Vita religiosa - DIZIONARIO DI PASTORALE

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Vita religiosa

V
di A. Guerra
Il Concilio Vaticano II situò l'essenza della vita religiosa nella « professione dei consigli evangelici » (LG 44). Il Nuovo Codice di Diritto Canonico la descrive così: « La vita religiosa, in quanto consacrazione di tutta la persona, manifesta nella Chiesa il mirabile connubio istituito da Dio, segno della vita futura » (c. 607 § 1).
Nel Concilio, la spiritualità della vita religiosa fu accusata di essere stata l'unico archetipo nella storia della Chiesa. L'accusa aveva senz'altro qualche fondamento e bisognava tenerla presente per rettificare quanto fosse necessario. Anche se i terz'ordini non andavano necessariamente considerati come un copione degli Ordini a cui erano affiliati, c'era comunque qualcosa di vero. Si cercava, almeno in parte, di vivere come in questi Ordini, anche se non era possibile in pienezza.
È indubbio che oggi la vita religiosa non è impostata in questi termini, ma in termini di carisma. Ognuno ha un suo dono particolare, anche nella vita religiosa. Anzi, si rischia di accentuare esageratamente la dimensione carismatica della vita religiosa, come se fosse questa a rendere realmente presente nella Chiesa la forza dello Spirito, in contrapposizione alla gerarchia, piuttosto giuridica (alle volte, i laici rimasero tagliati fuori dalla considerazione reale della Chiesa).
La LG ci permette di inquadrare correttamente la vita religiosa. O essa occupa un posto nella Chiesa, o non occupa un posto nella vita cristiana. I capitoli 3, 4 e 6 (il quanto è chiaramente spostato) della LG sono collegati coi primi due capitoli, indicando così che i primi due sono comuni ad ogni cristiano, e che di questo corpo di Cristo e popolo di Dio (con altre immagini) e in questo corpo di Cristo e popolo di Dio soltanto alcuni fanno parte della gerarchia, altri sono laici, altri sono religiosi. C'è una particolarità che ha la sua importanza, ed è questa: i religiosi assumono i loro membri dai due precedenti, gerarchia e laicato, pur senza perdere la loro identità.
Se ora ci chiediamo che cos'è che caratterizza i religiosi nella Chiesa, la risposta non è semplice. Da una parte, ricordiamo quello che dice il Concilio: « Un simile stato, se si riguardi la divina e gerarchica costituzione della Chiesa, non è intermedio tra la condizione clericale e laicale, ma da entrambe le parti alcuni fedeli sono chiamati da Dio a fruire di questo speciale dono nella vita della Chiesa e ad aiutare, ciascuno a suo modo, la sua missione salvifica » (LG 43).
D'altra parte, il Concilio non specifica la natura di questo « speciale dono ». La sua terminologia è sempre molto imprecisa: seguono più da vicino, si crea un rapporto speciale, più intimamente, in un modo speciale... Nel leggere quello che dice il Concilio sulla vita religiosa, si ha l'impressione di trovarsi davanti al doppione di quello che lo stesso Concilio dice sulla Cresima nei riguardi del battesimo. Si dice qualcosa, ma non si sa quello che è detto.
Il Concilio non è stato più esplicito, perché non lo è nemmeno la teologia della vita religiosa. Le teorie sono molto varie e nessuna di esse riesce ad esprimersi in modo inequivoco ed esatto. Si parla di radicalità evangelica, di escatologico (parola, a mio parere, enormemente equivoca se non è intesa in senso vitale), di verginità, di comunità fraterna...
Alcuni di questi aspetti non sembrano esclusivi, e quindi specifici, della vita religiosa. Perciò è probabile che facciano sorgere nei laici il sospetto che, con parole differenti, si continuino ad avere non dei cristiani differenti, il che sarebbe esatto, ma dei cristiani di serie A e dei cristiani di serie B. La sequela di Cristo, la radicalità evangelica, ecc., non possono essere esclusive della vita religiosa, ma sono di ogni cristiano.
A mio parere, ciò che distingue la vita religiosa è la verginità vissuta in fraternità (bisogna ricordare che non sempre ciò che distingue è anche il più importante. La cosa più importante sarà sempre la carità.
Su questo, non c'è alcun dubbio). La verginità può non essere comune nel cristianesimo: non si tratta in questo di perfezione o di imperfezione, ma di carisma. La verginità è un carisma, come il matrimonio è un altro carisma. San Paolo lo disse chiaramente parlando proprio di matrimonio e di verginità: « Ciascuno riceve da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro » (1 Cor 7,7). Fa un po' specie vedere le citazioni bibliche dove il Concilio parla dei voti. Quello di castità, citato primo come il più chiaro, ha solo due citazioni bibliche; quello di povertà, otto, quello di obbedienza, nove. È significativo e non occorrono commenti.
Negli anni in cui la verginità cominciò a perdere il suo mito biologico, si disse che era vergine chi non si sposava. Era un buon complemento all'essenziale dimensione sessuale!
D'altra parte, la vita religiosa chiede l'esenzione all'interno delle Chiese particolari. Questa concezione può essere la manifestazione giuridica più importante della verginità: non essere sposati (che non vuol dire non essere incarnati) è dell'essenza del religioso essere sempre aperto e disponibile a tutti e a tutto secondo le necessità del momento e secondo i doni particolari all'interno di questo « speciale dono » (con questo, non si nega che anche il matrimonio sia un dono speciale).
Ci fu un periodo, non molti anni fa, in cui si propose di fare un solo voto nella vita religiosa: il voto di comunità. Era una proposta interessante, anche se imperfetta. Il religioso condivide in comunità il dono che lo unisce agli altri con la stessa vocazione, come nel matrimonio lo condividono quelli che sono stati chiamati allo stesso amore. Da questo condividere interno e da questo servizio alla Chiesa secondo lo « speciale dono » ricevuto, verrà la forma di vita concreta che anche nella comunità sarà programmata, condivisa, scambiata, accolta.
Se non vogliamo dicotomie sterili, dobbiamo andare verso l'integrazione dei carismi, tanto all'interno della vita religiosa quanto tra vita religiosa e gli altri carismi. Basti un solo esempio, data la brevità di queste pagine. Qualcuno ha detto che il matrimonio e la verginità sono complementari (E. Schillebeecks): il matrimonio deve insegnare al la verginità a guardarsi da un amore universale che sia il sinonimo di indifferenza (alle volte, l'amore verginale può essere un'evasione dall'amore reale). Il matrimonio insegna ciò mostrando un amore incarnato. La verginità deve insegnare al matrimonio a non limitare egoisticamente l'amore rinchiudendolo in una persona: l'amore va aperto a chi ne ha bisogno, chiunque egli sia.

Bibliografia
Aubry J., Religiose e religiosi in cammino, Ed. Elle Di Ci, Leumann (Torino), 1987. Balthasar H.U. von, Gli stati di vita del cristiano, Ed. Jaca Book, Milano, 1985. Crippa L., La vita consacrata. Teologia e spiritualità, Ed. Ancora, Milano, 1994. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica « Via consecrata », 25.3.1996. Gozzelino G., Seguono Cristo più da vicino. Lineamenti di teologia della vita consacrata, Ed. Elle Di Ci, Leumann (Torino), 1997. Lozano J., Vita religiosa, parabola evangelica. Una reinterpretazione della vita religiosa, Ed. Ancora, Milano, 1994. Tillard J.M.R., Davanti a Dio e per il mondo. Il progetto dei religiosi, Ed. Paoline, Roma, 1975.
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