E' un atto su cui l’uomo esercita il suo dominio e la sua sovranità; di cui quindi egli non è semplicemente causa bensì causa libera. Si contrappone ad actus hominis (atto dell’uomo), che è un atto compiuto si dall’uomo, ma non liberamente, come respirare, digerire, dormire ecc. "Si dice atto umano non qualsiasi atto compiuto dall’uomo o nel!’uomo, perché in alcuni atti gli uomini operano come le piante e i bruti, bensì un atto proprio dell’uomo. Ora, rispetto alle altre cose, l’uomo ha questo di proprio, di essere padrone del proprio atto (sui actus est dominus); pertanto qualsiasi atto di cui l’uomo è padrone, è propriamente un atto umano" (De Virt., q. 1, a. 4). Tra le tante divisioni che si possono fare dell’atto umano, S. Tommaso dà rilievo soprattutto alla divisione tra atti interni ed esterni: dei primi è consapevole soltanto l'agente, dei secondi possono avere conoscenza anche gli altri.
Gli atti umani formano l’oggetto proprio della morale: questa infatti si propone di insegnare all’uomo ad essere vero signore di sé stesso e dei propri atti, a padroneggiare le proprie operazioni finalizzandole al conseguimento del vero bene dell’uomo stesso, che è la sua felicità. S. Tommaso fa uno studio profondo e accuratissimo degli atti umani, dedicando a questo argomento un’ampia trattazione della Summa Theologiae (I-II, qq. 6-21). Qui egli esamina attentamente la volontarietà e la moralità dell’atto umano studiando separatamente l’oggetto, il fine (i moventi), la deliberazione, il consiglio, il consenso, la scelta, i mezzi, le circostanze, la bontà e la malizia dell’atto umano.
L’atto umano è l’atto in cui si esercita e si consuma il libero arbitrio: è pertanto un atto che esige la collaborazione dell’intelletto e della volontà; esso si snoda attraverso tre fasi: la deliberazione, il consiglio, la scelta o elezione; le prime due spettano all’intelletto, la terza alla volontà. Tra gli atti umani occupano un posto speciale gli atti imperati: si tratta di atti comandati (imperati) dalla ragione, ma sotto la spinta della volontà. Procedendo dalla ragione gli atti imperati non competono agli animali. Possono essere "imperati" gli atti di ragione, perché questa si ripiega su se stessa, e ci sono cose che per sé non a convincono, lasciandola sospesa. Possono essere "imperati" anche gli atti di volontà, perché la ragione come giudica che sia bene volere una cosa, cosi può anche imperare di volerla. Possono essere "imperati" gli atti dell’appetito sensitivo se dipendono dall’anima, come l’immaginazione; non però se dipendono dal corpo; ma non possono essere "imperati" gli atti della vita vegetativa, perché sono naturali, e non possono essere imperati i movimenti delle membra che seguono le forze naturali, ma soltanto quelli che obbediscono alla parte sensitiva o alla ragione (I-II, q. 17).
La bontà (e malizia) degli atti umani dipende da quattro coefficienti:
1) l'azione in sé stessa, in quanto realtà; essa rappresenta la bontà generica;
2) l'oggetto, perché l'oggetto specifica l'atto, e questa è la bontà specifica;
3) il fine, che porta nell’atto un ordine di dipendenza, e questa è la bontà causale;
4) le circostanze, le quali sono accidenti dell’atto, e gli accidenti completano la sostanza; e questa è la bontà accidentale.
Solamente quando tutti quattro i coefficienti sono buoni si ha un atto buono; ma basta che un solo coefficiente sia cattivo, per avere un atto cattivo (I-II, q. 18).