GRAZIA - HILTON WALTER - DIZIONARIO DI MISTICA

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GRAZIA - HILTON WALTER

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G

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GRAZIA. (inizio)

Premessa. Nella mistica la g. manifesta, con maggiore evidenza, l'intima ricchezza che apporta all'esistenza umana. Ciò che è proprio alla mistica è l'esperienza vivente, percepita con acume, della presenza e dell'azione divina: essa è presa di coscienza dell' unione con Dio o, più esattamente, dell'invasione della persona umana da parte dell'amore divino.

I. La g. possiede l'essere umano. Prima di tutto la mistica è la testimonianza che la g. tende a impossessarsi di tutto l'essere umano. La g. non illumina soltanto l' intelligenza procurandole la luce della rivelazione; essa non si limita nemmeno a muovere la volontà verso il bene e più specificamente verso la pratica del duplice comandamento dell'amore. Essa entra anche nel campo dei sentimenti. L' esperienza mistica viene caratterizzata particolarmente da una illuminazione affettiva. Così appare la finalità della g. che vuol fare penetrare la vita divina in tutta la vita personale, nelle regioni più oscure del sentimento e del subcosciente umano e aprire queste alla luce dell'alto.

L'accento è talmente posto sull'affettività che, spesso, nel linguaggio dei mistici, la g. s'identifica con il sentimento della g.: i momenti o le ore di g. designano gli stati in cui la g. è sentita, in cui essa dà l'evidenza della sua azione.

La manifestazione affettiva della g. non si può limitare agli stati e fenomeni mistici straordinari. Questa manifestazione si può riscontrare anche nella vita cristiana ordinaria: vi è una mistica discreta, sotterranea, nell'anima di molti cristiani; coloro che compiono la volontà del Padre, provano un profondo senso di pace, una certezza affettiva dell' amicizia divina.

Si deve osservare che la g. non è semplicemente identica al sentimento che può produrre. Essa designa un favore divino che si manifesta in un'azione specifica all'interno della persona umana per santificarla e comunicarle la vita divina. Anche quando questa vita divina non è sentita, essa è presente. D'altronde, non si può misurarla dalla sensazione che ne deriva; l'esistenza e l'intensità di questa sensazione dipendono da diversi fattori, specialmente dal temperamento e da altre condizioni soggettive della persona. In ogni modo, la realtà della g. è sempre più ampia della sua manifestazione affettiva.

II. Gratuità. D'altra parte, la mistica pone in evidenza la gratuità della g. Ogni g. è un dono gratuito; è un favore che ha come unica fonte la sovranità dell'amore divino: questo amore non è dovuto alla creatura; non è meritato da essa; risulta da una iniziativa completamente gratuita di Dio.

Ciò che è vero di ogni g., appare più vivamente nella mistica: la persona si sente presa dall'alto, invasa dalla presenza divina. Il contatto mistico si manifesta improvvisamente, tanto che non si presenta affatto come il risultato di un'attività o disposizione umana. L'impressione di passività è dominante: invece di agire in modo autonomo, il mistico si lascia " agire " o si vede trasportato da una potenza che lo supera. Egli riceve essenzialmente ciò che gli è donato, e se sente un appagamento della sua personalità, non è in virtù dei suoi sforzi né dei suoi meriti, ma a seguito dell'azione divina che prende possesso di lui.

Egli si rende conto con maggiore evidenza che il valore fondamentale della sua vita gli viene da una g. sovrana, imprevedibile nei suoi movimenti e dall'amore divino da cui si sente amato. Questo amore gli è offerto gratuitamente ed è molto più potente del suo amore personale. Vi è in ciò, per lui, una fonte di stupore che non autorizza alcun orgoglio, poiché tutto è opera di un Altro che agisce in lui.

III. Trasformazione d'amore. La mistica manifesta particolarmente la trasformazione intima operata dalla g. Essa fa conoscere più chiaramente e apprezzare questa trasformazione.

La g. comunica la vita divina; essa fa penetrare nell'esistenza una vita incomparabilmente superiore, molto più potente. Essa fa partecipare la natura umana alla perfezione della natura divina e introduce la persona umana in una relazione di filiazione nei riguardi del Padre, relazione che si instaura per mezzo della dignità di figlio, ricevuta da Cristo, Figlio unico, e sviluppata dallo Spirito Santo. Tuttavia, il cristiano fa fatica a rendersi conto di questa vita divina e di questa filiazione divina che gli sono accordate. Egli deve credere a questa trasformazione che spesso sarebbe tentato di ignorare.

La mistica gli dona una certa esperienza personale della trasformazione che si opera in lui. Essa stessa fa sentire tale trasformazione e non soltanto gli effetti che ne derivano nel comportamento, come un impegno più risoluto nella preghiera e nell'attività apostolica. Essa fa scoprire, almeno fino a un certo grado, la profondità insondabile dell'unione e l'altezza dell'amore che supera i limiti umani. Il contatto mistico favorisce lo slancio filiale verso il Padre, come testimoniavano i cristiani che, secondo la constatazione di s. Paolo, dimostravano la loro filiazione divina quando, sotto l'ispirazione dello Spirito gridavano: " Abbà, Padre! " (Gal 4,6; Rm 8,15).

IV. Bellezza della g. Nella mistica appare, in maniera più singolare, la bellezza della g. Questa osservazione potrebbe sembrare d'ordine secondario, ma essa non è senza importanza perché la vita spirituale ha bisogno della bellezza per trovare il suo sviluppo più armonioso. Essendo l'Essere supremo, Dio è anche la Bellezza suprema; la presenza di questa bellezza divina conferisce alla vita della g. un valore proprio, che risponde a una profonda aspirazione umana.

Il contatto mistico permette di cogliere più intensamente questa bellezza che illumina l'anima ed esercita su di essa un'attrattiva più potente. Si può parlare anche di una certa seduzione divina che si fa sentire specialmente nel mistico.

All'impressione della bellezza è legata la poesia dell'intimità divina. La mistica favorisce lo slancio poetico e dà a questo slancio la sua più ricca consistenza, poiché si nutre dell' unione con Dio e del sentimento della presenza divina. Basti ricordare i cantici di s. Giovanni della Croce per illustrare la qualità della poesia mistica.

V. Destino escatologico. La mistica illumina il destino escatologico della g.

La felicità del possesso integrale di Dio è riservata all'aldilà. La g. costituisce un cammino verso questo pieno possesso perché instaura l'unione con Dio, che comporta già un certo reciproco possesso. La mistica fa provare la gioia di questa unione nella vita terrena e offre così un anticipo più intenso della felicità celeste. Con ciò essa contribuisce a far desiderare quest'ultima felicità, concentrando sulla presenza divina le aspirazioni e le speranze umane.

Bibl. Aa.Vv., s.v., in DSAM VI, 701-750; Aa.Vv., Mistica e scienze umane, Napoli 1983; A. Beni - G. Biffi, La grazia di Cristo, Torino 1974; A. De Sutter - C. Laudazi, s.v., in DES II, 1198-1205; M. Flick - Z. Alszeghy, Il Vangelo della grazia, Firenze 1964; P. Fransen, La grazia, realtà e vita, Assisi (PG) 1972; B. Lonergan, Grace and Freedom: Operative Grace in the Thought of St. Thomas Aquinas, New York 1970; H. de Lubac, Il mistero del soprannaturale, Bologna 1967; J.H. Nicolas, Les profondeurs de la grâce, Paris 1969; G. Philips, L'union personnelle avec le Dieu vivant. Essai sur l'origine et le sens de la grâce créé, Louvain 1989; A. Poulain, Des grâces d'oraison. Traité de théologie mystique, Paris 193111; K. Rahner, Saggi di antropologia soprannaturale, Roma 1965; H. Rondet, La grazia di Cristo. Saggio di storia del dogma e di teologia dogmatica, Roma 1966; E. Salmann, s.v., in WMy, 49; T.F. Walgrave, Teologia della grazia ed esperienza mistica nella tradizione della Chiesa cattolica, in J.-M. van Cangh (cura di), La mistica, Bologna 1992, 199-226.

J. Galot

GREGORIO DI NAZIANZO (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Nasce nel 329 da Gregorio senior, vescovo di Nazianzo dal 325 ca., e da Nonna. G. diventa vescovo di Sasima dal 372, per ingiunzione del suo amico Basilio. Regge la Chiesa di Nazianzo dopo la morte di suo padre, avvenuta nel 374 e, per pochissimo tempo, è chiamato alla sede di Costantinopoli dalla quale si dimette per disaccordo con la politica ecclesiastica dell'imperatore e dei vescovi radunati nel Concilio del 381. Dal 383 in poi, dopo una presenza di un paio di anni a Nazianzo, conduce vita appartata nei possedimenti paterni di Arianzo fino al 390 ca., anno della sua morte.

Caratteristica delle opere di G. è l'occasionalità. Non scrive se non è in qualche modo obbligato, ma quando scrive rivela una padronanza eccezionale della lingua greca e una competenza straordinaria nell'ars retorica di cui è certamente uno dei maestri sommi dell'antichità cristiana.

Si attribuiscono a G. circa quarantaquattro Discorsi che sono stati sufficienti a farlo riconoscere unanimemente come il teologo per antonomasia dall'intera tradizione cristiana di lingua greca. Le sue circa 249 Lettere, soprattutto quelle scambiate con il suo amico Basilio, sono fra le testimonianze più preziose che ci sono rimaste sulla squisitezza dell'amicizia che G. intrattiene con i suoi amici. Una vera e propria novità, nell'ambito cristiano greco dei suoi tempi, sono i Carmina con i quali tenta di proporre la fede cristiana con forme sufficientemente " nobili da poter accattivare l'udito raffinato dei cultori pagani della letteratura classica e poterli così conquistare al cristianesimo " (cf Or. 4,100: SC 309,248).

II. Dottrina. Si potrebbe indicare il punto di partenza dello sguardo mistico di G. nella contemplazione (theoria) della natura che trasporta il credente dal visibile alla visione delle cose invisibili (cf Or. 28,21-31: SC 250,142-174). La lettura delle Scritture Sante permette di scoprire lo spirito attraverso il velo della " littera, grazie alle lacrime della compunzione e ad una costante purificazione (catharsis) morale e concettuale insieme " (Or. 32,10: SC 318,104-106; Or. 26,11: SC 284,250-254; Or. 28,31: SC 250,170-175), mentre la prassi ascetica si rivela a sua volta come vera e propria "scala" che conduce appunto alla contemplazione (cf Or. 40, 37: SC 358,284; Or. 4, 113: SC 309,270).

Nel cammino verso la ’visione di Dio' è necessaria la quiete (hesychia) della solitudine (anachoresis), che permette all'uomo di sperimentare l'intimità con Dio intesa come realizzazione di una chiamata alla divinizzazione (theosis) inscritta nella stessa natura ontologica dell'uomo creato a immagine (kat'eikona) di Dio: " Ieri fui crocifisso con Cristo, oggi sono glorificato con lui; ieri morivo con lui, oggi nasco alla vita con lui; ieri venivo sepolto con lui, oggi risorgo insieme con lui. Fruttifichiamo, dunque, per colui che è morto e risorto per noi. Forse pensate che io mi riferisca a frutti consistenti in oro, argento, o tessuti e pietre trasparenti e preziose che abbondano di materiale terrestre e restano quaggiù, di cui sono sempre possessori i delinquenti e gli schiavi delle cose di quaggiù e del principe di questo mondo. E invece no. Dobbiamo infatti portare quei frutti che si identificano con la nostra stessa persona, che è il bene più prezioso davanti agli occhi di Dio. Dobbiamo restituire all'immagine ciò che è ad immagine. Riconoscendo la nostra dignità, onoreremo il nostro modello mentre riconosceremo nello stesso tempo la potenza del mistero e chi è colui per il quale Cristo è morto " (Or. 1,4: SC 247, 76-79. Cf Or. 2,6-7: SC 247,94-96). Infatti, " La nostra nobiltà consiste nel conservare l'immagine cercando di imitare l'archetipo " (Or. 8,6: SC 405,257).

Questo sguardo fisso sull'immagine archetipa, che il Nazianzeno sperimenta soprattutto all'interno della celebrazione pasquale, e che rende possibile la progressiva deificazione dell'uomo, comporta uno sguardo particolarmente penetrante sul modello costituito dal Verbo incarnato e crocifisso, grazie all'opera e al ricordo attivati dallo Spirito Santo, senza che con questo venga negato affatto l'apporto proprio della ragione umana e della rivelazione naturale: " La nobiltà di cui sopra, infatti, è opera nello stesso tempo della ragione (logos), della virtù (areté) e del desiderio puro di colui che trasforma in Dio gli iniziati autenticamente alle cose dell'alto facendo conoscere loro da dove vengono, chi sono e dove sono diretti " (Or. 8,6: SC 405,257).

In realtà, per G. il punto di partenza della fede e del progresso nella fede è sempre lo Spirito Santo (cf Or. 41,7: SC 358,328-330; Or. 31,29: SC 250,332-337) il quale, ricordando e realizzando nel credente tutto ciò che il Figlio unigenito del Padre ha fatto ed insegnato, permette di raggiungere la comunione col Padre e dunque la "partecipazione (koinonia) con la natura divina" (cf Or. 34,13: SC 318, 220-225; Or. 28,17: SC 250,134-137; Or. 24,15: SC 284,74).

La mozione dello Spirito ha inizio con il timore di Dio: " Non si può iniziare con la contemplazione e terminare con il timore, perché l'assolutizzazione della contemplazione potrebbe spingere qualcuno nei precipizi, ma occorre iniziare col timore purificandoci, per così dire e affinandoci; solo così raggiungeremo la vetta (ypsos). D'altra parte - prosegue G. - il timore si esplicita nell'osservanza dei comandamenti, l'osservanza dei comandamenti si esplicita nella purificazione di ciò che è carnale (sarkòs katharsis)... Là dove c'è purificazione c'è folgorazione (ellampsis) e dove c'è folgorazione c'è esaudimento del desiderio " (Or. 39,8: SC 358, 164).

L'azione deificante e santificante dello Spirito si esplicita nella Chiesa in cui, attraverso l'esperienza battesimale, il credente constata che il Verbo fatto carne " subì l'impoverimento proprio della mia carne, perché io potessi essere arricchito della sua divinità. Così la pienezza si svuotò affinché io fossi reso partecipe della sua pienezza... Avevo ricevuto l'immagine (eikon) e non l'avevo custodita. Perciò egli condivise la mia carne affinché non soltanto fosse salvata l'immagine, ma fosse anche resa immortale la carne " (Or. 38,13: SC 358,132-134).

La frequentazione delle Scritture Sante, interpretate anch'esse grazie all'illuminazione interiore dello Spirito, contribuisce a fare del credente stesso il tempio o l' abitazione di Dio (cf Or. 29,21: SC 250,222-225). " Si fa esperienza di parentela con la verità (aletheias sungeneia) quando si è appreso a discernere i tipi per allontanarsi da questi e avvicinarsi a quella; quando si fugge la vecchiezza della lettera per servire la novità dello spirito; quando ci si sa trasferire con purezza dalla Legge alla grazia avendola compiuta spiritualmente grazie all'eliminazione di ogni sua (interpretazione) corporea o letterale " (Or. 2: PG 35, 500AB).

A questa duplice mozione dello Spirito Santo, che agisce nella Chiesa attraverso i sacramenti e la corretta interpretazione della Scrittura Santa si allea la collaborazione (synergeia) dell'uomo che si esplicita nell'impegno (praxis) catartico (katharsis) della mente e delle passioni del cuore (cf Or. 32, 33: SC 318,1521 55).

Per G. il cammino verso l' unione con Dio comporta insomma l'azione penetrante e vivificante dello Spirito Santo, il quale rende l'uomo conforme all'immagine del Verbo fatto carne sia attivando la dynamis interna ai misteri celebrati nella Chiesa (cf Or. 39,20: SC 358, 194-197), sia liberando la luminosità intrinseca alle Scritture Sante (Or. 31,21: SC 250, 314-317), sia rivelando la bellezza nascosta fra le pieghe del creato (kosmos), della storia (oikonomia) e della cultura (paideia) umana (Or. 28,21-31: SC 250,142-174). Ma l'unione con Dio, dunque, l' esperienza mistica (Or. 32,15: SC 318, 116-119; Or. 38,7: SC 358, 114-117), viene attesa anche come conseguenza sia dell'appartenenza alla Chiesa, sia dello studio delle Scritture, che ci permettono di avvicinarci alla verità, sia come premio ad una costante purificazione del cuore: " Dove c'è purificazione, lì c'è anche illuminazione " (Or. 39,8: SC 358,164); " Coloro che non sono purificati non potranno sperimentare i raggi della verità " (Or. 4,44: SC 309,144).

Meta di tutto questo sarà il conseguimento di una luminosità nuova o rinnovata dovuta alla vicinanza o intimità della luce divina che produrrà nel credente la stessa "mente" di Cristo, così che la luce si familiarizzi con la luce, quest'ultima attirandola continuamente verso l'alto col desiderio, e lo spirito (nous) avvicinandosi al puro, purificato, appaia come tale sia al presente che in futuro a ricompensa della virtù e dell'inclinazione verso di esso, o meglio dell' assimilazione a lui (exomoioseos) (cf Or. 32,15: SC 318,116). Il credente sarà in grado così non solo di mostrare in sé gli stessi lineamenti di Cristo: " Diventiamo come il Cristo, dal momento che il Cristo è come noi " (Or. 1,5: SC 247,78), ma anche di accedere finalmente alla theologia, termine che sintetizza in G. la theoria della Trinità Santa quando essa è connessa alla conoscenza sperimentale che l'uomo ha della presenza di Dio che rimane sempre indicibile e inconoscibile, pur eccitando continuamente il desiderio, mentre cresce la nostalgia della sua presenza: " Soltanto di Dio e delle cose divine devi essere insaziabile. In realtà Dio dona ancora di più a coloro che hanno già preso. Egli ha sete di essere oggetto della tua sete, lui che sempre scorre abbondante " (Carmina 1,2,33,115; tr.it., Roma 1994, p.255). " Mi sembra infatti - conclude G. - che, in quanto raggiungibile, Dio attiri a se stesso (dal momento che se fosse completamente irraggiungibile non potrebbe essere oggetto di speranza, dunque non sarebbe neppure cercato), in quanto irraggiungibile invece suscita meraviglia, la meraviglia eccita il desiderio, il desiderio purifica, la purificazione rende simili a Dio, perché con coloro che sono arrivati a questo egli parla come a degli intimi e, mi permetto di dirlo, come un Dio unito a dèi, venendo conosciuto forse tanto quanto egli conosce coloro che sono da lui conosciuti " (Or. 38,7: SC 358,116).

Bibl. R. Albrecht, s.v., in WMy, 202-204; J. Bernardi, Gregorio di Nazianzo, Roma 1997; C. Moreschini, Il platonismo cristiano di Gregorio Nazianzeno, in Annali della Scuola Normale di Pisa, 4 (1974), 1347-1392; C. Moreschini - G. Menestrina (cura di), Gregorio Nazianzeno teologo e scrittore, Bologna 1992; J. Rousse, s.v., in DSAM VI, 932-971; C. Sorsoli - L. Dattrino, s.v., in DES II, 1219-1222; T. Spidlík, Grégoire de Nazianze. Introduction à l'étude de sa doctrine spirituelle, Roma 1971; M. Szimusiak, Eléments de théologie de l'homme selon saint Grégoire de Nazianze, Roma 1963.

I. Gargano

GREGORIO DI NISSA (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Nasce tra il 335 e il 340. La sua formazione deve molto a Basilio e a Macrina (379) rispettivamente fratello e sorella maggiori. Di carattere piuttosto indipendente, amplia moltissimo le sue conoscenze nel campo delle lettere, della filosofia e delle scienze umane, utilizzando tutto ciò che mette a sua disposizione la cultura di lingua greca a lui contemporanea. Nonostante le sollecitazioni fraterne ad abbracciare la vita ascetica preferisce sposarsi, ma non sembra che la sua esperienza matrimoniale sia stata eccessivamente felice. Assai rispettoso e grande estimatore di Basilio e di Macrina, comincia a sviluppare indipendentemente il suo pensiero soltanto dopo la morte dei due, ma lo porta molto oltre, grazie alle sue spiccatissime capacità intuitive e ad una predisposizione particolare per la riflessione filosofica. Non è, invece, quello che si direbbe un esperto pastore di anime, nonostante la fiducia posta in lui da Basilio in questo campo con la chiamata alla sede episcopale di Nissa nel 370. Muore nella prima metà degli anni '90 del sec. IV.

G. è autore fecondo di scritti a carattere apologetico-dogmatico, esegetico-spirituale e catechetico. Di G. si conservano anche diversi Discorsi liturgici e un Epistolario.

II. La mistica di G.1 Il quadro platonico in cui G. sviluppa la sua riflessione sull'esperienza di Dio sembra costituire nello stesso tempo il valore e il limite della sua mistica.

La profonda fede cristiana e un'elaborazione dogmatica di essa ormai matura, condivisa con Basilio Magno e con Gregorio Nazianzeno, hanno permesso però al Nisseno l'utilizzazione di alcune categorie platoniche di pensiero e di linguaggio senza che esse condizionassero in modo inaccettabile gli irriducibili dogmi della fede cristiana.

L' Incarnazione del Logos di Dio nell'individuo Gesù di Nazaret nato da Maria e la sua permanente efficacia salvifica all'interno dei misteri celebrati nella Chiesa, è per G. non solo il fondamento indispensabile di ogni ascesa verso quella conoscenza-esperienza di Dio che costituisce lo skopòs della natura umana, ma ne è anche la via e, in qualche modo, la meta.

Il punto di partenza dell'itinerarium in Deum suppone la constatazione che " nessun ragionamento può cancellare l'economia naturale e calunniare ciò che è prezioso come se fosse una cosa abominevole ": così esordisce il giovane G. nel De virginitate (VIII, 5).2

Lo stesso, però, altrove aggiunge: " I progenitori furono mandati esuli in questa regione malsana ed aspra, nella quale il matrimonio fu concepito come un mezzo di consolazione di fronte alla morte. Se è, dunque, nostra intenzione andare via di qui e unirci a Cristo, occorre far cominciare questo distacco dall'ultimo stadio, così come coloro che sono lontani dai propri familiari quando vogliono ritornare al loro punto di partenza, lasciano per primo l'ultimo posto nel quale sono arrivati " (Ibid., XIII, 1-5, SC 119,422; tr.it. p. 81).

Già in questo brevissimo testo del De virginitate si potrebbe vedere compendiata l'intera problematica entro la quale G. si muove nel suo itinerario ascetico-mistico, itinerario che verrà approfondito e arricchito nei particolari soprattutto nella Vita Moisis e nelle Omelie sul Cantico dei Cantici.

Vi ritroviamo, infatti, i due elementi fondamentali del pensiero di G. che resteranno in tensione lungo l'intero percorso della sua riflessione "mistica" e cioè: il sostanziale giudizio positivo sulla natura in sé, quindi, anche sul corpo e sulla materia, ma insieme anche la caratterizzazione negativa che di fatto la natura, il corpo e la materia hanno assunto a partire dal momento in cui i progenitori " furono mandati esuli in questa regione malsana ed aspra "; da qui l'esigenza di una "purificazione" appropriata perché si possa realizzare il reditus a quello stato iniziale che, unico, può permettere di conoscere sperimentalmente Dio.

Occorre tener costantemente presente questa duplice convinzione per poter porre nel giusto contesto una beatitudine (proposta da G. e perseguita lungo l'intero suo itinerario mistico, le cui pietre miliari potrebbero essere identificate nell'esegesi "spirituale" da lui applicata all'Ecclesiaste, alla Vita di Mosè e al Cantico dei Cantici per l'AT e alle "beatitudini" per il NT: cf III, 1: SC 119,272; tr.it., p. 37), senza correre subito a omologare il pensiero nisseniano semplicemente al platonismo.

Il punto di partenza, che si potrebbe definire anche testo fondante dell'intero pensiero mistico di G. è Gn 1,27: kat'eikona theou epoiesen auton: "ad immagine di Dio lo creò".

La prima constatazione di G. è che questo animale strano che si chiama uomo (anthropos), dotato di capacità razionale (loghikon) e riflessiva (dianoetikon), possiede anche una caratteristica del tutto eccezionale, consistente nell'essere opera e imitazione dell'illibata natura divina (cf XII, 2: SC 119,399ss.).

Da questa semplice constatazione viene dedotta una conseguenza estremamente importante che, in apparenza, sembrerebbe un'aggiunta: l'incorruttibilità e l'impassibilità sono elementi costitutivi originari dell'uomo.

Ulteriore conseguenza è che, se l'uomo concreto che vediamo oggi è soggetto sia alla passibilità che alla marcescibilità, si deve dedurre che una simile situazione va attribuita a qualcosa che si è determinato nell'uomo e intorno all'uomo dopo la situazione iniziale originaria (cf XII, 2: SC 119,400-402) e che quindi va eliminata o per lo meno purificata perché l'uomo possa risplendere nella sua autenticità "naturale" originaria (cf XII, 2: SC 119, 406-408; tr.it. pp. 76-78 passim).

Gli strumenti con i quali l'uomo può ritornare alla sua natura originaria sono offerti concretamente dall'acquisto delle virtù le quali, benché coincidano in parte con quelle stesse virtù identificate dalla cultura greco-romana, non ricevono da quest'ultima né la motivazione iniziale né la realizzazione finale. Infatti, fu il Signore Gesù ad aver rivelato che " il regno di Dio è dentro di voi " (Lc 17,21), osserva G. (cf XII, 2: SC 119,410; tr.it., p. 77).

La "verginità del corpo", " alla quale non può giungere chi ha cominciato ad imprimere le sue orme sul cammino della vita mondana " (XII, 2, SC 119,412-416; tr.it., pp. 78-80) ha a questo punto per G. la funzione precipua di " far dimenticare all'anima i movimenti passionali della natura e di impedire ai bassi istinti della carne di imporsi come stato di necessità " (V, 1: SC 119,336; tr.it., p. 57). Infatti, solo dopo che si sarà liberata da simili legami, l'anima " non correrà più il rischio di abbandonare quel piacere divino e genuino che solo la purezza dell'elemento razionale che ci guida può perseguire " (V, 29: Ibid.). Una funzione che non toglie nulla, anzi si potrebbe dire che in qualche modo confermi, la positività di chi raggiunge lo stesso obiettivo attraverso strade diverse da quelle individuate nella scelta verginale.

E lo stesso G., infatti, a riconoscere addirittura una maggiore saggezza e maturità in chi " nella congiuntura attuale, poiché nella vita gli uomini devono succedersi gli uni agli altri, si comporta in modo tale da garantire il primo posto alle cose spirituali e insieme soddisfare in misura moderata e contenuta i suoi desideri... e perciò sceglie, d'accordo con la consorte, la castità per attendere di più alla preghiera nel timore di diventare, per colpa della passione, tutto carne e sangue " (VIII, 19: SC 119,360; tr.it., p. 64).

In realtà, G., non meno del suo amico di Nazianzo, e forse prendendo una certa distanza dagli estremismi di suo fratello Basilio, è molto più incline di quanto non sia stato ammesso finora dagli studiosi, a connettere l'itinerarium in Deum con quella ricerca dell'equilibrio nella fruizione del piacere che costituiva l'obiettivo della bios theoretikè ampiamente documentata, a partire da Epicuro ( 270 a.C.), nel mondo greco-romano.

Di fatto G. identifica nella persona matura ed equilibrata, eventualmente unita in matrimonio, l'agricoltore prudente e saggio che sa curare sapientemente il suo campo (cf VIII, 20: SC 119,360), mentre sembra giustificare sorprendentemente la scelta della verginità soltanto quando si sperimenta una maggiore fragilità della carne (cf VIII, 20: SC 119,360-362).

G. sembra, insomma, proporre un ideale di vita cristiana non molto distante dall'ideale filosofico di alcuni suoi contemporanei, come scrive per esempio nel suo De virginitate (cf VIII, 36: SC 119,362; tr.it., p. 65).

L'ideale, dunque, è la symmetria. Di fatto, però, il rischio di restare " imprigionati nel fango " è pressoché universale (cf XI, 1-2: SC 119,380-382; tr.it., p. 71). Di qui la necessità di affinare la grossolanità della percezione umana cambiando direzione a quel movimento che, lasciato a se stesso, produrrebbe un allontanamento indefinito dal bello obbligando in qualche modo l'uomo a correre dietro all'erotica carne.

D'altra parte, la strada del ritorno è paradossalmente indicata da quella stessa strada percorsa nell'allontanamento (cf XI, 3: SC 119,384; tr.it., p. 72; XI, 3: SC 119,386; tr.it., p. 72).

Le conseguenze che ne trae G. sono perentorie: soltanto " chi abbandona ogni amarezza e ogni lezzo della carne e si eleva al di sopra di tutte le cose meschine e basse; chi, per meglio dire, s'innalza al di sopra di tutto ciò che è mondano... è in grado di trovare l'unico oggetto degno di desiderio e diventare anch'egli bello una volta che si è avvicinato al bello; divenuto splendente e luminoso in questa bellezza, continuerà infatti a rimanere partecipe della luce vera " (XI, 4: SC 119,388; tr.it., p. 73).

La persona del Verbo fatto carne, nella sua duplice natura di increato e creato, di spirito e di carne, di invisibile e visibile, diviene la strada maestra del ritorno. Il termine chiave che definisce il modo e il metodo con cui compiere quest'itinerario è senza dubbio theoria, un termine che indica sostanzialmente, in G., il principio base dell'intero suo pensiero teologico, quindi, dell'itinerario mistico: quello del movimento continuo che sfocia nell'epektasis.

Fra i tanti testi che offre G. per spiegare questo particolare itinerario mistico si potrebbe leggere il seguente, tratto dall'Omelia XII sul Cantico dei Cantici: " Chi non conosce le famose ascese di Mosè, di quel personaggio che fu sempre più grande e non si fermò mai nel suo accrescimento nel bene? Fu fatto più grande fin dall'inizio, allorquando considerò più importante del regno d'Egitto l'obbrobrio di Cristo e preferì essere afflitto insieme con il popolo di Dio piuttosto che godere momentaneamente del peccato; una seconda volta, allorquando l'egiziano tormentava l'ebreo e allora egli uccise il pagano, lottando in difesa dell'israelita. Senza dubbio tu scorgi in questi avvenimenti quale sia il modo di diventare più grande: basta che tu passi dal racconto storico all'interpretazione figurale.

Ancora una volta egli fu fatto maggiore, quando conservò in disparte la sua vita senza farla conoscere agli uomini, praticando per lungo tempo nel deserto la filosofia.

Poi egli riceve l'illuminazione dal fuoco del roveto.

Quindi anche il suo udito viene illuminato ad opera del Logos, grazie ai raggi della luce. Per far questo, egli si spoglia i piedi di ogni rivestimento mortale; distrugge con la verga i serpenti d'Egitto, strappa alla tirannia del faraone il popolo a lui consanguineo, lo guida attraverso la nube, divide in due parti il mare, sommerge la tirannide, rende dolce l'acqua di Mara, percuote la pietra, è saziato dal cibo degli angeli, ode le trombe dei cieli, osa salire sul monte avvolto dalle fiamme, tocca la vetta, penetra nella nube, s'inoltra nell'oscurità nella quale si trovava Dio, riceve il testamento, diviene sole, perché fa brillare dal suo volto la luce inaccessibile davanti a coloro che gli si fanno vicino... ".

Ciascuno dei verbi potrebbe essere inteso, e di fatto G. così lo intende, come un gradino particolare di esperienza "mistica" in cui viene a trovarsi colui che "è fatto sempre più grande" dall'elezione e dalla vicinanza di Dio. La dottrina dei sensi spirituali, ereditata da Origene, riceve, in queste intuizioni di G., la sua articolazione più appropriata. Ma quel che più impressiona è constatare che tutto avviene all'interno di un linguaggio che, pur altamente filosofico, non cessa di essere profondamente ancorato al contenuto biblico ebraico-cristiano. Forse sta proprio in questa sintesi paradossale tutto il genio "mistico", almeno nell'elaborazione teorica se non nell'esperienza concreta del grande Padre cappadoce.

G. non si ferma però neppure a questa soglia. Prosegue, infatti, all'interno del testo appena citato: " Ma pur tuttavia un uomo così grande, così sublime, che aveva avuto tali esperienze e attraverso tali gradini, si era elevato fino a Dio, non aveva saziato il suo desiderio di possedere sempre di più e supplicò Dio di poterlo vedere faccia a faccia... Ciò nonostante, né il parlare a Dio come amico ad amico, né il colloquio con Dio faccia a faccia riescono a fermare il suo desiderio delle realtà sempre più elevate, ma dice: "Se ho trovato grazia davanti a te, rivelati a me, in modo che ti possa conoscere". E colui che gli promise che gli avrebbe concesso la grazia richiesta, colui che disse: "Io ti ho conosciuto al di sopra di tutti", passa oltre a lui, a Mosè, il quale stava nel luogo divino, nella pietra, coperto dalla mano di Dio, sì che a stento riuscì a vederne il dietro, dopo che egli fu passato.

In questo modo il testo sacro ci vuole insegnare, io credo, - ed è il colpo d'ala del grande teologo "cristiano" - che colui che desidera vedere Dio vede colui che desidera solo se lo segue sempre, e la contemplazione del suo volto consiste nel procedere incessantemente incontro a Dio, e questo procedere giunge a buon fine solo se si segue il Logos standogli dietro ".3

Nel pensiero di G. vi è, insomma, un circolo ermeneutico fortemente dinamico che si può, grosso modo, esprimere così: l'uomo desideroso di raggiungere la partecipazione piena alla natura stessa di Dio, ricerca in ciò che percepiscono i sensi l'impulso verso un desiderio più alto il quale, una volta raggiunto, diviene spinta a progredire sempre più oltre fino a raggiungere la caligine oscura in cui abita Dio e in cui " l'anima, come si esprime lo stesso G. nell'Omelia XI sul Cantico dei Cantici, lasciando le cose che sono in basso, si trova nei penetrali della conoscenza di Dio, circondata da ogni parte dalla tenebra divina nella quale, tenuto al di fuori tutto quello che appare ed è comprensibile, resta riservato alla sua contemplazione solamente ciò che è invisibile e incomprensibile, ciò in cui abita Dio, come dice la Scrittura a proposito del legislatore: "Mosè entrò nella caligine ove si trovava Dio" ".4

Note: 1 Sulla mistica di Gregorio di Nissa si è scritto molto e sembra vi sia un consenso molto ampio nel considerare il Nisseno come uno dei Padri mistici per antonomasia della tradizione cristiana. Le opere moderne da leggere per qualsiasi trattazione su questo argomento sono certamente: J. Daniélou, Platonisme et theologie mystique. Doctrine spirituelle de Saint Grégoire de Nysse, Paris 1944 e W. Voelker, Gregor von Nyssa als Mystiker, Wiesbaden 1955. Quest'opera è stata recentemente tradotta in italiano (Milano 1993) da C. Moreschini, il quale sintetizza nella preziosa presentazione tutto ciò che è indispensabile conoscere per fare i primi passi nel territorio mistico nisseniano. A queste due opere si può aggiungere il capitolo dedicato a Gregorio di Nissa da Endre von Ivanka in Plato Christianus. Ubernahme und Umgestaltung des Platonismus durch die Vater, Einsiedeln 1964. Anche quest'opera è stata tradotta in italiano (Milano 1992) da E. Peroli, con una presentazione di G. Reale. Si vedano, altresì, le brevi pagine, ma intensissime, di M. Viller e K. Rahner in Ascetica e Mistica nella Patristica. Un compendio della spiritualità cristiana antica. Cf l'edizione italiana a cura di A. Zani, Brescia l991, 135-145. Non si dovrebbe, infine, omettere il volume di M. Canévet, Grégoire de Nysse et l'herméneutique biblique. Étude des rapports entre le langage et la connaissance de Dieu, Paris 1983. A tutti questi giganti della ricerca nissenina mi permetto di aggiungere il mio modesto lavoro: La teoria di Gregorio di Nissa sul Cantico dei Cantici. Indagine su alcune indicazioni di metodo esegetico, Roma 1981.

Dato questo ampio spettro bibliografico mi limiterò, in questa sede, a una lettura attenta dell'itinerario mistico al quale il Nisseno resterà sostanzialmente fedele, sia pure sviluppandolo e approfondendolo, in tutta la sua produzione letteraria, nella sua " opera prima ", il De virginitate. La documentazione proposta credo che renda ragione a sufficienza della validità della scelta compiuta; 2 M. Aubineau, Grégoire de Nysse. Traité de la virginité, introduction, texte critique, traduction, commentaire et index, VIII, 5, SC 119, Paris 1966, 358; tr. it. Roma 1976, 64; 3 Tr. it. di C. Moreschini, Roma 1988, 275-277; 4 Ibid., 252.

Bibl. M. Canévet, s.v., in DSAM VI, 971-1011; Id., Grégoire de Nysse et l'herméneutique biblique. Étude des rapports entre le langage et la connaissance de Dieu, Paris 1983; J. Daniélou, Platonisme et theologie mystique. Doctrine spirituelle de Saint Grégoire de Nysse, Paris 1944; M. Figura, s.v., in WMy, 204-206; G.-L. Gargano, La teoria di Gregorio di Nissa sul Cantico dei Cantici, Roma 1981; Endre von Ivanka, Plato Christianus. Ubernahme und Umgestaltung des Platonismus durch die Vater, Einsiedeln 1964; V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d'Oriente. La visione di Dio, Bologna 1967; B. Salmona, Gregorio di Nissa, in La Mistica I, 281-313; C. Sorsoli - L. Dattrino, s.v., in DES II, 1222-1226; W. Voelker, Gregor von Nyssa als Mystiker, Wiesbaden 1955.

I. Gargano

GREGORIO MAGNO (santo). (inizio)

I. Vita e opere. Gregorio I Magno nasce a Roma nel 540. In un primo tempo intraprende la carriera civile e nel 573 ricopre l'incarico di praefectus Urbis; in seguito, distribuisce i suoi beni ai monasteri romani e veste l'abito benedettino. Dal 574 al 590 si ritira nel convento di S. Andrea al Celio, con la parentesi del soggiorno a Costantinopoli (579-586) in qualità di legato pontificio (apocrisiarius).

Eletto vescovo di Roma, contro la sua volontà, nel 590, si trova a guidare la Chiesa latina in un periodo di transizione politica e culturale.

Chiamato Consul Dei per la capacità organizzativa e diplomatica, è investito del ruolo di mediatore tra l'Impero Romano d'Oriente e il Regno Longobardo; completa la conversione della corte longobarda, stornando la minaccia di occupare Roma (593) e favorendo la pace longobardo-bizantina. Con la sua personalità, rafforza la preminenza - non più solo spirituale - del vescovo di Roma nei confronti dell'autorità bizantina, finendo per sostituirsi, agli occhi delle popolazioni latine, al legittimo rappresentante del potere imperiale. E il primo papa ad adottare il titolo servus servorum Dei; promuove la formazione del clero, l'attività missionaria, lo sviluppo della liturgia, la diffusione della regola benedettina. Animato da fervido spirito religioso, ciò nondimeno ha chiara ed aperta visione dei problemi del suo tempo e si adopera per dare ai latini la sensazione di essere guidati da un'autorità loro vicina e partecipe. Muore il 12 marzo del 604 e viene canonizzato per acclamazione popolare.

Le opere di G. tramandateci sono le seguenti: Registrum epistolarum, 854 lettere raccolte in quattordici libri, testimonianza di multiformi interessi ed attività; Regula pastoralis in quattro libri, stesa nei primi tempi del pontificato; trattato sotto forma di lettera a Giovanni, patriarca di Ravenna, che lo rimproverava di essersi voluto sottrarre alla carica pontificale; Dialogi de vita et miraculis patrum italicorum, in quattro libri, attestazione della santità dei Padri italici; sono considerati l'espressione della persistente aspirazione di G. ad una vita di ascetismo raccolto e solitario, aspirazione sempre contraddetta dalle circostanze; Moralia in Iob, in trentacinque libri, composti a Costantinopoli, dedicati al vescovo Leandro di Siviglia, che si propongono d'illustrare il testo biblico nel triplice senso letterale, morale, spirituale; Homiliae in evangelia, quaranta omelie rivolte al vasto pubblico a commento di altrettanti brani evangelici; Homilia in Ezechielem prophetam, ventidue omelie pronunciate intorno al 593, sotto la minaccia longobarda; Expositio in Canticum Canticorum e Expositiones in librum primum regum, opere d'ispirazione gregoriana, probabili trascrizioni di omelie; ci sono giunte incomplete a causa di un incendio allo scriptorium del Laterano. Da ultimo, è riconosciuta l'influenza della personalità di G. nella redazione del Sacramentarium Gregorianum (databile dopo il 625) e nella composizione dell'Antiphonarium Missae, opere a lui non direttamente attribuibili.

II. Dottrina mistica. " Senza saperlo, noi viviamo in gran parte delle sue formule e dei suoi pensieri e per questo essi non ci sembrano più nuovi. ...Cerchiamo dunque, al di là della consuetudine che abbiamo con essi, di riscoprirli nella loro fonte. Essi hanno forse ancor più valore oggi che in passato: malgrado il carattere talvolta sconcertante del suo stile e della sua esegesi... ". Così si esprime J. Leclercq.1 Tentiamo d'individuare i temi principali della mistica gregoriana.

In primo luogo va posta la conversione: dei pagani, dei non-cristiani (con particolare riguardo ai giudei), dei cristiani stessi ad una vita spirituale più profonda e consapevole. Per G. tutti i cristiani sono chiamati ad imitare la perfezione del Cristo, qualunque sia il loro stato di vita (cf Regula Post., II, 28); ciascuno ha l'obbligo di orientare la propria esistenza verso il Salvatore ed aderire quanto più possibile al suo esempio, indipendentemente dalla funzione che gli compete nel mondo. Ciò si ottiene particolarmente attraverso l' ascesi fisica e spirituale e la quotidiana meditazione della Sacra Scrittura. Tutti sono tenuti alla conoscenza della Sacra Scrittura, lettera che Dio rivolge ad ogni uomo, non solo al clero, tramite l' ascolto o la contemplazione di immagini. Ciascuno può accedere al livello di comprensione della Sacra Scrittura per il quale ha idonea formazione.2 " Quanto più sono gravose le responsabilità nella vita secolare, tanto più necessita il contatto quotidiano con la Bibbia " (Epist., V, 46).

L'erudizione da sola non serve all'edificazione spirituale ma, unita alla Sacra Scrittura, consente di ottenerne una più approfondita comprensione. Ignoranza ed oscurantismo sono per G. veicoli diabolici perché impediscono all'uomo di attingere alle scienze profane e, a maggior ragione, a quelle spirituali (cf Ibid. V, 84). L'incessante conversione in cui consiste l'esistenza cristiana suppone la purificazione del cuore, il distacco, l' umiltà e la tolleranza, qualità che confluiscono in una disposizione definita "compunzione", vale a dire l'atteggiamento di risposta dell'uomo all'azione di Dio: si compone di un duplice aspetto: timore di Dio e desiderio di Dio. La vita contemplativa in teoria è da preferirsi a quella attiva, in quanto non cessa con l'estinguersi dell'esistenza fisica, bensì prosegue nell'eternità (cf Hom. in Ez. II, 2,9); dal punto di vista pratico, però, ciascuno su questa terra deve rispettare la tendenza dominante nel proprio carattere e preoccuparsi di non sopprimere totalmente la tendenza complementare. Ciò induce a credere che lo stato più desiderabile su questa terra sia quello della vita mista. La contemplazione, infatti, non si presterebbe ad essere uno stato di vita assoluto, pena gravi squilibri della personalità; d'altro canto, l'uomo dedito alla contemplazione dev'essere in grado di dimostrare che un amore esclusivo e totale per Dio non sottrae né esclude dall'impegno quotidiano.

La contemplazione richiede compunzione e profonda conoscenza di sé, porta come frutto la visione divina e la conoscenza di Dio nell'amore. Per G. vi è identità di amore e conoscenza nella relazione tra l'anima e Dio; la misura della conoscenza è misura dell'amore (cf Moralia, 10,13 e 31,101; Hom in Ez. II,9,10; Hom. in Ev. 14,4; Moralia, 18,54). Grazie all'aiuto che le viene da Dio stesso, l'intelligenza umana, unita all'amore, è in grado di percepire parte della luminosità divina; a causa, però, della propria finitezza, l'anima non può comprendere in modo esaustivo l'essenza, che in Dio coincide con la luce stessa. L'esperienza che l'uomo può raggiungere nel suo slancio verso Dio è espressa da G. in termini di riposo e di luminosa quiete (cf Ibid., 33,63 e 4,58).

Attraverso le opere e l'epistolario ci è dato di conoscere alcuni tratti salienti della personalità di G. In lui è costante l'aspirazione alla pace ed alla quiete in Dio, tensione accentuata dal carico di responsabilità conferitogli in un'epoca instabile, ed in aggiunta all'inquietudine propria della condizione umana.

La sua esperienza personale di monaco, di uomo di cultura e anche di infermo, fornisce sostanza alle riflessioni pastorali, mentre nel trattare temi della vita attiva dimostra di aver conservato un senso pratico ed un senso dello stato schiettamente romani. La propria autoconoscenza e la consapevolezza dei limiti gli consentono una posizione umile e tollerante; " la vita cristiana, - secondo G. - è una progressione che va dall'umiltà all'umiltà ".3

Note: 1 J. Leclercq, Cultura umanistica e desiderio di Dio, Firenze 1988, 32; 2 Hom. in Ez., I, 6,2; sul rapporto tra G. e libro, vedi pp. 978-984 e 1002 in A. Petrucci, Scrittura e libro nell'Italia altomedievale, in Studi Medievali, III s., 14 (1973), 961-1002; 3 J. Leclercq, Cultura..., o.c., 41.

Bibl. Opere: L'Opera omnia è stata pubblicata per la prima volta con criteri filologici nel 1705, a cura dei Benedettini di San Mauro (4 voll. in folio + 5 voll. in quarto); a questa prima edizione si rifà quella di J.P. Migne (PL, voll. 75-79, ed. l849), mentre attinge a fonti diverse l'edizione veneziana del 1768-1776 curata da G.B. Galliccioli. E in corso di pubblicazione un'edizione bilingue latino-italiano, curata da un gruppo di specialisti con il coordinamento di P. Siniscalco, 11 voll., Roma 1994ss.

Ai nostri giorni, le opere di Gregorio Magno sono edite nelle collane: Sources Chrétiennes, Paris 1948-1991 e Corpus Christianorum, Series Latina, Turnholt 1963-1985.

In traduzione italiana: Omelie sui Vangeli, Regola Pastorale, Torino 1968; Vita di s. Benedetto (Dialogi, II, 1); Regola Pastorale, Roma 1975; Regola Pastorale, Milano 1975; Omelie su Ezechiele, Roma 1979-80, 1983; Regola Pastorale, a cura di M.T. Lovato, Roma 1981; Lettere, Roma 1992; Moralia in Iob, Roma 1992; Opere, a cura di E. Gandolfo, Roma 1992. Studi: C. Butler, Il misticismo occidentale: contemplazione e vita contemplativa nel pensiero di Agostino, Gregorio e Bernardo, Bologna 1970; B. Calati, S. Gregorio maestro di formazione, in Sem 21 (1969), 245-268; B. Calati - L. Dattrino, s.v., in DES II, 1210-1219; G. Carluccio, The Seven Steps to Spiritual Perfection according to St. Gregory, Ottawa 1949; P. Catry, Parole de Dieu et Esprit-Saint chez St. Grégoire le Grand, Bellefontaine 1984; C. Dagens, St. Grégoire le Grand. Culture et expérience chrétienne, Paris 1977; R. Gillet, s.v., in DSAM VI, 872-910; A. Ménager, La contemplation d'après saint Grégoire le Grand, in VieSp 9 (1929), 242-282; Id., Les divers sens du mot " contemplatio " chez saint Grégoire le Grand, in VSpS 59 (1939), 145-169; 60 (1939), 39-56.

M.G. Fornaci

GREGORIO PALAMAS. (inizio)

I. Vita e opere. G. nasce a Costantinopoli nel 1296. A vent'anni, assieme ai fratelli Macario e Teodosio, diviene monaco sul Monte Athos ed in seguito abate del cenobio di Esfigmenou. Dal 1336 al 1341 si trova coinvolto nella controversia sorta fra i monaci esicasti, dei quali assume le difese, e il filosofo Barlaam ( 1350). Dopo la guerra civile scoppiata in quegli anni, nel 1347, è eletto arcivescovo di Tessalonica, città dove muore nel 1359. E canonizzato dal patriarca ecumenico Filoteo nel 1368.

Fra le numerosissime opere di carattere agiografico, teologico e pastorale da lui redatte, le Tre Triadi in difesa dei santi esicasti occupano un posto rilevante in quanto racchiudono, in una sintesi teologicamente compiuta, la spiritualità tradizionale dell'ortodossia. Per quanto riguarda il metodo psico-fisico praticato dagli esicasti, G., pur difendendolo, non lo ritiene sempre necessario specialmente se si è seguiti da una provata guida spirituale. La sua teologia è proclamata dottrina ufficiale della Chiesa ortodossa nel 1351, quando viene definitivamennte risolta la questione esicasta.

II. Dottrina spirituale. Nella polemica condotta contro Barlaam e gli umanisti del tempo, G. sottolinea l'insufficienza della ragione umana, espressa dalla filosofia profana, nello scrutare e contemplare il mistero della salvezza; essa è, infatti, incapace di elevarsi sino a Dio poiché la sua attività speculativa rimane limitata alla contemplazione degli esseri e delle loro ragioni (lògoi).

Secondo l'autore, l'inutilità di tale sapienza, prettamente umana, è dovuta al fatto che essa non è stata rigenerata dalla grazia, non essendo stata sottoposta alla rinascita spirituale attuata dal mistero dell' Incarnazione, punto di partenza per realizzare ogni esperienza autenticamente cristiana grazie alla quale l'uomo, nella sua totalità, anima e corpo, perviene al conseguimento della santità. Ogni cristiano, per raggiungere tale condizione escatologica nel divenire esistenziale dopo il battesimo, deve alimentare incessantemente la propria quotidianità con la pratica sacramentale ed ascetica ed essere così perennemente in comunione con Cristo.

La via mistica dev'essere il percorso di ogni vita cristiana in quanto, grazie ad essa, si perviene alla divina visione, cioè alla contemplazione (theorìa) della luce increata, la medesima contemplata dagli apostoli sul Monte Tabor. La percezione di tale luce, sostiene G., rende partecipabile l'Impartecipabile, accessibile l'Inaccessibile e conoscibile l'Inconoscibile. Essa, infatti, è l'energia (energheia) divina comunicata al contemplante dall'Essenza (ousìa) sovraessenziale.

Secondo il dottore esicasta, in conformità con la tradizione patristica orientale, la luce della visione divina che si manifesta all'anima deificata è l'energia divina increata, non l'essenza della divinità. Egli, infatti, distingue nettamente, rifiutando ogni categoria essenzialista propria della filosofia ellenica, l'una dall'altra: la prima appartiene in egual misura alle tre Persone della Trinità e rende percepibile all'anima Dio in forma sensibile, mentre la seconda, l'ousìa, rimane inaccessibile nella sua assoluta trascendenza. Tale distinzione fra essenza ed energie divine trova fondamento nel carattere puramente cristologico o sacramentale della deificazione (théosis) fine ultimo dell'Incarnazione che, nel suo processo di realizzazione, libera progressivamente l'uomo dal peccato e dalla morte. Per questo, l'uomo deificato rivela la struttura iconica del suo essere (cf Gn 1,26) restaurata con il volto splendente di Cristo risorto circondato dalla sua gloria, manifestandolo al mondo come un' icona (eikon) della divinità.

Bibl. Alcune opere di Gregorio Palamas sono state pubblicate in Filocalia IV, Torino 1987, 3-146; G. Palamas, Difesa dei santi esicasti, Padova 1989. Studi: R. D'Antiga, Gregorio Palamas e l'esicasmo, Milano 1992; H.D. Egan, Gregorio Palamas, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 347-358; J. Kuhlmann, Gregorio Palamas, in G. Ruhbach - J. Sudbrack (cura di), Grandi mistici II, Bologna 1987, 9-26; J. Meyendorff, s.v., in DSAM XII1, 81-107; Id., Introduction à l'ètude de Grégoire Palamas, Paris 1959; Id., San Gregorio Palamas e la mistica ortodossa, Torino 1976, Milano 1997 (ristampa); M. Paparozzi, Gregorio Palamas, in La Mistica I, 419-460; Y. Spiteris, Palamas: la grazia e l'esperienza, Roma 1996.

R. D'Antiga

GREGORIO SINAITA. (inizio)

I. Vita e opere. G. nasce nel 1255 a Clazomene in Asia Minore. Dopo aver soggiornato nel monastero sinaitico di Santa Caterina, si trasferisce a Creta dove viene iniziato alla vita esicasta dall'anacoreta Arsenio. Si reca, quindi, sul Monte Athos e qui vive nell'eremitaggio di Magula con alcuni discepoli fino al 1325 ca., anno in cui è costretto ad andarsene a causa delle frequenti incursioni dei turchi. Si rifugia a Paroria in Bulgaria, luogo da cui i suoi discepoli, dopo la sua morte avvenuta il 27 novembre 1346, diffonderanno l' esicasmo nei paesi slavi ortodossi.

Numerosi sono gli scritti che G. dedica alla preghiera nelle sue diverse pratiche, tra queste si menziona anche quella psicofisica (esicasmo) che egli difende, condividendo gli scritti dello Pseudo Simeone e di Niceforo l'Athonita ( 1350 ca.), senza però assolutizzarla, consigliandola in particolare ai principianti sprovvisti di un maestro spirituale. G., anche se non appare mai nell'infuocata controversia palamita, è assieme a Gregorio Palamas il più grande rappresentante dell'esicasmo del sec. XIV e per questo motivo è chiamato " dottore dell'esichia ".

II. Insegnamento spirituale. G., seguendo la tradizione esicasta precedente, pone come obbiettivo principale dell'asceta il conseguimento della deificazione (théosis) che si ottiene attraverso la preghiera pura (katharà preseuché), detta anche monologica o preghiera di Gesù. Nel suo trattato Capitoli in acrostico egli espone, in modo non sistematico, i fondamenti della vita esicasta e della preghiera pura, trattati, in seguito, più ampiamente in vari opuscoli tra i quali sono da ricordare L'esichia e i due modi di preghiera e la Rigorosa notizia sull'esichia e la preghiera. Secondo G., l'esicasta, per pervenire alla condizione deificata, deve ottemperare al più importante comandamento dato all'uomo dal Signore: il ricordo di Dio (cf Dt 8,18), affinché ristabilisca nell'unità e nella semplicità la sua memoria, dispersa e disgregata a causa della trasgressione di Adamo. Per lui, la preghiera pura è innanzitutto rimozione di ogni pensiero, infatti, l'immaginazione (tò phantastkòn) da essa prodotta, frutto dell' illusione diabolica, costituisce il più grande ostacolo che l'asceta incontra nel suo itinerario proteso al conseguimento dell' unione (hénosis) divina. La raccomandazione che ricorre costantemente nei suoi scritti è, dunque, che la mente, mentre prega, debba essere assolutamente sgombra da qualsiasi immagine, fantasia o ragionamento, che essa rimanga " stabile " divenendo in questo modo immateriale.

G. divide, inoltre, la vita ascetica in due momenti progressivamente legati fra loro, quello cenobitico e quello eremitico, cui si associano due modi di preghiera completamente differenti. Allo stato cenobitico si addice la pratica della " lectio divina " o salmodia la quale si presenta utile per il principiante che deve acquisire la pratica dell'attenzione (presochè), ma che si rivela inadeguata al conseguimento della " memoria di Dio " (mneme tou Theou). Alla condizione eremitica, invece, si confà la preghiera che trae origine dal calore del cuore che distrugge totalmente l'anima passionale per riversare l'amore dell'uomo solamente in Dio. Il primo tipo di preghiera risulta, dunque, propedeutico al secondo, espressione dossologica adeguata alla condizione dell'esicasta. Come si può notare, si tratta di una preghiera contemplativa propria di chi ha raggiunto il cuore di Dio, misticamente, ma non meno realmente.

Bibl. Alcune opere di Gregorio Sinaita sono state pubblicate in Filocalia III, Torino 1985, 531-609. Studi: J. Darrouzes, s.v., in DSAM VI, 1012; W. Heller, s.v., in WMy, 206-207; V.S. Kiselkov, Gregorio il Sinaita, rappresentante del misticismo bizantino del XIV secolo (in bulgaro), Sofia 1938; W. Pandursky, Gregorios Sinaita und seine Mystik, Marburg 1945.

R. D'Antiga

GRIGNION DE MONTFORT LUIGI MARIA (santo). (inizio)

I. Cenni biografici e opere. Nasce il 31 gennaio 1673 a Montfort-sur-Meu, in una famiglia profondamente cristiana. Frequenta il collegio dei gesuiti e, nel 1692, si reca a Parigi per prepararsi al sacerdozio, che riceve nel 1770. Lasciato il Saint-Sulpice, inizia la sua vita apostolica dedicata alle missioni popolari. Percorre molte regioni dell'Europa come predicatore itinerante. La sua attività apostolica incontra resistenze e opposizioni varie, soprattutto da parte dei giansenisti. Il popolo, invece, lo accoglie come apostolo del rinnovamento spirituale che egli stimola attraverso un'autentica devozione a Maria. Nella sua azione pastorale egli adotta metodi nuovi per evangelizzare il popolo con un linguaggio semplice e quotidiano. A lui s'ispirano diverse nuove Congregazioni religiose. Muore il 28 aprile 1716.

Di G. restano le seguenti opere: L'amore dell'eterna Sapienza, Lettera agli amici della croce, Preghiera infuocata, Il segreto ammirabile del santo rosario, Il segreto di Maria, Trattato della vera devozione alla S. Vergine.

II. Itinerario mistico. 1. Unificazione della vita spirituale in Dio solo. G. riconosce che i suoi genitori lo hanno educato nel " timore di Dio " (Lettera 20), cioè in un ambiente cristiano, dove egli, come altri suoi contemporanei, ha potuto manifestare, fin dall'infanzia, segni particolari di fervore religioso: ritirarsi dai giochi, appartarsi nella preghiera, parlare di Dio e del suo amore ai propri familiari.1 I periodi di intensa comunione con Dio nella preghiera prolungata si susseguono nell'esistenza di G. Ricordiamo, sulla scorta dei biografi, il fervoroso impegno spirituale che coincide con la sua entrata nella Congregazione mariana negli ultimi due anni di frequenza del collegio dei gesuiti a Rennes (1690-1692): " Si abbandona alla preghiera e alla penitenza e non può gustare altro che Dio. Tutto il resto gli è insipido ".2 E tuttavia il suo desiderio di divenire povero, condividendo con gli ultimi, si scontra con l'ideale paterno di promozione sociale. La partenza verso Parigi significa per lui la liberazione dal condizionamento familiare, che egli esprime con un gesto significativo: si disfa dei pochi soldi che ha, scambia i vestiti con un povero e pronuncia il voto di povertà radicale.3

La vicenda spirituale del seminarista G. assume nuovi risvolti a Parigi nell'ambiente di Saint-Sulpice (1692-1700). Egli pensa di aver trovato un ambiente nel quale servire Dio in libertà.4 Infatti, in un primo momento egli può seguire il suo fervore vivendo la mistica della povertà liberatrice, spingendosi verso le sante follie dell' ascesi in una " mortificazione senza limiti " (Blain) e giungendo nel campo della devozione mariana alla schiavitù d'amore verso la Madre di Dio.

Soprattutto G. perviene ad un primo vertice mistico quando nel 1695 tralascia di frequentare la Sorbona e opta per la " scienza dei santi ". E rimasto conquistato dalle Lettere spirituali del gesuita J.J. Surin che unifica la vita spirituale nell' amore puro e nel gusto di Dio solo, ossia nel trasferimento di ogni affetto dalle creature al Creatore. Alla sua scuola G. " non perde mai di vista Dio, né la presenza attuale di Dio ",5 intensifica le mortificazioni corporali e manifesta il suo zelo per la difesa dell'onore di Dio.

Non si fa attendere il momento della prova, che si rivela rude e diuturna. Il suo direttore spirituale è molto reticente in fatto di mortificazioni, perciò lo sottopone alla prova dell' obbedienza e della sottomissione pubblica. G. supera la prova senza un lamento, ma al prezzo di un'acuta diffidenza del proprio io e di una concentrazione in Dio unita all'incapacità di attendere a compiti esteriori.6 Questo scontro tra il padre spirituale e G. " è determinato da una diversa corrente spirituale alimentata da un'opposizione temperamentale ".7 G. si richiama alla corrente mistica e missionaria dei suoi autori preferiti, cioè Olier, Surin e Boudon ( 1702), ponendosi così al di fuori dei principi formativi ispirati a Tronson ( 1700). Il condiscepolo Blain riferisce due momenti di intensa spiritualità vissuti da G. in questo periodo. Il primo è costituito dal suo pellegrinaggio al santuario di Chartres, dove trascorre in preghiera tutta la giornata dinanzi all'immagine della Vergine " in una specie d'estasi ". Il secondo si colloca intorno all'ordinazione sacerdotale, quando " questi è giunto a un sublime grado di unione con Gesù Cristo ", al punto che Leschassier lo incarica di scrivere su tale argomento.8 Il seminarista G. passa, così, da una concentrazione sulla persona di Maria e sulle sue grandezze ad approfondire " l'unione con Gesù Cristo " e l'identificazione della schiavitù con i voti del battesimo.

2. L'alleanza d'amore con Cristo Sapienza crocifissa. Liberatosi dal condizionamento sulpiziano, G. opera definitivamente il passaggio da una spiritualità di tipo contemplativo e acosmico ad una spiritualità apostolica, in cui l'apostolato appare come l'opera più divina (cf Cantico 21,12).

In questa prospettiva l'alto grado di unione con Gesù Cristo sperimentato a Parigi si rivela un vertice spirituale provvisorio. Negli anni 1701-1704 egli, infatti, appare totalmente proteso alla ricerca della sapienza. Confessa di cercare la vera sapienza " giorno e notte con più ardore che mai " (Lettera 13), abbinando la sapienza alla croce. Questa ansiosa ricerca della sapienza si esprime nei Cantici 123-126 composti con ogni probabilità durante il soggiorno a Poitiers (1701-1705). Per ottenere la sapienza il missionario è disposto a intraprendere qualsiasi impresa, anche ad " oltrepassare i mari ", " correre per la terra ", " fendere l'aria " (Cantico 126,3). A Parigi, in un sottoscala di Rue du Pot de fer, dopo l'espulsione dall'ospedale della Salpetriere e l'abbandono degli amici (fine 1703), G. sperimenta una delle fasi più cruciali della sua vita. E " la grande derelizione ",9 quando si sente " impoverito, crocifisso, umiliato più che mai ". Ma proprio in queste croci egli scorge " il corredo e il corteo necessario nella divina sapienza " (Lettera 16).

In questo frattempo G. perviene ad uno stato mistico di alleanza d'amore indissolubile con la sapienza che egli esprime a fine agosto 1704 in termini di matrimonio spirituale (cf Lettera 20).

3. La grazia mistica della presenza di Gesù e di Maria. Il matrimonio di G. con la sapienza comporta una modifica nella spiritualità in rapporto all'apostolato. Questo cessa di apparire un ostacolo per il raggiungimento della perfezione, anzi costituisce l'opera più divina (cf Cantico 21,12; L'amore dell'eterna sapienza, 30). La vita apostolica di G. è tutta proiettata alla salvezza del prossimo mediante la missione popolare di parrocchia in parrocchia. E spesso perseguitato o incompreso da gente di alta condizione e da ecclesiastici, compresi alcuni vescovi che gli proibiscono il ministero delle proprie diocesi. Egli sintonizza, invece, con i poveri in cui vede lo stesso Cristo. Ormai G. dilata il suo orizzonte fino a scorgere il volto di Cristo in ogni uomo: " Bisogna che io ami Dio nel mio prossimo " (Cantico 148,1).

Nel 1714 visita il canonico Blain suo antico condiscepolo, che ci tramanda un memorabile colloquio svoltosi tra i due amici. Il missionario rivendica la legittimità della sua sequela letterale di Cristo Sapienza nell'adozione del suo genere di vita per il regno. Inoltre, confida all'amico di godere di una grazia di ordine esperienziale e mistico: " La presenza continua di Gesù e di Maria ".10 Egli raggiunge, così, una nuova unificazione della vita spirituale attraverso la grazia della presenza di Gesù e di Maria per cui può realizzare la contemplazione o intima unione a Dio nell'azione apostolica.

Anche l'itinerario mariano di G. così intenso e costante nel fare riferimento a Maria e in tutte le azioni della giornata, sfocia nell'esperienza religiosa della paternità di Dio, quindi in una vita filiale libera dal timore: " Questa Madre del puro amore toglie dal tuo cuore ogni scrupolo e ogni disordinato timore servile, l'apre e dilata per farti correre sulla via dei comandamenti di suo Figlio con la santa libertà dei figli di Dio " (Trattato della vera devozione a Maria, 215). Questo passaggio dal timore all'amore si spiega con il fatto che Maria, essendo " tutta relativa a Dio " (Ibid., 225) ed espressione della sua bontà (" è buona e tenera... E, bella come la luna che riceve la luce dal sole, ella la tempera per adattarla alla nostra debole vista ", Ibid., 85), trasferisce verso la fonte suprema dell'amore l'atteggiamento di fiducia in lei. In tal modo, Maria introduce sempre più G. nel cuore della rivelazione neotestamentaria.11 Gli ultimi anni del missionario sono segnati dalla crisi della speranza in una sua sopravvivenza attraverso le sue fondazioni religiose finalizzate alle missioni del popolo o alla cura dei malati.

Sul letto di morte, in piena missione a Saint Laurent sur-Sevre, eleva il suo ultimo grido, la sua protesta di fedeltà, una testimonianza della sua comunione mistica con Cristo e con la Vergine: " Invano mi attacchi: sono tra Gesù e Maria... Deo gratias et Mariae. Sono al termine della mia carriera. E finita, non peccherò più ".12

Note: 1 Cf la prima biografia pubblicata anonima da J. Grandet, La vie de Messire Louis-Marie Grignion de Montfort, prêtre missionnaire apostolique, Nantes 1724, 2-4; 2 J.B. Blain, Abrégé de la vie de Louis-Marie Grignion de Montfort, Rome 1973, 7; 3 J. Grandet, La vie..., o.c., 350; 4 J.B. Blain, Abrégé..., o.c., 17; 5 J. Grandet, La vie..., o.c., 297; 6 J.B. Blain, Abrégé..., o.c., 69; 7 S. De Fiores, Itinerario spirituale di s. Luigi Maria di Montfort (1673-1716) nel periodo fino al sacerdozio (5 giugno 1700), in Marian Library Studies, 6 (1974), 234; 8 J.B. Blain, Abrégé..., o.c., 105; 9 L. Pérouas, Ce que croyait Grignion de Montfort et comment il y a vécu sa foi, Tours 1973, 68; 10 J.B. Blain, Abrégé..., o.c., 191; 11 Cf S. De Fiores, Itinerario mariano di s. Luigi Maria da Montfort (1673-1716), in Mater Ecclesiae, 9 (1973), 165-170; 12 Ch. Besnard, Vie de M. Louis-Marie Grignion de Montfort, Rome 1981, II, 495.

Bibl. Opere: S. Louis-Marie Grignion de Montfort, Oeuvres complètes, a cura di Equipe Montfort. Intern., Paris 1966; S. Luigi Maria da Montfort, Opere, I: Scritti spirituali, a cura del Centro Mariano Montfort., Roma 1990. Studi: Aa.Vv., Dieu seul. Á la rencontre de Dieu avec Montfort, Rome 1981; M. Audran, Les différentes formes de la spiritualité du bienheureux Louis-Marie Grignion de Montfort, in Cahiers thomistes, 3 (1928), 521-541; G. De Luca, Luigi Maria Grignion de Montfort, Roma 1943; S. Gutierrez Alonso, La esclavitud mariana en sus fundamentos teológicos y forma ascético-mística y historia según el beato Monfort y según el P. Rios, Madrid 1945; R. Laurentin, Dio mia tenerezza. Esperienza spirituale e mariana, attualità teologica di san Luigi Maria da Montfort, Roma 1985; A. Lhoumeau, La vie spirituelle à l'école de s. Louis-Marie Grignion de Montfort, Bruges 1953; L. Peronas, s.v., in DSAM IX, 1074-1081; M. Quemeneur, Essai sur la spiritualité de s. L.-M. de Montfort, in Documentation montfortaine, 6 (1961)29, 63-78; Th. Rey-Mermet, Luigi Maria Grignion de Montfort. Il poeta mistico di Maria, Roma 1988.

S. De Fiores

GROOTE GERARDO. (inizio)

I. Vita e opere. G. è un riformatore olandese padre della Devotio moderna. Nasce a Deventer, il 16 ottobre 1340, da ricca e influente famiglia borghese. Nel 1355 si reca a Parigi per studiare diritto, teologia, filosofia (nel 1558 è magister artium) e medicina (in seguito forse anche a Colonia e a Praga). Nel 1372, dopo una grave malattia e ripetuti colloqui con Enrico Egher, priore della certosa di Calcar, inizia la sua conversione da una vita mondana promettente: ha la percezione che la scienza faccia deviare dalla giustizia, non conduca a Dio e non serva a dare sollievo agli infermi. Al tempo stesso condanna aspramente la vita morale del clero e rinuncia alla sua ricca prebenda. Per manifestare pubblicamente la sua rottura con il passato, getta sul rogo i suoi libri dell'" arte nera " e mette a disposizione di pie donne - le future " Sorelle della vita comune " - gran parte della sua casa a Deventer. Si ritira, quindi, nella certosa di Monnikhuizen (Arnheim), per tre anni, e progetta il suo programma di riforma spirituale in Conclusa et proposita. Lo scritto contiene le motivazioni della conversione interiore ed esteriore, specialmente nella prima parte, e formula, nella seconda parte, la nuova visione della vita spirituale fondata sul Vangelo. Per dedicarsi alla predicazione, nel 1379 G. diventa diacono. Nel 1380, con il discepolo Fiorenzo Radewijns ( 1400), procede alla fondazione della prima casa dei " Fratelli della vita comune ". Muore il 20 agosto 1384, probabilmente vittima della peste nera.

La maggiore parte degli scritti di G. è dedicata al rinnovamento della vita religiosa. Tuttavia, nell'Epistolario (Gerardi Magni Epistolae, ed. W. Muider, Antwerpen 1933), si trovano anche lettere indirizzate a laici, con raccomandazioni a darsi insieme (in piccoli gruppi) al servizio di Dio. Il suo trattato De Paupertate in die Palmorum riguarda direttamente la vita di una comunità religiosa, nella quale la povertà è la testimonianza più importante dell' imitazione di Cristo. Il possesso di beni conduce al fallimento del comune cammino verso la perfezione. Ma la povertà, da G. equiparata al generoso dare tutto agli altri, elimina gli ostacoli, nutre la carità fraterna e conduce alla pace.

Un posto di rilievo tra gli scritti di G. occupa il trattato De quattuor generibus meditabilium, nel quale si può vedere il primo tentativo, nella storia della spiritualità cristiana, di esporre le regole di un metodo di orazione mentale. Per aiutare i fratelli delle comunità della Devotio moderna, G. compone il libro nel 1382-1383 ca., insegnando che occorre sviluppare, personalmente, un soggetto della meditazione, e non semplicemente ripetere meditazioni già fatte da altri. In questo impegno della " nuova pietà " (la Devotio moderna inizia qui) G. attribuisce valore anche all'immaginazione (phantasmata), ma al tempo stesso ne sottolinea i limiti: per giungere alla piena conformazione a Cristo, l'uomo deve liberarsi dalle immagini; questo è altresì l'ultimo scopo della meditazione. Proprio per questo motivo, essa non è compresa dai contemporanei.

II. Insegnamento mistico. In G. non manca l'interesse per la mistica, sotto l'influenza di Agostino e di Bernardo di Clairvaux, che si nota soprattutto nei suoi rapporti con Ruusbroec, di cui traduce in latino Le Nozze spirituali. Ma la sua è piuttosto una pietà che unisce vita attiva e contemplativa nel duplice amore: Dio e il prossimo. Essenziale è la pratica di una vita cristocentrica attuata nella perfetta carità, nella stretta imitazione del Signore. Per alimentarla, G. traduce in volgare il Libro delle Ore (Getijdenboeck), rendendolo libro di preghiera ad uso delle comunità laiche. Anche se egli non è il fondatore delle nuove famiglie della Devotio moderna, esse sono sorte sotto l'influsso della sua spiritualità, la quale ha aiutato a vivere la sintesi fra contemplazione e azione nella vita comune (esposta in De quattuor generibus meditabilium) e ad assumerla come fonte per le Regole e gli statuti delle nuove istituzioni.

Bibl. R.Th.M. van Dijk, s.v., in WMy, 207-208; G. Epiney-Burgard, Gérard Groote (1340-1384) et les débuts de la dévotion moderne, Wiesbaden 1970; J. Tiecke, s.v., in DSAM VI, 265-274; I. Tolomio, s.v., in DIP IV, 1437-1443; F. Vandenbroucke, La spiritualità del Medioevo, 3B, Bologna 1991, 341ss.

Giovanna della Croce

GUARDINI ROMANO. (inizio)

I. Vita e opere. Nasce a Verona il 17 febbraio 1890 e muore a Monaco di Baviera il 1 ottobre 1968. Ancora piccolo, emigra con tutta la sua famiglia a Mainz. Dopo un breve periodo di studi, in chimica e in economia, si dedica agli studi teologici ed è ordinato sacerdote nel 1910. Insegna teologia e scienze religiose all'Università. Contemporaneamente, promuove un movimento giovanile cattolico germanico. La sua attività pastorale lo rende inviso ai nazisti, pertanto nel 1939 è rimosso dal suo incarico universitario: lo riprenderà solo nel 1945. Consegue il dottorato a Freiburg i. Br. con una tesi sulla dottrina di redenzione dei santi (pubblicata a Düsseldorf nel 1921, dal titolo Die Lehre des hl. Bonaventura von der Erlösungt) e nel 1922 traccia un'analisi dell'insegnamento di Bonaventura, con un sistema coerente, nella sua tesi di " abilitazione ". Questi interessi, comunque, non precludono la stesura e la pubblicazione del suo migliore lavoro, dal titolo Vom Geist der Liturgie (Lo spirito della liturgia).

Questi primi studi di G. preannunciano i temi e gli interessi della sua opera futura, frutto dell'insegnamento a Berlino, Tubinga e Monaco (l923-1939, 1945-1948, 1948-1962): Religionsphilosophie und katholische Weltanschauung (Concezione filosofica e cattolica dell'universo).

Tra le sue opere di carattere teologico-spirituale ricordiamo solo le seguenti: Il senso della Chiesa; L'essenza del cristianesimo; La realtà umana del Signore. Saggio sulla psicologia di Gesù; Il Signore; Introduzione alla preghiera.

II. Insegnamento teologico-spirituale. Partendo da un'ampia base culturale, G. pone l'uomo di fronte alla sua costituzione individuale e nel suo contesto sociale, analizzandone le reciproche influenze culturali. Il suo fine non è quello di condannare l'età moderna, bensì quello di ricostruire una dinamica visione della vita cristiana, insistendo sul bisogno di rinnovamento fondato sulla Sacra Scrittura, radicato nell'esperienza e nella consapevolezza della tradizione, sia nel suo aspetto teologico sia in quello mistico. Per G. è essenziale, in un'esistenza cristiana, il ruolo della celebrazione liturgica con la partecipazione all' Eucaristia.

Il motivo conduttore di tutti i suoi scritti è la Gegensatz, opposizione o tensione presente in ogni vita, quindi anche nella vita dell'uomo. La verità sta nell'equilibrio tra i due poli di tale tensione. Il problema dell'uomo moderno sta nel considerare Dio come l'opposto opprimente che si oppone all'esistenza di ogni individuo, anziché come l'origine e il sostenitore di ogni vita.

In una famosa locuzione, G. sintetizza il suo programma di rinnovamento, come Das Erwachen der Kirche in der Seele, ossia una nuova consapevolezza del popolo cristiano come Chiesa, una consapevole esperienza della sua profonda relazione ontologica con il Signore che redime e il ruolo strumentale che essa ha nella salvezza del genere umano. Difatti, Gesù Cristo è al centro della dottrina teologica del G. L'uomo ha bisogno della rivelazione portata dal Cristo per raggiungere la piena verità su Dio.

L'influenza di G. e la sua notorietà vanno anche al di là della Chiesa cattolica (anche tra coloro che possono essere considerati come suoi oppositori intellettuali). La positività della sua visione, il rigore intellettuale, la spiritualità e il misticismo di G. preparano il terreno alle posizioni assunte dal Concilio Vaticano II. L'interesse per l'opera pedagogica, catechetica e filosofica della religione di G., come pure per le scienze teologiche spirituali e mistiche, è testimoniato dal continuo nascere di studi monografici e di articoli sulla rilevanza del suo lavoro.

Bibl. Opere: H. Merker, Bibliographie Romano Guardini (1885-1968): Guardinis Werke, Veröffentlichungen über Guardini, Rezensionen, Paderborn 1978. Studi: H.U. von Balthasar, Romano Guardini. Riforma delle origini, Milano 1970; F. Boyce, s.v., in DES II, 1226-1229; G. Riva, Romano Guardini e la Katholische Weltanschauung, Bologna 1975; H.R. Schlette Romano Guardini, Werk und Wirkung, Bonn 1985; S. Zucal (ed.), La Weltanschauung cristiana di Romano Guardini, Bologna 1988.

A. Ward

GUÉRANGER PROSPER. (inizio)

I. Vita e opere. Prosper Louis Pascal Guéranger nasce il 4 aprile 1805 a Sablé-sur-Sarthe, una cittadina a circa trentacinque miglia da Le Mans. Ordinato sacerdote nel 1827, l'11 luglio 1833 entra nel monastero benedettino di Solesmes (Francia). Professa a San Paolo fuori le Mura a Roma il 26 luglio 1837. Nello stesso anno il priorato di Solesmes viene eretto abbazia ed ha come suo primo abate G. Muore il 30 gennaio 1875, nel pieno delle sue attività.

Seguendo il principio contenuto nella Regola di s. Benedetto, che dà alla celebrazione liturgica la priorità su ogni altra opera del monastero, G. pone la liturgia e la sua celebrazione solenne al centro della vita quotidiana del monastero di Solesmes.1

G. crede che la Regola benedettina, con la sua enfasi sulla preghiera e la ricerca di Dio, offra i mezzi per contribuire al rinnovamento della Chiesa in Francia.2 Egli spera che Solesmes torni ad essere una casa di preghiera e di studio sulla scia dei monaci della Congregazione di San Mauro 3 per la santificazione del monaco e per il servizio alla Chiesa. Tale principio è considerato da G. basilare.4 Come abate di Solesmes, egli pubblica i suoi più importanti scritti liturgici in cui rivela la sua esperienza monastica.5

G. ha un carisma naturale come insegnante: incoraggia i monaci nelle loro opere, rispettandone l'individualità. Uno dei suoi principi è: " Imitate la pazienza di Dio e non domandate i frutti dell'autunno in primavera ".

G. crede in ciò che chiama " lo spirito santo della libertà ", uno spirito fondato e radicato sull' amore. E questo amore alla libertà a causare in lui l'avversione per tutti gli inganni del formalismo. Nutre forte avversione per il giansenismo e i fondamenti del razionalismo, nei quali egli vede le radici dei problemi della Chiesa in Francia.

Poiché la celebrazione della liturgia occupa il posto principale nella scala dei valori di un monaco di Solesmes, per G. essa è il centro della vita monastica. Egli, infatti, considera la liturgia sia una lode a Dio sia il mezzo per essere incorporati nei misteri salvifici di Cristo. G. vede intimamente connesso alla comprensione della liturgia l'amore per la tradizione che considera esperienza vissuta della Chiesa. La vita monastica, per lui, non è altro che un vivere personificato nella tradizione della Chiesa, poiché essa è una testimonianza orientata verso i fondamentali valori del Vangelo.

Tra le opere ricordiamo soprattutto quelle di carattere spirituale: Conférences sur la vie chrétienne, 2 voll., Solesmes 1880-1884; Notions sur la vie religeuse et monastique, Solesmes 1885. Nel 1840, G. pubblica il primo volume delle Institutions liturgiques inteso come ampio studio della liturgia sotto l'aspetto storico, teologico, giuridico e pastorale. Sfortunatamente, G. pone maggiormente in rilievo, rispetto agli altri, l'aspetto storico. L'intero secondo volume è connesso con la storia della liturgia in Francia durante i secc. XVII e XVIII. La polemica ed il tono aggressivo adottati da G. sono i principali punti deboli di quest'opera, dei quali egli stesso era consapevole.

II. Dottrina spirituale-liturgica. La visione liturgica di G. è essenzialmente teologica. Egli vede ogni cosa entro il contesto del mistero della SS.ma Trinità e nell'eterno piano per la salvezza dell'uomo in Cristo. La profonda consapevolezza di G. della relazione del mistero dell' Incarnazione con il mistero della Chiesa gli permette di concepire quest'ultima come una concreta società divinamente costituita, manifestazione sacramentale dell'opera salvifica di Dio.

G. vede, inoltre, l'intera vita di Cristo come un grande atto liturgico, che riceve la sua massima espressione nella morte, risurrezione e glorificazione di Gesù: il mistero pasquale considerato come centro della vita cristiana. L'intera prospettiva di G. si riferisce alla liturgia come ad un prolungamento del mistero dell'Incarnazione. Nella liturgia i misteri salvifici di Cristo si attualizzano per la vita del popolo di Dio. La liturgia è la vita del popolo di Dio che costituisce una società i cui compiti sono la lode, il culto e la professione del nome di Dio dinanzi a tutta l'umanità. Lo Spirito Santo dimora nella Chiesa come sua guida che porta a compimento l'opera di Cristo sulla terra. E ciò si attua soprattutto attraverso la liturgia in cui lo Spirito Santo agisce per la costituzione definitiva del Corpo di Cristo.

La liturgia è il culto che la Chiesa rende al Padre per mezzo di Gesù Cristo, il Sommo Sacerdote, il culto offerto dal Corpo mistico: capo e membra. Il culto è uno solo, c'è una sola liturgia, l'altare terreno è lo stesso di quello celeste. Tutto ciò, per G., implica che l'intera vita della Chiesa sia orientata alla liturgia e proprio da essa la Chiesa attinga il suo vigore. L'intera economia sacramentale è l'incarnazione del comandamento di Cristo, ossia andare per tutto il mondo a proclamare la Buona Novella della salvezza. Cristo è soprattutto presente nell' Eucaristia, ma è anche presente nell'assemblea dei fedeli e nella proclamazione della Parola. G. descrive la liturgia come linguaggio della Chiesa, pertanto il suo ardente desiderio è quello di rendere comprensibile tale linguaggio. Per questo, egli desidera educare i fedeli al senso della preghiera della Chiesa. Non opponendosi alle devozioni private, G. insiste sulla relazione di alcune di esse con la liturgia. Allo stesso tempo G. ritiene utile che il clero riceva una solida formazione liturgica.

Poiché Dio ha scelto di manifestarsi per mezzo di segni e prodigi, e principalmente nel mistero dell'Incarnazione, G. sostiene che la liturgia abbraccia tutte le manifestazioni della bellezza e lamenta che poche persone comprendano realmente la relazione tra la liturgia e l' estetica.

L'amore dell'abate di Solesmes per la liturgia romana non lo porta a pensare che essa sia perfetta nella forma. Riconosce che la liturgia è soggetta al cambiamento e che i cambiamenti sono qualche volta necessari. Poiché la liturgia è preghiera della Chiesa spetta alla Chiesa modificarla o cambiarla. G. non si oppone al cambiamento, ma crede che modificare la liturgia sia un processo di evoluzione in conformità con la tradizione. La profonda conoscenza della tradizione e della liturgia come principale strumento della tradizione, porta G. ad enfatizzare il carattere dommatico della liturgia. Il culto della Chiesa è una confessione della verità rivelata di Dio la quale non è una semplice ascesa nozionistica, ma un atto di culto attraverso cui il cristiano realizza pienamente il suo destino. In questo modo egli inizia quaggiù, qui ed ora, il cammino di " quella deificazione iniziata sulla terra attraverso la grazia santificante che si compirà in cielo con la gloria... " (Explication des prières et des cérémonies de la Messe, d'après des notes recuilles..., p. 79).

I principi che sono alla base del pensiero e dell'insegnamento di G. sono anche i principi del moderno movimento liturgico del quale l'abate di Solesmes è stato il fondatore.

Note: 1 Le Costituzioni redatte da Guéranger per la comunità di Solesmes, approvate dal vescovo di Le Mans nel 1833, si aprono con la seguente dichiarazione: Sociorum principale negotium, primumque omnium exercitiorum erit Divini Officii celebratio. Cf P. Cagin, L'oeuvre de Solesmes dans la restauration du chant grégorien in Rassegna gregoriana, 2 (1904), 205-226; B. Capelle, Dom Guéranger et l'esprit liturgique in QLP 22 (1937), 131-146; 2 L. Soltner, Solesmes et Dom Guéranger (1805-1875), Solesmes 1974; 3 Id., Les anciens bénédictins français et la restauration de Solesmes par Dom Guéranger, in Revue Mabillon, 70 (1975), 25-37; 4 Cf J. Leclercq, Le renouveau solesmien et le renouveau religieux du XIX siècle, in Studia Monastica, 18 (1976), 157-195; 5 L. Soltner, Rercherches sur la Pensée monastique de Dom Guéranger, in Collectanea cisterciensia, 37 (1975), 209-226; Id., Les débuts d'une renaissance monastique, Solesmes 1831-1833, Sablé 1974.

Bibl. Opere: Institutions liturgiques, 4 voll., Paris 1878-1885; L'Anno liturgico, 2 voll., Alba (CN) 1959; L'Eglise ou la société de la louange divine, Augers 1875. Studi: F. Brovelli, Per uno studio de " l'Année Liturgique " di P. Guéranger. Contributo alla storia del movimento liturgico, in EL 95 (1981), 145-219; F. Cabrol, s.v., in DACL VI, 1875-1879; B. Capelle, Dom Guéranger et l'ésprit liturgique, in QLP 22 (1937), 131-146; R. Delegue, Dom Prosper Guéranger, in VieSp 18 (1928), 201-236; B. Heurtebize, s.v., in DTC VI2, 1894-1898; J. Hourlier, s.v., in DSAM VI, 1097-1106; C. Johnson, Prosper Guéranger (1805-1875): A Liturgical Theologian. An Introduction to His Liturgical Writings and Work, Roma 1984 (con ampia bibliografia); G. Le Maitre, Théologie de la vie monastique selon Dom Guéranger, in Revue Mabillon, 5 (1961), 165-178; P. Puniet, Dom G. et le culte du ChristRoi, in La Vie Bénédictine, 46 (1938), 79-85; 111-120; P. Visentin, La preghiera nella rinascita monastica dei secoli XIX-XX, in Aa.Vv., La preghiera nella Bibbia e nella tradizione patristica e monastica, Roma 1964, 885-949.

C. Johnson

GUERRICO D'IGNY. (inizio)

I. Vita e opere. Non si conosce con precisione la data di nascita di G. che possiamo fissare tra il 1070-1080. Il Menologio cistercense ne ricorda la morte avvenuta probabilmente il 19 agosto 1157. Compie i suoi studi a Tournai con il maestro Oddone d'Orleans ( 1113) che gli trasmette il suo amore per il chiostro. Diviene canonico e professore di teologia a Tournai, ma nel 1125 colpito dalla personalità di Bernardo entra a Clairvaux. Nel 1138 è inviato a Igny, filiale di Chiaravalle per succedere all'abate Umberto dimissionario. Non potrà seguire la vita regolare a causa della malferma salute, supplirà a questa mancanza edificando i suoi monaci con preziosi sermoni. Le vocazioni accorreranno numerose così che nel 1150 verrà fondato Valroy. L'Exordium magnum annuncia la sua morte con l'espressione biblica plenus dierum ad indicare non solo l'età, ma la virtù.

Possediamo gli scritti dell'abate d'Igny grazie alla perspicacia dei suoi monaci. Egli, infatti, in punto di morte, preso da scrupoli, ricordando un decreto del Capitolo generale dell'Ordine che impedisce la pubblicazione di libri previo consenso, ordina che siano bruciati tutti i suoi sermoni. Viene accontentato; il manoscritto va distrutto, ma i monaci possiedono già parecchie trascrizioni dei suoi cinquantaquattro sermoni, che sono giunti sino a noi. Ad eccezione dell'ultimo che commenta un versetto del Cantico dei Cantici, tutti gli altri sermoni hanno per soggetto l' anno liturgico: tempi forti e feste così come indicati dal calendario cistercense.

II. La dottrina. " Qualsiasi testo della Scrittura che prima ti sembrava sterile e arido, subito, sotto la benedizione di Dio, sarà riempito da una meravigliosa fecondità e dall'abbondanza dello Spirito, così bene che il tuo spirito appagato proferirà l'inno di lode: "Che il Signore sia celebrato per la sua misericordia e per le meraviglie che ha operato per i figli degli uomini, poiché ha saziato l'anima digiuna, ha saziato dei suoi beni l'anima affamata" " (Sal 106) (De adventu Domini, Sermo IV). Elevarsi, attraverso la lettura meditata della Scrittura, nella fede vivificata da un' ascesi generosa che muove l'amore, a una vera intuizione spirituale delle realtà di cui parla la Parola divina, è forse questo il principio della mistica di G. Come i suoi confratelli cistercensi egli si accosta alla Parola di Dio così come gli viene offerta dal contesto liturgico, sforzando di adattarsi a tutti i dettagli della " lex credendi " fatta " lex orandi ". I suoi sermoni fanno tesoro degli accostamenti della Scrittura operati dalla liturgia e li arricchiscono del retroterra biblico che essi evocano.

Mens concordet voci nostrae, la norma liturgica di Benedetto è l'unica metodologia seguita fedelmente dall'abate d'Igny che considera i libri della Scrittura altrettanti giardini nei quali abitano e passeggiano coloro che, giorno e notte, meditano la legge del Signore: " Tutti i libri che leggete sono giardini ove passeggiate; tutte le parole che scegliete, frutti che cogliete... Scrutate dunque le Scritture... Bisogna scrutarle, non solo per liberarne il senso mistico, ma per trarne il senso morale. Perciò, voi che passeggiate nei giardini delle Scritture, non attraversateli negligentemente o come oziosi; ma scrutandoli in dettaglio, come api diligenti che raccolgono il miele dai fiori, così fate con lo spirito dalle parole " (In Verba Ct 8,13).

Il quarto evangelista di Citeaux, come fu chiamato da dom Le Bail, appartiene a quella generazione di padri cistercensi che, attraverso la lectio biblica, rende possibile, nel senso più pregnante, la contemporaneità del testo sacro, come del resto avevano fatto anche gli esponenti del pensiero patristico.

Bibl. Opere: PL 185, 11-124; la collection des sermones de Guerric d'Igny, in Recherches de théologie ancienne et médiévale, 24 (1957), 15-26. Studi: J. Beller, Le b. Guerric disciple de s. Bernard et second abbé du monastère de Notre-Dame d'Igny, Reims 1890; B. Betto, Guerrico d'Igny e i suoi sermoni, Bresseo di Teolo (PD) 1988; M. Costello, The Meaning of Redemption in the Sermons of Guerric of Igny, in Citeaux, 17 (1966), 281-308; M.A. Dimier, s.v., in BS VII, 454-456; P. Miquel, L'expérience de Dieu selon Guerric d'Igny, in Collectanea Ordinis Cistercensium reformatorum, 32 (1970), 325-328; I. Morson - M. Costello, s.v., in DSAM VI, 1113-1121; J. Weismayer, s.v., in WMy, 209-210.

G. Gaffurini

GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY. (inizio)

I. Vita e opere. Nasce da nobile famiglia intorno all'anno 1080 a Liegi, allora soprannominata " l'Atene del nord ". L'ambiente lo inizia ad una buona formazione che completerà a Reims, quindi a Laon alla scuola di Anselmo, maestro di Abelardo ( 1142). Terminati gli studi prende l'abito monastico a San Nicasio e dopo solo sei anni viene eletto abate di Saint-Thierry.

Spirito incline alla contemplazione porta con fatica il peso pastorale che allevia compilando le sue prime opere. Conosciuto s. Bernardo nel 1118, ne diviene sostenitore nello sforzo di riforma monastica e di tutela dell'ortodossia: è il committente di alcuni trattati dell'Abate di Clairvaux e lo sollecita a confutare gli errori di Abelardo. Nel 1135, si fa semplice monaco cistercense a Signy, dove, libero dagli oneri del comando, può dedicarsi con maggiore frutto alla contemplazione. L'8 settembre 1148 la morte lo coglie intento a scrivere la Vita di san Bernardo. La profonda amicizia che lo lega al " Doctor mellifluus " gli fa preferire l'ombra del grande santo dalla quale studi recenti lo hanno riportato in piena luce riconoscendogli, tra l'altro, la paternità di diverse opere per lungo tempo attribuite a Bernardo.

Nei primi anni del suo abbaziato a Saint-Thierry (1119-1135) scrive per la formazione dei suoi monaci alcune opere: il De contemplando Deo, il De natura et dignitate amoris, il De sacramento altaris e la Expositio in Epistulam ad Romanos. Passato a Signy (1135-1135) vive una fecondità spirituale attestata dalle Meditativae orationes e sostenuta dall'incontro con il Cantico dei Cantici e relative interpretazioni patristiche: Commentarius in Cantica Canticorum e scriptis Sancti Ambrosii, Excerpta ex libris Sancti Gregorii Papae super Cantica Canticorum, De natura corporis et animae, Expositio super Cantica canticorum. L'ultimo periodo della sua vita (1138-1148) registra dapprima il massimo sforzo sul piano filosofico-teologico in occasione della controversia abelardiana: Disputatio adversus Abelardum, Sententiae de fide (non ci sono giunte), Speculum fidei e Aenigma fidei; e da ultimo il raggiungimento del vertice spirituale con l'Epistula aurea. La morte interromperà la Vita Bernardi che si era accinto a scrivere.

II. La dottrina. Abate benedettino o monaco cistercense, G. è anzitutto un direttore d'anime e un mistico. Si accosta al dogma più con la contemplazione che con la speculazione. La frequentazione dei testi biblici, nella fiducia di incontrare in essi la rivelazione di Dio, gli permette di liberarsi dalla rigidità dell'agostinismo del tempo e di aprirsi alla tradizione dei Padri greci. Debitore di Origene, dei Padri Cappadoci e di Gregorio di Nissa riesce, in una sintesi assolutamente personale di Oriente e di Occidente, a tracciare l'itinerario spirituale che permetterà all'uomo caduto nel peccato di ritrovare la somiglianza con Dio. L'immagine di Dio, infatti, non può essere persa nell'uomo, perché consiste in quell'ubiquità che, con l'anima, lo fa essere presente ovunque nel corpo, come Dio è presente ovunque nel mondo. Tuttavia, la somiglianza (perfezione dell'immagine) può perdersi, poiché consiste nella regalità dell'anima sul corpo e nella sua libertà in rapporto ad esso. Ora, il peccato annichila sia questa regalità che questa libertà, mentre Dio non può cessare né di essere il Re dell'universo, né di godere rispetto al mondo di una trascendente libertà. L'anima attraverso le virtù, con le quali domina il corpo anziché esserne dominata, si eleva dalla vita " animale " alla vita " razionale " passando dalla semplice ubiquità alla regalità. Tutto ciò si compie nell'assimilazione della fede attraverso uno sforzo totalmente personale penetrato di intelligenza e, beninteso, sollecitato e sostenuto dalla grazia. Ma la libertà non sarà a sua volta ritrovata che nell'adesione a Dio ai vertici della vita contemplativa: l'" unità di spirito ". Allora l'anima, non più centrata al di sotto di se stessa, nel suo corpo, ma al di sopra, in Dio, partecipa della libertà sovrana che la pone al di sopra di tutto, al di là di tutto il creato.

G., prima di essere estensore di questo ed altri itinerari, ne è esecutore: le vette della libertà e della regalità dell'anima sono state più volte toccate dalla sua esperienza spirituale. Da quelle ascensioni ha riportato per noi pagine illuminanti per la comprensione del mistero eucaristico e una concezione della Trinità molto differente da ciò che si trova di solito negli autori medievali e moderni. D'ispirazione interamente biblica, egli è fedele allo stile delle preghiere liturgiche tradizionali che assicura il rispetto del mistero e nello stesso tempo gli permette di mostrare come l' Incarnazione ci riveli la Trinità introducendoci in essa, ma senza pregiudicare in alcun modo la trascendenza divina. La teologia potrà giungere a questi risultati se prenderà come punto di partenza non i concetti filosofici precostituiti, ma i dati della Scrittura. Nello Speculum fidei troviamo questo riassunto di tutta l'ascensione spirituale: " Per comprendere ciò che crediamo, bisogna consegnare allo Spirito Santo tutto il nostro spirito e tutta la nostra intelligenza, non tanto con lo sforzo di una ragione ambiziosa, ma con l'attaccamento (affectu) di un più e semplice amore ". L'uomo pieno di amore di Dio acquista nella contemplazione il senso della presenza di Dio, che è nello stesso tempo conoscenza mistica e conoscenza teologica.

Bibl. Opere: J.M. Déchanet, Oeuvres choisies de Guillaume de St. Thierry, Bruxelles 1943. Alcune sue opere sono state pubblicate anche in edizione critica e in traduzione italiana: E. Arborio Mella (cura di), Contemplazione, Magnano (BI) 1984; C. Falchini (cura di), Dalla meditazione alla preghiera. Meditativae orationes, Magnano (BI) 1987; C. Leonardi (cura di) La lettera d'oro, Firenze 1963. Studi: O. Brooke, The Trinitarian Aspect of the Ascent of the Soul in God in the Theology of William of St. Thierry, in Recherches de Théologie ancienne et médiévale, 26 (1959), 85-127; Id., William of St. Thierry's Doctrine of the Ascent to God by Faith, in Ibid. 30 (1963), 181-204; M.-M. Davy, Théologie et mystique de Guillaume de St. Thierry, 1, La connaissance de Dieu, Paris 1954; Ead., La connaissance de Dieu d'après Giullaume, in RSR 28 (1938), 430-456; J.M. Déchanet, s.v., in DSAM VI, 1241-1263; Id., Aux sources de la spiritualité de Guillaume de St. Thierry, Bruges-Paris 1940; M.A. Dimier, s.v., in BS VII, 484-486; H.D. Egan, Guglielmo di Saint-Thierry, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 182-195; J. Lanczkowski, s.v., in WMy, 521-522; A.M. Piazzoni, Guglielmo di St. Thierry, Roma 1988.

G. Gaffurini

GUIBERT JOSEF DE. (inizio)

I. Vita ed opere. Nato a Montégut, nell'Alta Garonna, in Francia, nel 1877, G. entra a far parte della Compagnia di Gesù nel 1895. Come gesuita, studia lettere a Tolosa, filosofia a Vals-pres-Le Puy in Francia, e teologia a Enghien in Belgio, dove viene ordinato sacerdote nel 1906. Durante il periodo dei suoi studi nella Compagnia, ottiene una licenza in lettere all'Università di Parigi e, in seguito, studia storia per due anni nello stesso luogo.

Insegna teologia al seminario regionale di Lecce (1908-1910) e, dopo aver completato un terz'anno al teologato dei gesuiti ad Enghien, passa il periodo della Prima Guerra Mondiale nell'esercito francese come non combattente. Dopo la guerra, fonda la Rivista di ascetica e di mistica a Tolosa. In seguito si reca a Roma, dove insegna teologia spirituale e teologia fondamentale alla Pontificia Università Gregoriana. Tiene anche un corso sul metodo della ricerca, per quasi vent'anni, fino alla sua morte avvenuta nel marzo 1942. La cattedra di spiritualità, a lui affidata, gli offre l'opportunità di dare conferenze per la formazione continua del clero romano. Nel 1938, con altri gesuiti francesi, fonda il Dictionnaire de Spiritualité. Negli ultimi dieci anni della sua vita viene nominato consultore della Sacra Congregazione dei Riti e negli ultimi due anni è consigliere personale di Pio XII per le questioni francesi.

G. ha esercitato un'influenza profonda nel campo della teologia spirituale attraverso il suo insegnamento e i suoi scritti. Al momento della sua morte aveva quasi terminato l'ultima bozza della Spiritualità della Compagnia di Gesù, una storia e un'interpretazione della spiritualità dei gesuiti.

L'altro suo libro importante, il manuale di Theologia spiritualis, ascetica et mistica, pubblicato per la prima volta in latino e poi tradotto, almeno in parte, in varie lingue, ebbe quattro edizioni. Scrisse altri due manuali di teologia in latino, De Christi Ecclesia, un corso sulla Chiesa e Documenta ecclesiastica christianae perfectionis, una sintesi e un sommario di alcuni documenti della Chiesa riguardanti la spiritualità.

Études de théologie mystique del 1930 raccoglie molti degli articoli del gesuita già pubblicati in Gregorianum o in Revue d'ascétique et de mystique. Il suo Saint Ignace mystique rimane uno dei migliori commenti e una delle più riuscite interpretazioni del Diario spirituale di Ignazio di Loyola. Oltre ad insegnare e a scrivere, G. s'impegnò in un significativo lavoro pastorale: ritiri in Francia e in Italia e direzione spirituale soprattutto a Roma.

II. Insegnamento mistico. I contributi principali di G. alla spiritualità riguardano tre aspetti: la preghiera contemplativa, i doni dello Spirito Santo e la spiritualità ignaziana. Scrive in maniera chiara sulla mistica e considera la preghiera contemplativa parte della mistica.

Distingue fra la contemplazione acquisita e quella infusa. Definisce la contemplazione un atto piuttosto che uno stato, e la descrive non tanto in termini di grazia passiva ricevuta, quanto come un'azione sotto l'ispirazione della grazia, che mira ad una sempre maggiore semplicità.

I doni dello Spirito vengono considerati non tanto come principi di attività quanto abitudini, capacità passiva o attitudini a ricevere e così operare sotto l'ispirazione e l'azione dello Spirito Santo. Questo è anche vero per la contemplazione infusa.

Gli scritti di G. nell'ambito della spiritualità dei gesuiti sono storici e interpretativi. Egli ritiene la mistica di Ignazio di Loyola (e così pure la spiritualità della Compagnia) una mistica eucaristica, trinitaria, tutta tesa al servizio d'amore in unione con Gesù Cristo. Mette da parte l'idea che la preghiera degli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola sia limitata all'uso della memoria, dell' intelletto e della volontà, e cioè ad una preghiera necessariamente meditativa e discorsiva. G. porta alla luce il ruolo della preghiera contemplativa negli Esercizi e l'importanza del discernimento degli spiriti per scoprire la volontà di Dio. Per tutti questi motivi, lo studioso gesuita resta un punto di riferimento ineludibile in fatto di ascetica e mistica, soprattutto per il suo amore alla verità e il desiderio della perfezione.

Bibl. Opere: J. de Guibert, Theologia spiritualis ascetica et mistica, Roma 19524; Id., Études de théologie mystique, Toulouse 1943; Id., Saint Ignace mystique, Toulouse 1938; Studi: F. Cavallera, Le Réverénd Père Joseph de Guibert, in RAM 22 (1946), 192-193; P. Galtier, Le Père Joseph de Guibert, in RAM 26 (1950), 97-120; A. Liujma, s.v., in DES II, 1231-1233; M. Olphe Galliard, s.v., in DSAM VI, 1147-1154.

R. Faricy

GUIGO I (IL CERTOSINO). (inizio)

I. Vita e opere. Nasce nel 1083 nell'Ardèche, in diocesi di Valenza, nel castello di Saint Romain du-Val-Mordane. Nel 1106 entra nella Certosa, fondata da s. Bruno ( 1033 ca.) nel 1084. Eletto come quinto priore già nel 1109, vi muore il 27 luglio 1136. Sotto di lui l'Ordine, cui il fondatore non ha lasciato alcuna Regola scritta, ha grande sviluppo e ciò porta G. a fissare per iscritto, tra il 1121 e il 1127, le Consuetudini osservate nella Grande Certosa, su richiesta di tre priori delle nuove fondazioni e del vescovo Ugo di Grenoble, di cui G. compone una Vita, sobria e puntuale, per il papa Innocenzo II ( 1143), in vista della canonizzazione. Amico di Pietro il Venerabile ( 1092 ca.) e di s. Bernardo di Clairvaux, G. è considerato dai contemporanei un genio per le eccezionali doti di erudizione, di eloquenza, di organizzazione del lavoro culturale, ma soprattutto per la conoscenza degli uomini e l'equilibrio spirituale di governo. G. sceglie, verso gli inizi del priorato, tra il 1109 e il 1120, un genere letterario inconsueto per gli autori di tradizione patristica, redige un'originale raccolta di riflessioni sotto forma di appunti personali, annotati in una specie di diario, che possono richiamare i Pensieri dello stoico Marco Aurelio ( 180), le Sentenze di Sesto Empirico ( III sec.), un tipo di Apoftegmi dei Padri del deserto, i Detti per i monaci di Evagrio Pontico e, in epoca moderna, i Pensieri di Pascal o del padre H. de Lubac. Scrive così le Meditationes, riflesso di un'esperienza psicologica e spirituale personale, in un linguaggio segnato da un'ampia familiarità con la letteratura patristica e teologica. In quest'opera di G. gli aspetti ascetici appaiono privilegiati e caratterizzati da un'intonazione di stoicismo cristiano, assimilato attraverso autori come s. Girolamo o le antiche regole monastiche. Rimangono nove Lettere di G., la prima delle quali tratta della vita contemplativa e della solitudine.

II. Piuttosto che elaborare una dottrina spirituale, gli scritti di G. la rivelano attraverso osservazioni sovente indirette, ma chiare ed efficaci nell'affrontare e descrivere i problemi pratici e psicologici che una scelta di vita tanto eccezionale ed austera evidentemente solleva. Ispirandosi ad una lettura radicale, al limite del letteralismo, del porro unum necessarium evangelico, G. raccoglie volta a volta i suggerimenti, dettati dalla pratica, atti a tutelare, nella coscienza di ogni monaco, un'intuizione carismatica molto pura e semplice. L'anima tesa verso Dio deve concedersi e costruirsi, con tenace esercizio (ascesi), una distensione serena (otium), in cui può incontrare, seguire, possedere, contemplare Dio senza più provare alcun altro desiderio. Si può probabilmente affermare che, dopo s. Bruno, G. è riuscito a trasmettere l'ideale tipico della Certosa: coniugare l'amore tradizionale ed eremitico della solitudine per l' hesychia, caratteristica nativa della tradizione monastica orientale, con un certo genio latino per un'organizzazione pragmatica e funzionale della vita e dell'attività quotidiana. Il progresso spirituale, meta unificante della vita monastica, è considerato il massimo dell'utilità e della felicità ottenibile in terra: quindi è vissuto come uno scopo pratico, come un'attività psico-fisica e, a tutti gli effetti, lavorativa. I particolari materiali, minori e minimi, e le esigenze più alte dell'impegno spirituale vengono valutati con la stessa concretezza ed obiettività, pur restandone al cuore sempre presente la gerarchia ontologica rispetto alla vita della grazia e della carità. Per il certosino l'isolamento non è uno stadio sulla via della perfezione, ma il mezzo umanamente sentito come insostituibile per arrivare a Dio: la fedeltà, fin da questo mondo, all'impegno assoluto per la contemplazione, che costituisce la meta escatologica definitiva d'ogni cristiano. Con precoce maturità umana, prima ancora che spirituale, G. ha dato voce a tale ideale presentandolo in un contesto volontaristico, corrispondente ad un clima interiore di " fede oscura ". " Solo chi ama Dio vuole ed ama il proprio utile, poiché Dio stesso è la sola e totale utilità della natura umana " (Medit. 370). " Ama ciò che amando non puoi perdere: Dio " (Medit. 186). " Sei stato creato per vedere, conoscere, amare, ammirare e lodare il Signore: solo questo pertanto ti giova e null'altro " (Medit. 288). " Hai visto, un giorno in cui si distruggeva un formicaio, con quanta sollecitudine ogni formica s'impadroniva di ciò che amava, il suo uovo, con sprezzo della propria vita. Ama così la verità e la pace, cioè Dio " (Medit. 221).

Bibl. Opere: Lettres des premiers chartreux, I, S. Bruno, Guigues, s. Anthelme, Intr., testo critico, trad. e note di un Certosino, Paris 1962, 95-219; Guigo I, Les méditations (Recueil de pensées), Intr., testo critico, trad. e note di un Certosino, Paris 1983; Guigo I, Coutumes de Chartreuse, Intr., testo critico, trad. e note di un Certosino, Paris 1984. Studi: [Un Chartreux], La doctrine monastique des coutumes de Guigues, in Aa.Vv., Théologie de la vie monastique, Paris 1961, 485-501; M.E. Cristofolini, Le " Meditationes " del beato Guigo certosino, in Aevum, 39 (1965), 201-207; L. Giordano Russo, Guigo e la Bibbia nelle " Meditationes ", in Orpheus, 24-25 (1977-78), 187-197; G. Hocquard, Les idées maîtresses des " Meditationes " du prieur Guigues I, in Historia et spiritualitas Cartusiensis (=Actes du IVe Colloque international, 1982), Destelbergen 1983, 247-256; M. Laporte, s.v., in DSAM VI, 1169-1175; P.A. Nisse, s.v., in WMy, 210; A. Wilmart, Les écrits spirituels des deux Guigues, in RAM 5 (1924), 59-79, 127-158; H. Wolter, s.v., in LThK IV, 1270.

V. Peri

GUIGO II. (inizio)

I. Vita e opere. Sono scarsi e solo indiretti i dati biografici ricostruibili per il certosino G., secondo con questo nome. Egli risulta monaco e procuratore della Grande Certosa nel 1173 e, l'anno seguente, ne è eletto priore. Conserva l'ufficio fino al 1180, allorché appare sostituito e si dichiara ormai in età avanzata. Gli storici concordano oggi nel datarne la morte al 1188.

Le opere attribuibili a G. sono due: la Lettera sulla vita contemplativa (o Scala dei monaci) e le Meditationes. Sono contenute in un gran numero di manoscritti, a testimonianza di una diffusione notevole e dell'influsso spirituale esercitato, ma sono giunte a noi per lo più anonime, non complete, o con attribuzioni diverse di paternità, che vanno da s. Bernardo a s. Agostino. Ciò indica anche la loro voluta collocazione nella spiritualità comune certosina. Il grande erudito dom A. Wilmart studia per primo criticamente la tradizione manoscritta delle due opere e stabilisce la loro attribuzione all'autore, aprendo la strada alla possibilità di darne un'edizione completa e critica ed una traduzione francese, apparsa nel 1970 nelle " Sources Chrétiennes ".

II. Dottrina spirituale. Il vero oggetto, di cui si tratta nella Lettera o Scala, ma anche nelle Meditationes, appare un'esposizione semplice ed essenziale dell'unione contemplativa, ove l'insegnamento classico in materia intende essere filtrato attraverso l'esperienza spirituale e la riflessione personale su di essa. Al destinatario Gervasio, verosimilmente un monaco che lo ha avviato alla vita monastica come maestro dei novizi, ma che non risiede più nella Certosa, G. propone " i pensieri che gli sono venuti a proposito della vita spirituale dei monaci ".

Il tema è svolto in consonanza con l'insegnamento del priore Guigo I circa la necessità della solitudine e della separazione dalla vita esterna, per costruirsi uno scenario proprio ove sviluppare la vita contemplativa e giungere all' unione con Dio; ma è presentato in uno stile penetrante e familiare, anzi sentimentale. Lettura, meditazione, preghiera, contemplazione sono indicate ed illustrate come i passaggi progressivi, ma tali da dover restare permanenti ed interagenti per nutrire la vita spirituale con il suo alimento divino. Il processo gli sembra analogo al masticare, al gustare, al digerire il cibo, con tre atti che non escludono i sensi, la volontà e la coscienza, per culminare nell'assimilazione del cibo, che si avverte invece solo nel benessere, nello stato di salute goduto dall'intero organismo. L'uso della ragione appare come sospeso e risolto, ma non contrastato né contraddetto, nell'atto vitale. Così un partecipato e totale rapporto d'amore umano fonde l'aspetto fisico e la sua consapevolezza psichica in un'irrepetibile esperienza unitaria di vita. Ma G. si affretta ad aggiungere alla basilare analogia mistica, un correttivo, nel suo moralismo, poco pertinente: " Tutte le dolcezze della carne finiscono in amarezza; sollevano un po' l'anima infelice, ma subito essa piomba gravemente al suolo " (Medit. XIII, 199).

Eppure l'analogia continua per le " inenarrabili tenerezze " e le intese misticamente vissute insieme ad uno Sposo, che poi si sottrae all'esperienza diretta ed intensa della sua presenza, optando per una lontananza ed una vicinanza segrete ed occulte, senza orari e scadenze prevedibili. Ciò serve a ricordare all'anima che la grazia dell'unione contemplativa è dono gratuito; che non esiste in questo mondo un possesso beato di tale amore, che la sposa deve custodire con fedeltà assoluta in un'attesa vigile, senza consumare o distrarre su altri oggetti il soprannaturale affetto di cui è stata fatta depositaria. Tale è, infatti, la persistente tendenza delle concupiscenze. " Nel cuore sono ancora calde le tracce del passaggio dello Sposo, e già si introducono desideri adulteri " (Lettera XI, 118-119): si è tentati, insomma, di piombare gravemente al suolo e l'esperienza dolce dell'unione tende a tradursi, senza vigilanza, in amarezza spirituale.

Il monaco, dunque, veglia da solo sulla propria fedeltà alla promessa d'amore, che ha avuto e sperimentato, con i quattro esercizi classici della tradizione monastica in genere, e occidentale in specie. La lettura è un esercizio esterno, la meditazione un atto dell'intelligenza interiore, la preghiera un desiderio, la contemplazione un superamento al di là di qualsiasi senso. La perfezione della vita beata è contenuta in questi quattro gradi. Una vibrante invocazione alla Vergine, modello e aiuto per l'impegno difficile in una ricerca sovrumana d'amore e di unione con Dio, è nelle Meditazioni VII e VIII (pp. 158-171).

Dalle prime edizioni della Scala, da quella latina apparsa a Milano nel 1475 a quella francese stampata a Tolosa del 1488, l'opera di G. ha conosciuto fino al nostro secolo una grande e costante fortuna nella letteratura devozionale e mistica.

Bibl. Opere: Guigues II le Chartreux, Lettre sur la vie contemplative (L'Echelle des moines) - Douze méditations, Intr. e testo critico di E. Colledge e J. Walsh, trad. di Un Chartreux, Paris 1970. Studi: E. Bertaud - A. Rayez, Échelle spirituelle, in DSAM IV, 60-86; H.D. Egan, Guigo II, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 240-248; L. Hausherr, Solitude et vie contemplative d'après l'hésichasme, Étiolles 1962; M. Laporte, s.v., in DSAM VI, 1175-1176; J. Leclercq, Otia monastica. Études sur le vocabulaire de la contemplation au moyen age, Roma 1963; P.A. Nissen, s.v., in WMy, 210-211; A. Wilmart, Auteurs spirituels et textes dévots du moyen age latin, Paris 1932.

V. Peri

GUILLERAND AUGUSTIN (MAXIME). (inizio)

I. Vita e opere. Nasce a Reugny-de-Dompierre (Nièrve), il 26 novembre 1877. Frequenta il seminario minore di Pignelin dal 1887 al 1894, quando entra nel seminario maggiore di Nevers, essendovi ordinato il 22 dicembre 1900. Sacerdote secolare, è vicario a Corbigny, prefetto ed insegnante nell'Istituzione Saint-Cyr, collegio ecclesiastico di Nevers, parroco di Ruages e infine di Limon, tra il 1901 e il 1916. In quest'ultimo anno è accolto nel convento della Valsainte in Svizzera, dove i padri certosini francesi vivono in esilio nel cantone di Friburgo; vi fa la professione solenne il 6 ottobre 1921 con il nome religioso di Agostino. Inviato come vicario delle monache certosine di San Francesco presso Torino, vi rimane cinque anni, finché viene nominato priore della Certosa di Vedana presso Belluno e co-visitatore della provincia italiana dell'Ordine fino al 1940. Deve allora rientrare in Francia, prima alla Certosa di Sélignac e poi, come " rifugiato " con pochi confratelli, nella Grande Certosa rioccupata dal padre Vidal. Vi muore il 12 aprile 1945.

I numerosi scritti estemporanei (meditazioni, sermoni, lettere) non sono destinati alla stampa, ma a poco a poco si comincia a pubblicarli anonimi, quindi postumi, finché nel 1958 Contemplations mariales appare con il suo nome. Altri raggruppamenti di meditazioni vengono intanto diffusi con titoli diversi: Face à Dieu. La prière (1956); Hauteurs sereins (1958); Liturgie d'âme (1959); Harmonie cartusienne, scritto per la sorella inferma (1959); Au seuil de l'Abîme de Dieu (1961); Vivantes clartés, meditazioni sul Vangelo di s. Giovanni, che racchiudono il nucleo del pensiero e della vocazione spirituale dell'Autore (1964). Una selezione della corrispondenza con gli italiani Onorato Tescari e Saverio Gliozzi è apparsa con i titoli Silence cartusien (1948) e Voix cartusienne (1953). Una sintesi dell'opera del G., raccolta negli Écrits spirituels, è stata curata dal gesuita A. Ravier nel 1966-67 presso le benedettine di Santa Priscilla a Roma, mentre Silence cartusien è stato riproposto nel 1976 a Parigi, sempre dal Ravier, nella collana " Méditations ".

II. Dottrina spirituale. Nelle sue " elevazioni " sul Vangelo di Giovanni, ultimate nel settembre 1942, G. rivela il proprio atteggiamento interiore, contemplativo e allo stesso tempo attivo, apostolico; registrando " piccoli tocchi successivi " di illuminazione divina, si sforza di avvertire come il loro misterioso amalgama costituirà lo splendore ineffabile della vita eterna. Nel prologo, ed in tutto il quarto Vangelo, " parla la voce divina che dice: "Illumino ed amo. Illumino il mio amore; rivelo che il mio essere è amare e donarsi. Chiunque lo intende, mi conosce, mi vede. Riceve in sé i miei lineamenti; diviene mia immagine e in me vede il Padre"... Non devo né cessare di scrivere, né cessare di meditare, di guardare, di tendere la mia anima verso la luce vera che ininterrottamente si concede, accogliere quanto essa dona, quando e come essa si concede. Il tempo successivo prepara la durata stabile; i movimenti ripetuti si compiono nel movimento che persiste. Faccio degli esercizi; imparo a vedere e a vivere. Ogni sforzo è un passo verso la verità stessa e la vera vita. Solo coloro che si rassegnano a questa marcia ed hanno il coraggio di ricominciare, arrivano " (Écrits spirituels, I, 125).

La visione della vita contemplativa, propria di G., non parla molto dell'antica quiete e stabilità, anche esteriori e fisiche; essa sembra per grazia già iscritta nell'ordinaria esperienza terrena del cristiano. Una simile visione, forse più rispondente alla psicologia moderna occidentale, tende a presentarla quale partecipazione dell'uomo all'immenso movimento d'amore, che è il dono eterno della Trinità, come accesso plenario a questa vita superiore. Il teatro di tale continua " conversione " o cambio di marcia, sempre verso Dio, è costituito dall'universo della redenzione, dove resta incessante la lotta contro i nostri limiti e i nostri peccati.

Un'autenticità assoluta, umanamente quasi spietata, instilla il gusto di una corrispettiva libertà verso tutto ciò che non è Dio: noi stessi, gli altri, la Chiesa. Tutto poi si recupera nel mistero della carità infinita di Dio, attraverso la semplicità, il silenzio, la solitudine. Una vita contemplativa come tentativo di praticare l'assoluto produce volentieri una specie di santa e spigolosa intransigenza, spazio interiore protettivo di un amore che vuol essere puro movimento di risposta vitale e di confidente abbandono all'amore fontale di Dio.

Bibl. Opere: A. Guillerand, Écrits spirituels, I-II, Introduction di A. Ravier, Roma 1966-1967; Id., Silence cartusien, ed. A. Ravier, Paris 1976; Id., La preghiera, a cura di G. Gioia, Cinisello Balsamo (MI) 1991. Studi: A. Ravier, s.v., in DSAM VI, 1276-1278; Id., Un maître spirituel de notre temps: dom Augustin Guillerand, Prieur chartreux, Paris 1965.

V. Peri

GUYON JEANNE MARIE BOUVIER DE LA MOTTE. (inizio)

I. Cenni biografici. Jeanne-Marie Bouvier de la Motte ved. Guyon nasce a Montargis (Parigi) nel 1648: ha un'infanzia poco serena, lontana dalla famiglia. Andata sposa al sig. Guyon, sarà madre di cinque figli. Vedova in giovane età, si dedica alla vita ascetica sotto la guida di esperti maestri dello spirito. Molto colta, scrive diverse opere, alcune delle quali le daranno popolarità, ma le procureranno anche notevoli contrasti quanto alla concezione della mistica per un presunto semiquietismo. Difesa da Fénelon, ma avversata da Bossuet, ha vita travagliata: subisce per parecchi anni il carcere. Convinta dell'ortodossia delle sue idee muore nel 1717, vittima di ingiustizie e di calunnie: la sua fama è andata aumentando dopo la morte; oggi è quasi completamente rivalutata.

II. Il concetto di mistica negli scritti. Prodigiosa, forse anche troppo vasta, la produzione letteraria e culturale di G.: si parla di ben quaranta volumi sui più svariati argomenti di ascetica e mistica sia in prosa (Emblèmes sur l'amour de Dieu) sia in poesia (Cantiques spirituels). Con la tenacia della biblica donna innamorata eleva la sua voce dal tono profetico e suadente: ne è fedele documentazione la voluminosa autobiografia (Vie de M.me Guyon). Comunque non sono pochi su di lei gli influssi esterni di autori mistici, da Maria dell'Incarnazione a s. Caterina da Siena, da s. Giovanni della Croce a s. Teresa d'Avila. In particolare sovrasta nei suoi scritti l'eco della mistica di s. Francesco di Sales, come ebbe modo di poterla recepire nei frequenti soggiorni nel monastero visitandino di Meaux e di registrarne le raffinate modulazioni spirituali, riscontrabili in specifiche e sublimi connotazioni.

La sua dottrina praticamente si enuclea nei due capolavori: Moyen court et très facile de faire oraison (1689) e Torrents spirituels (1691), che furono sottoposti al vaglio di una critica impietosa, talora aspramente incriminante. Diedero, comunque, adito a forti perplessità: infatti non si riusciva a capire fin dove il misticismo di G. non corresse il rischio di esaltazioni, ovvero persino di follia!

Capisaldi della sua spiritualità sono " il puro amore di Dio " e " l' abbandono alla divina volontà ": scopo precipuo, quello di giungere all' unione con Dio mediante l'annientamento di sé (aspetto negativo, di purificazione) e di docile sottomissione all'azione dello Spirito Santo (aspetto positivo, di elevazione). La parte più densa della dottrina mistica guyoniana è affidata alla seconda opera: la concezione si snoda in tre tappe successive, rispettivamente simboleggiate in: ruisseaux (=meditazione), fleuves (=orazione semplificata), torrents (=contemplazione attiva e passiva). In quest'ultima fase si raggiungerebbe il culmine dello stato mistico.

In un clima di imperante razionalismo, il suo è un anti-intellettualismo il più dichiarato: Dio infatti non lo si raggiunge con la sola razionalità! Quanto all' orazione, essa dev'essere più opera del cuore che del cervello. Va bene darsi alle pratiche, ma senza spasimi o ambiziose velleitarie aspirazioni. Questo, infatti, lo stato di riposo vero in Dio: non certo una inazione assoluta! Ciò che intende G. non è il " non agire " con indifferenza, ma piuttosto l'agire con determinazione, cioè divinamente, sollecitati da una mozione dall'alto. Agire dunque nella larghezza infinita di Dio: il pensiero e la coscienza tendono a dilatarsi nell'infinito, anzi ad essere infiniti! Perseverare, quindi, in tale stato nella massima semplicità, con la coscienza di corrispondere all'azione di Dio. In tutto questo c'è ben poco spazio per un preteso quietismo o semiquietismo, ricercato a tutti i costi: il pensiero di G. è certamente più alla dipendenza dell'insegnamento di Francesco di Sales che non delle elucubrazioni aberranti del Molinos, di cui ella non conobbe né la persona né la dottrina!

Si tratta, dunque, piuttosto di una concezione che rispecchia l'iniziativa di Dio e sempre nel riconoscimento pieno della propria limitatezza. G. è un'anima che si perde in Dio con perfetta pace. Se Fénelon deve in un certo qual senso a G. la sua condanna (25 marzo 1699), deve pure a lei la sorte d'aver conosciuto una donna eccezionale: una figura eminente del pensiero francese nella letteratura della mistica!

III. L'esperienza mistica nella vita. Molti e diversi, sebbene contrastanti furono i giudizi sulla spiritualità e pratica religiosa di G. " Mezza pazza, fine del cristianesimo ", secondo Bossuet; " niente di più edificante ", invece per Fénelon. La sua dottrina da alcuni viene ritenuta tuttavia inficiata di malcelato quietismo (M. Petrocchi), ovvero intrisa di concezioni erronee: " Visionaria ignorante, spinta sino al fanatismo, alla follia ". In questi ultimi tempi, però, la sua fama di ortodossia e quasi di martirio ha guadagnato terreno: un'autentica donna di spirito, " avventuriera mistica " (E. Aegerter), " una mistica della notte, ma della notte dolce " (M.G. Gondal), dai tipici aspetti di infanzia spirituale (A. Sambier). Il Guerrier nella sua opera fondamentale ne fa un'apologia vera e spassionata: capolavoro d'introspezione psicologica.

Da una vita in parte stranamente condotta e da una problematica di pensiero piuttosto complessa scaturisce o si evince il cosiddetto " enigma guyoniano ". Trascurata dalla madre, ella stessa abbandonerà i figli: errabonda inquieta, sarà sempre in cerca della propria identità; svariati, inoltre, furono gli influssi spirituali che si andarono via via sovrapponendo e non sempre in una necessaria e pacata decantazione, quanto al possesso di uno spirito dalle variegate sfaccettature.

Non esitò, infatti, a darsi alla causa di Dio, sospinta quasi da una forza interiore, comunque non senza la guida di diversi ed eccellenti padri spirituali. Avvertì in sé, ovvero, secondo altri, presunse d'essere in possesso d'una missione da svolgere nel contesto della società; pensò anzi di dover assumere un atteggiamento di " maternità spirituale " nell'ambito della Chiesa stessa. Ad una vita di preghiera e di pratica penitente seppe unire e compiere opere di apostolato con notevoli successi: ben accetta peraltro negli ambienti protestanti, si applicò a favorire il clima ecumenico nel territorio di Gex e di Ginevra. Il fascino femminile e l'esuberante fantasia, di cui era imprevedibilmente dotata, crearono attorno a lei forti simpatie, produssero facili entusiasmi e proselitismo in campo mistico, che sfociarono, ovvero diedero pretesto e adito, comunque, a dubbie interpretazioni sia quanto all'ortodossia sia ancora quanto al linguaggio. L' esperienza mistica, senza eccessivi fenomeni estatici o apparenze esaltanti, raggiungerà via via nel tempo livelli di indubbio valore e di ineludibile benefico effetto. Risoluta nel sostenere le proprie teorie, accettò l'umiliazione di inaudite calunnie, sofferse il carcere con indomito coraggio e con serena disposizione d'animo: virtù e pregi che, a lungo andare e spente le accese polemiche, non poterono non dare un senso di veridicità e convalidare il suo messaggio di testimonianza cristiana.

Dei suoi resti mortali sopravvissero alle vicissitudini del tempo il cervello e il cuore: il cuore come sede dell'amore puro; il cervello come strumento di ricerca della verità nell'unione con Dio!

Bibl. Opere: M.L. Gondal (cura di), La passion de croire. Textes choisis et présentés par M.L. Gondal, Paris 1990; P. Poiret (ed.), Madame Guyon, Oeuvres et Opuscules spirituels, Colonia 1720 (ristampa Hildesheim 1978); Jeanne Guyon, Commento mistico al Cantico dei Cantici, a cura di L. Ginzburg, Genova 1977; Ead., Metodo semplice per l'orazione, a cura di A.M. Gagiano de Azevedo, Milano 1998. Studi: E. Aegerter, M.me Guyon, une aventurière mystique, Paris 1941; L. Cognet, s.v., in DSAM VI, 1306-1336; Id., La spiritualité de M.me Guyon, in XVII siècle, 1214 (1952), 269-275; A. De la Gorce, Madame Guyon à Blois, in Etudes, 130 (1961), 182-196; Giovanna della Croce, s.v., in DES II, 1233-1235; M.L. Gondal, L'acte mystique. Témoignage spirituel de Madame Guyon, (tesi dott.), Lyon 1985; Id., La prière de repos, prière du coeur selon M.me Guyon, in VieSp 76 (1988), 191-204; Id., Un nouveau visage, Paris 1989; G. Guerrier, M.me Guyon: sa vie, sa doctrine, et son influence d'après les ecrits originaux et des documents inédits, Genève 1971; J.F. Mallet, Jeanne-Marie Guyon, Paris 1978; F.J. Schweitzer, s.v., in WMy, 212.

A. Pedrini

(1) In particolare i seguenti saggi: E. Ancilli, La mistica: Alla ricerca di una definizione; Ch.-A. Bernard, Conoscenza e amore nella vita mistica; C. Becattini, Fenomenologia della mistica; G. Mura, Una mistica atea?; B. Callieri, Esperienza mistica e psichiatria: elementi per una riflessione; E. Ancilli, La mistica e le mistiche

(2) Id., Opera omnia

(3) 1320 ca.

HADEWIJCH D'ANVERSA. (inizio)

I. Vita e opere. H. nasce nella prima metà del sec. XIII. Mancano fonti storiche per conoscerne la vita. Dai suoi scritti se ne desume l'appartenenza al movimento delle beghine. Probabilmente è superiora di un beghinaggio a Nivelles e guida spirituale di altre beghine, chiamate amiche. Indubbiamente dispone di una non comune preparazione culturale e teologica (conosce il latino e il francese), legata alla sua origine nobile brabantina (Anversa?).

Gli scritti di H. riflettono i fermenti nuovi della mistica nuziale e del clima estatico che s'incontra nelle case dei movimenti femminili del sec. XIII. Il cammino percorso da H. per arrivare all'Amore (Minne) è contenuto nelle quattordici Visioni. Nelle Lettere e nelle Poesie varie (Mengeldichten), veri e propri trattati spirituali, H. si serve della sua esperienza, della sua graduale salita verso il possesso dell'Amore, per insegnare alle " amiche " la necessità di uno spogliamento totale per rispondere alle esigenze di Dio. La meta è l'unione con Dio, ma non la si sperimenta in questa vita senza abbracciare la croce del Cristo. " Devi vivere sulla terra nella fatica e nel dolore, con Dio onnipotente ed eterno, però, tu amerai e giubilerai a fondo, nell'intimo, in dolce abbandono: la verità di entrambi gli aspetti, tuttavia, è nella loro intima unione ".1 L'unione con Dio è gioia e amore e, al tempo stesso, fatica e sofferenza.

II. La dottrina mistica di H., esposta soprattutto nelle Lettere (senza costituire, tuttavia, un sistema dottrinale), poggia su due aspetti comparati ai due modi dell'esistenza terrena del Figlio di Dio, ma l'accento è posto soprattutto sull'amare l'Amore che si è incarnato in Cristo e che viene effuso per mezzo dello Spirito Santo.

H. ritiene che l'anima venga inserita nel movimento trinitario e ritorni al Padre, cioè alla sua origine eterna. In questo ritorno si restaura l'immagine di Dio nell'uomo e " coloro che si sono donati interamente all'amore, vengono colmati di raggiante pienezza. Uniti a lui in unione d'amore, lo contemplano nell'abisso del cuore e seguono le vie misteriosamente segrete per giungere alle dimore, dove l'Amore disseta i suoi fino all'ebbrezza ". Questo passo fa parte delle Poesie strofiche in cui H., con il linguaggio della lirica cortese, mostra come si possa sperimentare l'Amore-Minne (personificato con immagini cavalleresche) contemplandolo nell'abisso del cuore, centro di ogni desiderio e di tutte le capacità affettive. Questa contemplazione impegna anche le forze intellettive, cioè la ragione, quale capacità di distinzione e saggezza. Con la ragione si avanza nella conoscenza di Dio e di se stessi e si riesce a distinguere tra emozione passeggera e unione di fede e di amore, nella quale la Minne trasforma l'uomo radicalmente, lo possiede e crea l'unità, ove tutto confluisce nella semplicità dell'essenza divina. In questa mistica di essenza è superata la distanza tra Dio e uomo. Non si tratta più di un trovarsi dinanzi a un Altro, ma di un essere l'uno nell'Altro.

H. è convinta dell'insufficienza del linguaggio umano per esprimere la mistica trasformazione in Dio. E dono gratuito e risposta all'ardente desiderio di " amare l'Amore con amore " e più ancora desiderio di " conoscere l'Amore come Amore ", trovandosi inserita nell'essenza di Dio. Tale unione è certamente transitoria, ma " restare sempre nella fruizione dell'Amore ", rende l'uomo Dio.2 Ciò esige, però, un esercizio d'amore per tutta la vita, perché l'amore non si ama mai fino in fondo.

Note: 1 Lettera VI, 117; 2 Lettera XVII, 78.

Bibl. Opere: J. van Mierlo (cura di), Hadewijch: Visionen, Leuven 1924-1925; Strophische Gedichten, Antwerpen 1942; Brieven, Antwerpen 1942; Mengeldichten, Antwerpen 1947. In tr.it., Hadewijch, Cinque poesie, Brescia 1947; Cinque visioni, Brescia 1947; Lettere. Dio amore e amante, a cura di R. Berardi, Cinisello Balsamo (MI) 1992. Studi: H.D. Egan, Hadewijch d'Anversa, in Id., I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 260-269; G. Epiney-Burgard - E. Zum Brunn, Le poetesse di Dio. L'esperienza mistica femminile nel Medioevo, Milano 1994, 108-145; Giovanna della Croce, s.v., in DES II, 1237-1238; E. Heszler, Stufen der Minne bei Hadewijch, in P. Dinzelbacher - D.R. Bauer (cura di) Frauenmystik im Mittelalter, Ostfildern 1985, 99-122; P. Mommaers - F. Willaert, Esperienza mistica e mediazione linguistica nelle " Lettere " di Hadewijch, in P. Dinzelbacher - D.R. Bauer (cur.), Movimento religioso e mistica femminile nel Medioevo, Cinisello Balsamo (MI) 1993, 149-184; J.B. Porion, s.v., in DSAM VII, 13-23; K. Ruh, L'amore di Dio in Hadewijch, in Aa.Vv., Temi e problemi della mistica trecentesca, Todi (PG) 1983, 85-106; F. Vandenbroucke, La spiritualità del Medioevo, 3B, Bologna 1991, 238-243; F. Willaert, s.v., in WMy, 213-214.

Giovanna della Croce

HAMMARSKJOLD DAG. (inizio)

I. Vita. H. nasce a Jönköping in Svezia il 29 luglio 1905, ultimo di quattro figli, da Hjalmar e Agnes Almqvist. Il padre è un vecchio luterano, rigidamente ancorato al senso del dovere e alla responsabilità personale; la madre, pure luterana, è donna di fede e di amore, fervida ed entusiasta, ma con qualche nota di possessività nei confronti del figlio. H. trascorre gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza seguendo gli spostamenti del padre, uomo politico svedese. Compiuti gli studi universitari nei rami letterario ed economico, nel 1930 entra alle dipendenze del ministero delle Finanze; nel 1941 diventa presidente della Banca Nazionale di Svezia, incarico che terrà fino al 1948 per entrare poi al Ministero degli Esteri. Il 7 aprile 1953 viene eletto Segretario generale dell'ONU, carica nella quale è riconfermato nel 1959 allo scadere del mandato. Muore il 17 settembre 1961 in un incidente aereo - con ogni probabilità in seguito a un sabotaggio - nel corso di una missione per risolvere la crisi congolese. Nello stesso anno gli viene attribuito il Premio Nobel per la Pace, alla memoria.

II. Itinerario mistico. Dopo la morte di H. fu trovato nella sua abitazione di New York un manoscritto dal titolo Vägmärken (Tracce di Cammino= TC). E una specie di diario intimo in cui sono annotati i pensieri, i segni misteriosi, le impronte che l'hanno guidato in una via singolarissima ed esemplare, fatta di ascesi severa, fino all'incontro faccia a faccia con Cristo. Abbraccia il periodo che va dal 1925 al 1961 e presenta un carattere diverso con il passare del tempo; nei primi decenni, i pensieri rivestono un aspetto psicologico, moralistico e riguardano la sfera prevalentemente etica; ma nel 1953 c'è una svolta improvvisa, un affermarsi del dato religioso, quasi un'irruzione di Dio nella vita di H. La svolta coincide con la sua elezione a segretario generale dell'Onu, carica di grande responsabilità, ma che lo lascia tranquillo perché Dio è con lui: " Quando Dio interviene in momenti cruciali, come ora, è con severa determinazione... Dio si serve di te anche quando non ti aggrada. Dio schiaccia l'uomo nell'atto stesso di sollevarlo " (TC l16). H. sente in se stesso la presenza e l'azione di Dio per cui si abbandona totalmente a lui. Questo sentimento non deriva dalla ragione né da altri fattori terreni, ma dalla fede, che egli, rifacendosi a s. Giovanni della Croce, definisce " unione dell'anima con Dio " (TC 122). La fede non è una serie di nozioni o di formule, ma una vita soprannaturale, un contatto intimo, " un'esperienza dell'Essere e dell'uomo che partecipa dell'Essere ". Del mistico spagnolo H. accetta anche il lato oscuro della fede, la " noche oscura ": " la notte della fede, tanto oscura che non si può nemmeno cercare la fede " (TC 123). E la sofferenza del credere che sorge dall'incomprensione degli uomini, dal silenzio di Dio, dall'esperienza del Getsemani (TC 123). C'è in questa visione l'influsso della dottrina luterana che mortifica la ragione e accentua la theologia crucis; essa attraversa tutto il diario, ma è mitigata da altri elementi più equilibrati, perché H., oltre Lutero ( 1546), conosceva bene la Bibbia e molti scrittori spirituali, Meister Eckhart e l'Imitazione di Cristo, s. Giovanni della Croce e Pascal, Martin Buber e gli esponenti del " Renouveau catholique " francese. Immerso nella fede, egli sente Dio come un altro se stesso, è pieno di stupore per " l'inaudito di essere nelle sue mani ", e l'istante gli sembra inserito nell'eternità (TC 124,127). Prova una forte tensione, un desiderio acuto di distacco radicale da tutto, di purificazione assoluta, quasi di annientamento, non per autodistruzione, ma perché Dio riempia il suo vuoto e si affermi in lui; esprime " non un inno all'annientamento, ma quel declino che è un inno " (TC 108). E possibile che qui H. abbia presente la figura di s. Giovanni Battista e la comprensione che questi ebbe della propria missione rispetto a Gesù Cristo: diminuire fino a scomparire, fino a non essere altro che voce che grida, inno nel deserto (cf Gv 1,l9; 3,30). Questo getterebbe una luce particolare sul tema dell'annientamento che pervade tutto il diario. L'annientamento non dev'essere cercato, ma ricevuto da Dio; allora sarà " un compimento " (TC 191).

H. vuole liberarsi da tutte le cose che lo bloccano, che sente come vanità, perché la vera realtà è Dio; e anche egli sarà " reale nell'Uno " (TC 184). Si riscontra in questo proposito insistente di purificazione quella fase dell'ascensione mistica chiamata notte dei sensi e dello spirito, fase necessaria prima di arrivare all'esperienza di Dio. Ma in questi sentimenti non c'è una successione cronologica, bensì un alternarsi e un intrecciarsi reciproco secondo i tempi, le circostanze e secondo l'economia della grazia. Così, dopo i momenti dell'ascesi e della sofferenza, H. manifesta i sentimenti della gioia e della conquista: " Dio è in lui, poiché egli è in Dio. Forte, libero perché il suo io non esiste più " (TC 131). E in dialogo ininterrotto con Dio, ma questo diventa più intenso nei momenti difficili della sua vita politica, quando deve intraprendere un'iniziativa importante. Nel giugno 1956 egli presenta al Consiglio di Sicurezza dell'ONU la propria relazione sulla crisi mediorientale e prospetta la via per un'eventuale soluzione. E allora che si rivolge a Dio con maggior fede, virtù che racchiude una forza superiore alla capacità umana. Intuizione radicata profondamente nel Vangelo in cui sempre i miracoli compiuti da Gesù, segni della onnipotenza divina, sono strettamente legati, quasi subordinati alla fede (cf Mc 6,36; 11,23-24). H. si sente un umile collaboratore che compie solo una minima parte dell'opera, mentre Dio fa tutto il resto. Sentimento che egli prova quando, con grande abilità diplomatica, ottiene il rilascio degli aviatori americani prigionieri in Cina e quando convince gli israeliani a lasciare l'Egitto dopo la guerra dei sei giorni (cf TC 147,174). Istintivamente H. risale dagli avvenimenti umani a Dio perché in lui trova la sicurezza; trova la libertà che da soli si è incapaci di raggiungere; vince la solitudine, la tristezza, fino a gustare a volte una gioia ineffabile; esperienza esaltante che provò in maniera particolare nel Natale del 1955. Con il passare del tempo Dio lo invade sempre più, diventa una specie di ossessione tanto che egli giunge a sognarlo (cf TC 143).

A volte, sente di essere uno strumento nelle mani di Dio, un povero che tutto riceve, che si lascia portare; sperimenta quella sensazione, chiamata " passività ", che è il carattere essenziale della mistica (cf TC 146). H. è consapevole della sua situazione, dell'intensità del suo rapporto con Dio e lo definisce con il nome giusto: " Esperienza mistica. Sempre: qui e ora... in quella libertà che è tutt'uno con il distacco, in quel silenzio che nasce dalla quiete " (TC 149). Ha raggiunto ormai quel livello di santità in cui, secondo Eckhart, la volontà dell'uomo si identifica con quella di Dio, perché Dio " non si dà mai e poi mai ad una volontà estranea; lì dove trova la sua volontà, egli si dà " (TC 155).

In questo identificarsi con Dio si raggiunge il grado più alto dell'essere e dalla coscienza del proprio essere, si è sicuri dell'esistenza di Dio (cf TC 156). Ma c'è in H. un altro aspetto, tipico dei mistici, e precisamente il sentire Dio in forma negativa, come il Dio ignoto, " come un non dio, un non spirito, una non persona, una non sostanza " (TC 137) che, secondo s. Tommaso, è il grado " ultimo e più perfetto della nostra conoscenza di Dio in questa vita ".1 H. sente il suo impatto con Dio e riesce a sostenerlo perché spera in lui che è amore: " Ogni momento faccia a faccia con quest'amore che vede tutto, ma indulge con pazienza, che è giustizia, ma non condanna se il nostro sguardo rispecchia il suo con umiltà " (TC 170).

Il Dio che conosce e sente non è il Dio dei filosofi e dei sapienti, ma il Dio di Gesù Cristo, il Dio Trinità; e in un giorno del 1956 viene afferrato da questo mistero e vi si abbandona con una elevazione di straordinario fervore (cf TC 150). H. viene attratto e commosso soprattutto da Gesù che soffre nella sua passione; sentimento presente in tutti i mistici, alcuni dei quali ne ricevettero i segni visibili nel corpo. Esprime questa partecipazione con forza unica: " L'ora terza. E la nona. Accade ora. E ora. Accade ora " (TC 154). Avverte la perennità della passione di Gesù che esprime con le celebri parole di Pascal: " Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo; non bisogna dormire in questo tempo ". Egli annota: " Per chi veglia, quello che è lontano è presente, presente nel contatto con questa umanità in cui Gesù muore ad ogni istante, in chi abbia seguito fino in fondo l'interiore traccia del cammino " (TC 154). H. segue, come Gesù, fino in fondo il suo cammino, morendo martire per la pace; e " per il Sacrificato, nell'atto del sacrificio, conta una cosa sola: la fedeltà " (TC 183).

Note: 1 Summa contra Gentiles, III, 49.

Bibl. Opere: W. Foote (cura di), Dag Hammarskjöld Speeches, Stockholm 1962; T.S. Settel (cura di), The Light and the Rock. The Vision of Dag Hammarskjöld, New York 1966; Dag Hammarskjöld, Linea della vita, Milano 1966; Id., Tracce di cammino, Magnano (BI) 1992. Studi: G. Aulen, Dag Hammarskjöld's White Book. An Analysis of Markings, Philadelphia 1969; A.M. Besnard, Dag Hammarskjöld ou la santification par l'action, in VieSp 124 (1971), 327-340; K. Beyschlag, Dag Hammarskjöld, in G. Ruhbach - J. Sudbrack (cura di), Grandi Mistici II, Bologna 1987, 253-279; G. Brasca, Dag Hammarskjöld: un discepolo di Cristo al Palazzo di vetro, in Id., Un laico per il Vangelo, Milano 1980, 216-224; H.P. van Dusen, Dag Hammarskjöld. The Stateman and His Faith, New York 1969; F. Giampiccoli, La fede di Mister Hammarskjöld, Torino 1969; M. Gibbard, Dag Hammarskjöld and Alan Paton, in Aa.Vv., Twentieth-Century Men of Prayer, London 1974, 81-92; S. Stolpe, Dag Hammarskjöld, Assisi (PG) 1971; Y.F. van Vlissingen, Le commentaire psychologique, in Aa.Vv., Approches psychologiques du célibat, Taizé 1969, 133-159.

G. Velocci

HERP ENRICO. (inizio)

I. Cenni biografici e scritti spirituali. H., detto anche latinamente " Herphius ", " Harphius ", nasce probabilmente a Erp, villaggio olandese, nei primi anni del 1400. Aderisce, in un primo tempo, al movimento dei Fratelli della vita comune, acquistandovi autorità. Nel 1450, mentre è a Roma passa all'Ordine francescano seguendo l'indirizzo della " Regolare Osservanza ", iniziata da s. Bernardino da Siena, canonizzato in quell'anno. Come francescano è incardinato nella provincia religiosa di Colonia o della " Bassa Germania ", ove diventa più volte " guardiano " e " vicario provinciale ". Religioso zelante, fonda nuovi conventi. Muore a Malines (Belgio) nel 1477 ed è seppellito nel coro del convento.

Pur essendo molto ricercato come valente predicatore, ottimo superiore e profondo teologo sul piano sociale, non risulta né dai suoi scritti né da testimonianze coeve che abbia goduto di carismi particolari o interventi divini, se si eccettua il dono della contemplazione, specialmente nella celebrazione della santa Messa che, a volte, dura parecchie ore. Il martirologio dell'Ordine francescano lo ricorda, però, come " beato " per tradizione, il giorno 22 febbraio con questa motivazione: " Uomo di contemplazione... e celebre per santità ".

H. scrive su vari argomenti relativi all'evangelizzazione.

Tacendo dei suoi molteplici sermoni per le feste del Signore e dei santi si possono ricordare i seguenti trattati ascetico-mistici, alcuni pubblicati durante la sua vita e altri dopo la sua morte, tutti redatti in lingua fiamminga: Lo specchio aureo dei dieci precetti del Signore, stampato nel 1474 ad uso dei confessori e dei predicatori. Lo specchio di perfezione, stampato nel 1475 in tre parti con ampia introduzione: vita attiva, vita contemplativa e vita sovraeminente o visione beatifica. La teologia mistica, tanto speculativa quanto affettiva, stampata nel 1538 in lingua latina, opera riassuntiva e completa divisa in tre libri: il Soliloquio, con centoquaranta capitoli; il Direttorio aureo dei contemplativi (Specchio di perfezione), con sessantaquattro capitoli e un'epitome conclusiva; l'Eden o paradiso dei contemplativi, con trenta Sermoni e con annessa La Scala dell'amore, distinta in nove gradini con nove sermoni; Della mortificazione dei cattivi sentimenti, estratto dalla Teologia mistica, stampato nel 1504.

Tutti gli scritti di H. hanno avuto grande diffusione e sono stati tradotti nelle principali lingue con molte edizioni.

II. Dottrina mistica. Il pensiero di H. risente della corrente francescana di s. Bonaventura e Duns Scoto ( 1308), di quella domenicana di Eckart, Susone, Taulero, di quella agostiniana di Ruusbroec, di quella cistercense di s. Bernardo, presentando però una certa originalità. H., partendo dai due presupposti, il primato della volontà sull'intelletto e la " preghiera del cuore ", dopo aver insistito sul rinnegamento di sé - elenca " dodici mortificazioni " -, si libra nella sfera mistica nella identificazione dell'anima con il Verbo incarnato (presepio, croce, tabernacolo). Raggiunge, poi, attraverso l'umanità di Gesù, l'unione con Dio uno e trino nella piena conformità del volere. Di conseguenza, nel suo pensiero si possono distinguere tre vite: l'attiva, nelle operazioni esteriori, la contemplativa, nell'uso delle facoltà interiori (memoria, intelletto e volontà) e la " sovraessenziale ", nella unificazione delle facoltà per l'intervento di Dio. Ma più che sull'azione, egli punta sulla " intenzione " di cui conosce tre gradi: retta, nella vita attiva; pura, nella vita contemplativa; deiforme, nella vita " sovraessenziale ".

Da notare che l'insistenza sull'assorbimento dell'uomo nella vita " sovraessenziale " o " visione beatifica " e l'uso di un linguaggio poco chiaro indussero l'Inquisizione romana a condannare la Teologia mistica, relegandola tra i libri proibiti (1685) e sottoponendola a revisioni per evitare possibili equivoci.

Bibl. Opere: Oltre alla completa opera del P. Lucidio Verschuren, scritta in fiammingo, Spiegelder Volcommenheit, Antwerpen 1931 in due volumi: introduzione e testo bilingue, si vedano pure la ristampa anastatica della Teologia mistica, Farnborough Hants (Inghilterra) 1966; G. Epiney-Burgard (cura di), Henri Herp. De processu humani profectus. Sermones de diversis materiis vitae contemplativae, Wiesbaden 1982; Ead., Henri Herp. Trois conférences spirituelles Genève 1983. Studi: L. Cognet, Introduzione ai mistici renano-fiamminghi, Cinisello Balsamo (MI) 1991, 283-314; C. Janssen, L'oraison aspirative chez Herp et chez se précédesseurs, in Carm 3 (1956), 19-48; F. da Mareto, s.v., in EC VI, 1420-1421; A. Mataníc, s.v., in DES II, 1238-1239; L. Mees et Al., Herp (Henri De), Vie-Oeuvres, in DSAM VII1, 346-351 e E. Gullick e O. de Veghel, Doctrine spirituelle - Influence, in Ibid., 351-366; L. Reypens, Le sommet de la contemplation mystique, in RAM 5 (1924), 49-59; M. Viller, Harphius ou Bourcelli? La prima Collatio de la Theologia mystica (l. II, parte V), in RAM 3 (1922), 155-162.

A. Quaglia

HILTON WALTER. (inizio)

I. Vita e opere. La data e il luogo della sua nascita ci sono sconosciuti. Muore come canonico regolare agostiniano nel monastero di Thurgarton, a Nottinghamshire, Inghilterra, il 24 marzo o il 14 agosto 1396. H. è uno dei maggiori mistici inglesi del sec. XIV. Sebbene grande ammiratore e frequentatore dell'Ordine dei certosini, è ormai certo che non sia appartenuto mai a quest'Ordine. Per comprendere la sua opera, occorre ricordare alcuni aspetti fondamentali della sua vita: pare abbia studiato diritto canonico e trascorso dei periodi di vita solitaria, forse da canonico regolare, probabilmente intorno agli anni 1375-1380. Ciò che sappiamo ancora della sua vita è che alcune autorità lo considerano prete secolare, prima che egli intraprenda la vita di canonico regolare, e che completi i suoi studi a Cambridge. Malgrado le incerte notizie sulla sua vita, H. occupa un posto di rilievo nello sviluppo della scuola mistica inglese del sec. XIV. Conosce e nutre alcuni dubbi riguardo agli scritti di Riccardo Rolle, ma i suoi scritti sono letti da Giuliana di Norwich e, con l'inizio della stampa, hanno un'ampia diffusione in Europa.

L'opera principale di H., intitolata dopo la sua morte La scala della perfezione, è scritta in inglese, ma vede traduzioni latine.

H. è senza dubbio l'autore di due trattati in latino: De imagine peccati e l'Epistola aurea indirizzata ad un amico per incoraggiarlo ad entrare nella Certosa. Vi sono, poi, alcune opere minori, traduzioni di scritti francescani, commenti ai salmi e un certo numero di scritti falsamente attribuiti a lui, compreso il primo dei tre libri dell'Imitatio Christi. Diversi scritti in latino di H. sono rimasti inediti.

II. Insegnamento spirituale. La Scala della perfezione è composta di due trattati distinti, rigorosamente di uguale lunghezza. Il primo si rivolge agli anacoreti, mentre il secondo, non indirizzato a nessuno in particolare, prosegue l'insegnamento iniziato nel primo, ma con alcuni sorprendenti sviluppi. Il primo dei due trattati si avvicina a s. Bernardo e alla dottrina spirituale dei francescani, mentre il secondo ha una stretta affinità con i mistici renani, con Dionigi l'Areopagita e con l'anonimo autore della Nube della non-conoscenza.

Il primo dei due trattati esiste in una seconda edizione in cui H. dà maggiore rilievo alla persona del Cristo, prendendo in questo modo le distanze dalle pericolose interpretazioni panteistiche della dottrina mistica di Dionigi l'Areopagita. Consiste in una metodica introduzione alla classica dottrina della vita mistica, che può essere generalmente descritta come una via purgativa, condizione necessaria per la distruzione nell'anima dell'immagine di peccato.

Il più grande contributo di H., comunque, sta nel secondo trattato. Per H. la vera vita cristiana non è costituita tanto dall'incorporarsi all'istituzione, ma da un continuo apporto alla carità di Cristo attraverso l'amore verso il prossimo. In un famoso passo H. scrive: " Va' all'ospedale, vi troverai Cristo ". Quest'azione caritatevole non è affatto in contrasto con la preghiera contemplativa, anzi l'una e l'altra provengono ugualmente da un ardente amore di Dio. La vita contemplativa è una pre-formazione dell'immagine di Dio nell'anima, per mezzo della ricerca di Gesù nascosto nel fondo della stessa anima. H. distingue tra coloro che non arrivano alla contemplazione e coloro che, attraverso la fede e il sentimento, arrivano all'esperienza mistica di Dio cioè tra un'attiva vita ascetica e una vita mistica contemplativa, l'una espressione di una " nuova formazione nella fede ", e l'altra come un " miglioramento del sentimento ". Per vita mistica egli intende la soprannaturale o mistica percezione o esperienza, in contrasto con il quotidiano combattimento dell'anima per liberarsi dal peccato, attraverso la grazia e una cieca fede in Dio. Inoltre, H. mette in guardia contro alcune confusioni che potrebbero verificarsi nelle esperienze di sensibile calore, o visioni e la completa soprannaturale preghiera di contemplazione. Tali fenomeni straordinari sono secondari, sostiene H. Questi non devono distogliere l'anima dalla ricerca di Dio, nella cui consapevolezza solo c'è quiete e pace. Questi ripetuti avvertimenti sembrano diretti contro le opere di R. Rolle. L'esattezza e la nitidezza con le quali la Scala della perfezione espone la dottrina di H. ne ha fatto, prima e dopo l'invenzione della stampa, un'opera ampiamente consultata.

Bibl. Opere: W. Hilton, La scala della perfezione, tr. di A. Pisani, Torino 1989. Opere minori di Hilton sono state pubblicate in inglese modernizzato da D. Jones, Minor Works of Walter Hilton, London 1929. Studi: J.P.H. Clark, Action and Contemplation in Walter Hilton, in Downside Review, 97 (1979), 258-274; Id., Walter Hilton and " Stimulus Amoris ", in Ibid., 102 (1984), 79-118; B. Edwards, s.v., in DES II, 1239-1240; M. Glasscoe, The English Medieval Mystics, London-New York 1993, 116-164 (con un'ampia bibliografia); D. Knowles, La tradizione mistica inglese, Torino 1976, 103-119; D. Knowles - J. Russel Smith, s.v., in DSAM VII1, 525-530; G. Sitwell, Contemplation in the Scale of Perfection, in Downside Review, 67 (1949), 276-289.

A. Ward

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