D - VOCABOLARIO LITURGICO

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D - DALMATICA - DURAND GUILLAUME
DALMATICA

Veste liturgica propria del diacono. Era un abito bianco, talare, riservato alle classi più elevate (imperatori, nobili romani) di lino o di lana, spesso anche di seta, ornato con due striscie di porpora (clavi) più o meno lunghe secondo la dignità della persona che l'indossava. Questo costume passò nell'uso romano e la dalmatica del sec. II era una tunica ampia, che arrivava fin sotto al ginocchio, munita di larghe maniche scendenti fino al polso. Tale veste era portata dai vescovi del sec. III anche nella vita civile, come si sa da s. Cipriano il quale si spogliò della dalmatica prima del martirio. Dopo varie vicissitudini, in ultimo rimase esclusiva del clero. Del suo uso antico ci parlano gli scrittori, però non è dato riconoscere con precisione di chi fosse propria. L'opinione più comune è che fosse veste propria dei sommi pontefici e da essi concessa ai diaconi di Roma, e non per tutti i giorni, ma per le solennità. Secondo il Lib. Pont., s. Silvestro papa (314-35) permise "ut diaconi dalmaticis in ecclesia uterentur". Già verso la fine del sec. IV l'autore romano delle Quaestiones ex Vetere Testamento, 46 (ca. 370-75) suppone che l'indossassero anche altri vescovi e diaconi : "hodie diaconi induuntur dalmaticis sicut episcopi". Come appare dai musaici dell'epoca, nel sec. V si portava a Milano, nel sec. VI a Ravenna; ad altri Roma la concesse espressamente (ad es., Simmaco [498-514] la diede ai diaconi di s. Cesario di Arles [Vita s. Cesarii Arel. , I, 4], s. Gregorio Magno [590-604] ai diaconi della chiesa di Gap, Stefano II [752-57] all'abate di S. Dionigi di Parigi). Nel sec. IX invalse l'uso che molti sacerdoti la portassero sotto la pianeta (Walafridus Strabo, De rerum ecclesiasticarum exordio et incremento, 24) al quale abuso però resistette la Sede Apostolica, che finalmente (prima ancora del sec. XII) la concesse ai cardinali preti, agli abati ed ad alcuni altri. Dal sec. XII la d. è de iure la veste propria dei diaconi che la ricevono nella ordinazione e la portano come veste superiore, e dei vescovi, cardinali preti ed altri prelati che la indossano sotto la penula. Nel sec. XII si fece la dalmatica del medesimo colore dei paramenti e scomparvero i clavi, distintivo caratteristico, che non avevano più senso quando fu abbandonato l'uso esclusivo del bianco per far luogo a più ampie strisce. Fuori d'Italia già nel sec. IX si cominciò ad accorciare la veste talare fino ai ginocchi, ed anche le maniche. Più tardi, per la speditezza dei movimenti, la dalmatica fu aperta sui fianchi e ampliata nella parte inferiore, rimanendo tuttavia le due parti congiunte fin quasi alle anche. Nel sec. XVI, per poterla più facilmente indossare, fu un po' aperta sopra le spalle, e per chiudere i due sparati furono introdotti i cordoni con nappe (fiocchi) spesso duplicate o triplicate, pendenti sul dorso; costume riprodotto nelle illustrazioni delle prime edizioni del Pontificale e del Cerimoniale dei vescovi. Secondo le prescrizioni odierne i diaconi indossano la dalmatica nella Messa solenne, nelle processioni, nelle benedizioni e nella solenne benedizione con il S.mo Sacramento, ma non è lecito portarla anche per i Vespri (S. Rit. Congr., decrr. 3526, 3719, 4179). Dato il carattere festivo di essa, da antico tempo la d. non si usa in giorni di penitenza o di digiuno, ma si sostituisce con le pianete piegate (Messale, Rubr. gen., XIX). Secondo la formola della S. Ordinazione e la preghiera che si dice nell'indossarla, la d. significa "indumento salutare, veste di allegrezza e di giustizia", simbolismo che facilmente deriva dal suo antico uso.

Bibliografia
D. Giorgi, De liturgia Romani pontificis, I, Roma 1731, pp. 176-90; Ch. Rohault de Fleury, La Messe. Etudes archéologiques, VII, Parigi 1888, pp. 71-109; Wilpert, Pitture, p. 82; H. Leclercq, s.v. in DACL, IV, III, col. 119; J. Braun, I paramenti sacri, trad. it., Torino 1914, p. 85 sgg.; P. Batiffol, Le costume liturgique romain, in Etudes de liturgie et de archéologie chrétienne, Parigi 1919, pp. 32-83; L. R. Barin, Catechismo liturgico, IV ed., Rovigo 1928, pp. 406-409; C. Callewaert, De dalmatica, in Sacris erudiri, Bruges 1940, pp. 219-22. 234 sgg; Bibl.: J. Braun, Die liturgische Gewandung, Friburgo in Br. 1907, pp. 247-305; P. Romanelli e G. de Luca, s. v. in Enc. Ital., XII (1931), pp. 242-43; Emilio Lavagnino, da Enciclopedia Cattolica, IV, Città del Vaticano, 1950, coll. 1118-1121.

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