Dal latino taberna(= baracca costruita con tavole di legno), indica l'attendamento da campo dell'esercito romano; corrisponde a casetta di legno a doppio spiovente con chiusura a tendaggi. Nella bassa latinità equivale a anche a edicola sacra in forma di casa. Nella liturgia cattolica è un'edicola chiusa ed elevata, posta nel centro dell'altare ove si conserva l'eucaristia.
TEMPORALE
TEMPORALE
Nella Chiesa latina quella parte dell'anno liturgico che nei libri ufficiali della Chiesa latina porta il titoloProprium de tempore.
TERZA
TERZA
L'ora canonica della terza ora del giorno, che corrisponde alle 9. È la più solenne delle ore minori e precede la Messa solenne nei giorni festivi. L'inno accenna alla discesa dello Spirito Santo; nella festa e nell'ottava di Pentecoste è sostituito con il Veni Creator Spiritus. Nell'antichità, come si sa da Ippolito e dalle Cost. ap., si metteva la terza ora della preghiera in relazione con la condanna del Signore davanti a Pilato. L'ora canonica era dapprima un atto di pietà privata, poi orazione pubblica e canonica dei monaci e, dal sec. V-VI, anche del clero secolare, e la sua struttura è comune a quella delle altre ore minori, la Sesta (v.) e la Nona (v.).
Bibliografia
C. Callewaert, De Breviarii Rom. Liturgia, Brugge 1930, nn. 212, 226, 317, 318; P. Albrigi, Sacra liturgia. L'Orazione pubblica, Vicenza 1941, pp. 88-90, 439-41; M. Righetti, Man. di st. liturg., Milano 1946, pp. 421-23, 584-86; A. Leclercq, Sexte et Tierce, in DACL, XV, coll. 1396-99; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, XI, Città del Vaticano, 1953, col. 2035.
TOMMASI GIUSEPPE MARIA
TOMMASI GIUSEPPE MARIA
Santo Cardinale, liturgista, storico e teologo teatino, nato a Licata (Sicilia) il 12 settembre 1649, morto a Roma il 1° gennaio 1713.
TOVAGLIA
TOVAGLIA
1. LA TOVAGLIA
(tobalea) Sin dal sec. VI, ma più frequenti dopo il sec. X sono le figurazioni di tovaglia da tavola e da altare in musaici e pitture dell'epoca; anche negli inventari si trovano sovente citazioni di tovaglie dette per lo più ad "opus theutonicum" o "de Alemannia". Sembra si tratti di ricami in bianco su bianco, se non tutte di importazione nordica, certo di imitazione del tipo originario tedesco. Secondo il p. Braun la più antica tovaglia d'altare pervenutaci e ancora conservata è quella rinvenuta nel reliquario di s. Eriberto a Deutz, che precede l'esemplare del "Sancta Sanctorum" del sec. XII, attualmente nel Museo Sacro Vaticano. Altro importante esempio è nel Metropolitan Museum di Nuova York, proveniente da Altenberg. Tutte queste tovaglie presentano un disegno ampio di linee a rete, la maggior parte in forma di rombi, con foglie stilizzate, palmette, aquile, motivi che indicano provenienza varia. Frammento, che si direbbe più tardo, è nel Museo di Schnütgen di Colonia e, della fine del '200, è il mirabile lavoro ad ago detto opera della b. Benvenuta Boiani (1251-92), conservato nel Museo di Cividale, esso pure in bianco su bianco, ma completamente figurato con straordinaria finezza disegnativa, degna di una preziosa opera di pittura. Altri esempi si trovano nel Museo di Hannover, nella chiesa di S. Maria a Danzica e del duomo di Halberstadt: in quest'ultimo, al ricamo in bianco si associa la presenza di fili in seta a vari colori. In tessuto di lana su lino in verde e porpora è una tovaglia egiziana del Museo Sacro Vaticano, che proviene da Achmin; sebbene la tecnica ricordi ancora l'epoca copta, l'ornato a grande croce centrale e quattro piccole angolari, nettamente stilizzato, indica un'età non anteriore al sec. XIII, tecnica che il Volbach connette a quella di una tunica del Museo di Magonza. Particolare diffusione ha in Italia un tipo di tovaglia che dal medioevo si estende fino a tutto il '300 e '400, fabbricato secondo la tradizione, specialmente a Perugia dalla Confraternita della Mercanzia. Larga documentazione di questo tipo è anche nella pittura (Simone Martini, S. Martino in atto di celebrare la Messa, Assisi, basilica di S. Francesco, riprodotta alla voce Elevazione; Ghirlandaio, Cena, Convento di S. Marco, Firenze, ecc.). Questi tessuti sono in bianco ad opera turchina e raffigurano animali affrontati, castelli, cavalieri, sirene, centauri, scritte o figurazioni sacre, quali l'albero della vita, l'agnello portacroce, cervi, teste di cherubini, colombe, ecc. Si ritengono derivati da più antichi tessuti senesi e cronologicamente è possibile classificarli in base ad un progressivo predominio delle figure sulle più antiche forme geometriche stilizzate, un addolcirsi delle linee, dapprima taglienti e crude, un infittirsi e impreziosirsi del punto che negli esemplari più remoti appare lungo e irregolare. Dal sec. XVI in poi diminuisce l'uso di tovaglie ricamate e subentra quello di ornarle di bordi, di galloni, trine o merletti che seguono lo sviluppo e la fioritura di questi preziosi lavori ad ago e a fusello (v. Merletto; Stoffe).
2. PRESCRIZIONI LITURICHE CIRCA LE TOVAGLIE
Le rubriche del Messale prescrivono che l'altare per la celebrazione della s. Messa sia ricoperto da tre tovagliE: due (o una ma ripiegata) per coprire tutta la sacra mensa, almeno la pietra sacra negli altari mobili; la terza, superiore, per ricadere anche ai due lati dell'altare fino all'ultimo gradino. La terza serviva nel medioevo anche per coprire il calice, donde deriva il corporale. Debbono essere di lino puro in memoria della Sindone in cui fu avvolto il corpo di Gesù Cristo per la sepoltura, e vengono benedette. Sotto le tre t., immediatamente sulla mensa, si mette una forte tela incerata, detta crismale, per proteggere le tovaglir dall'umidità; è prescritta dal Pontificale per proteggere dall'Olio dopo la consacrazione dell'altare. La tovaglia è uno dei paramenti più antichi, e si conviene all'altare per la nettezza, la devozione e riverenza. Si vede nel musaico di S. Vitale di Ravenna l'altare coperto da un'ampia tovaglia bianca, orlata con frangia, decorata al centro di un rosone e ai fianchi con riquadri a ricamo. Anticamente si copriva l'altare soltanto al momento della celebrazione della s. Messa, come si fa anche oggi per le funzioni del Venerdì Santo. In origine era un'unica tovaglia, ma dal sec. VIII s'incominciò ad usarne di più. A Roma al tempo di Burcardo, cerimoniere papale (m. nel 1506), se ne usavano tre. Per proteggerla dalla polvere o da altre impurità, prima e dopo le sacre funzioni la tovaglia superiore viene coperta da un panno, detto vesperale o coprialtare, di qualunque materia e colore. Non si rimuove nei Vespri, neppure nei pontificali; basta ripiegarlo all'incensazione (Caer. Episc., II, cap. 1, n. 13).
Bibliografia
L. De Farcy, La broderie du Xle siècle jusqu'à nos jours, Angers 1890; P. Perari, T. e mantili di Perugia (sec. XIII-XVI), in Augusta Perusia, 1907, fasc. 56; W. Bombe, Studi sulle t. perugine, in Rass. d'arte, 1914, pp. 108-20; G. Fogolari, La t. dellab.Benvenuta Boiani a Cividale, in Dedalo, 1 (1920), pp, 7-16; J. Braun, Die liturgischen Paramente in Gegenwart und Vergangenheit, Friburgo in Br. 1924; F. Podreider, Storie dei tessuti d'arte in Italia, Bergamo 1928; A. Santangelo, Cividale (Catalogo delle cose d'arte e d'antichità d'Italia), Roma 1936; L. Serra, L'antico tessuto d'arte ital., ivi 1938; I. De Claricini Dornpacher, La t. longobarda del Sancta Sanctorum, Milano 1945; W. F. Volbach, I tessuti del Museo Sacro Vaticano, Città del Vaticano 1942; J. Braun, Handbuch der Paramentik. Friburgo 1912, 210-17; M. Righetti, Mati. di stor. liturg., I, Milano 5950, 442-45; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, XII, Città del Vaticano, 1954, coll. 390-392.
TRATTO
TRATTO
(Tractus) Canto che segue il Graduale e fa le veci dell'Alleluia, nei tempi penitenziali da Settuagesima a Pasqua, nelle messe dei defunti e in alcuni altri giorni (vigilie, ecc.). Consta di due, tre, quattro e anche più versetti che si cantavano nell'antichità cristiana da un solo cantore, più tardi da due all'ambone, di seguito (tractim) ossia senza interruzioni antifoniche o responsoriali da parte del coro.
TRONO
TRONO
(thronus, cathedra, sedes) È il seggio riservato al vescovo nella sua chiesa cattedrale per le funzioni pontificali. Era anticamente sul tipo della cattedra dei senatori, e divenne poi da semplice cattedra dottrinale un trono di onore sopra un alto podio di scalini con baldacchino sul tipo del trono imperiale bizantino concesso ai magistrati statali imperiali; fatto di pietraodi marmo, si trovava in fondo all'abside della basilica, fino ai secc. XI e XII. Già al tempo carolingio, specialmente da quando l'altare maggiore venne spostato nell'abside, il trono si metteva davanti all'altare al lato del Vangelo (Ordo Rom. II, 2, 3; V, 21 [ed. Andrieu: II, 115, 231]). Tutti e due i posti, all'abside e al lato destro dell'altare, sono previsti anche oggidì nel Caeremoniale Episcoporum (lib. I, cap. 13, 1 e 2). Quello al lato (nel medioevo movibile e sprovvisto di baldacchino: Durandus, Rationale, lib. II, cap. 11,2) oggidì rimane eretto in permanenza. Il seggio (di legno di pietra o di metallo) sta elevato su tre gradini, coperti da tappeti, e sormontato da un baldacchino; ha la forma di una sedia a braccioli con postergale e vien vestito di panno (o di seta) del colore della funzione pontificale; il postergale si decori con lo stemma del titolare. Perché simbolo della potestà suprema sacerdotale e giuridica della diocesi, il trono conviene soltanto al vescovo della diocesi; il coadiutore e l'ausiliare e gli altri vescovi debbono servirsi del faldistorio da mettere al lato sinistro dell'altare, detto dell'Epistola; fanno eccezione l'arcivescovo nell'ambito del suo territorio metropolitano al quale nella Cattedrale suffraganea si alza il trono al lato dell'Epistola, riservato quello del Vangelo al vescovo diocesano, i cardinali in tutte le chiese fuori Roma (alla loro presenza per riverenza l'Ordinario usa il faldistorio), i nunzi nelle chiese del territorio, nella Cattedrale con consenso del vescovo. Con la concessione delle funzioni pontificali il vescovo può accordare anche l'uso del trono con il baldacchino (CIC, can. 337, 3) ai vescovi di regime, nella Cattedrale stessa, mai al vescovo coadiutore o all'ausiliare. Anche gli abati hanno nelle loro chiese abbaziali l'uso del trono (a due scalini) col baldacchino (CIC, can. 325). L'atto di presa di possesso della diocesi si dice "intronizzazione" del vescovo; l'intronizzazione liturgica fa parte, fino dall'alta antichità, del rituale della consacrazione; quella giuridica, della "canonica provisio seu institutio" (CIC, cann. 332, 1; 334, 3), si fa con la presentazione delle lettere apostoliche al Capitolo della chiesa cattedrale. Nel rito greco si usa un doppio trono: quello più antico nel fondo dell'abside simile alla cattedra antica; e quello recente con alto postergale e baldacchino nella navata della chiesa, simile al t. vescovile nell'Occidente. Il tronetto con baldacchino, detto anche tempietto o residenza, prescritto per l'esposizione pubblica del S.mo Sacramento, consiste di una base o piedistallo, del postergale di stoffa o di seta bianca e del baldacchino, sorretto talvolta da colonne; è mobile, cioè vien usato c collocato soltanto per l'esposizione eucaristica (Decr. auth. 4268 ad 4 del 27 maggio 1911). Non è permesso, fuori dell'esposizione, mettervi la Croce; non conviene collocare il tronetto sopra il tabernacolo.
Bibliografia
Caeremoniale Episcoporum, lib. I, cap. 13; P. De Puniet, Le pontificat romain, t. II, Lovanio-Parigi 1931, p. 56: Th. Klauser, Der Ursprung der bischöfl. Insignien und Ehrenrechte, Krefeld 1949, pp. 18-22, 35-36, n. 32 (cf. le opere citate di R. Delbrueck - A. Alfüldi, ibid., p. 31); M. Righetti, Manuale di storia liturgica, I, Milano 1950, pp. 383-86; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, XII, Città del Vaticano, 1954, col. 570.
TUNICELLA
TUNICELLA
(tunica, tunica linea, tunica scriscia; subtile; dalmatica minor, dalmatica subdiaconalis) Sopravveste liturgica del suddiacono, di forma e stoffa uguale alla dalmatica del diacono. Usata a Roma nel sec. VI, venne abolita da Gregorio M., ma ritornò nel sec. IX e si propagò anche fuori di Roma. In quel frattempo (secc. VI-IX) i suddiaconi portavano, come gli altri chierici, la pianeta; oggi è rimasta la pianeta (piegata) soltanto nei tempi liturgici di penitenza dell'Avvento e della Quaresima. Da quando il suddiaconato venne annoverato tra gli Ordini maggiori, si dava ai suddiaconi, per distinzione dagli altri Ordini, un abito ordinario di servizio simile a quello diaconale: una tunica discinta, di ampiezza minore, a maniche strette, senza clavi. In seguito si assomigliava a poco a poco alla dalmatica e ne seguiva l'accorciamento e la deformazione. La consegna ai neosuddiaconi s'introdusse nel sec. XIII. Da questo tempo occorre anche il nome "tunicella"; dapprima, specialmente fuori di Roma, si diceva subtile. La tunicella appartiene all'ornato pontificale del papa già nel sec. VIII. I vescovi portano sotto la pianeta fino al sec. XII o la dalmatica diaconale a maniche lunghe, o la tunicella suddiaconale a maniche strette: poco a poco tutte e due, ma soltanto nella Messa pontificale e in quella dell'Ordinazione. Agli abati fino al sec. XIII fu concesso di rado l'uso della tunicella, di regola soltanto quello della dalmatica diaconale.
Bibliografia
J. Braun, Die liturg. Gewandung im Occident und in Orient, Friburgo 1907, pp. 247-302; id., I param. sacri, Torino 1914; M. Righetti, Man. di stor. liturg., I. Milano 1950, p. 509; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, XII, Città del Vaticano, 1954, coll. 608-609.
TURIBOLO
TURIBOLO
Dal lat. thus, thuris"incenso" è un recipiente di metallo per bruciare profumi, il cui uso religioso è attestato, in Occidente come in Oriente, da rinvenimenti archeologici e da figurazioni glittiche, pittoriche, relative anche alle più antiche civiltà (Egizi, Etruschi, Celti, ecc.). Si chiama anche thymiaterium, incensorium, fumigatorium. Nella liturgia cattolica il suo impiego è documentabile fin dalla 2ª metà del sec. IV (v. INCENSO), però solo al sec. XI si può far risalire il generalizzarsi della tipica struttura che il turibolo conservò fino ai nostri giorni, pur adattandosi, negli accessori formali e nei dettagli della decorazione, alle variazioni di gusto e stile, determinate dal mutare delle stagioni artistiche. La forma liturgica attuale è quella di un recipiente a forma di coppa con base o piede, d'argento o altro metallo idoneo a contenere un piccolo braciere, su cui si depongono i granelli di incenso. Sopra ha un coperchio con aperture sufficienti a far circolare l'aria e ad emettere il fumo profumato. La sospensione e la manovra dell'ondulazione rituale sono rese possibili da un sistema di quattro catenelle: tre laterali servono a congiungere la coppa con un'impugnatura e a trattenere, mediante appositi scorritori, il coperchio; la quarta, centrale, è collegata con un largo anello che emerge dall'impugnatura e serve a sollevare il coperchio per l'immissione dell'incenso. Gli antichi turiboli. erano aperti, più da portare o appendere o tenere in piedi, che non da agitare; nella liturgia ambrosiana sono tuttora aperti, come in quella orientale. L'apparecchiatura è completata da un piccolo recipiente, che serve ad accogliere la riserva d'incenso, detto "busta", "pixis", e "scrinium", "capsula", e dal sec. XIII "navicella" dalla sua forma specifica. Per mettere l'incenso si usa (dal sec. XI) un cucchiaino. I turiboli primitivi, in uso presso i Greci e i Romani e accolti dalla Chiesa antica, avevano forma di semplici scatole o coppe, sostenute a mano, appoggiate a tripodi, o sorrette da catenelle (come si vede, ad es., nel musaico di S. Apollinare e in una miniatura del Sacramentario di Gellone, sec. VIII). Forme semplici, seppure talvolta geometricamente più articolate, presentano anche i manufatti dell'alto medioevo, adorni con decorazioni geometriche e incisione a sbalzo, compatibilmente con il metallo usato, che è prevalentemente il bronzo. Nel periodo romanico si fa più frequente l'uso di materie nobili (oro, argento) e di decorazioni complesse, anche al cesello. Si diffonde il tipo a quattro catenelle, che poi prevarrà nel gotico. A quest'ultimo periodo appartengono i più preziosi esemplari artistici che si conservino nei tesori delle basiliche e nelle raccolte italiane (Anagni, Cattedrale; Mozzanello, Parrocchiale; Francavilla a Mare, S. Franco; Mercatello, S. Francesco; Mileto, Cattedrale; Padova, S. Antonio; Siena, Duomo). L'estro degli orafi gotici si sbizzarrì nell'architettare guglie, pinnacoli, loggette, che simulano tabernacoli, torri, fronti di chiese e palazzi. I manufatti del sec. XVI testimoniano invece l'accostamento alle forme tardo-rinascimentali, come il turibolo di S. Giovanni Peresti a Stilo, o l'altro, che può essere considerato il capolavoro del tipo a tabernacolo, della cattedrale di Borgo S. Donnino: la sua finissima esecuzione lo ha fatto assegnare alla bottega del Cellini. Fra gli innumerevoli esemplari dell'argenteria barocca si elevano, per sicurezza di gusto e grazia di ornati, i turiboli della chiesa arcipretale di S. Pietro a Magisano e della cattedrale di Rossano, entrambi del sec. XVII; e quelli di S. Maria Maggiore a Taverna; di S. Maria Maddalena a Norano Calabro, delle parrocchiali di Monchio e Bivongi, di S. Petronio a Bologna, tutti del sec. XVIII. Pregevoli, nel sec. XIX, i t. delle cattedrali di Caulonia e Gerace. I migliori esemplari del nostro secolo appartengono all'arte delle missioni. Strettamente connessa al turibolo è la navicella, vaso a forma di piccola nave di metallo, raramente di legno o di cristallo, che contiene l'incenso. Fra le navicelle artistiche sono da ricordare, ad es., quella del Tesoro del Santo a Padova, che reca nell'interno dello sportello una fine incisione con la pietà, di autore veneto del sec. XV, quella della cattedrale di Bologna del sec. XVIII e quelle del Tesoro di S. Marco a Venezia.
Bibliografia
Moroni, XXXIII, pp. 152-56; D. M. Dalton, Byzantine art and archaeology, Oxford 1911, pp. 534-76; H. Leclercq, Encensoir, in DACL, V (1922), coll. 21-33; J. Braun, Das christl. Altargerät in seinem Sein und in seiner Entwicklung, Monaco 1932, pp. 598-642; anon., Incensiere, in Enc. It., XVIII, pp. 693-64; Riccardo Averini, da Enciclopedia Cattolica, XII, Città del Vaticano, 1954, coll. 639-641.