Peccato (in generale) - DIZIONARIO SAN TOMMASO

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Peccato (in generale)

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PECCATO
E' l’atto umano con cui la creatura razio­nale devia e si allontana dal conseguimento del fine e questo normalmente avviene me­diante la trasgressione di una legge che l’uo­mo è tenuto a osservare.
Nell’A. T. il peccato è generalmente inteso come una deviazione dal retto rapporto dell’uomo con Dio, un venir meno all’alleanza che lega Israele a Dio (Os 2, 3-15), come un atteggiamento di disubbidienza o di dimenticanza di Dio (Sir 15, 14-17). Al posto di Dio si scelgono idoli, realtà vuote. Il peccato porta alla morte, intesa come castigo di Dio (Gen 3, 19). Dio, garante della vita e della fedeltà dell’uomo, non può lasciare impunita la de­viazione dell’uomo.
Nel N. T. la realtà del peccato non è più sotto­lineata in rapporto a Dio datore della Legge e quindi come trasgressione, ma in rapporto a Dio, padre amoroso e misericordioso, che regala all’uomo il suo perdono. Il peccato è de­nunciato quindi come rifiuto di Dio, di Cri­sto e della Trinità e come rifiuto del prossi­mo e della Chiesa. Il N. T. inoltre annuncia Cristo come vincitore del peccato e della morte. Il mistero pasquale è il centro di questa vitto­ria: un trionfo che giunge fino là dove non dovrebbe esserci nessun perdono: la malva­gità dell’uomo, la durezza del suo cuore, la cecità della sua mente che giungono al punto di mettere a morte lo stesso Figlio di Dio, sono tuttavia vinte dal suo amore sconfina­to. Gesù è colui "per opera del quale abbia­mo la redenzione, la remissione dei peccati" (Col, 14), è "l’agnello che toglie il peccato del mondo" (Gv 1, 29), che sconfigge cioè quella potenza ostile a Dio che si esprime nel peccato.
Nella letteratura cristiana dell’età apo­stolica e subapostolica il tema del peccato è pre­sente in termini che riprendono sostanzial­mente l’insegnamento biblico. La Didaché imposta la sua dottrina morale sulla immagi­ne delle "due vie": quella della morte, ossia del peccato, e quella della vita, ossia della virtù; essa presenta inoltre un elenco di peccato raccolti intorno alle categorie dell’omicidio, della impurità, della avarizia e della menzogna.
Importanza capitale riveste l’apporto di Agostino alla riflessione teologia sul peccato. Le stesse definizioni maggiormente in uso non soltanto durante il medioevo ma anche po­steriormente sono uscite dalla sua penna. Una dice che il peccato è "factum vel dictum vel concupitum aliquid contra legem aeternam"; l’altra che è "aversio a Deo et conversio ad creaturas". Per Agostino il peccato non è opera della carne o del demonio bensì del libero arbitrio, e consiste essenzialmente nella su­perbia, per cui l’uomo pretende di essere di più di quello che è, e nella avarizia per cui reclama un possesso più grande di quello che ha diritto di avere. In definitiva esso consiste nella scelta di sé stessi piuttosto che nella scelta di Dio. Con queste considerazio­ni Agostino ha contribuito a una concezione profonda del peccato: esso non è determinato an­zitutto dal comportamento esteriore, bensì dalla scelta interiore contro Dio. Agostino, grande metafisico della interiorità, ha utiliz­zato questa chiave di lettura per cogliere la realtà del peccato nelle sue radici più profonde. Con S. Agostino diventa chiara anche la di­stinzione capitale tra peccato personale e peccato origi­nale: il primo è quello compiuto dalla libera volontà dei singoli individui; il secondo è quello commesso da Adamo e trasmesso ai suoi discendenti come stato-condizione, e per questo motivo viene anche detto peccato di natura. Sulle linee segnate da Agostino si è mossa gran parte della speculazione della Scolastica.
S. Tommaso dedica ampie e approfondite tratta­zioni al tema del peccato in tre opere: Commento alle Sentenze (II, dd. 34-37 e IV, d. 16); De Malo (qq. 2-3) e Summa Theologiae (I-II, qq. 71-80). Pur movendo da premesse an­tropologiche e metafisiche assai distanti da quelle di Agostino, S. Tommaso condivide sostan­zialmente le tesi del grande Dottore di Ippo­na su tutti i punti fondamentali, pur preci­sandole e chiarendole in qualche punto par­ticolare.
 
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