Strumento liturgico per portare la "pace", cioè per il bacio prima della Comunione, al coro e a determinate persone assistenti alla messa.
PALIOTTO
PALIOTTO
(pallium, pannus; antealtare, frontale antependium) Rivestimento della mensa dell'altare, anticamente detto vestiso pallium, dopo il sec. XV p. (dapalliare = ricoprire). Nella Chiesa antica, per la venerazione in cui era tenuto, l'altare veniva circondato di una certa ricchezza e, dove possibile, rivestito di lamine d'oro e d'argento, o almeno di stoffe preziose, come si sa per l'Oriente da s. Efrem (m. nel 373), dal Chronicon Paschale, da s. Giovanni Crisostomo. Per l'Occidente i famosi musaici di Ravenna (S. Vitale c S. Apollinare) ne danno un bel saggio; nel Liber Pontificalis si legge di molti ricchi rivestimenti, offerti dai papi, ad es., da papa Zaccaria (741-52) per la basilica di S. Pietro e da altri che rivestivano l'altare in ogni parte, o almeno nei due lati principali. Ma dopo il sec. XI, con l'accostamento dell'altare alla parete della chiesa, cioè in fondo dell'abside, se ne rivestiva la sola parte anteriore, donde i nomi di ante-altare, frontale, antependium. Il Caerimoniale episcoporum (l. I, cap. 12, n. 2) non lo prescrive, ma ne raccomanda l'uso; nel Messale (Rubr. gen. tit. XX) si dice di fare i paliotti nei colori, se possibile, delle feste e dell'Ufficio.
Bibliografia
Braun, Handbuch der Paramentik, Frihurgo in Br. 1912, pp. 218-24; trad. it., I paramenti sacri, Torino 1914, pp. 171-76; id., Der christl. Altar, Monaco 1924, pp. 9-132; G. Destefani, La S. Messa nella liturgia romana, Torino 1935, pp. 121-26; M. Righetti, Man. di storia liturgica, I, II ed.. Milano 1950, pp. 430-33.
PALLA
PALLA
Nel senso liturgico attuale è un piccolo quadrato di lino di ca. 20-25 cm. per coprire il calice, specialmente dall'Offertorio alla Comunione. Fino al sec. XI il calice veniva coperto con la parte posteriore ripiegata del corporale, detto palla grande; quest'uso franco-italiano è seguito ancora dai Certosini. Per comodità nelle Messe private senza diacono il calice si copriva dapprima con un altro corporale piegato ("panno complicato instar sudarii"), poi con una pezzuola di lino quasi staccata dal corporale "corporale minus" o "palla corporalis" o semplicemente palla. Questa pezza di lino ornata d'intorno da un pizzo, anticamente floscia, è ora rigida o inamidata; in Belgio e in Germania raddoppiata e retta in mezzo da cartone. La palla deve essere sempre di puro lino, come il corporale donde fu staccata (Decr. auth., 4174); se doppia, la parte superiore può essere fatta anche di seta e variamente ornata o ricamata (ibid., 3882, 4). S. Carlo Borromeo chiama la palla "animetta", perché si racchiude nel corporale come l'anima nel corpo; nel rito mozarabico è detta "filiola", perché derivata dalla palla grande. La palla viene benedetta con la stessa formola del corporale, da cui deriva; la prima lavanda, come quella del corporale, deve farsi da un sacerdote o da un suddiacono. L'allegorismo medievale vede simboleggiata nel corporale la sindone nella quale fu avvolto il Cristo e nella p. specialmente il sudario (Jo. 20, 7). In senso più largo e originale, palla venne detta la tovaglia dell'altare: se ne distinguono due: "palla altaris" e "palla corporalis", cioè il corporale odierno, donde si staccava la palla. Talvolta anzi si dice palla il velo del calice. Nella preparazione del calice la palla si mette sopra la patena. I Teatini usano una seconda palla per coprire la patena.
Bibliografia
J. Braun, Handbuch der Paramentik, Friburgo in Br. 1912, pp. 239-41 (trad. it., I paramenti sacri, Torino 1914, pp. 184-90); G. Destefani, La S. Messa nella liturgia romana, ivi 1935, pp. 118-21: C. Callewaert, Liturgicae institutiones, vol. III, 1, De Missalis Romani liturgia, II ed., Bruges 1937, pp. 37-39; M. Righetti, Manuale di storia liturgica, I, II ed., Milano 1950, pp. 443-44; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, IX, Città del Vaticano, 1952, coll. 637-638.
PALLIO
PALLIO
È una benda di lana bianca larga 4-6 cm., contraddistinta da 6 croci di seta nera, girata intorno alle spalle, con i due lembi pendenti l'uno sul petto; l'altro sul dorso, ornata da 3 spille gemmate (aciculae) sul petto, sul dorso e sulla spalla sinistra. È insegna liturgica d'onore e di giurisdizione, riservata al papa e agli arcivescovi metropoliti. Entra 3 mesi dalla sua consacrazione o conferma, il metropolita deve domandare al papa il pallio; questo obbligo data dalla seconda metà del sec. IX. La consegna o l'imposizione del pallio si fa a Roma dal primo cardinale diacono; fuori di Roma, nella sede metropolitana, dal vescovo incaricato, dopo la Messa solenne e dopo che l'arcivescovo metropolita ha emesso il giuramento di fedeltà (fino dal sec. XI, invece, dopo la professione di fede). Il metropolita porta il pallio soltanto nelle Messe pontificali della sua chiesa e in quelle della sua provincia nei giorni fissati dal Pontificale Romanum (l. I, tit. XIV, n. 10), nelle feste della Immacolata e di s. Giuseppe, aggiunte da Leone XIII, e nella ordinazione, consacrazione, ecc. È un'insegna personale, e non si può prestare ad un altro; se un arcivescovo è trasferito ad un'altra sede metropolitana ne deve domandare uno nuovo. Il papa, rivestito di supremo potere e piena giurisdizione, lo porta sempre nelle Messe solenni e dappertutto. Esso è fatto con la lana di 2 agnelli bianchi benedetti il 21 genn. nella basilica di S. Agnese (v. Benedizione degli Agnelli). Ai primi Vespri dei ss. Pietro e Paolo i nuovi pallii vengono benedetti dal papa e sono conservati in una cassetta d'argento dorata presso la Confessione e tomba di S. Pietro, onde consegnarli ai metropoliti. Già le più antiche rappresentazioni del pallio nel famoso avorio di Treviri, in una processione con reliquie (metà del sec. V) e più chiaramente nella figura del vescovo Massimiano nel mosaico di S. Vitale di Ravenna (prima metà del sec. VI) lo mostrano in forma di sciarpa intorno alle spalle, le due parti pendenti dalla spalla sinistra. Dalla metà del sec. IX i due capi cominciano a pendere, fermati con due spille, esattamente nel mezzo del petto e del dorso; una terza spilla lo fissa sulla spalla sinistra. In seguito invece delle spille v'è una cucitura fissa; le 3 spille rimasero decorative. I due capi, prima di una considerevole lunghezza fino al ginocchio, vengono accorciati dopo il sec. XV alla forma attuale (del sec. XVII). L'ornato del pallio con la croce, già iniziato nel mosaico ravennate, aumenta nell'epoca carolingia; nel medioevo (Innocenzo III) è di colore rosso. Il pallio dell'arcivescovo di Colonia Clemente Augusto (m. nel 1761) aveva 2 croci nere e 6 rosse. Da principio il pallio venne considerato proprio del papa; i vescovi e gli arcivescovi lo portavano solo per sua concessione. Questa concessione data dal sec. VI; il papa Simmaco ne diede il privilegio a s. Cesario d'Arles nel 513. Sull'origine del pallio recentemente T. Klauser segue la tesi del Duchesne, e cioè che si tratta di un indulto imperiale; altri lo fanno derivare dall'antico mantello dei filosofi simile alla toga contabulata ripiegata (lorum). Braun invece vi vede una imitazione del greco omophorion, divenuto nell'Occidente insegna propria del solo papa, mentre per tutti i vescovi dell'Oriente è una insegna liturgica.
Bibliografia
H. Grisar, Das römische Pallium, in Festschr. zur 1100-jähr. Jubelfeier des Campo Santo, Friburgo in Br. 1897; J. Braun, Die liturg. Gewandung im Occident und Orient nach Ursprung und Entwicklung, Verwendung und Symbolik, ivi 1907, p. 656 sg.; id., Handbuch der Paramentik, ivi 1912, pp. 164-72, vers. it., I paramenti sacri, Torino 1914, pp. 129-35; L. Duchesne, Origines du culte chrétien, V ed., Parigi 1925, pp. 404-10; M. Righetti, Man. di stor. liturgica, I. II ed., Milano 1950, pp. 524-30; T. Klauser, Der Ursprung der bischöfl. Insignien und Ehrenrechte, Krefeld s. a., pp. 17-19, 25 (n. 23-36); Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, IX, Città del Vaticano, 1952, coll. 646-647.
PALMATORIA
PALMATORIA
(Bugia, cerarium). Candeliere basso portato in palma di mano (donde il nome), o piattellino di metallo o altra materia, con manico e nel mezzo un bocciolo per infilarvi una candela. Serve nelle funzioni pontificali, praticamente per vedere chiaro nel leggere, ma più in segno d'onore, perché si tiene quando anche "è tanto chiaro da non aver bisogno d'una luce nel leggere" (Catalani, Caerem. episc., l. I [v. bibl.], cap. 11, 1-4; cap. 20, 1). Si chiama anche "bugia" (francese bougie, dalla città algerina di Bugia, centro di cererie nel medioevo). Prima del sec. XIV nessun liturgista ne fa menzione. Con un altro nome si dice scotula(dal greco skoton elauno = scaccio via le tenebre). È distintivo dei cardinali, dei vescovi, degli abati e altri prelati che ne hanno il privilegio (p. es. i provinciali domenicani, i canonici di alcune basiliche; i parroci di Roma). È portata da un accolito ("minister de candela", "bugiarius"), con cotta e, in alcune funzioni, anche con piviale, sempre assistito dall'accolito del libro. Nelle funzioni papali solenni si usa solo la candeletta accesa senza palmatoria, perché si dice che la luce del papa non ha bisogno di un sostegno terreno.
Bibliografia
S. Congr. dei Riti, Decr. auth. (v. bugia, palmatoria); I. Catalani, Pontificale Romanum, I, Parigi 1850, p. 39 a; Id., Caeremoniale Episcoporum, I, Parigi 1860, pp. 143, 212-18, 402; Moroni, Bugia, VI, pp. 155-56; P., LI, p. 72; J. Baudot, Bougeoir, in DACL, II, coll. 1099-1100; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, IX, Città del Vaticano, 1952, col. 654.
PASTORALE
PASTORALE
(baculus, sottinteso pastoralis; cambuta, ferula) Insegna liturgica propria del vescovo e degli abati nelle funzioni pontificali, eccettuate quelle del Venerdì Santo e dei defunti. Consta di un'asta dell'altezza di un uomo, munita al di sopra di una curvatura a spirale.
PATENA
PATENA
Dal greco patane= piatto. È un piatto rotondo di metallo, usato già anticamente nella messa, come complemento indispensabile del calice e fatto dello stesso metallo. Nella parte superiore è oggi priva di ornamento, ha il diametro di 15-20 cm. ed è leggermente concava nel mezzo, secondo la larghezza degli orli del calice. Nella Messa si pone l'Ostia sulla patena fino all'Offertorio (su di essa è fatta l'offerta), e, dopo il Pater noster, l'Ostia consacrata spezzata vi si ricolloca fino alla S. Comunione; nel frattempo, nella Messa solenne, la patena è tenuta nascosta con un velo dal suddiacono (anticamente dall'accolito) detto patenarius; nelle Messe lette si mette invece sotto il corporale. La patena deve essere consacrata dal vescovo ed avere la parte interna dorata. La consacrazione non si perde, qualora si debba rinnovare la doratura (CIC, can. 1305). Diventata con la consacrazione oggetto sacro, in immediato contatto con il Corpo di Gesù, la patena non può essere toccata che dai chierici o da chi l'ha in custodia (can. 1306). Simbolicamente la patena viene considerata come una nuova pietra del sepolcro, su cui giacque il corpo del Signore (cfr. Rabano Mauro, De instit. cleric., I, 33: PL 107, 324).
Bibliografia
J. Braun, Das christl. Altargerät in seinem Sein und in seiner Entwicklung, Monaco 1932, pp. 197-242; L. Eisenhofer, Lehrbuch der kathol. Liturgie, I, Friburgo in Br. 1932, pp. 396-401; M. Righetti, Man. di stor. liturgica, I, Milano 1950, pp. 468-71; H. Leclercq, s. v. in DACL, XIII, coll. 2392-2414.
PIANETA
PIANETA
(Planeta, casula, amphibolus) Sovravveste sacra, propria dei sacerdoti nella celebrazione della Messa. Nell'uso attuale, da due o tre secoli, è formata da uno scapolare a due lembi (posteriore largo 65-75 cm., lungo 1,05-1,15 m., anteriore più breve). Si distinguono 4 tipi di p.:
a) romana: cucitura dei due lembi sul petto; apertura, per il capo, in forma di trapezio; ornamento posteriore: una striscia verticale "colonna"; quello anteriore a forma di T (croce commissa);
b) tedesca: cucitura sulle spalle; apertura rotonda; ornamento posteriore una croce, quello anteriore una semplice "colonna";
c) francese: cucitura sulle spalle, apertura come quella romana, meno profonda; ornamento simile a quello tedesco;
d) spagnola: cucitura sulle spalle; ornamento anteriore e posteriore solo a "colonna"; la larghezza aumenta verso il basso. Dalla metà del sec. XIX si ripristinò una forma simile a quella dei secc. XIV e XV, detta poco esattamente p. gotica, di s. Bernardo o di s. Carlo Borromeo.
La pianeta deriva dall'anticapaenula, usata in tutto il mondo greco-romano. Il nome pianeta (l'etimologia di s. Isidoro (Etym. xix, 247) dal greco planasthai non è chiara), invece della voce paenula, occorre nel sec. V ed è nell'uso liturgico già nello stesso secolo; in Spagna prima del IV Sinodo di Toledo del 633 (can. 28). Si portava fuori di Roma soltanto dai vescovi e sacerdoti, a Roma da tutti i chierici (anche dai diaconi, suddiaconi e dagli accoliti). Dal sec. XII è una veste propria dei sacerdoti nella celebrazione della Messa; nelle altre funzioni si usava il piviale. La forma ampia e lunga fin quasi ai piedi dell'antica paenula si conservò fino al sec. XIII, senza cappuccio, sollevata ai lati sopra le braccia per muovere liberamente le mani, cosiddetta "a campana", assai ampia ed egualmente pendente, interamente chiusa. Poi (sec. XIII-XV), per maggiore comodità ed anche per economia, si raccordò tagliando i lembi laterali, lasciando solo quello anteriore e posteriore, tagliati anche essi a semicerchio o a punta, finché si è arrivati al sec. XVIII alla forma attuale. Il ritorno all'uso della pianeta medievale non si può fare di proprio arbitrio, ma occorre uno speciale indulto apostolico (S. Rit. Congr., 11 febbr. 1863 e 9 dic. 1927). In antico le paenulae profane erano ornate da due clavi purpurei verticali. Come decorazione delle pianete liturgiche si vede sui monumenti un semplice fregio gallonato intorno all'apertura del collo. A partire dal se. XI venne in uso una fascia verticale divisa all'altezza delle spalle in due braccia oblique (in forma di Y; talvolta la verticale si prolungava fino al collo) per unirsi sul petto e scendere sino all'orlo inferiore; tutta con ricami di ornato o figurazioni di santi. Questo motivo puramente ornamentale venne poi interpretato come una croce; infatti dal sec. XIII in Inghilterra, Francia e Germania si mise sulla parte posteriore la croce a braccia orizzontali (nel lembo anteriore una semplice "colonna"). Oggi i tipi ornamentali variano, ispirati talvolta a temiosimboli dell'anno ecclesiastico. Soltanto dall'ultimo secolo data la prescrizione, ma per fissare un uso secolare, di usare la seta per la pianeta; le stoffe di mezza-seta non sono più permesse. Sono conservate nei musei e nelle sagrestie delle cattedrali pianete fatte di lana, di tela, di cotone, e durante la guerra dei Trent'anni quelle di cuoio, o tessute di paglia. Ma di regola furono usate stoffe preziose, talvolta provenienti dall'Oriente (nell'antichità rinomate le fabbriche d'Alessandria, Damasco, Bisanzio; nel medioevo le fabbriche dei Saraceni in Sicilia e in Spagna; preziosi damaschi, broccati e velluti provenienti da Genova, Lucca, Milano e Venezia). Fino al sec. XII prevalsero stoffe di unico colore o disegno, in seguito furono usate di preferenza stoffe con qualche disegno geometrico o floreale, specialmente il melograno (forse in riferimento a Es. 28, 33) o con figure di animali veri o fantastici. Questi disegni non erano specificamente cristiani, ma provenivano dall'Oriente. La pianeta, perché si mette sulle spalle. viene considerata come simbolo del giogo del Signore, e nell'indossarla il sacerdote dice: "Domine, qui dixisti iugum meum suave est". Nei giorni di lutto e di penitenza i ministri sacri, invece della dalmatica o della tunicella, usano la pianeta piegata; cioè la parte anteriore della pianeta vien avvolta davanti al petto o addirittura tagliata poco prima della metà. Il suddiacono, prima della lettura, depone la pianeta piegata, per riassumerla dopo; il diacono, invece, dal Vangelo alla Comunione, deposta la pianeta, indossa il cosiddetto stolone, per esser più libero nel servire all'altare.
Bibliografia J. Braun, Die liturgische Gewandung im Occident und Orient, Friburgo in Br. 1907; id., Handbuch der Paramentik, ivi 1912, pp. 119-40; (ed. it., I. paramenti sacri, Torino 1914, pp. 93-109); J. Roulin, Vêtements liturg., Parigi 1930; G. Destefani, La S. Messa nella liturgia romana, Torino 1935, pp. 209-21; C. Callewaert, Liturg. Institut., III, 1, Bruges 193'7, pp. 66-69, 73; M. Righetti, Man. di stor. liturg., I, Milano 1950, II ed., pp. 499-507.
PISSIDE
PISSIDE
Vaso liturgico per la conservazione dell'eucaristia per la comunione, da pyxis, pyzos, lat. pyxis, scatola, vasetto rotondo poligonale per medicine, unguenti, profumi, ecc. in bosso, in altro legno, in metallo, ma più specialmente in avorio. Dal secolo XII si dette alla patena un piede con nodo; la sua forma si assimilò a quella del calice. Questa forma si conserva tuttora; ma dopo il Concilio Tridentino, quando aumentò l'uso della Comunione privata fuori della messa, la coppa divenne più ampia.
PIVIALE
PIVIALE
(Pluviale, cappa, mantus) Manto liturgico di forma semicircolare, lungo fin quasi ai piedi, aperto davanti e fermato sul petto da un fermaglio. La parte posteriore è ornata dal cosiddetto "scudo". Non trae origine dall'anticalacerna, e neppure dall'antica paenula, essendo esse da lungo tempo fuori dell'uso civile quando il piviale venne adoperato nel culto liturgico. Sembra derivi piuttosto dalla cappa corale chiericale o monastica dei secc. VIII e IX, distinta dalla pianeta a campana della stessa forma perché aperta davanti (o almeno con aperture per passarvi le mani) e munita di cappuccio, che si portava in coro e alle processioni, di panno nell'uso quotidiano, di seta nelle feste. Nel sec. IX non si trova ancora annoverato tra le vesti liturgiche (Amalario designa ancora la pianeta come veste liturgica comune a tutto il clero). Dal sec. X i cantori cominciavano ad usare la cappa festiva invece della pianeta, seguivano i sacerdoti nelle funzioni fuori della S. Messa, specialmente all'incensazione nelle Lodi e nei Vespri (donde il nome tedesco Rauchmantel= manto dell' incensazione; Vespermantel = manto del Vespro). Alla fine del sec. XI la cappa finisce per diventare una veste liturgica in tutte le funzioni fuori della S. Messa, restando la pianeta esclusivamente propria della S. Messa; e vien portata non soltanto dai sacerdoti o vescovi, ma da tutto il clero, dai cantori e dai ministri inferiori. In Italia si preferisce il nome di piviale perché ha la forma di un manto che protegge dalla pioggia e dalle intemperie, mentre fuori d'Italia si chiama cappa, in Spagna anche mantus. Vien fatta, di regola, di seta e segue le regole dei colori liturgici.
Bibliografia
E. Bishop, The origin of the cupe as a church vestment in Dublin Review, genn. 1897, p. 1 sgg.; J. Braun, Die liturg. Gewandung im Occid. und im Orient, Friburgo in Br. 1907, pp. 306358; id., Die liturg. Paramente, ivi 1912 (trad. it., I paramenti sacri, Torino 1914. pp. 110-16); E. Bishop, Liturgica historica, Oxford 1918. pp. 260-75; C. Callewaert, De pluviali, in Collat. Brugenses, 26 (1926), pp. 166-71; id., Sacris erudiri, Steenbrugge 1940, pp. 227-30; M. Righetti, Man. di st. liturg., I, II ed.,. Milano 1950, pp. 510-11.
PLACARE CHRISTE SERVULIS
PLACARE CHRISTE SERVULIS
Inno dei vespri della festa di Ognissanti, di autore sconosciuto; lo si ritrova nei manoscritti fino al secolo X. È una successione di invocazioni alle varie categorie di santi perché impetrino la Grazia della salvezza. I correttori sotto Urbano VIII hanno rifatto quasi completamente quest'inno, che nell'originale incominciava: Christe, Redemptor omnium.
Bibliografia
J. Wackernagel, Das deutsche Kirchenlied, I, Lipsia 1864, pp. 321-34; U. Chevalier, Poésie liturgique. Rytme et histoire, Parigi 1893, p. 247; C. Albin, La poésie du Bréviaire, Lione a. a., pp. 369-73; A. Mirra, Gli inni del Breviario romano, Napoli 1947, p. 241; Silverio Mattei, da Enciclopedia Cattolica, IX, Città del Vaticano, 1952, col. 1596
PLAIN CHANT MUSICAL
PLAIN CHANT MUSICAL
Nel 1669 Henri Du Mont pubblicò cinque messe che son divenute universalmente celebri. Sembra che egli sia stato anche l'inventore del termine con cui si designano quelle composizioni religiose dei secc. XVII e XVIII che sono in opposizione alla polifonia perché monodiche, benché non derivanti dal gregoriano. L'origine del plain chant musical si presenta come un compromesso tra il canto gregoriano e il gusto moderno, ed ha l'intento di offrire pezzi facili per tutti. Pretende inoltre di essere più semplice del gregoriano. Dalla tonalità moderna prende i toni maggiori e minori, le modulazioni, la fraseologia, e le cadenze ed i cromatismi; dalla notazione figurata le lunghe, le brevi e le semibrevi. Coltivato in Francia da Bourgoing (1634), da Cl. Chastelain, J.-B. de Contes, Du Mont, Nivers, il figlio di Lulli, Poisson, Leboeuf, trovò il suo migliore teorico in La Faillée (1748) e fu usato nelle neoliturgie gallicane. Suo capolavoro è la famosa Messa Trompette.
Bibliografia
Notizie sparse in J. d'Ortigue, Dict. de p. c., Parigi 1857; J. Combarieu, Histoire de la musique, I, ivi 1924, pp. 201-203; II, ivi 1925, p. 249; M. Brenet, Dict. de la musique, ivi 1926, p. 357; Eugenio Cardine, da Enciclopedia Cattolica, IX, Città del Vaticano, 1952, col. 1598.
PLICATA
PLICATA
Pianeta plicata e stolone. I diaconi e suddiaconi non usano la pianeta che nei giorni in cui, secondo un'antica consuetudine, non devono portare la dalmatica e la tunicella, però, come nota espressamente il Messale, solo nelle Cattedrali ed altre Chiese principali, non nelle piccole dove in tali giorni essi devono fare le funzioni senza la veste esteriore. Essi devono anche per distinguersi dal sacerdote portare la planeta plicata cioè o arrotolare o ripiegare la parte anteriore fin sul petto, o come si fa ora a Roma, raccorciarla in modo che arrivi solo al petto. Il suddiacono la porta così tutto il tempo della Messa, tranne mentre canta l'epistola, ché allora la depone. Il diacono ritiene la planeta plicata fino al vangelo; allora se la toglie, la ripiega su se stessa a forma di striscia, se la mette a mo' di sciarpa e continua così nel suo uffizio fin dopo la comunione, ed allora se la rimette come in principio della Messa. Perché il ripiegare la pianeta moderna a forma di striscia non è cosa commoda, si permette che dal Vangelo in poi si sostituisca con una semplice benda, la quale per la sua somiglianza colla stola, è detta nel Messale stola latior (stolone); ma non è per niente una vera stola e perciò non deve avere la croce come la stola. ln Allemagna la planeta plicata non si usa più.
Bibliografia
G. Braun, Paramenti sacri. Loro uso storia e simbolismo, trad. it., Torino, 1914, p. 96.
POSTCOMMUNIO
POSTCOMMUNIO
Nel rito latino (romano, ambrosiano, gallicano e mozarabico) è l'orazione che si dice dal sacerdote dopo la Comunione e il canto alla
communiodel popolo, introdotta con Dominus vobiscum; detta perciò Postcommunio (talvolta anche ad Communionem) già nei libri cosiddetti Gelasiani, mentre nel Gregoriano si legge Ad complendum o Ad completa, cioè per compiere la messa. Il postcommunio si recita, terminato il sacrificio, "in cornu Epistolae", non più nel mezzo dell'altare. Con la Colletta e la Secreta ("Super Oblata" del Gregoriano) il postcommunio si trova negli antichissimi testi del rito latino del sec. V-VI; ha la stessa struttura di queste orazioni, varia secondo le feste e collega la Comunione con esse o con il periodo dell'anno ecclesiastico. Nel rito latino il postcommunio non è tanto un ringraziamento della Comunione, come nella liturgia orientale, ma piuttosto una supplica affinché la Comunione abbia la sua piena efficacia, sia purificaz9ione delle colpe (remedium, subsidium, munimen, medicina caelestis), pegno della vita eterna ("redemptionis nostrae pignus", "immortalitatis alimonia"), l'unità con Cristo ("inter eius membra numeramur, cuius corporis communicamur et sanguini").
Bibliografia
H. Batiffol, Leçons sur la Messe, Parini 1923, 296-99; G. Brinktrine, La S. Messa, Roma 1945, pp. 263; M. Righetti, Manuale di storia liturgica, III, Milano 1949, pp. 436-37; I. A. Jungmann, Missarum sollemnia, II, Vienna 1949, pp. 509-16; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, IX, Città del Vaticano, 1952, col. 1839.
PREFAZIO
PREFAZIO
È la preghiera solenne di lode e di ringraziamento cantata o recitata, finito l'Offertorio, all'inizio dell'azione del sacrificio. La voce "prefazio" deriva dall'antico uso di una formola o preghiera solennemente proferita davanti un'assemblea.
PRESBITERIO
PRESBITERIO
(sacrarium, santuario) Lo spazio destinato al vescovo e ai sacerdoti nelle funzioni sacre. Si trovava di fronte all'entrata, un po' elevato con uno o più gradini, corrispondente così alla parte detta "pretorio" dell'antica basilica pagana, e terminava di regola con un'abside semicircolare, rettangolare o poligonale. In fondo all'abside si metteva la cattedra del vescovo, a destra e a sinistra semplici banchi di pietra per i sacerdoti (i diaconi non si sedevano mai, ma assistevano in piedi). L'altare si innalzava dinanzi alla cattedra sotto l'arco detto "trionfale" della basilica. Dal medioevo, quando l'altare maggiore si avvicinò al muro tenendo così il posto della cattedra, il luogo immediatamente prima dell'altare, lo spazio cioè dove si svolgevano i servizi sacri, si chiamò presbiterio. Alla sinistra, detta in cornu Evangelii nelle cattedrali si metta la cattedra o il trono del vescovo; di fronte, alla parte dell'epistola, si trovano i banchi o i sedili per i ministri sacri parati. Verso il popolo un basso parapetto divisorio, detto "pergola", lettorio, iconostasi (oggi balaustra), serviva a separare il presbiterio dalla navata, riservata ai fedeli, onde assicurare all'altare una sufficiente zona di rispetto, entro la quale nessun laico doveva entrare, specialmente durante la celebrazione delle funzioni sacre; alle donne era vietato l'accesso al santuario.
Bibliografia
Moroni, LV, coll. 160-70; I. Sauer, in LThK, VIII, p. 452; G. Perardi, La dottrina cattolica. Il culto, I, Torino 1938, pp. 223-26; M. Righetti, Manuale di storia liturgica, I, Milano 1950, pp. 351-62, 438-39; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, IX, Città del Vaticano, 1952, coll. 1960-1961.
PRIMA
PRIMA
Ora canonica che si recita all'inizio del giorno. Si compone di due parti distinte, prima propriamente detta (ufficio del coro) e ufficio del capitolo; l'una si diceva in coro, l'altra invece nella sala del capitolo.
PONTIFICALE
PONTIFICALE
È il libro liturgico che contiene la descrizione (rubriche) e le formole delle funzioni riservate normalmente al vescovo (pontifex).
PURIFICATORIO
PURIFICATORIO
(abstensorium, extersorium) Piccolo rettangolo di lino (cm. 25/30 x 40/50) che serve nella messa per asciugare le dita, le labbra e il calice dopo la seconda abluzione, per purificare la patena prima di deporvi l'ostia consacrata dopo il "Pater noster"; e il calice prima di infondervi il vino e l'acqua all'Offertorio.