Dal latino justificare che significa rendere giusto.
In teologia il termine viene usato per indicare l’azione speciale con cui Dio, per mezzo di Gesù Cristo, rende giusti gli uomini, liberandoli dal peccato e concedendo toro la grazia, che è una certa partecipazione alla vita divina. La giustificazione è azione esclusiva di Dio: è opera del suo amore misericordioso, per il quale l’uomo non può assolutamente vantare alcun merito.
La prima formulazione esplicita e organica della dottrina della giustificazione si trova in S. Paolo (specialmente nelle lettere ai Romani e ai Galati). I punti fondamentali della dottrina paolina riguardo a questo insondabile mistero sono tre: 1°, l’incapacità dell’uomo di procurarsi la giustizia con le sue forze. Con queste egli non può che soccombere al peccato, che non consiste tanto nella violazione della legge (mosaica o naturale) quanto nella pretesa di autogiustificarsi (Rm 2, 12 s.); 2°, la misericordia di Dio che nel giustificare l’uomo non si basa su ciò che può trovare in lui (opere buone, osservanza della legge ecc.) ma esclusivamente sulla sua sconfinata bontà; 3° l’azione di Cristo, che è il momento essenziale della giustificazione: "Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Gesù Cristo"(Rm 3, 24-25). Gesù Cristo col versamento del suo sangue per noi, è diventato "lo strumento di espiazione" del nostri peccati(Rm 3, 25). L’attuazione storica della salvezza dell’umanità passa attraverso la giustificazione e la giustificazione passa attraverso Cristo. Così è Cristo stesso a rivelare la nuova via prescelta da Dio per condurre l’umanità alla deificazione: è Cristo morto e risorto. Essere giustificati significa diventare partecipi della sua morte e risurrezione. E quanto avviene simbolicamente attraverso il battesimo.
Questi sono anche i punti su cui maggiormente insiste S. Agostino, massimo teologo della giustificazione, nella sua infuocata polemica contro Pelagio. L’unica causa della giustificazione, insiste Agostino, è Dio, non la buona volontà, le opere buone, la pratica della virtù. Causa effettiva della giustificazione è Gesù Cristo. "La Chiesa universale, la quale deve vigilare contro tutte le novità profane, ritiene che ogni uomo è separato da Dio fino a quando per la mediazione di Cristo non è riconciliato con Lui; e nessuno può essere separato da Dio se non a causa di peccati che lo tengano lontano da Lui, e può essere riconciliato soltanto con la remissione dei peccati, in virtù dell’unica grazia del misericordiosissimo Salvatore, in virtù dell’unica vittima offerta dal verissimo sacerdote" (De peccatorum meritis et remissione, 1, 28, 35). L’opera di Cristo a nostro favore contiene due aspetti, uno negativo (la liberazione dal peccato) e l’altro positivo (divinizzazione dell’uomo mediante la partecipazione alla vita divina). Parlando della "giustizia di Dio che si è manifestata", Agostino spiega che non si tratta della giustizia con la quale è giusto Dio stesso, ma quella con cui Dio rende giusti noi: "La giustizia di Dio è quella per la quale diventiamo giusti noi per la sua grazia, e la salvezza del Signore è quella con la quale egli salva noi, e la fede di Gesù Cristo e quella con la quale Gesù rende fedeli noi. Questa è la giustizia di Dio che egli non solo ci insegna con i precetti della sua legge, ma ci elargisce altresì con il dono del suo Spirito" (De spiritu et littera 32, 56).
Quando S. Tommaso opera la sua riflessione sul mistero della giustificazione, l’eresia di Pelagio è da lungo tempo scomparsa, e il campo teologico appare sostanzialmente tranquillo.
Tuttavia, anche in assenza di particolari eresie, grazie a quello sguardo universalistico (cattolico) che lo contraddistingue, S. Tommaso riesce a tracciare un quadro preciso degli errori che si possono commettere rispetto alla giustificazione. Nel commento alla lettera ai Filippesi, interpretando il versetto: "E' Dio che produce in voi, a suo piacimento, il volere e l’operare", S. Tommaso scrive quanto segue: "Così dicendo l’Apostolo esclude quattro false opinioni. La prima è quella di coloro i quali pensano che l’uomo si possa salvare col libero arbitrio, senza l’aiuto di Dio... La seconda è di quelli che negano del tutto il libero arbitrio, dicendo che l’uomo è necessitato dal destino o dalla divina Provvidenza... La terza, che appartiene ai pelagiani, come la prima, dice che la scelta dipende da noi, ma il coronamento dell’opera spetta a Dio... La quarta ammette che Dio compie in noi ogni bene, però per i nostri meriti. Il che viene escluso dalia frase: "pro bona voluntate”, cioè per buona volontà sua, non nostra. Ossia non per i nostri meriti; poiché prima della grazia di Dio non c’e in noi nessun merito di bene" (In Ep. ad Philipp, c. 2, lect. 3). E' abbastanza facile dare dei nomi ai quattro errori elencati da S. Tommaso. Del resto l’ha fatto egli stesso per il primo e per il terzo, accreditandoli a Pelagio; più precisamente è di Pelagio il primo (la pretesa che l’uomo si salvi col suo libero arbitrio); mentre il terzo (che assegna alla volontà umana l’inizio della giustificazione) e l’errore dei semipelagiani. Il secondo errore (che nega l’esistenza stessa del libero arbitrio) e l’errore dei manichei (e più tardi, di Lutero e Calvino); il quarto (che fa dipendere la salvezza dai meriti) è nuovamente un errore dei semipelagiani.
Ma, come s’è detto, S. Tommaso non elabora la sua dottrina della giustificazione in polemica con qualcuno, bensì in forma speculativa sistematica.
Tutta la dottrina tomistica della giustificazione ruota attorno alla chiara definizione che S. Tommaso dà di questo mistero. La sua definizione è la Seguente: "La giustificazione dell’empio è un moto col quale l’anima umana è condotta da Dio dallo stato di peccato a quello di giustizia" (justificatio impii est quidam motus quo humana mens movetur a Deo a statu peccati in statum justitiae) (I-II, q. 113, a. 5).
Pertanto Ia giustificazione è essenzialmente la correzione di quei rapporti con Dio che il peccato aveva compromesso e sviato. Col peccato, come spiega assai bene S. Tommaso trattando della predestinazione, si instaura un profondo disordine nei rapporti tra l’uomo e Dio, tra l’uomo e il mondo e all’interno dell’uomo stesso, tra corpo e anima, tra volontà e passioni. Con la soppressione del peccato la giustificazione rimette le cose in ordine: lo spirito si sottomette di nuovo a Dio, cioè si orienta di nuovo a lui come al proprio fondamento, fine e norma, riprende il controllo dei sensi e del corpo, e in modo tale che ora essi, invece di impedirlo, favoriscono ed esplicitano il legame che lo congiunge a Dio.
Anche S. Tommaso, come S. Paolo e S. Agostino prima di lui, sottolinea l’origine divina della giustificazione: realizzare l’inversione di rotta, dal peccato alla giustizia, soprattutto ristabilire nella giustizia chi se n’è allontanato lo può fare solamente Dio. E anche se in assoluto la giustificazione non rappresenta l’azione più grande di Dio (viene infatti dopo la creazione e la glorificazione) tuttavia è certamente un’azione grandissima e meravigliosa. Ecco le belle precisazioni fornite nella Summa Theologiae a questo riguardo:
"Un’opera può dirsi grande quanto al modo onde si compie, e sotto questo aspetto la creazione è l’opera più grande, perché si compie dal nulla. Può dirsi grande un’opera quanto alla grandezza dell’effetto che ne risulta, e sotto questo aspetto la giustificazione è un’opera più grande della stessa creazione: perché la giustificazione del peccatore ha per termine il bene eterno della divina partecipazione, mentre la creazione ha per termine il bene della natura mutevole (...). La giustificazione dell’empio, come la creazione del mondo e tutte le opere in genere che possono farsi soltanto da Dio, può dirsi miracolosa, come miracolose impropriamente si chiamano tutte le cose che destano meraviglia, quasi avessero una causa occulta. Ma un’opera è veramente miracolosa quando la forma sopravvenuta è sopra la potenza naturale della materia: come nella risurrezione di un morto la vita è sopra la potenza naturale del corpo. Quanto a ciò la giustificazione dell’empio non è miracolosa, perché l’anima è naturalmente capace di grazia" (ibid., aa. 9 e 10).
Pure avendo Dio come autore esclusivo (l’uomo non ha nessun potere di autogiustificarsi) tuttavia S. Tommaso è molto attento a non trasformare quest’azione in un procedimento meccanico, trattandosi di una trasformazione non di qualche cosa di inanimato o di animalesco, bensì di una persona, dotata di intelligenza e di libero arbitrio. Perciò la giustificazione, insiste S. Tommaso, opera sulla intelligenza e sulla volontà, tuttavia rispettando la loro peculiare natura. Opera sull’intelligenza causando nell’anima un moto di conversione verso Dio. "Ma la prima conversione verso Dio avviene mediante la fede, come insegna S. Paolo: “Chi si accosta a Dio deve credere che egli esiste”. Dunque per la giustificazione si richiede un atto di fede" (ibid., a. 4). Atti analoghi si richiedono da parte della volontà: "E' necessario che l’anima umana nell'a giustificazione abbandoni il peccato con un moto del suo libero arbitrio, e si avvicini alla giustizia. Ma codesti moti di allontanamento e avvicinamento nel libero arbitrio corrispondono alla detestazione e al desiderio; così infatti scrive S. Agostino: “I nostri affetti sono i moti dello spirito: la gioia e la dilatazione dell’anima, il timore ne è la fuga; avanzi con l’anima quando desideri, fuggi con essa quando hai paura”. Ecco perché nella giustificazione del peccatore si richiedono due moti del libero arbitrio: uno per tendere alla giustizia di Dio col desiderio, l’altro per detestare il peccato" (ibid., a. 5).
Pur riconoscendo che si tratta di un processo che può avere lunghe fasi preliminari di preparazione, S. Tommaso sostiene logicamente che la giustificazione in quanto ritorno nella condizione di giustizia davanti a Dio è un evento istantaneo. "Sopra abbiamo spiegato che Dio, per infondere la grazia in un’anima, non ha bisogno di altra disposizione all’infuori di quella che egli stesso produce. Ed egli alcune volte produce a un tratto la disposizione richiesta per accogliere la grazia; altre volte la produce gradatamente e un po’ per volta. Infatti l’impossibilità in cui si trova un agente naturale di disporre subito della materia dipende da una proporzione tra la resistenza della materia e la virtù della causa agente. E per questo si nota che quanto più è forte la virtù dell’agente, tanto è più rapida la disposizione della materia. Perciò, essendo la virtù divina addirittura infinita, può predisporre istantaneamente alla forma qualsiasi materia creata: e molto più può così disporre il libero arbitrio, i cui moti possono essere istantanei per natura. E quindi la giustificazione del peccatore è compiuta da Dio istantaneamente" (ibid., a. 7).
La giustificazione è un affare squisitamente personale: è un rapporto che avviene tra due persone; non è un rapporto di dominio (un rapporto cosale, direbbe Buber) ma di dedizione, di amore: è una conversione dell’anima a Dio che avviene dietro l’iniziativa, la sollecitazione, la premura, ia "vocazione", l’appello di Dio. Non è la conquista di un tesoro perduto, ma il ritorno al padre del figliol prodigo. Ia giustificazione richiede e opera una profonda trasformazione nell’anima; perciò non si tratta affatto di una "giustificazione forense". come avrebbe sostenuto poi Lutero.
L’analisi di S. Tommaso del mistero della giustificazione è esemplare per chiarezza e ordine. Gli elementi essenziali e specifici di questo mistero (la necessità dell’azione divina, l’immedesimazione della persona con le sue facoltà conoscitive e affettive, la effettiva e profonda trasformazione del peccatore) sono mirabilmente illustrati. L’unico neo che si può notare in questa esposizione è l’assenza di ogni riferimento a Cristo. Ma sappiamo che si tratta di un’assenza meramente metodologica (essendo l’argomento collocato nella Seconda Parte della Somma), che S. Tommaso colmerà adeguatamente nella Terza Parte, dove Cristo sarà presentato come l’autore della nostra giustificazione