Per onorare Gesù Cristo durante le 40 ore in cui giacque morto nel sepolcro, in un tempo non bene determinato invalse la pratica liturgica di deporre l'Ostia consacrata nascosta in apposito altare sotto forma di sepolcro. Il passaggio da questa forma all'attuale forma di esporre il S.mo Sacramento per 40 ore continue all'adorazione dei fedeli per propiziarsi la clemenza del Signore, avvenne nel 1527 nella chiesa di S. Sepolcro a Milano per iniziativa dell'agostiniano Antonio Bellotto di Ravenna.
QUIÑONES FRANCISCO DE
QUIÑONES FRANCISCO DE
Cardinale, nato a León nel 1450, morto a Veroli il 27 ottobre 1540. Il suo nome resta legato a uno dei tentativi più audaci di riforma del Breviario.
RAZIONALE
RAZIONALE
1. Ornamento liturgico, usato nel medioevo, detto superhumerale, Logion, che si portava dai vescovi sulla pianeta nella messa, come un pallio ma senza il significato che questo aveva.
2. Variante del razionale era una placca d'argento o d'oro (in luogo di quella di stoffa) con catenelle o fibule, attaccato all'amitto.
RITO
RITO
(Nella liturgia cattolica) Nel senso proprio, il modo o l'ordine con cui si eseguiscono le varie funzioni sacre, cioè le cerimonie della messa, dell'ufficio, dell'amministrazione dei sacramenti e sacramentali: così si parla del "ritus celebrandi missam", del "ritus baptizandi", del "ritus consecrationis altaris".
RITUALE ROMANO
RITUALE ROMANO
Libro liturgico della Chiesa latina per i sacerdoti, contenente le cerimonie per l'amministrazione dei sacramenti, per l'assistenza agli infermi e i formulari delle numerose benedizioni.
ROCCHETTO
ROCCHETTO
(camisia, alba romana, succa, saroth, sarcotium, satcos, rocchettum, diminutivo del basso latino roccus "abito"). È una veste di lino bianco portata dal papa, dai cardinali, dai vescovi e dai prelati come distintivo della loro dignità. È una forma di camice ridotto con le maniche lunghe e strette ornate di pizzo sovrapposto alla seta bianca, rossa o violacea, a differenza della cotta che ha le maniche larghe e corte. Il rocchetto non si porta da solo, ma con la mozzetta, la mantelletta o la cappa nel coro, nelle processioni, nelle prediche ecc: Per la celebrazione della Messa e per l'amministrazione dei Sacramenti è necessario sovrapporre al rocchetto il camice o la cotta. La prima notizia di un "camice et cingulum", prima di indossare l'alba propriamente detta, si trova nell'Ordo Romanus VIII, I, 1 e II, 2. 4 del sec. IX. (M. Andrieu, Les Ordines Romani, II, Lovanio 1948, pp. 310-17, 321). Era in uso presso i Franchi indossare fra le profane e le sacre una veste intermedia ("une sorte d'écran"), una manica, per coprire gli indumenti profani; già nel sec. VII, anche lo pseudo-Germano (Ep., II) accenna alle "manicae" della liturgia gallicana "ne appareat vile vestimentum" (M. Andrieu, loc. cit., 313 n. i). L'uso gallicano o franco si propagò dappertutto; in Inghilterra (can. 46), sotto Edgario (m. 975), fu sancito nei Sinodi di Treviri del 1238 e di Colonia di 1260 (can. 7). Questa) camicia si portava da tutti i chierici, persino dai campanari. A Roma il rocchetto venne in uso con la recezione del Messale e Pontificale germanico, ma vi divenne ben presto una prerogativa del clero superiore; già il Concilio Lateranense IV (del 1215) raccomandò ai vescovi secolari di portare anche fuori della chiesa "superindumenta linea"; il neoeletto papa (cf. Ordo Gregorii X [1271-76]: M. Andrieu, Le Pontifical, II, Città del Vaticano 1940, p. 527; Ordo Romanus XIII, 3 e XIV, 10: PL 78, 1106 e 1127) portava quest'indumento. Il rocchetto è consegnato al neovescovo, se presente a Roma, dal papa stesso (Caerem. episc., l. I, cap. 1, n. 2). Nel medioevo, fino al sec. XIII, il rocchetto era una tunica senza ornamenti scendente fino ai talloni e legato alla cintura; dal sec. XIV e XV s'incominciò ad accorciarlo per arrivare nel sec. XVI-XVII fin sopra le ginocchia omettendo la cintura, nel sec. XVIII poi arrivò a coprire appena le anche ma era riccamente guarnito di merletti o pieghettato. Il nome "rocchetto" occorre già a Roma nel sec. XIV.
Bibliografia
I. Braun, Handbuch der Paramentik, Friburgo 1912, pp. 201-203; M. Righetti, Man. di stor. liturg., vol. I. II ed., Milano 1950, pp. 498-99; Pietro Siffrin, da Enciclopedia Cattolica, X, Città del Vaticano, 1953, coll. 1055-1056.
RUBRICHE
RUBRICHE
I. NOZIONE
Per rubriche, in senso liturgico, s'intendono le prescrizioni che regolano lo svolgimento del culto della Chiesa. Esse si trovano o riunite in appositi libri (p. es., il Caeremoniale episcoporum e il Memoriale rituum) o raggruppate all'inizio dei libri liturgici (come nel Messale, nel Breviario e nel Martirologio), o all'inizio delle singole parti o titoli (come nel Rituale, prima del rito di ogni Sacramento e delle benedizioni), o, infine, inserite tra una formola e l'altra. Per distinguere meglio i testi dalle norme che ne regolavano l'uso, nei codici si cominciò a scrivere le norme in rosso; di qui rubricae. Nella Roma classica, rubrica si chiamò una terra che, stemperata nell'acqua, serviva ai falegnami per tracciare le righe o fare i segni, nel punto in cui bisognava fare il taglio del legno con la sega (cf. Orazio, Sat., 2, 7, 98). Gli amanuensi delle raccolte legislative se ne servirono per scrivere in rosso i titoli delle leggi. Dai titoli il nome passò a designare la legge stessa. Lo ricorda Giovenale quando scrive: Perlege rubras maiorum leges (Sat. 14). Anche nel campo giuridico ecclesiastico, rubrica indicò poi il titolo e il breve sommario premesso ai singoli canoni. Dal diritto canonico il termine passò alla liturgia, probabilmente quando, per maggiore praticità, si riunirono in uno stesso volume le formole dei Sacramentari, Lezionari, Graduali, ecc. le norme direttive furono scritte in rosso e il testo in nero, e il nome rubrica finì per indicare le leggi liturgiche in genere, anche quando esse furono regolarmente scritte in nero.
II.FORMAZIONE
Le prime rubriche (o piuttosto norme rituali) semplicissime, come semplicissimi erano i riti, dovettero essere trasmesse oralmente. I Sacramentari racchiudono già embrionalmente qualche indicazione rubricale. Difatti il Gelasiano ne ha 67, il Gregoriano, nel fondo primitivo, 26, mentre il Leoniano nessuna. Gli Ordines romani, che sono le prime raccolte sistematiche rubricali della Chiesa latina, costituiscono veri e propri cerimoniali. Nell'Ordo di Aimone da Faversham (m. nel 1244), generale dei Francescani, ben noto nella storia liturgica, si legge sei volte l'espressione rubrica Ordinarii. La parola era allora passata dal campo giuridico a quello liturgico. Più frequente è l'uso di rubrica per Ordo o Ordinarium: ad es., Incipit Rubrica sive Ordo per circulum anni secundum consuetudinem Ecclesiae civitatis Austriae... E ancora: Hec Rubrica sive Ordo est qualiter et quo tempore episcopi... I Minori adoperarono il termine in questo senso. Così la Rubrica Parisiensis è un vero Ordo per le antifone speciali prima di Natale, pubblicato nel 1263 per ordine del Capitolo generale di Pisa (Arch. franc. hist., 4 [1911], p. 69). Tre anni dopo il Capitolo di Parigi raccomandò l'osservanza dell'Ordo di Aimone: Uniformiter se habeant (fratres) secundum Ordinationem et rubricane illam... Indutu planeta. Questo senso si mantenne fin dopo la metà del Trecento, quando si è informati che Aimone fecit illam rubricam de agendis in missa (Anal. Franc., 3 [1887], p. 247). Ma certi statuti francescani d'Aquitania alla fine del '200 ancora più genericamente dicono: In divino officio servetur rubrica et cantus Ecclesiae Romanae (Arch. franc. hist. 7 [1914], p. 475). Sicché i due significati generico e specifico nella seconda metà del '300 sono promiscuamente usati (contro l'opinione del Vykoukal, s. v. Rubriken, in LThK, VIII, coll. 1032-33, secondo il quale il termine rubrica non apparirebbe prima del '300). Si può aggiungere che s. Bonaventura, generale dei Francescani, dal 1260 al 1272, rimanda varie volte alle rubriche, intese nel duplice senso. Lo stesso Aimone nell'Ordo Breviarii conosce il termine nel senso moderno. In conclusione la doppia, terminologia risale almeno alla prima metà del sec. XIII. Errata è pure l'opinione, frequente negli autori moderni, di assegnare a s. Pio V le raccolte generali delle rubriche (rubricae generales). Già cod. di Oxford (Bibl. Bodley, segn. Can. miscell. 75) nella seconda metà del sec. XIV chiama le Ordinationes francescane: Rubricae de modo officii ecclesiastici. Nel 1481 Filippo di Rotingo pubblicò le Rubricae ad informandos pusillos. Nello stesso anno, a Venezia, Francesco Ranner stampò, un Breviario romano con la Rubricae declaratoriae seu correctoriae. Senza parlare delle Rubricae novae, segnalate d G. Mercati (v. op. cit. in bibl.). Da questo periodo si celermente verso il significato, poi rimasto, del termine e verso le ufficiali raccolte generali e particolari della liturgia unificata. Le edizioni tipiche dei libri rituali della liturgia latina, cioè Breviario (1568), Messale (1570), Martirologio (1583), Pontificale (1598), Cerimoniale d vescovi (1600), Rituale (1614), furono corredati da abbondanti rubriche generali e particolari. L'interpretazione e l'aggiornamento furono affidati da Sisto V alla S. Congr. dei Riti (1587). Nei secc.XVI-XVIII le rubriche dei libri liturgici furono oggetto di accurati ed ampi studi da parte di buoni liturgisti come il Gavanti, Merati, Quarti, Cavalieri, Bauldry (poi A Carpo, de Herdt, Martinucci, Menghini, Baldeschi, Moretti, Le Vasasseur-Haegy), che hanno posto le basi del diritto liturgico.
III.DIVISIONE
1. In base al loro oggetto le rubriche si dividono in:
- essenziali, e sono quelle che appartengono all'essenza di un rito e dalla loro osservanza dipende la validità dell'atto che si pone;
- accidentali sono le rubriche riguardanti cerimonie introdotte dalla Chiesa, generalmente non richieste per la validità, ma per la liceità dell'atto, come nel Battesimo gli esorcismi, le rinunce, la veste candida, la lampada ardente.
2. Secondo l'estensione le rubriche sono:
- generali e costituiscono come i principi fondamentali, da applicarsi a tutte le cerimonie, contenute in quel dato libro liturgico;
- speciali, quelle che regolano il compimento di una cerimonia o rito particolare.
3. In base alla loro obbligatorietà le rubriche sono:
- precettive, se prescrivono tassativamente qualcosa o sono indispensabili per il compimento di un rito;
- direttive, se propongono qualche cosa per modum consilii o lasciano facoltà di scegliere tra due modi di agire o tra il compier o non compiere un'azione. Le rubriche direttive sono dette anche facoltative.
IV.OBBLIGATORIETÀ
Per secoli si è disputata fra moralisti e liturgisti (rubricisti) la questione, se tutte le rubriche obbligano in coscienza, e fino a qual punto. Per un esame oggettivo della questione va premesso: le rubriche sono leggi vere e proprie e come tali obbligano (CIC, can. 818), per conseguenza rientrano necessariamente nell'ambito della morale, come ogni atto umano, e ammettono una gradazione di bontà e di responsabilità. La questione può perciò proporsi in questi termini: le rubriche essenziali evidentemente sono precettive. Si tratta dell'essenza e quindi della validità dell'atto liturgico, che non si può frustrare (la gravità va computata secondo i principi morali, circa la materia, l'imputabilità morale della colpa, ecc.). Quando la rubrica accidentale non dice apertamente se è o non è facoltativa, né ciò si può desumere da altri elementi, allora la presunzione sta dalla parte della legge e deve ritenersi che la rubrica obblighi in coscienza. Si prova:
a) dal pensiero della Chiesa: il Concilio di Trento (sess. VII, c. 13) dice: "Si quis dixerit, receptos et approbatos Ecclesiac Catholicae ritus... sine peccato a ministro pro libito suo omitti, aut contemni, aut in novos alios per quemcumque ecclesiarum pastorem mutari posse: ananathema sit" (cf. Rituale romanum, tit. I, 1, 2). Le costituzioni pontifificie poste all'inizio dei libri liturgici: "districte", "in virtute sanctae obedientiae praecipiunt", "auctoritate apostolica decernunt", "iubent", "mandant", ecc. sono espressioni che manifestano l'evidente volontà della Chiesa che quelle norme e quelle formole siano osservate per l'unità e la purezza del culto. La stessa S. Congr. Riti ha ribadito e ribadisce continuamente lo stesso pensiero, serventur rubricae, iuxta Caeremoniale [Episcoporum], standum Rituali, mandat... in omnibus et per omnia servari rubricas Missalis. Il Cathechismus ad parochos (II, 1, 18) afferma: "Caeremoniae... praetermitti sine peccato non possunt"; e il Conc. Romano del 1725 (tit. 15, c. 1): "Ritus qui in minimis etiam sine peccato negligi, omitti vel mutari haud possunt, peculiari studio ac diligentia serventur";
b) dalla natura delle rubriche, fissate perché non possa restare dubbio sulla validità del Sacramento e perché non si apra la porta all'arbitrio e al lassismo. Solo se si osserva il rito (cerimonie e formole) della Chiesa la liturgia costituisce il suo culto ufficiale;
c) dalla comune sentenza dei Dottori, che con s. Alfonso dicono precettive le rubriche. Queste ragioni inducono a ritenere che le rubriche, anche accidentali, prese nel loro insieme sono precettive ed obbligano; ma non si può affermare che prese singolarmente abbiano la stessa forza; anzi talune non possono ammettere in nessuna maniera la colpa (come la rubrica del Messale Rit. serv. I, 3 che prescrive al celebrante di infilare prima il braccio destro e poi il sinistro nell'indossare il camice). Può darsi anzi, che nelle cose di minor conto con l'andar del tempo si sia introdotta qualche consuetudine, che l'autorità o direttamente o indirettamente approva, e così il fatto nuovo, diventato legittimo, muta l'obbligatorietà della rubrica.
V. INTERPRETAZIONE
Per conoscere se una r. sia precettiva o no è necessario esaminare:
a) i termini, con cui è formulata;
b) la materia, se cioè appartiene all'essenza o integrità del Sacramento o della funzione, se tocca i principi fondamentali della liturgia o è basilare per il senso dottrinale o il significato simbolico;
c) le dichiarazioni, se ve ne sono, date dalla S. Congr. dei Riti;
d) Le opinioni deiprobati auctoresdi liturgia e di morale.
Bibliografia
Trattati generali: P. Piacenza, Expositto noviss. rubric. Brev. rom., in Ephem. lit., 1 (1887), p. 21 sgg.; G. B. Menghini, Elemen. iuris liturgici, Roma 1907, pp. 106-23; C. Callewaert, Liturgia universim, Bruges 1925. pp. 106-11; L. Eisenhofer, Handb. der kathol. Liturgik, I, Friburgo in Br. 1932, 50-51; F. Oppenheim, Instit. systematico-histor. in sacram liturgiam, t. III, parte 2, Torino 1939, pp. 68-99; M. Righetti, Man: di stor. liturg., I, Milano 1950, pp. 18-21. Studi particolari: G. Mercati, Appunti per la stor. del Brev. rom. nei secc. XIV-XV, tratti dalle "Rubricae novae", in Rass. gregor., 2 (1903), pp. 398-444: A. Van Dijk, Il carattere della correz. liturg. di fra Aimone da Faversham O.F.M. (1241-44), in Ephem. liturg., 59 (1945), pp. 177-223; 60 (1946), pp. 309-67; Annibale Bugnini, da Enciclopedia Cattolica, X, Città del Vaticano, 1953, coll. 1427-1429.