L'officiatura divina (escluso il sacrificio), con la quale la Chiesa, ministra del culto pubblico, intende onorare Dio ogni giorno in determinate ore diurne e notturne. Di sua natura pubblico, questo compito è affidato in diverso grado ai chierici e ai religiosi: essi pregando in nome e nella forma prescritta dalla Chiesa compione un Ufficio divino pubblico.
VELO OMERALE
VELO OMERALE
Lunga striscia di seta o di lino che si poggia sulle spalle con i due lembi pendenti sul petto e che serve per coprire le mani tenendo oggetti sacri. Si distinguono:
1. Il velo omerale del suddiacono, di seta del colore prescritto per la s. Messa, di regola senz'ornamento: per portare il calice preparato all'altare per l'Offertorio; per tenere la patena dall'Offertorio fino al "Pater noster";
2. Il velo omerale dell'accolito che porta la mitra o il pastorale nelle funzioni pontificali (di lino o di seta senza ornamento, bianco o del colore prescritto per la funzione pontificale);
3. Ilil velo omerale del sacerdote nella benedizione eucaristica, nelle processioni eucaristiche ed anche nel recare l'Eucaristia o il viatico agli ammalati (di seta sempre bianca e riccamente ornato).
Dapprima l'accolito "patenarius" teneva con la "sindone" la patena dall'Offertorio fino al "Pater noster" (Ordo roman., I [Andrieu], 91). Questa "sindone" era un panno d'etichetta per non toccare la patena direttamente con la mano, forse a forma dell'attuale velo omerale ("sub humero habens sindonem in collo ligatam"). Il funzionario dell'accolito "paternarius" (rimane in Francia ed in Inghilterra fino al sec. XVIII), fu sostituito nel sec. XI - XII dal suddiacono, il quale tenne la patena dapprima con la stessa "mappula" che, detta "offertorio" (Ord. Rom. [Andrieu], I, 84; V, 55; VI, 50), copriva le oblate dopo la loro preparazione. Dal sec. XIII-XIV (Ord. Rom. [Mabillon], XVI, 53, dell'anno 1311) cambiò il modo di portare il velo: il lembo, che non serviva per tenere la patena, pendeva sul dorso dalla spalla destra ("cuius extremitas defluere debet post dextrum humerum"). La forma attuale del velo omerale venne in uso a Roma non prima del sec. XV (Ordo Rom. , XV [Mabillon]). Al velo dell'accolito di mitra, detto "tobalea", ancora assente al tempo di Durando (m. nel 1296), accenna già l'Ordodi Giulio Cajetano (XIV, 53 [Mabillon]) del 1311. Il velo della benedizione eucaristica venne in uso nel sec. XIV (Ord. Rom., XIV [Mabillon], 77); era di seta e si portava dapprima come il velo suddiaconale (il lembo pendeva sulla spalla sinistra "sibi pendet super humerum sinistrum"), poi come il velo omerale.
Bibliografia
J. Braun, Handbuch der Paramentik, Frihurgo 1912, pp. 662-65; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, XII, Città del Vaticano, 1954, coll. 1174-1175.
VESPRI
VESPRI
(vesperae, agenda vespertina, synaxis vespertina, solemnitas vespertina, gratia vespertina, duodecima) Ora canonica al tramonto del sole; forse la più antica delle ore di preghiera.
VESTI SACRE
VESTI SACRE
Sono gli indumenti portati dai ministri sacri nelle funzioni liturgiche. Per rendere più augusto il culto e per maggiore riverenza verso Dio la Chiesa ha voluto che speciali vesti sacre fossero usate durante le funzioni sacre. Esse non sono derivate da quelle in uso nel culto del Vecchio Testamento, né da quelle dei culti pagani dell'età classica, ma furono scelte fra quelle che si usavano nella vita civile (escluse quelle di carattere militare) del mondo romano dalle persone più serie e qualificate. I chierici usavano una lunga tunica talare, di color bianco, alla quale i chierici maggiori sovrapponevano la casula o pianeta senza maniche che copriva tutta la persona; nel sec. VI è già in uso la dalmatica che doveva ben presto essere la sopravveste propria dei diaconi. Le altre vesti od ornamenti sacri si introdussero man mano nell'uso liturgico. Questo rimase costante anche di fronte all'uso di vesti più o meno succinte che si introdussero con le invasioni barbariche; la Chiesa restò fedele all'uso antico delle classi superiori. Prescindendo dal rocchetto, che non è considerato come vesti sacre, si ha la cotta, della quale il nome superpelliceum indica lo scopo, che era la sopravveste ampia bianca di lino che ricopriva nei chierici inferiori l'abito d'uso quotidiano (i cardinali vescovi la portano sul rocchetto quando indossano il piviale). Vesti inferiori o sottovesti liturgiche sono oggi nel rito latino: l'amitto, l'alba o camice con il cingolo; quelle superiori sono: la pianeta, per il celebrante la Messa, la dalmatica e la tunicella per i ministri sacri, e il piviale per le funzioni fuori della Messa. Come insegne liturgiche maggiori sono: il manipolo, per tutti i chierici maggiori compreso il vescovo; la stola, per il diacono (che la porta a tracolla), il sacerdote ed il vescovo; il pallio per l'arcivescovo metropolita e il Papa; il razionale, portato sopra la pianeta soltanto da 5 vescovi di Germania, Francia e Polonia. Insegne pontificali sono: la mitra, il pastorale, l' anello e la croce pettorale. Altri accessori vescovili sono i guanti, i sandali ed i calzari. Il Papa usa la falda, sottoveste ampia che copre la persona dalla cintura in giù sin oltre i piedi; il fanone, sopra la pianeta, a strisce bianche e oro, il succintorio da attaccarsi alla parte destra del cingolo.
Bibliografia
Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, XII, Città del Vaticano, 1954, coll. 1329-1330.
VICTIMAE PASCHALI
VICTIMAE PASCHALI
Sequenza di Pasqua rivestita d'una splendida melodia gregoriana che mette in notevole rilievo il concitato dialogo su Cristo Risorto tra Maria Maddalena e la comunità dei fedeli, dialogo che servì di spunto ai vari drammi liturgici pasquali medievali. In origine essa comprendeva nove strofe; ma dalla riforma di s. Pio V (1570) non ne conta più che otto, essendo stata cancellata la quinta che ricordava incredulità degli Ebrei. Vi si trova adoperata la rima e l'assonanza; ciò ha fatto pensare che il suo autore, Vipone (morto dopo il 1046), poeta e musico, cappellano degli imperatori Corrado II ed Enrico III, si sia ispirato ad un testo preesistente.
Bibliografia
U. Chevalier, Repertorium hymnologicum, II, Lovanio 1897, n. 21505 (v. anche supplemento); H. Bresslau, Die Werke Wipos, III ed., Lipsia 1915; J. Handschin, Gesungene Apologetik, in Miscellanea M. G. Mohlberg, II, Roma 1949, pp. 75-90; J. A. Jungmann, Missarum sollemnia, vers. it., Torini 1953, pp. 352-53; A. Pietro Frutaz, da Enciclopedia Cattolica, XII, Città del Vaticano, 1954, col. 1387.
VIGILIA
VIGILIA
È il giorno che precede come preparazione le grandi feste del Signore (Natale, Epifania, Pasqua, Pentecoste) e quelle dei santi (della Madonna, di s. Giovanni, degli Apostoli, di s. Lorenzo ecc.). Si distinguono in privilegiate e comuni; le privilegiate sono di I e II classe; le prime, Pasqua e Pentecoste, non cedono ad alcuna festa; le seconde, Epifania, cedono solo ad una festa di rito superiore od uguale e ad una festa del Signore; quelle comuni vengono soltanto commemorate in occorrenza di una festa di rito doppio. Se cadono nella domenica, vengono celebrate o commemorate al sabato precedente. Hanno un proprio nell'Ufficio e nella Messa. Il CIC prescrive il digiuno, oltre al Sabato Santo (fino allo scioglimento delle campane), alle v. di Natale, di Pentecoste, dell'Assunzione di Maria S.ma e di Tutti i Santi. Ha origine dalla vigilia pasquale, "la madre di tutte le vigilie" (s. Agostino, Serm., 219), anticamente una pannuchia, celebrazione per tutta la notte in letture tratte dai Libri Santi, alternate con il canto responsoriale dei salmi, cantici e relative collette; seguiva la Messa. Una tale vigilia si svolgeva anche a Pentecoste, nelle domeniche delle Quattro Tempora e si estendeva alle feste dei martiri principali: degli apostoli Pietro e Paolo, di s. Lorenzo ecc. A Milano una simile vigilia precedeva la festa dei ss. Pietro e Paolo, la traslazione delle reliquie dei ss. Gervasio e Protasio e la dedicazione della Basilica Ambrosiana (s. Ambrogio, De virginitate, XIX, 124; Ep., 22, 2). Similmente a Cartagine precedeva la festa di s. Cipriano (s. Agostino, Enarr. in ps., 32, XI, 1, 5; 85, 24). a Tolosa si faceva alla tomba di s. Saturnino. Da questa vigilia pubblica con partecipazione del clero e dei fedeli si distingue la privata, quella che, p. es., i fedeli facevano presso la tomba di qualche martire, ma senza la celebrazione eucaristica. Più tardi, forse già al principio del sec. V, le vigilie cimiteriali, fuori della città alle tombe dei martiri, si facevano al tramonto della sera precedente (cf., ad es., la messa I di s. Lorenzo nel Leoniano: "praevenientes natalem"). Le altre vigilie della Pasqua, di Pentecoste, delle domeniche delle Quattro Tempora vennero portate alla sera del sabato nel sec. VII. Distintivo per queste vigilie era che si iniziavano la sera precedente la festa o la domenica e finivano prima di mezzanotte. Poi furono di nuovo anticipate al tempo di Nona e ricevettero un Ufficio proprio per il coro e per la Messa. La liturgia originale si conserva nella veglia del Sabato Santo, della Pentecoste e dei Sabati delle Quattro Tempora.
L'ORA NOTTURNA DELL'UFFICIO
Questa Vigilia trae origine non dalla vigilia come pannuchìa, ma dalla preghiera privata dei fedeli a mezzanotte, fatta in comune dai monaci e di conseguenza anche dalle Chiese (V. Mattutino; Notturno; Ufficio). Alle ferie si faceva con un Notturno di 9 salmi e 3 lezioni (nell'Ufficio monastico in 2 Notturni con 6 salmi ciascuno e con 3 lezioni nel primo Notturno). Alle domeniche aumentavano il numero delle lezioni (9 nell'Ufficio delle Chiese, 12 in quello monastico), divisi i salmi e le lezioni per 3 Notturni. Il numero di 3 Notturni non deriva dalle veglie militari, ma da necessità pratica: si faceva una pausa, un respiro tra o dopo 3 o 4 lezioni; non si consideravano tre distinte veglie, perché le singole vigilie non si chiudevano con una relativa Colletta, ma terminavano come se fossero una sola vigilia, con un'unica colletta. Da notare che questa vigilia si faceva sempre dopo mezzanotte (in contrapposto all'altra vigilia di cui sopra), "a primo gallo" (verso le tre) e combinava con quell'Ufficio mattutinale, detto oggi le Lodi. L'anticipazione prima della mezzanotte o alla sera precedente incomincia dal sec. XII. Recentemente J. M. Hanssens ha affermato che la vigilia non ha origine dalla preghiera di mezzanotte, ma è considerata come un'amplificazione dell'Ufficio propriamente mattutinale delle Lodi, premettendo da parte dei monaci la recita consueta del Salterio da sola o intercalata da lezioni, come si faceva per passare devotamente una veglia notturna totale o parziale in preparazione di quella mattutinale.
Bibliografia C. Callewaert, De vigiliarum origine, in Sacris Erudiri, Steenbrugge 1940, pp. 329-33; M. Righetti, Man. di stor. liturg. , II, Milano 1946, pp. 416-21 ; I. A. Jungmann, Die Entstehung der Matutin, in Zeitschr. für kath. Theol., 72 (1950), pp. 66-79; J. M. Hanssens, Aux origines de la prière liturg. Nature et genèse de l'Office des Matines (Anal. Gregor., 57), Roma 1952, pp. 33-40; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, XII, Città del Vaticano, 1954, coll. 1414-1415.
ZUCCHETTO
ZUCCHETTO
(biretum, submitrale, subbirretum, pileolus, calotta, Soli-Deo) Un copricapo a forma di mezza sfera, usato di colore bianco dal papa, rosso dai cardinali (concesso nel 1464 da Paolo II, ai cardinali regolari nel 1591 da Gregorio XIV), paonazzo dai vescovi (1867 da Pio IX), nero dagli abati e da chi ne ha privilegio o indulto (CIC 325; 625; 811, 2). Era in uso nel corso del sec. XIV, perché si vede sotto la tiara del papa Clemente VI (m. nel 1352) nel monumento sepolcrale a La Chaise-Dieu. L'uso si propagò nel corso del secolo XV (cf. Ordo Romanus XIV, 118; XV, 144: PL 78, 1272, 1351) e divenne generale nel XVI e XVII. Nel sec. XIV e XV copriva tutto l'occipite, per ridursi poco a poco alla forma piccola attuale. È permesso di portarlo durante la s. Messa, fuori del canone, ma non è permesso nelle processioni eucaristiche e all'esposizione pubblica del S.mo Sacramento. Si usa anche sotto la mitra, detto perciò submitrale.
Bibliografia
J. Braun, Die liturg. Gewandung im Occident und im Orient, Friburgo 1907, pp. 509-10; Id., I paramenti sacri, Torino 1914, pp. 163-64; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, XII, Città del Vaticano, 1954, coll. 1826-1827.