(manipulum, mappula, fano, sudarium, mantile, manuale, sestace) Indumento liturgico, portato sull'avambraccio sinistro in modo che le due bande pendano da ambedue le parti, confezionato della stessa stoffa della pianeta. Il manipolo è proprio di tutti gli ordini maggiori, specialmente del suddiaconato, da quando questo cominciò ad essere annoverato fra i maggiori (secc. XI e XII). Si usa, oltre che nella Messa, soltanto all'Epistola e Vangelo nella benedizione delle palme, ed all'Exultetdel Sabato Santo; non si usa mai col piviale. Il vescovo mette il manipolo all'altare dopo aver recitato il Confiteor; il sacerdote dopo il cingolo, prima della stola; i ministri dopo la tunicella o dalmatica. Il manipolo, d'origine romana, deriva dalla mappa o mappula, una specie di fazzoletto da tasca usalo dai nobili romani in certi costumi di gala (le alte cariche dello Stato, p. es., consoli in tenuta di cerimonia come risulta dai dittici consolari), tenuto in mano come oggetto di etichetta e solamente ad ornamento. Questa mappula decorativa venne da quella d'uso comune (Amalario, De eccl. off., II, cap. 24). Non si sa precisamente quando il manipolo sia entrato a far parte della suppellettile sacra. La prima notizia del manipolo diaconale si trova nella vita dei papi Silvestro I (314-24) e Zosimo (417-18) del Liber Pontificalis; si chiama "pallium linostimum" un tessuto di pregio, fatto di lana o di seta su trama di filo, dato a titolo di onore, da portarsi sulla mano sinistra. Il manipolo del Papa occorre nell'Ord. Romanus I (la cui consegna serve a dare segno d'incominciare il canto dell'Introito); il manipolo del suddiacono nell'Ordo Romanus VI; talvolta anche gli accoliti (Ordo Romanus V) usavano il manipolo ma non in mano, "in sinistro latere ad cingulum"; ed i monaci cluniacensi nelle feste; ma in seguito l'uso venne riservato ai monaci d'ordine maggiore (suddiaconi ecc.). Il manipolo era la prerogativa del clero romano, ma da s. Gregorio Magno, per le insistenze di Ravenna, fu concesso anche al solo primo diacono di quella Cattedrale. Nel sec. IX il manipolo si trova in uso dappertutto nell'Occidente, A Roma è chiamato mappula, fuori di Roma "manipolo" : quest'ultima denominazione divenne di regola; ricorrono altri nomi: fano (phano-panno) e mantile in Rabano Mauro, sudario in Amalario, sestace a S. Gallo. Fin oltre il 1100 (v. affresco del sec. XI di S. Clemente a Roma) si porta il manipolo nella mano sinistra; verso il sec. XIIXIII s'incominciò a fissare il manipolo sull'avambraccio. Il manipolo ritenne la forma antica di fazzoletto oltre il sec. IX; in seguito, ripiegato su se stesso, venne prendendo a poco a poco la forma di striscia o fascia; sul finire del sec. XIV diviene corrente la forma odierna. Al tempo d'Amalario, era fatto di lana; venne poi usata la seta; alle estremità si mettono frange, talvolta campanelli, ricami o trame in oro. La rubrica del Messale prescrive soltanto l'ornamento con un segno di croce in mezzo. Nel rito greco si trova un indumento corrispondente al manipolo , chiamato encheirion, proprio del solo vescovo, portato a destra nel cingolo, non nella o sulla mano; in seguito trasformato nell'epigonation romboidale (J. Braun [v. bibl.], pp. 550-54).
Bibliografia
J. Braun, Die liturgische Gewandung im Occident und Orient nach Ursprung und Entwicklung, Verwendung und Symbolik, Friburgo in Br. 1907, pp. 515-61; L. Eisenhofer, Handuoch der kath. Liturgik, I, ivi 1932, pp. 449-52; M. Righetti, Manuale di storia liturgica, I, Milano 1945, pp. 498-500; T. Klauser, Der Ursprung der bischöflichen Insignien und Ehrenrechte (Bonner akadem. Reden, I), Krefeld 1949, pp. 17-22; A. Alföldi, Insignien und Tracht der römischen Kaiser, in Mitteilungen des deutschen archäologischen Instituts, Röm. Abt., 50 (1935), pp. 1-171; Pietro Siffrin,da Enciclopedia Cattolica, VII, Città del Vaticano, 1951, coll. 1969-1970.
MANTELLETTA
MANTELLETTA
(mantellum) Veste ecclesiastica, ma non liturgica, specie di mantello ridotto, di forma ampia che scende fino alle ginocchia, aperta davanti, senza maniche, con due larghe aperture laterali per introdurvi le braccia. Distintivo di dignità, è l'abito della prelatura romana. La portano i cardinali, i patriarchi, i vescovi, gli abati regolari, i protonotari apostolici ed i prelati domestici; si usa sempre con il rocchetto. Nelle loro diocesi, tutti i vescovi usano la mozzetta senza la mantelletta. Nella Curia romana tutti, deposta la mozzetta, indossano la mantelletta. In presenza del papa, i cardinali portano il rocchetto, la mantelletta e la mozzetta; in sede vacante, come nei loro luoghi di giurisdizione, essi procedono con il rocchetto senza mantelletta. Nella loro diocesi, alla presenza di un cardinale o del proprio metropolita, i vescovi usano la mantelletta. e la mozzetta; se poi il cardinale è legato a latere, la sola mantelletta. Il colore della mantelletta dipende dalla persona che la porta: i cardinali l'hanno di tre colori, rosso di solito, violaceo nei giorni di penitenza e di lutto, rosaceo nelle domeniche Gaudete e Laetare; gli altri prelati e vescovi usano di regola il violaceo. I cardinali, i vescovi e gli abati regolari sono generalmente tenuti ad usare l'abito del colore del loro ordine. Da quando la mantelletta sia in uso, non è certo; forse mantellum dell'Ordo Roman. XIII (Caeremoniale Romanum, ed. iussu Gregorii X, dopo il 1274) o dell'Ordo Roman. XV (Liber de caeremoniis S. R. E. "auctore Petro Amelio, Ep. Senegalliensi", m. nel 1401) si riferisce alla mantelletta (Braun); G. Catalani cita nel Caeremoniale episcoporum (I, Roma 1744, pp. 14-15) il can. II del Concilio Budense (1279) ed i decreti del Concilio provinciale II Mediolanense di s. Carlo (sec. XVI) "in usu fuisse saec. XV".
Bibliografia
Motu proprio di Pio X, Inter multiplices; del 21 febbr. 1905, in Decr. auth. Congreg. Sacr. Rit., n. 4154 ad 7.16.26. (31); Decreto S. Congreg. Caerem. 24 giugno 1933, in AAS, 25 (1933), pp. 341-42. Studi : G. Moroni, s. v. in Diz. di erud. stor. eccl., XLII, pp. 150-54; P. Hinschius, System des kath. Kirchenrechts, I, Berlino 1869, p. 358, n. 5, 390; II, ivi 1878, p. 47, n. 11; P. Hofmeister, Mitra und Stab der wirklichen Prälaten ohne bischöflichen Charakter, Stoccarda 1928, p. 58; J. Braun, s. v. in Cath. Enc., IX, p. 611; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, VII, Città del Vaticano, 1951, coll. 1985-1986.
MANUTERGIO
MANUTERGIO
(manutergium, estersorium) È l'asciugamano usato nelle abluzioni liturgiche. Secondo Cirillo Alessandrino (Catechesi mistagogica, V, 2) il diacono porge al vescovo ed ai sacerdoti concelebranti l'acqua per purificarsi le mani; secondo le Costituzioni Apostoliche(VIII, 11, 12) invece quest'ufficio è compiuto dal suddiacono. Negli Statuta antiquadi Arles (del 500) l'arcidiacono consegna al suddiacono, come segni del suo ufficio, "urceolum cum aqua... ac manutergium", cerimonia questa che si trova tuttora nella ordinazione del suddiacono. A Roma, fin dal sec. VIII, l'acqua ed il manutergio sono presentati al celebrante dagli accoliti. Attualmente il manutergio è di tre forme: 1) uno grande in sacrestia, o in locale vicino, per l'abluzione delle mani prima che il sacerdote si vesta per la celebrazione della Messa. Quest'uso rimonta al sec. VIII, ed i m. son prescritti in vari Sinodi (p. es., di Luttich [1287]) ed istruzioni (s. Carlo Borromeo). Le rubriche ne indicano l'uso soltanto prima della Messa; dopo la Messa è raccomandato. 2) Uno piccolo da usarsi al Lavabo nell'Offertorio. È proibito (decr. S. Congr. Rit. n. 2118) di portarlo sul calice nell'andare e tornare dall'altare. Si usa anche dopo la Comunione distribuita fuori della Messa. Il citato Sinodo di Luttich tiene questo m. in molta considerazione. 3) Di forma più grande, si adopra nella Messa e nelle altre funzioni pontificali. Serve anche all'offerta dei pani dopo la consacrazione del vescovo. Nella degradazione di un suddiacono gli vien tolto anche il manutergio.
Bibliografia
J. Braun, Handbuch der Paramentik, Friburgo in Br. 1912, pp. 260-62; L. Fischer, Bernardi card. et Lat. Eccl. prioris Ordo Oficinrum Eccl. Later., Monaco 1916, passim; M. Andrieu, Le Pontifical romain au moyen âge, 3 voll., Roma 1938, passim; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, VII, Città del Vaticano, 1951, col. 1994.
MARTIROLOGIO
MARTIROLOGIO
Catalogo dei martiri e dei santi disposto secondo l'ordine delle loro feste.
MATTUTINO
MATTUTINO
(Matutinum, Laudes matutinae, Officium nocturnum). Nel senso più antico (fino al secolo XI) è la preghiera o l'ora canonica del mattino che aveva luogo allo spuntar del sole. Nel senso moderno (dal secolo XII) è l'ufficio notturno.
MEMORIALE RITUUM
MEMORIALE RITUUM
(Parvum caeremoniale, Parvum rituale) Libro moderno del rito romano, composto a uso delle parrocchie minori di Roma, contenente le cerimonie della benedizione delle candele il 2 febbraio, delle ceneri all'inizio della Quaresima, delle Palme nella Domenica delle Palme, e degli ultimi tre giorni della Settimana Santa, in modo da potersi eseguire da un solo sacerdote con l'assistenza di un piccolo numero di accoliti, invece che secondo le prescrizioni del Messale.
MESSA
MESSA
Il sacrificio della Nuova Legge, nel quale, sotto le specie sacramentali, è offerta la stessa vittima del Calvario, Gesù Cristo, per riconoscere il dominio supremo di Dio e per applicare ai fedeli i meriti acquistati sulla Croce.
MESSALE
MESSALE
Dal latino ecclesiasticomissa, onde Missale oLiber Missalis, è un libro liturgico che contiene le formole eucologiche (letture, canti, orazioni) e le prescrizioni rituali per la celebrazione della Messa.
MITRA
MITRA
Copricapo liturgico, insegna distintiva del papa, dei cardinali e vescovi, ai quali compete per diritto; e anche di abati, prelati e canonici, ma in forza di un privilegio particolare. La forma attuale è di un copricapo a soffietto, con le due parti terminanti in punta (cornua), tenute dritte da una fodera di rinforzo e collegate da un tessuto frammezzato, e con la parte posteriore ornata di due appendici a striscia (fasciae, vittae, penduli, fanones, infulae). Intorno all'origine e all'antichità si discute; la prima testimonianza sicura risale al sec. XI e a Roma. Leone IX (1049-54) concesse la mitra romana all'arcivescovo Everardo di Treviri, che l'aveva accompagnato a Roma, pro investitura ipsius primatus (della Chiesa di Treviri), affinché egli e i suoi successori se ne servissero pro ecclesiastico officio, a ricordo della loro dipendenza da Roma (Jaffé-Wattenbach, II, 4158). Due anni dopo (1051) Leone IX la concesse ai cardinali della Chiesa di Besançon e Bamberga per determinate occasioni. A poco a poco l'uso si estese e nella seconda metà del sec. XII la mitra è di uso generale presso tutti i vescovi, con o senza il permesso esplicito del papa. La prima concessione certa ad abati è del 1063. Talvolta la mitra fu concessa anche a prìncipi laici, ad es., da Nicolò II (1059-60 al Duca di Boemia, da Lucio II (1144-45) al Re di Sicilia. Incoronando l'imperatore, il papa gli metteva dapprima la mitra clericalis, poscia il diadema imperiale (Ordo Rom., XIV, 105: PL 78, 1241). A seconda della ricchezza e dell'uso, si distinguono tre sorti di mitra: - la mitra semplice di seta bianca (o di tela di lino bianca) con frange rosse (usata nelle benedizioni, nelle funzioni dei morti, nel Venerdì Santo); - la mitra aurifregiata (auriphrygiata) di tela d'oro senza altro ornamento (usata nell'Avvento, nella Quaresima, eccetto le domeniche Gaudete e Laetare, nelle vigilie; ed anche nella Messa e nei Vespri al trono o alla cattedra); - la mitra preziosa, ornata di ricami d'oro, seta e pietre preziose (nelle feste più grandi, andando all'altare e ritornando in sacrestia, nell'impartire la benedizione solenne, nelle processioni solenni). La m. non segue i colori liturgici.
La mitra viene sempre deposta, quando il vescovo recita un'orazione (I Cor. 11, 4), o quando il diacono canta il Vangelo, e al canto del Benedictus e del Magnificat. Presso i Greci e nei riti orientali, la mitra non ha la forma latina, ma quella di una corona regale sormontata da una croce; usata dal sec. XV, prima dai patriarchi e metropolitani, poi anche dagli altri vescovi; soltanto i patriarchi d'Alessandria usavano già dal sec. X un copricapo liturgico a forma di turbante.
Bibliografia
J.Braun, Die liturg. Gewandung im Occident und Orient, Friburgo in Br. 1907, pp. 424-98 (trad. it., Torino 1914), pp. 147157; M. Righetti, Man. di stor. liturg., I, Milano 1950, pp. 531-36; Th. Klauser, Der Ursprung der bischöfl. Insignien und Ehrenrechte, Krefeld 1950, pp. 1722.
MOZARABICA LITURGIA
MOZARABICA LITURGIA
Liturgia usata ufficialmente in Spagna fino alla seconda metà del secolo XI, in cui si impose la liturgia romana, ma conservata nei secoli seguenti, dal XII al XV, in alcune parrocchie di Toledo e, dal secolo XVI ai nostri giorni, nella cappella del "corpus Christi" della primaziale di Toledo.
MOZZETTA
MOZZETTA
Sopravveste usata dai dignitari ecclesiastici fuori delle funzioni liturgiche; è una mantellina che copre le spalle e buona parte delle braccia; nella parte anteriore si abbottona sul petto, alla parte posteriore, sull'alto, è cucito un piccolissimo cappuccio. È propria del papa, dei cardinali, dei vescovi, degli abati regolari e di quelli che la godono per consuetudine o privilegio pontificio (p. es., i capitolari di molte cattedrali). È portata sul rocchetto scoperto, oltre che dal papa, dai prelati rivestiti di giurisdizione. L'origine della mozzetta è incerta; forse è un accorciamento della cappa magna; di qui suo nome. Il cappuccio venne diminuito quando fu usata la berretta. La mozzetta era in uso a Roma nella seconda metà del sec. XV. La mozzetta dei cardinali e di seta rossa o porpora, di seta violacea o paonazza secondo i diversi tempi dell'anno; alla presenza del papa si porta sopra la mantelletta. I cardinali appartenenti a Ordini monastici e mendicanti usano sempre la mozzetta di lana, saia o panno e del colore dell'abito dell'Ordine a cui appartengono; p. es., i Benedettini nera, i Carmelitani bianca, i Francescani grigia. I vescovi usano il solo colore paonazzo o violaceo; i vescovi religiosi quello del loro Ordine, così gli abati regolari. Una mozzetta senza cappuccio viene data come privilegio ai parroci in alcune diocesi.
Bibliografia
Moroni, XLVII, pp. 27-36; X. M. J. Barbier de Montault, Le costume et les usages ecclésiast., I, Parigi s. a., pp. 332-50; J. Braun, Die liturgische Gewandung im Occid. und Orient, Friburgo in Br. 1907, pp. 357-58; trad. it., Torino 1914, p. 162; M. Righetti, Man. di stor. liturg., I, Milano 1950, p. 512; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, VIII, Città del Vaticano, 1952, coll. 1505-1506.
NONA
NONA
È quella parte dell'ufficio divino che si recita all'ora nona (= ore 15), secondo la divisione greco-romana del giorno. È composta dall'inno, di tre salmi, di una lezione seguita da un responsorio, un versetto e l'orazione finale.
NOTTURNO
NOTTURNO
(Vigiliae nocturnae, Nocturna laus) Era l'ora canonica della notte in uso già nei primi secoli cristiani. Fin dal secolo XII il notturno viene detto mattutino, perché si faceva prima dello spuntar del sole.
NUNC DIMITTIS
NUNC DIMITTIS
Cantico pronunciato dal vecchio Simeone in occasione della presentazione di Gesù al Tempio (Lc 2, 29-32). Attualmente si recita a compieta.