Si dice di qualsiasi inclinazione dell’appetito, sia di quello sensitivo sia di quello intellettivo (volontà) verso un bene (piacere, ricchezze, gloria, virtù, verità, Dio). S.Tommaso lo collega normalmente alla inclinazione della volontà: "Desiderium est inclinatio voluntatis in aliquod bonum consequendum" (C. G.,III, c. 26). Nella S. Scrittura questo termine è presente nel significato di impulso, e corrisponde a quanto nella filosofia greca (specialmente in Pitagora e Platone) va sotto il nome di "passioni"; per cui si hanno d. buoni e d. cattivi.
Qualsiasi bene può essere oggetto di desiderio, ma, ovviamente, lo è in modo speciale il sommo bene, quel bene che appaga pienamente l’uomo e lo rende perfettamente felice. Senonché c’è un bene (un fine ultimo) che è inconoscibile anche dalla ragione (dai filosofi) e un bene (un fine ultimo) che può essere conosciuto soltanto grazie a una speciale, divina rivelazione. S.Tommaso pone esplicitamente la distinzione tra un bene (felicità) naturale e un bene (felicità) soprannaturale. "Esistono per l’uomo due tipi di beatitudine o felicità. La prima, proporzionata alla natura umana, l’uomo può raggiungerla mediante le risorse (per principia) della sua natura. La seconda, che sorpassa la natura umana, l’uomo può raggiungerla soltanto con la grazia di Dio (sola divina virtute), mediante una partecipazione della divinità. E poiché questa seconda beatitudine supera le proporzioni della natura umana, le risorse naturali di cui l’uomo dispone per ben operare secondo le sue capacità non bastano a indirizzare l’uomo alla predetta beatitudine. Perciò è necessario che da parte di Dio vengano elargite altre forze che indirizzino l’uomo alla beatitudine soprannaturale (ad beatitudinem supernaturalem), come dalle risorse naturali viene indirizzato, sia pure con l’aiuto di Dio, al fine connaturale (ad finem connaturalem), e queste nuove forze si dicono virtù teologali, sia perché hanno Dio per oggetto, essendo noi da esse indirizzati a Dio, sia perché sono infuse in noi da Dio soltanto" (I-II, q. 62, a. 1; cfr. III Sent., d. 27, q. 2, a. 2; d. 33, q. 1, a. 2, sol.). Ai due tipi di felicità corrispondono logicamente due specie di desiderio: c’è un desiderio naturale per la felicità "naturale" e c’è un desiderio soprannaturale per la felicità "soprannaturale". In entrambi i casi, l’oggetto è Dio e anche l’appagamento avviene attraverso la contemplazione. S.Tommaso ammette una certa felicità nell’altra vita anche per coloro che non hanno avuto il dono della grazia e della salvezza, però si tratta necessariamente di una felicità imperfetta, dato che "la perfetta beatitudine dell’uomo consiste nella visione dell’essenza divina. Ora vedere Dio per essenza non è al di sopra soltanto della natura dell’uomo, ma di qualsiasi creatura" (I-II. q. 5, a. 5).
Il grosso nodo da sciogliere per la teologia, che S.Tommaso non affronta esplicitamente ma per il quale offre validi spunti, è quello del rapporto tra il desiderio naturale e il fine soprannaturale. Posta la chiara distinzione tra natura e grazia, ne discende come logica conclusione un’altrettanto chiara distinzione tra i due desideri, e tra il desiderio naturale e il fine soprannaturale. Fondamentalmente si tratta di modalità di essere e di operare che non solo sono chiamate a incontrarsi, compenetrarsi e integrarsi (secondo il principio dell’armonia), ma che comportano un’attitudine fondamentale (quella della potentia oboedientialis) da parte della dimensione (desiderio, bene) naturale per quella soprannaturale. Qui può esser utile la distinzione tra desiderio esplicito del fine naturale (visione di Dio) e desiderio implicito del fine soprannaturale (partecipazione alla vita divina). La radice del desiderio implicito, secondo S.Tommaso, è la potenza obbedienziale, che è la capacitas infiniti di cui l’uomo è dotato nella sua dimensione spirituale, capacità che tende al pieno possesso di Dio, ma non può raggiungerlo senza la grazia.
Quel dinamismo possente che attraverso il desiderio naturale sospinge l’uomo verso il traguardo della piena realizzazione di sé stesso, secondo il misterioso disegno di Dio, diviene per S.Tommaso la chiave di soluzione del problema spinosissimo della salvezza degli "infedeli". Come si salvano coloro che non possono ricevere né il battesimo né la penitenza, che sono i due sacramenti necessari per liberare il peccatore dalle sue colpe (dalla colpa originale il battesimo e dalle colpe attuali la penitenza)? In entrambi i casi S.Tommaso propone la soluzione del desiderio: il desiderio implicito del battesimo e il desiderio esplicito della penitenza sono sufficienti per la remissione dei peccati e la riconciliazione con Dio. Ma di che desiderio si tratta? Perché sia salvifico bisogna che sia elevato alla condizione di desiderio soprannaturale. Esso opera sacramentalmente solo in virtù di Cristo, della sua passione e morte. In altre parole il desiderio del battesimo opera in virtù del battesimo; il desiderio della confessione opera in virtù della confessione (De Ver., q. 28, a. 8, ad 2). Tuttavia questo desiderio soprannaturale non è distinto materialmente dal desiderio naturale. Così pare legittimo concludere che là dove esiste il desiderio naturale, Dio interviene con la sua grazia per fame un desiderio soprannaturale e inserirlo, in tal modo, nell’orizzonte della salvezza.