istante e precipitati nella fossa con coloro che hanno confidato nella loro ombra mendace (Ez 31; Dan 4).
    2. L’ombra di Dio.
    - Invece di una fragile protezione, Dio solo offre un’ombra sicura. Bisogna lasciare le ombre piacevoli degli alberi sacri (Os 4, 13) e trovare in Jahvè il proprio riparo in ogni tempo (Sal 121, 5; Is 25, 4 s). Il sogno del fedele è di «dimorare all’ombra di Shaddaj» (Sal 91, 1), di essere, da vero servo, all’ombra della sua *mano potente (Is 49, 2; 51, 16) o delle sue ali (Sal 17, 8; 57, 2; 63, 8). Dietro queste metafore si ritrovano alcuni ricordi dell’esodo. L’hanno sentito i Settanta, quando hanno tradotto il verbo šakan (coprire, rimanere, riposare) con skiàzein, episkiàzein (coprire con la propria ombra, adombrare). Allora la *nube adombrava la tenda di Dio (Es 40, 35), determinando così la durata dei campeggi (Num 9, 18. 22); ricopriva pure gli Israeliti con la sua ombra (10, 34), proteggendoli meravigliosamente, come dice il libro della Sapienza (19, 7). Questa protezione sarà rinnovata negli ultimi tempi. Su Sion purificata riposerà la gloria di Jahvè, come «un baldacchino ed una tenda, per fare ombra di giorno contro il caldo, e per servire di rifugio e di riparo contro la pioggia e l’uragano» (Is 4, 5 s). E mentre Israele camminerà sotto questa gloria divina, «le foreste gli faranno ombra» (Bar 5, 7 ss; cfr. 1, 12). In occasione della consacrazione del *tempio, la nube invase il santo dei santi, e Salomone esclamò: «Jahvè ha deciso di abitare nella nube oscura» (1 Re 8, 12). All’idea di protezione qui si aggiunge quella della *presenza intima di Dio; in tale senso Gerusalemme, come la sposa del Cantico, può «sedersi alla sua ombra desiderata» (Cant 2, 3). In *Maria il sogno è divenuto realtà, quando essa è stata adombrata dalla potenza di Dio (Lc 1, 35), concependo colui sul quale si sarebbe posata la nube al momento della trasfigurazione (9, 34 par.).
    3. L’ombra di Israele.
    - Il popolo eletto diventa a sua volta fonte di protezione divina. Un tempo, la *vigna di Israele, superiore agli altri regni, ricopriva della sua ombra i monti (Sal 80, 11), Abbattuto da un giudizio divino, Israele tornerà infine ad essere un *albero verdeggiante dove gli uccelli verranno a fare il nido (Ez 17, 23; cfr. Dan 4, 9), figura visibile del *regno di Dio aperto a tutte le nazioni (Mt 13, 32 par.). Così pure Pietro, quando guarisce gli ammalati con la sua ombra (Atti 5, 15), rivela la presenza salvifica di Dio nella sua Chiesa.
    X. LÉON-DUFOUR
    → albero 2 - figura - inferi e inferno VT I 1 - luce e tenebre - morte - notte - nube.

    OMICIDIO (inizio)

    → ira A - menzogna III - odio - peccato IV 2 b - sangue VT 1 - Satana I - vendetta 1 - violenza II.

    ONORE (inizio)

    → fierezza - gloria IV 5 - unzione I 2.

    OPERAIO (inizio)

    → lavoro - messe III 2 b - opere.

    OPERE (inizio)

    Il termine opere può acquistare qualunque senso, designare azioni, lavori, produzioni varie, e più specialmente «l’opera della carne» nella quale consiste la generazione. Applicato a Dio, indica pure tutti gli aspetti della sua attività esterna. Sia in un caso come nell’altro, l’opera non può essere compresa se non si risale all’artefice che l’ha prodotta. E, dietro ogni opera umana, si tratta di scoprire il primogenito della creazione: il Figlio di Dio, a cui essa si ricollega, e di cui vuol essere a suo modo un’espressione.
    VECCHIO TESTAMENTO 
    I. L’OPERA DI DIO
    Prima di avviare un discorso, è necessario notare che le opere di *Dio (ma’aseh yahweh) non si inseriscono in una storia-cornice, ma costituiscono la storia nella sua verità. Poi, se è vero che le magnalia Dei presentano due aspetti, creazione e salvezza, è in vista di instaurare il regno di Dio sulla terra. Nel VT, la rivelazione segue un percorso particolare: Israele riconosce Dio all’opera nella sua storia prima di interessarsi alla sua opera creatrice.
    1. L’opera di Dio nella storia.
    - L’opera divina incomincia a manifestarsi mediante «azioni e gesta» che nessuno è in grado di compiere (Deut 3, 24): la liberazione di Israele, i meravigliosi episodi del deserto in cui il popolo «vide le opere» di Jahvè (Sal 95, 9), l’insediamento nella terra promessa (Deut 11, 2-7; Gios 24, 31). L’evocazione di questo passo suscita l’entusiasmo: «Venite e vedete le opere di Dio!» (Sal 66, 3-6). Ma non basta ricordare il passato (Sal 77, 12 s); bisogna essere attenti all’opera attuale di Dio (Is 5, 12; Sal 28, 5), che forma continuamente ogni cosa (Is 22, 11). Bisogna presentire la sua opera futura quando verrà il suo *giorno (Is 28, 21 ), sia che si tratti della deportazione a Babilonia (Ab 1, 5) oppure della liberazione dall’esilio (Is 45, 11): operando per mezzo delle *nazioni (Ger 51, 10) oppure del liberatore Ciro (Is 45, 1- 6), Dio compirà la sua opera di *salvezza (41, 4) in favore di Israele, suo popolo eletto (43, 1; 44, 2). L’opera divina mira quindi innanzitutto ad Israele, considerato collettivamente. Tuttavia non si disinteressa degli individui: non soltanto di quelli che Dio suscita in funzione del suo popolo, come Mosè ed Aronne (1 Sam 12, 6), David ed i *profeti; ma anche di ogni uomo in particolare, di cui Dio si occupa fin nella vita quotidiana, come fa vedere in modo particolareggiato il libro di Tobia. Questa è «l’opera delle sue mani», perfetta (Deut 32, 4), fedele e vera (Sal 33, 4), profonda (Sal 92, 5 s), piena di bontà e di amore (Sal 145, 9. 17; 138, 8), che deve risvegliare nel cuore dell’uomo una gioia traboccante (Sal 107, 22; Tob 12, 22).
    2. L’opera di Dio nella creazione.
    - Fin dalle origini Israele dovette ammirare «colui che fece il cielo e la terra» (Gen 14, 19), «le Pleiadi e Orione..., che ha formato i monti ed il vento» (Am 5, 8; 4, 13). Ma soltanto con l’esilio la *creazione diventa un motivo di fiducia nel Signore della storia: quest’opera stabile, maestosa, possente, non è forse la garanzia della potenza e della fedeltà di Dio (Is 40, 12 ss)? Lo si loda per tutto ciò che è «opera delle sue mani»: i cieli (Sal 19, 2) e la terra (102, 26), l’uomo preposto a tutta la creazione (8, 4-7). Grazie gli siano rese dalle sue opere (145, 10), di cui si riconosce la meravigliosa bellezza (Giob 36, 24 s). L’uomo, cosciente di essere l’opera di Dio, deve attingere in questa certezza di fede una reale audacia, perché Dio non può «disprezzare la sua opera» (Giob 10, 3), ma anche un’umiltà profonda, perché «un’opera può forse dire del suo autore: non sono la sua opera?» (Is 29, 16; 45, 9; Sap 12, 12; Rom 9, 20 s).
    3. La sapienza, artefice divina.
    - Il movimento che porta dal Dio della storia al Dio creatore perviene in un ultimo sforzo a presentire in Dio la *parola creatrice, lo *spirito che dirige il cammino del mondo. L’Ecclesiastico medita sull’opera di Dio nella creazione (Eccli 42, 15 - 43, 33) e nel tempo (44, 1- 50, 29); il libro della Sapienza tenta una teologia della storia (Sap 10- 19). E questo perché hanno riconosciuto entrambi la *sapienza divina che opera in terra. Presentata come «l’architetto» della creazione (Prov 8, 30), questa regale sapienza è stata prodotta da Dio all’inizio dei suoi disegni, prima delle sue opere più antiche (8, 22). Essa ha scelto di abitare in modo più speciale in Israele (Eccli 24, 3-8); ma esisteva da molto prima (24, 9), perché fu «l’artefice di tutte le cose» (Sap 7, 22): essa permette agli uomini di conoscere, attraverso la sua opera, il Signore della natura e della storia.
    II. LE OPERE DELL’UOMO
    L’uomo, ad *immagine di Dio suo creatore, deve essere anch’egli continuamente all’opera.
    1. Alla sorgente delle opere dell’uomo.
    - A spingere l’uomo all’azione non è semplicemente un bisogno interiore, ma la *volontà di Dio. Già nel paradiso essa gli è manifestata sotto la forma di un comando, che risponde al *disegno di Jahvè (Gen 2, 15 s). Le opere dell’uomo appaiono così come manifestazioni dell’opera divina. Tuttavia esigono da parte sua uno sforzo personale, un impegno, una scelta. Infatti alla *libertà dell’uomo la volontà di Dio si presenta concretamente sotto la forma di una *legge, esterna, alla quale deve *obbedire.
    2. Le opere principali dell’uomo.
    - Ancor prima che vengano enumerati i comandamenti della legge, il racconto della creazione manifesta le due opere principali che l’uomo dovrà realizzare: la fecondità ed il lavoro. L’uomo ha un dovere di *fecondità: per popolare la terra (Gen 1, 28), procreerà figli a sua immagine (5, 1 ss) che riproduce essa stessa l’immagine di Dio. In virtù di questo dovere la stirpe dei patriarchi darà origine al *popolo di Israele - popolo *mediatore per tutte le famiglie della terra -, dal quale infine nascerà Cristo. L’«opera della carne» acquista così un senso al duplice titolo della creazione e della storia della salvezza. L’uomo deve pure *lavorare, per dominare la terra ed assoggettarla (Gen 1, 28), anche se, a motivo del suo peccato, il suolo è maledetto (3, 17 ss). Questo lavoro gli permette di sussistere (3, 19), ma soprattutto nel culto raggiunge il suo pieno significato religioso: il capolavoro di Israele è il *tempio, costruito a gloria di Dio. È vero che gli uomini corrono anche il rischio di stornare dal loro scopo le loro due opere essenziali, sia profanando la procreazione (Rom 1, 26 s), sia adorando le opere delle loro mani col farne *idoli muti (1 Cor 12, 2). La legge, con i suoi comandamenti, cerca di prevenire un simile avvilimento delle opere umane. Prescrive pure un gran numero di altre opere, tra le quali il tardo giudaismo noterà specialmente quelle che concernono il *prossimo: fare l’*elemosina, visitare gli ammalati, seppellire i morti. Sono queste le «buone opere» per eccellenza.
    3. Lo scopo delle opere.
    - Il giudaismo non ha mai perso di vista che le opere comandate dalla legge erano ordinate al *regno di Dio. Tuttavia la casistica ha sovente mascherato il vero senso delle opere da compiere, concentrando lo sforzo dell’uomo sulla lettera della legge. Soprattutto una cattiva comprensione dell’*alleanza tendeva a trasformarla in contratto ed a dare ai «praticanti» una *fiducia eccessiva nelle loro possibilità umane, come se le opere compiute accordassero all’uomo un diritto su Dio e bastassero a conferirgli la *giustizia interiore. Contro questa concezione degradata della religione si leverà Gesù, ricordando l’unico senso delle opere umane: manifestare la *gloria di Dio che, solo, opera attraverso l’uomo.
    NUOVO TESTAMENTO
    I. L’OPERA DI GESÙ CRISTO
    «Il Padre mio continua ad agire, ed anch’io agisco» (Gv 5, 17). Con queste parole Gesù sottolinea l’identità di operazione tra Figlio e Padre, poiché l’opera del Padre si esprime nella sua pienezza mediante quella del Figlio.
    1. Gesù Cristo, capolavoro di Dio.
    - Immagine visibile del Padre, Gesù è la *sapienza di cui parlava il VT. Per mezzo suo tutto è stato fatto all’inizio, e per mezzo suo si compie nella storia l’opera della salvezza. Perciò lo vediamo far vibrare la creazione nelle sue parabole, rivelando ad esempio l’affinità tra le leggi della *crescita del grano e del *sacrificio (Gv 12, 24). Egli salva le opere umane dal pericolo che le minaccia, rivelando il senso nascosto della *fecondità carnale (Lc 11, 27 s), il significato profondo del *tempio e del *culto (Gv 4, 21-24). concentra nella sua persona l’attesa del regno e l’*obbedienza alla legge. Se è vero che l’opera dell’uomo dev’essere compiuta ad immagine di quella di Dio, ormai basta vedere Gesù agire per saper agire secondo la *volontà del Padre.
    2. Gesù e le opere del Padre.
    - I sinottici non parlano che di rado delle opere di Gesù (Mt 11, 2), pur soffermandosi a raccontare i suoi *miracoli e tutti gli atti che preparano il futuro della sua *Chiesa. Al contrario, Giovanni fa vedere che Cristo *compie le opere che il Padre gli ha dato (cfr. *dono) (Gv 5, 36). Queste opere attestano che egli non soltanto è il messia, ma anche il *Figlio di Dio, perché sono le stesse del *Padre, senza confusione delle persone agenti. Il Padre non ha dato al Figlio opere fatte, quasi ne fosse il solo autore (14, 10; 9, 31; 11, 22. 41 s), e neppure opere da eseguire semplicemente, come dà comandamenti da osservare (4, 34; 15, 10). Il Figlio ha la *missione di glorificare il Padre portando a termine l’opera unica che Dio vuole realizzare in terra, la *salvezza degli uomini; e questo termine è la *croce (17, 4). Tutte le opere di Cristo si riferiscono a quella. Esse non sono soltanto un *sigillo sulla missione di Gesù (6, 27), ma *rivelano il Padre attraverso il Figlio (14, 9 s). Il Figlio si mostra altrettanto attivo del Padre, ma nella sua qualità di Figlio, nell’amore che lo unisce indissolubilmente al Padre.
    3. Cristo, rivelatore delle opere umane.
    - Venendo in un *mondo peccatore, Gesù rivela pure le opere umane, e questa *rivelazione è una cernita ed un *giudizio. «Il giudizio, eccolo: la *luce è venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato le tenebre più della luce, perché le loro opere erano cattive. Di fatto, chiunque fa il male odia la luce e non viene alla luce per tema che le sue opere siano svelate; ma colui che fa la verità viene alla luce, affinché appaia chiaramente che le sue opere sono fatte in Dio» (Gv 3, 19 ss). Cristo viene in mezzo agli uomini, cui rivela così il loro stato. Prima di questo incontro, essi vivevano in certo modo nelle tenebre (1, 5), che non erano propriamente uno stato di peccato (cfr. 9, 41; 15, 24). Quando viene Gesù, viene rivelato il fondo del loro essere, sino allora semiincosciente della propria bontà o malizia. La decisione che essi prendono nei confronti del figlio dell’uomo, fondata sulla loro condotta anteriore, fa la sintesi del loro passato e lo rivela per quel che è. Non che le «opere buone» meritino l’adesione finale a Cristo; ma questa adesione manifesta la bontà delle opere (cfr. Ef 5, 6-14).
    II. LE OPERE DEL CRISTIANO
    Il fedele conferisce un senso pieno alla sua azione modellandola su quella di Gesù Cristo; per mezzo dello Spirito Santo gli è dato di osservare la nuova legge di carità e di cooperare alla identificazione del corpo di Cristo.
    1. La fede, opera unica.
    - Secondo i sinottici, Gesù esige la pratica delle «buone opere» nella purità di intenzione (Mt 5, 16). Nei due primi precetti (Mt 22, 36-40 par.), Gesù manifesta l’unità dei comandamenti della *legge, operando così una semplificazione ed una purificazione indispensabili nelle opere innumerevoli che la *tradizione giudaica imponeva. Con il quarto vangelo questa semplificazione appare ancor più nettamente: ai *Giudei che chiedono quel che devono fare per «compiere le opere di Dio», Gesù risponde: «Questa è l’opera di Dio, che crediate in colui che egli ha mandato» (Gv 6, 28 s). La *volontà di Dio si riassume nella *fede in Gesù, che compie le opere del Padre. Polemista vigoroso, S. Paolo non parla diversamente quando rigetta la *giustificazione mediante le opere della *legge: fonte della *salvezza non è la legge, non sono le opere in quanto tali, ma la *croce, la *grazia, accolte mediante la *fede. Questa critica della salvezza mediante le opere non dev’essere ridotta a una critica della sola legge giudaica; vale per ogni pratica religiosa che presuma di portare da sola alla salvezza.
    2. La carità, opera della fede.
    - Ma le opere, se non sono fonte della salvezza, rimangono l’espressione necessaria della fede. Lo ha sottolineato Giacomo (Giac 2, 14-26), ed anche Paolo (cfr. Ef 2, 10). Vi sono «opere della fede» che sono il *frutto dello Spirito (Gal 5, 22 s). La fede che Cristo esige è quella che «opera per mezzo della carità» (Gal 5, 6). A differenza delle opere cattive, che sono molteplici (Gal 5, 19 ss), le opere della fede si compendiano nella pratica del precetto che contiene tutta la legge (Gal 5, 14). Tale è «l’opera della fede, l’impegno della carità» (1 Tess 1, 3).Del resto Gesù ha insegnato che, nell’attesa del suo ritorno, bisogna tener accesa la propria *lampada (Mt 25, 1-13), far fruttare i talenti (25, 14-30), amare i propri fratelli (25, 31-46). Il comandamento dell’*amore è il suo testamento stesso (Gv 13, 34). Gli apostoli raccolgono così questo insegnamento e ne traggono le conseguenze.
    3. L’edificazione della Chiesa, corpo di Cristo.
    - L’opera della carità non trova il suo termine nel sollievo arrecato a qualche individuo. Al di là di questo obiettivo, essa coopera alla grande opera di Cristo, prevista da tutta l’eternità: 1’*edificazione del suo *corpo, che è la Chiesa. Infatti «noi siamo la sua opera, creati in Cristo Gesù in vista delle buone opere che Dio ha preparato in anticipo perché le praticassimo» (Ef 2, 10). Mistero della cooperazione dell’uomo all’opera di Dio che fa tutto in tutti, conferendo all’azione dell’uomo la sua dignità e la sua portata eterna (cfr. 1 Cor 1, 9; 15, 58; Rom 14, 20; Fil 1, 6). In questa nuova prospettiva la ricompensa celeste può essere collegata alle opere che l’uomo ha compiuto in terra. «Beati coloro che sono morti nel Signore, perché le loro opere li accompagnano» (Apoc 14, 13).
    F. AMIOT e X- LÉON-DUFOUR
    → Abramo II 3 - compiere NT 2 - creazione - edificare - fecondità III 3 - fede III 2 - frutto - giustizia - grazia V - lavoro - legge B III 5; C III 1 - miracolo I 2 b c, III 2 b - retribuzione 1, III 1 - volontà di Dio NT I 2, II 2.

    OPPRESSIONE (inizio)

    → nemico II 2 - orgoglio 2.3 - persecuzione - potenza III 1 - umiltà II - violenza I 1.2.

    ORA (inizio)

    Nella Bibbia la storia si divide indubbiamente in epoche, in mesi, in giorni, in ore; ma tempo, giorno ed ora trascendono spesso questa accezione cronologica e presentano un significato religioso. Al pari del *tempo della *visita di Jahvè o del *giorno della salvezza, l’ora segna le tappe decisive del *disegno di Dio.
    1. L’ora escatologica.
    - L’apocalittica giudaica, convinta dell’imminenza degli ultimi tempi, quelli della *pienezza, divide il tempo previsto per l’intervento divino in giorni ed in ore; tutti gli istanti contano quando viene la fine. Daniele viene a sapere che la sua visione concerne «l’ora del tempo» e che 1’*ira agirà «per le ore del tempo della fine» (Dan 8, 17. 19), «perché il tempo corre verso delle ore» (11, 35). Di fatto ci sarà un’ora definitiva, quella della consumazione che vedrà la rovina del *nemico (11, 40. 45; cfr. Apoc 18, 10. 17. 19). Così pure il libro apocrifo di Enoch conta le ore in cui si succedono i pastori di Giuda. In un’atmosfera di questo genere Gesù annuncia l’ora del trionfo finale del figlio dell’uomo. Perfettamente ignota agli uomini, essa è l’ora del *giudizio (Mt 24, 36. 44. 50 par.; Gv 5, 25. 28), l’ora della *messe (Apoc 14, 15 ss). Parimenti imprevista sarà l’ora delle *visite diverse che annunceranno l’ora ultima: prove generali (Apoc 3, 10) o particolari (9, 15). Il fedele deve tenersi pronto per quest’ora precisa quantunque indeterminata (Mt 25, 13). D’altronde egli sa che l’ora è vicina, e, in un certo senso, è già venuta (Gv 4, 23), è in cammino (5, 25. 28): è 1’«ora ultima» (1 Gv 2, 18), quella della *vigilanza attiva (Rom 13, 11), ma anche del *culto perfetto, nell’intimità del Padre, per mezzo dello Spirito (Gv 4, 23).
    2. L’ora messianica.
    - Di fatto, in un modo meno spettacolare, l’ora viene con Gesù: l’ora dell’annunzio del regno (forse Gv 2, 4), soprattutto quella della sua passione e della sua gloria che porta a termine lo svolgimento del disegno salvifico di Dio. I sinottici la designano con una formula semplice e solenne: «Ecco giunta l’ora, ecc...» (Mt 26, 45 par.). Più che un momento preciso del tempo, è l’insieme della fase suprema della sua attività che essa corona, come fa l’ora della donna i cui dolori segnano l’apparizione di una nuova vita (Gv 16, 21). È un’ora di sofferenza il cui avvicinarsi scatena una dura lotta interiore (Mc 14, 35). Infatti è anche l’ora del *nemico e del trionfo apparente delle tenebre (Lc 22, 53). Ma più ancora è l’ora di Dio, fissata da lui solo, e vissuta da Gesù secondo la volontà del Padre. Venuto per fare questa *volontà, egli accetta quest’ora, nonostante l’*angoscia che ne prova (Gv 12, 27): non è forse anche l’ora della sua *gloria (12, 23) e della sua piena attività salvifica (12, 24)? Secondo Giovanni, Gesù la chiama una volta «la mia ora», tanto fa sua questa *volontà di Dio. Nessuno, neppure la madre di Gesù, può derogare al piano divino e sollecitare un miracolo, senza che Gesù evochi la venuta della sua ora (per affermarla o negarla, secondo le opinioni divergenti dei critici). Egli ordina tutta la sua attività di taumaturgo e di profeta in funzione della sua ora. L’evangelista generalizza parlando della «sua ora». Ogni tentativo di arresto o di lapidazione è vano, finché non è giunta la sua ora (7, 30; 8, 20): le velleità umane si infrangono contro questa determinazione divina. Ma, quando viene «l’ora di passare da questo mondo al Padre» (13, 1), l’ora dell’amore spinto all’estremo, il Signore va alla morte liberamente, dominando gli avvenimenti, simile ad un pontefice che compie i riti della sua liturgia (cfr. 14, 29 s; 17, 1). Così, dietro l’apparenza secondo cui gli avvenimenti si succedono senza coordinazione, tutto è diretto verso una meta che sarà raggiunta nel suo tempo, nel suo giorno, nella sua ora. Le ore di questo cammino sono scandite, come lo sarebbero oggi quelle di un piano economico o politico. Ve ne sono di dolorose, come quella in cui Gesù è abbandonato dai suoi discepoli (Gv 16, 32); ma tutte tendono verso la gloria, quella del ritorno del Signore glorificato; tutte, nella loro stessa precisione, rendono testimonianza al *disegno di Dio che guida la storia (Atti 1, 7).
    R. MOTTE
    → disegno di Dio NT I 1 - giorno del Signore - tempo NT I 1 - visita.

    ORACOLO (inizio)

    → arca d’alleanza II - cercare I - rivelazione VT I 1 - sacerdozio VT II 2.

    ORFANO (inizio)

    → consolare 2 - poveri - vedove 1.

    ORGOGLIO (inizio)

    1. L’orgoglio ed i suoi effetti.
    - «Odioso al Signore ed agli uomini» (Eccli 10, 7), l’orgoglio è altresì ridicolo nell’uomo «che è terra e cenere» (Eccli 10, 9). Vi sono forme più o meno gravi. C’è il vanitoso che pretende gli onori (Lc 14, 7; Mt 23, 6 s), che aspira alle grandezze, talvolta di ordine spirituale (Rom 12, 16. 3), che è geloso degli altri (Gal 5, 26); l’insolente dallo sguardo altero (Prov 6, 17; 21, 24); il ricco arrogante che ostenta il suo lusso (Am 6, 8) e che la ricchezza rende presuntuoso (Giac 4, 16; 1 Gv 2, 16); l’orgoglioso *ipocrita che fa tutto per essere veduto ed il cui cuore è corrotto (Mt 23, 5. 25-28); il *fariseo che confida nella sua pretesa giustizia e disprezza gli altri (Lc 18, 9-14). Infine, al vertice, c’è il superbo che, rigettando ogni dipendenza, pretende di essere uguale a Dio (Gen 3, 5; cfr. Fil 2, 6; Gv 5, 18); egli non ama i rimproveri (Prov 15, 12) ed ha in orrore 1’*umiltà (Eccli 13, 20); pecca sfrontatamente (Num 15, 30 s) e si fa beffe (cfr. *riso) dei servi e delle promesse di Dio (Sal 119, 51; 2 Piet 3, 3 s). Dio maledice l’orgoglioso e lo aborrisce (Sal 119, 21; Lc 16, 15); colui che l’orgoglio contamina (Mt 7, 22) è chiuso alla *grazia (1 Piet 5, 5) ed alla *fede (Gv 5, 44); cieco per colpa sua (Mt 23, 24; Gv 9, 39 ss), non può trovare la sapienza (Prov 14, 6) che lo chiama alla *conversione (Prov 1, 22-28). Frequentandolo, si diventa simili a lui (Eccli 13, 1); perciò beato chi lo fugge (Sal 1, 1).
    2. L’orgoglio dei pagani, oppressori di Israele.
    - Là dove regnano gli orgogliosi, che ignorano il vero Dio, i deboli sono ridotti in schiavitù. Israele ne ha fatto l’esperienza in Egitto, dove il faraone ha tentato di opporsi alla sua liberazione da parte di Dio (Es 5, 2). Israele sarà costantemente minacciato di asservimento da parte dei pagani, la cui *potenza orgogliosa «lancia una sfida al Dio vivente» (1 Sam 17, 26). Dal gigante Golia al persecutore Antioco (1 Sam 17, 4; 2 Mac 9, 4-10) passando per Sennacherib (2 Re 18, 33 ss), è sempre lo stesso orgoglio espresso dalla frase intollerabile di Oloferne: «chi è Dio, se non Nabuchodonosor?» (Giudit 6, 2). Tipo di questo orgoglio dominatore degli stati che oggi si chiamano totalitari, è *Babilonia che era chiamata «la sovrana dei regni» (cfr. Is 13, 19) e che pretendeva di esserlo «per sempre», dicendo in cuor suo: «Io, ed io sola!» (Is 47, 5-10). Orgoglio collettivo il cui simbolo è la torre di Babele che si leva, incompiuta, alle soglie della storia biblica: i suoi costruttori pretendevano di farsi un *nome raggiungendo il cielo (Gen 11, 4).
    3. L’orgoglio degli empi, oppressori dei poveri.
    - Nello stesso Israele l’orgoglio può produrre frutti di oppressione e di empietà. La legge prescriveva la bontà verso i deboli (Es 22, 21-27) ed invitava il re a non inorgoglirsi sia ammassando troppo argento ed oro, sia innalzandosi al di sopra dei suoi fratelli (Deut 17, 17. 20). Per arricchire, l’orgoglioso non esita a opprimere il *povero il cui sangue paga il lusso del ricco (Am 8, 4-8; Ger 22, 13 ss). Ma questo disprezzo del povero è disprezzo di Dio e della sua giustizia. Gli orgogliosi sono degli *empi, come i pagani. Coloro che essi perseguitano (Sal 10, 2 ss) e saziano di disprezzo (Sal 123, 4) fanno appello a Dio nei salmi, sottolineando l’arroganza dei loro persecutori (Sal 73, 6-9) il cui cuore è insensibile (Sal 119, 70). Ai *farisei, che hanno in cuore l’orgoglio e l’amore del danaro, Gesù ricorda che non si può servire a due padroni: chi s’attacca alla ricchezza non può che disprezzare Dio (Lc 16,13 ss).
    4. Il castigo degli orgogliosi.
    - Dio si fa beffe degli orgogliosi (Prov 3, 34) e dei potenti che pretendono di scuotere il suo giogo (Sal 2, 2 ss). Ascoltino la terribile satira del tiranno che marcisce senza sepoltura sul campo di battaglia dove ha fatto massacrare il suo popolo, lui che pretendeva di porre il suo trono sulle stelle, simile all’altissimo (Is 14, 3-20; Ez 28, 17 ss; 31). Gli imperi, come i loro tiranni, saranno abbattuti. Talvolta essi sono gli strumenti di Dio per *castigare il suo popolo; ma Dio poi li castiga per l’orgoglio con cui hanno compiuto la loro *missione; è il caso di Assur (Is 10, 12) e quello di Babilonia, abbattuta all’improvviso con un colpo inevitabile, imprevedibile (Is 47, 9. 11). Il popolo di Dio e la città santa di Gerusalemme il cui orgoglio si è dispiegato (Ger 13, 9; Ez 7, 10), saranno pure castigati nel *giorno di Jahvè. «In quel giorno l’orgoglio dell’uomo sarà abbassato, la sua arroganza umiliata; Jahvè solo sarà esaltato!» (Is 2, 6-22). Jahvè renderà con usura agli orgogliosi ciò che è loro dovuto (Sal 31, 24). Essi, che si sono beffati dei giusti (Sap 5, 4; cfr. Le 16, 14), passeranno come un’ombra (Sap 5, 8-14). La loro elevazione non è che il preludio della loro rovina (Prov 16, 18; Tob 4, 13): «chi s’innalza sarà abbassato» (Mt 23, 12).
    5. Il vincitore dell’orgoglio: il salvatore degli umili.
    - In che modo il «Signore disperde gli uomini dal cuore superbo» (Lc 1, 51)? In che modo trionfa di *Satana, l’antico serpente che ha incitato l’uomo all’orgoglio (Gen 3, 5), il demonio che vuol sedurre tutto il mondo per esserne adorato come suo dio (Apoc 12, 9; 13, 5; 2 Cor 4, 4)? Per mezzo di un’umile vergine (Lc 1, 48) e del suo neonato, il Cristo Signore che ha per culla una mangiatoia (Lc 2, 11 s; cfr. Sal 8, 3). Questi, che l’orgoglio di Erode avrebbe voluto uccidere (Mt 2, 13), inaugura la sua missione rigettando la gloria del *mondo, che Satana gli offre, ed ogni *messianismo che l’orgoglio falserebbe (Mt 4, 3-10). Gli si rimprovera di farsi uguale a Dio (Gv 5, 18); ora, lungi dall’approfittare di questa uguaglianza, egli non cerca la sua gloria (Gv 8, 50), ma la sola esaltazione della *croce (Gv 12, 31 ss; Fil 2, 6 ss). Se chiede al Padre di glorificarlo, lo fa perché il Padre sia glorificato in lui (Gv 12, 28; 17, 1). In questa via lo dovranno *seguire i suoi discepoli e specialmente i pastori della sua Chiesa (Lc 22, 26 s; 1 Piet 5, 3; Tito 1, 7). Nel suo *nome essi trionferanno in terra del demonio (Lc 10, 18 ss); ma le potenze dell’orgoglio non saranno abbattute che nel *giorno del Signore, con la manifestazione della sua *gloria (2 Tess 1, 7 s). Allora l’*empio che si faceva uguale a Dio sarà distrutto dal soffio del Signore (2 Tess 2, 4. 8); allora la grande Babilonia, simbolo dello stato deificato, sarà d’un subito abbattuta (Apoc 18, 10. 21). Allora pure gli *umili, ed essi soli, appariranno, simili a Dio di cui sono i figli (Mt 18, 3 s; 1 Gv 3, 2).
    M. F. LACAN

    → Babele-Babilonia 1 - fierezza - potenza III - ricchezza II – umiltà.

    OSPITALITÀ (inizio)

    1. L’ospitalità, opera di misericordia.
    - L’ospite che passa e chiede il tetto che gli manca (Prov 27, 8; Eccli 29, 21 s) ricorda innanzitutto ad Israele la sua antica condizione di *straniero fatto schiavo (Lev 19, 33 s; cfr. Atti 7, 6), poi la sua presente condizione di viandante sulla terra (Sal 39, 13; cfr. Ebr. 11, 13; 13, 14). Questo ospite ha quindi bisogno di essere accolto e trattato con *amore, in nome di Dio che lo ama (Deut 10, 18 s). Non si indietreggerà di fronte ai più gravi sacrifici per difenderlo (Gen 19, 8; Giud 19, 23 s); non si esiterà a importunare degli amici se personalmente non si ha la possibilità di sovvenire alle necessità di un ospite inatteso (Lc 11, 5 s). Tale accoglienza premurosa e religiosa, di cui Abramo resta il tipo (Gen 18, 2-8), di cui Giobbe si gloria (Giob 31, 31 s), e di cui Cristo approva le delicatezze (Lc 7, 44 ss), manifesta la carità fraterna che il cristiano deve esercitare nei confronti di tutti (Rom 12, 13; 13, 8).
    2. L’ospitalità, testimonianza di fede.
    - Di questa ospitalità, forma della carità, Gesù rivelerà a tutti il mistero al momento del giudizio finale. Attraverso l’ospite e nell’ospite Cristo stesso è stato accolto o respinto (Mt 25, 35. 43), riconosciuto o disconosciuto, come al tempo della sua venuta tra i suoi: non soltanto al momento della nascita non ci fu posto per lui nell’albergo (Lc 2, 7); ma fino al termine della sua vita il mondo lo ha disconosciuto ed i suoi non l’hanno ricevuto (Gv 1, 9 ss). Coloro che credono in lui ricevono «nel suo *nome» i suoi inviati (Gv 13, 20), nonché tutti gli uomini, anche i più umili (Lc 9, 48); vedono in ogni ospite non soltanto un inviato del Signore, «*angelo» (Gen 19, 1 ss), ma il Signore (Mt 10, 40; Mc 9, 37). Perciò, lungi dal trattare l’ospite come debitore (Eccli 29, 24-28) o come un importuno di cui si diffida (Eccli 11, 34) e contro il quale si mormora (1 Piet 4, 9), si preferisce accogliere quelli che non potranno contraccambiare i servigi resi loro (Lc 14, 13). Ogni cristiano (1 Tim 5, 10), ed in particolare 1’«episcopo» (1 Tim 3, 2; Tito 1, 8), deve vedere in colui che bussa alla sua porta (cfr. Apoc 3, 20) il Figlio di Dio che viene con il Padre suo per colmarlo di doni e stabilire in lui la sua dimora (cfr. *rimanere) (Gv 14, 23). E questi ospiti divini lo introdurranno a loro volta in casa propria, non come ospite, ma come membro della casa (Gv 14, 2 s; Ef 2, 19). Beati i servi vigilanti che apriranno la *porta al padrone che bussa al momento della parusia! Invertendo le parti e manifestando il mistero dell’ospitalità, egli stesso servirà a tavola (Lc 12, 37), egli stesso farà condividere la sua cena (cfr. *pasto) (Apoc 3, 20).
    P. M. GALOPIN e M.F. LACAN
    → casa I 1, III 2 - fratello - pasto - poveri NT III 1 - profumo 1 - prossimo - straniero I.

    OSTINAZIONE (inizio)

    → cfr. indurimento.

    OVILE (inizio)

    → pastore e gregge.

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