Questo concetto ha acquisito una posizione centrale nelle ricerche e nei programmi d'azione che riguardano le culture. In un senso globale esso indica la cultura propria ed unica di ogni gruppo umano e di ognuno dei suoi membri. L'identità culturale è essenzialmente quell'insieme di tratti che permette ad un gruppo di riconoscersi nella propria originalità e d'essere percepito dagli altri come diverso. Ogni cultura distingue spontaneamente i suoi e questi, a loro volta, vi si ritrovano e vi si riconoscono. L'identità culturale dà al gruppo un suo proprio senso di appartenenza, senza confusione, né alterazione. Esso acquista così una coscienza della propria permanenza nel tempo, della propria continuità, malgrado le evoluzioni e le circostanze che cambiano. L'identità culturale offre un'immagine ideale del gruppo, conserva la sua memoria collettiva e lo fa sentire legato ad una storia e a un destino collettivo. L'identità, attributo sia del gruppo che dell'individuo, è più facilmente concepita che empiricamente descritta. Gli scrittori ne hanno scrutato l'enigmatica realtà.
Paul Valéry era sedotto dal gioco del Medesimo e Identico: « La nostra identità è il nostro primo strumento di pensiero, senza il quale saremmo simili a corpi materiali... ». L'identità, egli dice, è precisamente costituita dalle « memorie dell'io ». Per Victor Hugo, l'identità è « una profonda abitudine di vivere » per la quale l'uomo « diventa a se stesso la propria tradizione... Egli sente che in sé c'è qualcosa d'indivisibile. L'Essere è la somma di tutto ciò che si è stati »: P. Tap. 1980, I pp. 398‑401.
Il termine identità è molto usato in psicologia, in sociologia e in antropologia. Freud l'ha usato una volta sola, ma in modo significativo, quando ha voluto identificarsi in rapporto all'ebraismo per raggiungere, diceva, « una identità interiore, che non fosse basata nè sulla razza nè sulla religione: L'interpretazione dei sogni 1899.
Identificazione di sé e degli altri
Identificazione di sé e degli altri
Per applicare il termine identità alle realtà culturali, è necessario distinguere i significati, diversi e complementari, che riveste la parola identificazione secondo che sia determinata dalle preposizioni « a », « di », « da ».
C'è l'identificazione a un gruppo, ai suoi valori, alle sue attese, ai suoi ideali. C'è poi l'identificazione dell'altro come tale, ciò che implica l'identificazione di sé, della propria individualità e della propria differenza: è, infatti, soltanto paragonandosi agli altri che si scopre la propria originalità e la ricchezza della propria cultura. Jean Piaget afferma: « Colui che non ha mai avuto idea di una possibile pluralità non ha nessuna coscienza della propria individualità ». C'è ancora l'identità riconosciuta dagli altri. E un aspetto di cui non sempre si acquista consapevolezza. Di fatto, noi ci identifichiamo secondo come gli altri ci identificano, ci riconoscono, ci situano. Poco tempo prima di morire Jean‑Paul Sartre provava la sensazione d'essere identificato già come un uomo scomparso: « Sono già quasi morto da qualche tempo, non che mi senta tale, ma la gente mi vede così ». I membri di una minoranza culturale sono molto sensibili a questa identificazine da parte degli altri. Una giornalista americana di razza nera diceva: « I bianchi non credono che io rimanga culturalmente diversa, i neri, per parte loro, non credono che io rimanga culturalmente la stessa: « Newsweek », 13 ottobre 1980.
L'identità culturale si collega a punti di riferimento molto particolari, che si potrebbero chiamare il contesto identificante, un insieme complesso riferentesi ad una lingua, ad una famiglia, ad un luogo geografico, a tradizioni proprie, a racconti storici, a monumenti, a libri sacri, ad anniversari, a celebrazioni.
Immagine di sé e immaginario collettivo
Immagine di sé e immaginario collettivo
Per cogliere l'identità culturale nella sua realtà complessa, dinamica e movente, è utile distinguere tre delle sue principali componenenti: innanzi tutto l'immagine di sé, percepita dal gruppo; poi i modelli e le strutture che sostengono un modo tipico di vivere; infine, le aspirazioni collettive che guidano il gruppo nei suoi progetti di avvenire. Queste tre realtà, l'autopercezione, il comportamento istituzionalizzato e l'immaginario collettivo, hanno tra loro un rapporto di stretta interdipendenza e se una delle componenti viene a mancare c'è crisi di identità. Per esempio, l'autopercezione può diventare confusa nei giovani immigrati, nelle minoranze, nei gruppi sottoposti alle manipolazioni della propaganda. L'immagine di sé è allora inibita, respinta per timore o per desiderio di sicurezza. Si manifesta una crisi d'identità anche quando le istituzioni e le norme sociali crollano, privando gli individui di un punto di riferimento sicuro riguardo al comportamento familiare, politico, religioso. L'identità entra in crisi anche quando il gruppo perde la padronanza del proprio avvenire e quando è colpito nella propria volontà di sopravvivenza come comunità distinta. Questo è il fatalismo in cui rischiano di cadere le collettività che non riescono ad accedere alla modernità e si sentono minacciate nel loro essere storico. Questo problema riveste un'importanza decisiva per i nuovi paesi, che aspirano alla modernizzazione, ma non vogliono sacrificare i valori profondi della loro anima e delle loro tradizioni. Essi si trovano di fronte a scelte estremamente difficili, volendo ad un tempo mantenere vivi i valori tradizionali ed accogliere i nuovi modi di vita familiare, urbana, sindacale, politica, scolastica che esige lo sviluppo desiderato.
L'identità culturale non è necessariamente sinonimo d'identità nazionale poichè si trovano, all'interno dei popoli, alcune comunità minoritarie che aspirano a vivere secondo proprie caratteristiche linguistiche, etniche, religiose, regionali. Il problema è nella conciliazione di quelle che si chiamano le identità plurime. Nelle società complesse le identità sono, in generale, multiple e si ordinano tra loro in forme gerarchiche; per esempio: un gruppo linguistico particolare s'identifica alla propria ristretta cultura, cosa che non gli impedisce di identificarsi anche ad una cultura più larga, quella di una nazione, di un mondo culturale più vasto, quali possono essere la cultura germanica, ispanica, europea, africana.
Memoria e anticipazione creatrice
Memoria e anticipazione creatrice
. Se la cultura è libertà, come si afferma, occorre prendere coscienza che l'identità di un gruppo, nelle società complesse, mobili e pluralistiche d'oggi, non può sussistere né crescere senza uno sforzo collettivo e creativo dell'insieme della comunità. Vivere insieme esige ormai l'adesione cosciente ad un progetto collettivamente assunto. Nessuna cultura, nel mondo moderno, può sopravvivere senza una volontà comune: « Stare insieme, scrive Pierre Emmanuel, è un'immensa operazione, un'orchestrazione infinitamente complessa, la cui chiave invisibile è la convinzione condivisa che questo insieme esiste, ch'esso ha un senso attraverso la storia, che occorre esservi attenti perché non s'indebolisca e che questa attenzione, a più livelli, ha dei sinonimi che sono: libertà, democrazia, giustizia sociale, umanità »: P. Emmanuel, 1971, p. 22.
L'identità culturale richiede dunque, più che mai, uno sforzo creatore, costante e voluto. Occorre che, sia i gruppi che le persone, facciano emergere tutta la ricchezza del loro io profondo, con un lavoro continuo. Vivere la storia di un popolo è come la produzione di un'opera letteraria, che traduce la ricerca incessante degli « io » virtuali, potenziali, non ancora maturati nello scrittore. La ricerca del proprio « io » è paragonabile alla ricerca del « noi collettivo ». Claudel dice: « L'«Io» non è un altro, è «se stesso», ma un «se stesso» non ancora raggiunto ». L'errore consisterebbe nel concepire l'identità come una realtà fissa, strutturata. E la sfida posta alle società tradizionali che devono affrontare i valori moderni. Se rimangono chiuse in un fissismo e in un arcaismo protettori, diventano incapaci di adattamento vivo e paralizzano le creatività indispensabili allo sviluppo culturale. La cultura di un gruppo, per rimanere viva, deve collegarsi al passato ma anche all'avvenire. E fatta di fedeltà, ma anche di speranza.
Due paradossi si presentano: prima di tutto, la fedeltà non deve essere confusa con il conservatorismo, ma essere, invece, la costante possibilità di rimanere se stessi. D'altra parte, l'identità è anche tensione verso l'avvenire, capacità di crescere secondo l'essere proprio e di accogliere i mutamenti che s'impongono. E indispensabile valutare attentamente l'equilibrio tra conservazione e crescita, per comprendere le alterazioni che possono colpire l'identità di un gruppo: il décalage o lo scarto culturale - cultural lag -, l'assorbimento o l'estinzione delle culture e, crisi tipica della nostra epoca, l'alienazione culturale. Riteniamo che l'identità di un gruppo si radica sia nella memoria costantemente attualizzata, sia nell'anticipazione creatrice dell'avvenire.
La promozione dell'identità culturale è ormai oggetto di un intervento cosciente dei cittadini, delle associazioni private, degli educatori e delle comunità che vivono all'interno delle nazioni. I governi se ne preoccupano, a buon diritto e con priorità, nelle loro politiche culturali e educative. Ma non è compito dello Stato definire l'identità culturale delle società; il suo ruolo consiste piuttosto nel liberare le forze latenti della nazione, nell'aiutare tutti i gruppi a crescere culturalmente, nell'uguaglianza delle possibilità, nel rispetto dei particolarismi come in quello dei valori comuni. Una politica che volesse determinare il contenuto di una cultura equivarrebbe ad un dirigismo inaccettabile.
Questo statalismo culturale costituirebbe violenza nei confronti del diritto fondamentale di ogni gruppo umano di vivere e di affermarsi secondo la propria esperienza storica. Si tratta di mantenere un equilibrio delicato, non sempre rispettato, come dimostrano le politiche degli Stati totalitari. Ma non è un equilibrio impossibile da raggiungere, quando si rispetta la dinamica democratica.
Identità e dialogo delle culture
Identità e dialogo delle culture
Un altro equilibrio è necessario, quello, tra l'affermazione delle identità culturali e il dialogo necessario tra tutte le culture. Se è vero che ogni cultura protegge la propria identità resistendo all'assimilazione da parte di altre culture, è ancora vero che questa resistenza non deve impedire la comunicazione con altre culture, condizione essenziale di progresso. Lévi‑Strauss lo spiega così: « Ogni cultura si sviluppa grazie agli scambi con altre culture. Ma occorre che ognuna vi frapponga una certa resistenza, se no, molto presto, non avrà più nulla che le appartiene in proprio da scambiare. L'assenza o l'eccesso di comunicazione hanno l'una e l'altro il loro pericolo »: C. Lévi‑Strauss, De près et de loin, Paris, 1988. La difesa della propria cultura è un diritto sacro, che oggi ispira le lotte per la giustizia e la dignità. E bisogna riconoscere che la liberazione economica e politica richiamano necessariamente la liberazione culturale, perché, diversamente, la comunità nazionale viene tradita nel proprio essere profondo.
D'altra parte, la rivendicazione esclusiva ed eccessiva dell'identità nazionale, etnica, regionale rischia d'isolare i gruppi, di impoverirli e di condannarli alla regressione. E, cosa ancor più grave, le identità esacerbate tendono a fare opposizione con la violenza. Questa è la causa grave dei conflitti etnici, sociali, militari e religiosi della nostra epoca. La cultura umana, nel suo senso proprio, e l'avvenire stesso dell'umanità, hanno come presupposto assoluto la comprensione tra le culture. Identità propria e comprensione degli altri si richiamano in una dialettica delicata, ma necessaria. Le collettività devono rimanere fedeli a se stesse, ma devono anche comprendere le altre culture, gli altri gruppi. E questa la condizione indispensabile per l'instaurarsi di una comunità mondiale fatta di solidarietà, di comprensione e di pace.
Vedi
Cultura
Acculturazione
Appartenenza
Analisi culturale
Tratti culturali
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