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  Grandi cose ha fatto in me il Potente (Lc 1,49a) 
Bibbia

Maria, soggetto e oggetto di evangelizzazione, Dal libro di Aristide Serra, Dimensioni mariane del mistero pasquale. Con Maria dalla Pasqua all'Assunta, Paoline, Milano 1995, pp. 139-160.



Lo Spirito Santo effuso da Cristo risorto a Pentecoste introdusse la primitiva comunità cristiana a una intelligenza più profonda dell'insegnamento di Gesù. Grazie a questa illuminazione decisiva del Pneuma divino, la Chiesa giunse a comprendere (fra 1' altro) che la Madre di Gesù era un elemento costitutivo e irrinunciabile della propria fede. Pertanto anch'ella divenne soggetto e oggetto di catechesi, di evangelizzazione. L'annuncio del Vangelo comportava anche la testimonianza resa alle «grandi cose» che il Signore aveva compiuto nella persona e nell'opera di Maria. E tale testimonianza fu resa da Maria e dalla Chiesa insieme, nel modo che diremo. A conforto di questa tesi propongo le seguenti riflessioni, condotte sui testi del Nuovo Testamento. Esse sono scandite in quattro momenti: nel primo vedremo come l'incarnazione e la risurrezione di Cristo siano considerate i due estremi essenziali che definiscono la sua opera di Salvatore; il secondo metterà in luce i legami che Maria ha, rispettivamente, con l'incarnazione del Verbo e la sua risurrezione dai morti; nel terzo mediteremo sulle conseguenze di questi nessi che stringono la Madre di Gesù agli eventi capitali della Redenzione; mostreremo, cioè, che le «grandi cose» compiute in lei dal Signore (cfr. Lc 1,49a) devono essere annunciate e fatte conoscere di generazione in generazione. Perciò - e questo sarà il quarto momento del nostro discorso - anche Maria diviene un capitolo di importanza primaria nel quadro della missione evangelizzatrice della Chiesa. Ella fu soggetto e oggetto di catechesi. Soggetto: nel senso che Maria informa la Chiesa sugli eventi di grazia realizzati nella propria persona dal Dio dell'Alleanza. Oggetto: in quanto la Chiesa fece poi conoscere a sua volta queste «grandi cose» operate dal Signore in lei, per il bene di tutto il suo popolo1.

I. Incarnazione e Risurrezione: sintesi costitutiva della persona e della missione di Cristo

Nel messaggio del Nuovo Testamento, l'incarnazione del Verbo e la sua risurrezione dai morti sono considerate come i due poli essenziali che sintetizzano la persona e l'opera di Cristo Salvatore. Dei rispettivi testi, cinque sono ricavati dall'epistolario paolino (Gal 4,4-6; Rm 1,34; 10,6-7; lTm 3,16 e 2Tm 2,8)2 e due dai vangeli (Lc 1,31-33 e Gv 1,13 letto al singolare)3. Nella sezione seguente ci occuperemo di Gal 4,4-6 e Lc 1,31-33. Qui, invece, vediamo sinteticamente i tre brani paolini di Rm 1,3-4; lTm 3,16 e 2Tm 2,8.

        1. In apertura della sua magistrale lettera ai Romani, Paolo presenta se stesso come «apostolo», cioè come un inviato, scelto per annunziare il Vangelo di Dio (v. 1). Questo vangelo, che il Signore aveva preannunziato nell'Antico Testamento mediante i profeti suoi portavoce, ha per oggetto il Figlio suo (v. 2). E volendo compendiare in anteprima le caratteristiche di questo Figlio, Paolo ne ricorda l'incarnazione e la risurrezione. L'Incarnazione, in quanto egli discende dalla stirpe di Davide «secondo, la carne» (v. 3,), ossia in ciò che riguarda la sua genesi umana, la sua dimensione di Figlio dell'uomo. La Risurrezione, in quanto il Padre, facendo risorgere il Figlio dai morti in virtù dello Spirito santo, lo pone in grado di esplicare la sua «potenza». L'energia vivificante dello Spirito santo ha investito la persona di Gesù risorto e lo trasforma a sua volta in soggetto attivo di santificazione. Sedendo ora alla destra del Padre, essendo stata rivelata la sua uguaglianza con Dio stesso come Figlio suo, egli può effondere la forza dello Spirito su ogni creatura (cfr. Rm 4,25b), e diviene pertanto «Signore nostro» (v. 4). Alla «debolezza» o kenosi della sua condizione prepasquale, subentra ora la sua «potenza» di Risorto4.
       
        2.
Nella prima lettera a Timoteo, l'apostolo Paolo dichiara: «Dobbiamo confessare che grande è il mistero della pietà: Egli si è manifestato nella carne, fu giustificato nello Spirito, apparve agli angeli, fu annunziato ai pagani, fu creduto nel mondo, fu assunto nella g1oria (3,16). Il «mistero della pietà», di cui parla l'Apostolo, è il disegno divino della nostra salvezza; disegno che forma l'oggetto della nostra pietà, ossia della nostra fede, del nostro credere. Per natura sua questo mistero o disegno si incentra nella persona di Cristo, è compendiato nell'Incarnazione e nella Risurrezione. Nell'incarnazione, il Figlio di Dio si è manifestato in forma umana, rivestendo la nostra carne (cfr. Rm 1,3; Gv 1,14). Nella risurrezione, egli «fu giustificato nello Spirito». Vale a dire: lo Spirito santo ha dimostrato che la risurrezione di Gesù (il suo «andare dal Padre») è una «vittoria trionfante»5 sulle forze del Maligno (Gv 16,8.10). In forza dello Spirito santo, il Cristo messo a morte fu esaltato nella gloria della risurrezione; dall'umiltà della «carne» egli passa alla «g1oria» di Risorto, in virtù dell'energia trasformante dello Spirito (cfr. Rm 1,4). E la Risurrezione è un evento che abbraccia cielo e terra, il mondo celeste e quello terreno: Cristo è apparso agli angeli (Fil 2,11; Ef 1,20 ss.; 3,10; iPt 3,22...) ed è predicato alle genti (Rm 10,18; Col 1,6.23...); nel mondo è creduto da quanti accolgono l'annuncio del suo vangelo (Mc 16,15-16; Rm 10,11-15...), mentre in cielo egli è intronizzato alla destra di Dio (At 1,2; 2,32-33; Rm 1,4).

        3. Nella seconda epistola a Timoteo (2,8), Paolo raccomanda: «Ricordati che Gesù Cristo è risuscitato dai morti, della stirpe di Davide, secondo il mio Vangelo». Nell'opinione tradizionale, questa lettera è l'ultima dell'Apostolo. Come tale, può dirsi il suo testamento spirituale. Mentre la spada già pende sul suo capo, Paolo - consapevole di essere giunto al termine della sua «corsa» (4,7) - ribadisce qual è il nucleo del vangelo da lui predicato e di cui Timoteo dovrà «fare memoria». Esso è costituito dalla persona di Gesù Cristo, risorto dai morti e discendente della stirpe di Davide. Questa duplice connotazione sembra rimandare a Rm 1,4. Però con una differenza: la «risurrezione» è nominata prima della «discendenza davidica». Quasi a dire che la Pasqua è il prisma dal quale si deve rileggere il Natale. La Seconda nascita di Cristo (la risurrezione) rimanda alla prima nascita (l'incarnazione).

II. Incarnazione e Risurrezione, con riferimento alla persona di Maria

Abbiamo visto che il kerigma del Nuovo Testamento abbina più volte in successione immediata il mistero dell'Incarnazione a quello della Risurrezione, assunti come sintesi del Cristo, Verbo incarnato e Messia divino. Ora dobbiamo rilevare che il suddetto kerigma collega la persona di Maria sia all'uno che all'altro momento di quell'unico grande mistero.

        1. Maria e l'Incarnazione
        I 'due brani di Gal 4,4-6 e Lc 1,31-33 da una parte rendono testimonianza al Figlio di Dio incarnato e risorto; dall'altra implicano Maria nell'evento dell'Incarnazione.
                a) Gal 4,4-6 è uno dei testi pin arcaici del Nuovo Testamento, databile attorno all'anno 50 d.C. In esso Paolo accenna ai due fatti costitutivi della persona di Cristo. In primo luogo vi è il ricordo dell'Incarnazione. Il Figlio di Dio, come «inviato-apostolo» (v. 4), viene fra noi: nasce da una donna, entro un contesto sociale ben definito, quello cioè del popolo d'Israele, retto dagli ordinamenti della Legge mosaica. Al pari di ogni persona umana, anche il Figlio di Dio incarnato ha una dimensione individuale e sociale; è persona singola e membro di una comunità. La donna da cui trae i natali non è nominata; ma è evidentemente Maria di Nazaret. Non sappiamo di certo se l'apostolo Paolo l'abbia incontrata di persona6; ma in seno alla chiesa apostolica egli dovette sicuramente apprendere che Miryam di Nazaret era la Madre di Gesù. In secondo luogo, la risurrezione di Cristo. Paolo vi allude in maniera indiretta, quando afferma che abbiamo ricevuto l'adozione a figli, in quanto Dio ha inviato nei nostri cuori lo Spirito del Figlio suo, che grida «Abbà, Padre! » (v. 6). Ora, è un punto acquisito della teologia paolina che lo Spirito Santo è il frutto globale della missione di Gesù. Solo in conseguenza della risurrezione dai morti Cristo diventa donatore dello Spirito (cfr. Rm 1,4), diventa «spirito vivificante» (1Cor 15,45). Egli, come Figlio di Dio dall'eternità, possiede lo Spirito a titolo unico; lo comunica però a noi, di modo che tutti, divenuti «figli nel Figlio», con lui possiamo esclamare: «Abbà, Padre! » (Gal 4,6; Rm 8,15-17)7.
                b) Lc 1,31-33 contiene invece un riferimento esplicito alla Madre di Gesù. La vergine di Nazaret, chiamata Maria, è la donna che Dio ha scelto per concepire, dare alla luce e conferire il nome di  Gesù al nascituro Figlio dell'Altissimo (v. 31). Il quale, risorgendo poi dal morti, erediterà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla Casa di Giacobbe (vv. 32-33). Queste parole dell'angelo Gabriele echeggiano la promessa fatta secoli prima dal profeta Natan al re Davide (2Sam 7, 11-15). La comunità cristiana delle origini comprese che tale oracolo si adempì compiutamente nel mistero pasquale di Cristo. Il Padre, facendo risorgere da morte Gesù di Nazaret, figlio di Davide, lo rivela come Figlio suo divino (cfr. Sal 2,7 e At 13,16-33), lo intronizza alla sua destra, conferendogli un regno eterno su tutta la nuova casa d'Israele, che è la Chiesa (cfr. Sal 110,1 e At 2,25-36; 20,28)8.

        2. Maria e la Risurrezione
        Le tradizioni evangeliche, specie di Luca e Giovanni, stabiliscono frequenti contatti tra la Madre di Gesù e il mistero pasquale, inteso come passione-morte-risurrezione del Signore. Molti degli episodi riguardanti la Vergine rivelano una tonalità pasquale indubbia. Senza pretendere di essere esauriente, farò adesso del richiami a sette brani ove - con modalità plurime - Maria è situata nel cuore dell'ora di Gesù, quando egli passa da questo mondo al Padre (cfr. Gv 13, 1).
                a) Gli evangelisti insinuano una connessione (suggestiva quanto mai!):
- tra il grembo «vergine» di Maria e il grembo «nuovo» (vergine) della tomba di Gesù (cfr. Mt 1,18-25; Lc 1,34-35; Gv 1,13 al singolare con Mt 27,60; Lc 23,53; Gv 19,41);
- tra le fasce in cui Maria avvolse il suo neonato (Lc 2,7b) e le bende funerarie nelle quali Giuseppe di Arimatea avvolse il corpo di Gesù calato dalla croce (Lc 23,53a);
- tra la mangiatoia nella quale Maria adagiò il Bambino (Lc 2,7c) e il sepolcro nel quale Giuseppe di Arimatea depose Gesù (Lc 23,53b)9.
E assai importante ricordare che le tre corrispondenze qui segnalate sono state avvertite costantemente dalla tradizione cristiana10.
                b) La pericope dei pastori di Betlemme al presepio (Lc 2,8-20) racchiude certo il ricordo di una visita che i suddetti pastori fecero al neonato Bambino, partorito da Maria forse in una grotta di loro proprietà. Tuttavia, a livello di redazione lucana, quei pastoni divengono al tempo stesso figura dei pastori della Chiesa. Sono, questi, gli apostoli e quanti collaboravano con essi nell'annuncio della Parola dopo che il Signore risorto li aveva inviati a rendergli testimonianza. La loro attività kerigmatica è documentata soprattutto dal libro degli Atti, anch'esso opera di Luca. La valenza ecclesiale dei pastori di Betlemme fu concordemente percepita dall'antica tradizione patristica sia orientale che occidentale, da Origene in poi. Nell'ambito di questa rilettura tipologico-ecclesiale, Maria figura fra coloro che in seno alla comunità di Gerusalemme ascoltano il messaggio diffuso dai pastori-evangelizzatori, che sono anzitutto i Dodici (cfr. Lc 2,17-18). Ella non si contenta della «meraviglia stupefatta» che vanno suscitando in tutti le parole e i prodigi compiuti dagli apostoli (cfr. Lc 2,18 e At 2,6-7; 3,10-12). Maria, dal canto suo, «conservava tutte queste cose, interpretandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Il che vorrebbe dire che lei, alla luce del messaggio pasquale proclamato dagli apostoli, ritorna con la mente sulle circostanza del natale di Gesù, di cui fu testimone e protagonista eccezionale. Ne fa l'esegesi, ne penetra il senso compiuto, adesso che i fulgori della risurrezione splendono sulla Chiesa. Anche il Magnificat, ad esempio, sarebbe frutto della meditazione pasquale della Madre di Gesù11.
                c) La presentazione di Gesù al Tempio (Lc 2,22-40) menziona solo tangenzialmente la purificazione di Maria (Lc 2,22.24). L'accento primario del racconto cade invece sul Bambino che viene «presentato», al pari di ogni maschio primogenito, secondo la Legge di Mosè (Lc 2,22-23.27). Non pochi esegeti, però, rilevano che la scena riferita da Luca mette in evidenza non tanto il riscatto del Bambino, quanto la sua consacrazione al Signore. Più che un primogenito da riscattare, il Bambino appare come un'offerta portata dinanzi al Signore, quasi si trattasse di una vittima sacrificale. Tant'è vero che l'evangelista non fa cenno al prezzo pagato per il riscatto. Come dire: Gesù, in effetti, è a pieno titolo «il Consacrato del Signore» (Lc 2,23). Fin dalla sua origine nel seno materno, egli apparteneva a Dio in maniera unica e specialissima, essendo stato concepito in virtù dello Spirito santo. Per questo sarebbe stato «Santo», cioè votato al Signore, totalmente dedito a lui. Questo aveva detto l'angelo a Maria (Lc 1,35). E Maria, che conservava tutte queste cose nel suo cuore (Lc 2,19.51), è consapevole che Gesù, il suo primogenito (Lc 2,7), è proprietà del Signore come nessun altro. Tutta la sua vita sarà interamente a servizio del Padre. Ella, perciò, dovendo compiere la sua personale purificazione, prende motivo da quella circostanza per presentare, per offrire al Signore il frutto del suo grembo. Il suo gesto fa ricordare quello di Anna, la quale - secoli addietro - aveva offerto al Signore il piccolo Samuele, dicendo: «Io glielo offro per tutti i giorni della sua vita; egli rimane donato a Dio» (I Sam 1,28). L'azione di Maria, cui si univa Giuseppe suo sposo e padre del Bambino, ha il valore di una «consacrazione del Figlio; consacrazione alla quale ella si associa, quasi formasse una sola realtà con lui. Perciò l'evangelista può parlare della «loro purificazione» (Lc 2,22). Era una offerta che riguardava sia il Figlio che la Madre; essa preludeva il dramma della Passione12. Commenta il padre Ortensio da Spinetoli: «Per il momento è soltanto un gesto di donazione, la prima offerta sacrificale compiuta dal redentore tramite la Madre; per la madre è la prima diretta associazione all'opera della redenzione, un lontano preannuncio della sua futura collaborazione all'offerta sacrificale del Figlio»13.
                d) «E anche a te una spada trapasserà l'anima», profetizzò Simeone a Maria (Lc 2,35). In quella « spada», diversi esegeti odierni - ricollegandosi ai Padri d'Oriente e d'Occidente dei secoli IV-V in avanti14 - vedono il simbolo della parola di Dio, che avrebbe annunziato Gesù. Egli, secondo l'oracolo di Simeone, è il Servo del Signore, è luce delle genti e gloria d'Israele (Lc 2,32; cfr. Is 42,6; 49,6). Il Signore ha reso la sua bocca come spada affilata (Is 49,2). La parola di Gesù, perciò, risulterebbe paragonata a una Spada che « ... penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). Maria fece si che i suoi pensieri fossero rischiarati e giudicati dal bagliore di quella mistica spada che era la parola del Figlio. Di lui ella custodiva parole ed eventi (Lc 2,19.51b; cfr. Lc 8,1921; 11,27-28). Con mente sapienziale si preoccupava di misurarne la portata, anche quando le procuravano sofferenza e non ne capiva subito il senso (Lc 2,48-50). La punta massima di questa trafissione dell'anima avrebbe avuto luogo nell'ora della Passione. Soprattutto in quei momenti di tenebra così fitta, Maria permise che la spada della parola di Dio penetrasse le fibre del suo spirito. Ella perseverò nella fede, con abbandono sofferto e confidente alle parole del Figlio, quando parlava di morte e risurrezione Altri autori più numerosi - rifacendosi anch'essi a un filone dell'esegesi patristica greco-latina, che inizia dal secolo V17 - riconoscono nella «spada» profetizzata da Simeone il dolore violento che Maria provò ogni volta che il Figlio fu ripudiato dal suo popolo. Il che avvenne durante il ministero .pubblico (cfr. Lc 4,16-30), nella passione e morte (Lc 22,47- 23,1-56), e successivamente nella vita della Chiesa nascente, fatta segno a continua persecuzione da parte dei Giudei (cfr. At 4,1-31; 12,1-17; 13,45; 14,1-7; 28,22)18. Non si dimentichi che Maria era membro di questa Chiesa (At 1, 14)19. Come si vede, tanto l'una che l'altra delle due interpretazioni suddette orientano verso il mistero pasquale, come all'acme conclusivo della profezia di Simeone.
                e) L'episodio del primo pellegrinaggio di Gesù dodicenne al Tempio insieme ai genitori (Lc 2,41-51a), è punteggiato da numerosi motivi pasquali. Ciò che sperimentarono Maria e Giuseppe nel corso di quella vicenda del fanciullo Gesù - prima smarrito, poi cercato tra i parenti e i conoscenti e infine ritrovato nel Tempio-casa del Padre suo - era un evento aperto sulla futura rivelazione del mistero pasquale. Era, cioè, un lontano preludio e un anticipo profetico di quanto sarebbe accaduto ai discepoli nei giorni della morte e risurrezione di Cristo20. Un'altra Pasqua21 sarebbe venuta, durante la quale - sempre a Gerusalemme22 - i discepoli, addolorati e piangenti23, avrebbero perso il Maestro e lo avrebbero cercato24 quaggiù, fra i morti25. Ma «dopo tre: giorni» (cioè «il terzo giorno»26 sarà loro rivelato che il Cristo è nella Casa del Padre suo27: là egli è asceso, poiché egli è entrato nella sua gloria, è stato assunto in cielo29, è stato innalzato alla destra del Padre30. Là occorre «cercarlo», se vogliamo vivere la nostra Pasqua.
                f) Le nozze di Cana (Gv 2,1-12) sono narrate all'insegna del «terzo giorno» (v. 1). Con questo inciso, l'evangelista conferisce una dinamica anche «pasquale» al primo dei segni operati da Gesù. Ossia: ciò che si racconta in quell'episodio è figura e pegno anticipato di quello che la Chiesa vivrà in maniera stabile e continuativa nell'era inaugurata dal «terzo giorno» della risurrezione di Gesù. E, questa, l'era coestensiva a tutta la durata della Chiesa, nella quale si celebrano le nozze dell'Alleanza nuova col Signore risorto (cfr. Gv 3,29 e Ap 19,7). E così la presenza e il ruolo che la Madre di Gesù riveste nel «terzo giorno» di Cana continuano nell'oggi del «terzo giorno» della Chiesa. In quanto «Madre di Gesù» (Gv2,1.3.5.12; 19,25. 26.27) e «Donna-Madre della Chiesa» (Gv 2,4; 19,26), la Vergine è sempre desta nel suscitare in noi, servi del Figlio, l'obbedienza al vangelo: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5). L'accoglienza della Parola propizia l'unione della Chiesa-sposa attorno al Cristo-Sposo (cfr. Gv 2,12; 10,16; 15,14).
                g) Il testamento di Gesù morente (Gv 19,25-27) è iscritto fra gli eventi della «sua ora», quando egli passa da questo mondo al Padre (cfr. Gv 13,1). Anche le ultime parole da lui rivolte alla Madre («Donna, ecco il tuo figlio»: v. 26) e al discepolo (« Ecco la tua Madre »: v. 27a) fanno si che il tutto della sua opera di Messia Salvatore sia condotto a termine (cfr. Gv 19,28: «Dopo questo... »). Se, per ipotesi, fosse mancato quel gesto, qualcosa di essenziale sarebbe venuto meno al progetto redentivo testimoniato dalle Scritture. Non tutto sarebbe stato compiuto (cfr. Gv 19,30). In risposta alla volontà del Maestro, il discepolo «da quell'ora accolse la Madre di Gesù presso di sé» (Gv 19,27b), come sua propria Madre. Da «quell'Ora» prende inizio, per volontà di Cristo, la maternità spirituale di Maria verso tutti i discepoli del Figlio, anzi verso l'intero genere umano.. Si noti bene, però. É una maternità «pasquale», in quanto sgorga anch'essa dalla passione-risurrezione del Signore Gesù32.
Riassumendo ora i contenuti esposti in questa sezione, possiamo affermare che la persona di Maria di Nazaret mostra un intimo legame sia con l'incarnazione del Verbo, sia con la sua risurrezione dai morti. La Chiesa delle origini cristiane, posta di fronte a questi eventi sommi della storia salvifica, prese coscienza che Dio aveva operato «grandi cose» nella Madre del Figlio suo: «Grandi cose ha fatto in me il Potente», canterà la Vergine stessa nel suo inno (Lc 1,49a).

III. Le «grandi cose di Dio»

Nel linguaggio biblico, le «grandi cose» di Dio sono i suoi meravigliosi interventi di grazia compiuti in tutto il corso della storia dell'Alleanza. Secondo l'insegnamento costante della Scrittura, le «grandi cose» del Signore sono destinate in favore di tutto il suo popolo33; pertanto devono essere annunciate a tutti, da una generazione all'altra.

        1. «Grandi cose» per tutto ii popolo
        É della massima importanza tener presente che, a norma della costante dottrina biblica, le «grandi cose» di Dio hanno sempre una finalità ecclesiale-comunitaria. Nel disegno divino, esse sono ordinate puntualmente al bene dell'intera comunità dei suoi eletti. A buon diritto il salmista può esclamare: «Grandi cose ha fatto il Signore per noi» (Sal 126,2). La Bibbia, è vero, documenta varie occasioni in cui il Signore opera «grandi cose» in favore anche di una persona singola: Abramo34, Mosè35, Giuseppe36, Davide37, Salomone38, Geremia39 Ester40, Giuditta41, Elisabetta madre del Battista42... Pure in questi casi, tuttavia, l'intenzione dell'agire divino rimane di natura ecclesiale-comunitaria. Vale a dire: se il Signore fa «grandi cose» verso una persona singola, il suo scopo è quello di soccorrere tutto il popolo o tutto il gruppo di cui quella persona è membro. Questa economia sottesa al progetto redentivo conserva la sua validità anche per la Madre di Gesù. Se il Potente ha realizzato in lei «grandi cose» (Lc 1,49a), lo ha fatto a vantaggio di tutto il popolo dell'Alleanza. E difatti Maria, nel suo cantico, è cosciente del legami che la stringono alla comunità del popolo di Dio. Ella definisce se stessa «serva» del Signore (Lc 1,48a), e, contestualmente, celebra Israele come «servo» del Signore (Lc 1,54a). Ella, inoltre, è consapevole che Dio, posando lo sguardo sulla sua «povertà» (Lc 1,48a), esalta tutti i «poveri» (Lc 1,52b). Infine la Vergine riconosce che il Signore, operando in lei «grandi cose» (Lc 1,49a), porta a maturazione le promesse fatte «ai nostri Padri, ad Abramo e alla sua discendenza» (Lc 1,55). In una parola, Maria dà prova di questa lucida persuasione: ciò che Dio ha fatto nella sua persona, lo ha fatto per se stessa e per tutto il popolo dei credenti, di cui Abramo è padre. Pertanto, la grazia profusa in Maria da una parte deve ridondare a beneficio dell'intera Chiesa del popolo di Dio; dall'altra, la Chiesa deve riconoscere e celebrare questa componente della sapienza divina, rivelatasi nella storia della salvezza.

        2. « Grandi cose» da annunciare a tutti
       Sempre a norma di un persistente insegnamento biblico, le «grandi cose» di Dio vanno proclamate, vanno fatte conoscere, occorre annunciarle pubblicamente. Questa esigenza deriva dal fatto che simili interventi di grazia da parte del Signore, anche se compiuti attraverso una persona singola - sono concepiti in definitiva per il bene di tutto il popolo. Perciò essi costituiscono un patrimonio comune che deve essere portato a conoscenza e condiviso da una generazione all'altra. Leggiamo nel Deuteronomio (4,9): «Non ti sfuggano dal cuore [le cose viste e udite], per tutto il tempo della tua vita. Le insegnerai ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli». Obbedendo a questa consegna, il vecchio Tobi raccomanda al figlio Tobia: «Fate conoscere a tutti gli uomini le opere di Dio... e non trascurate di ringraziarlo. É bene tenere nascosto il segreto del re, ma è cosa gloriosa rivelare e manifestare le opere di Dio» (Tb 12, 7.11). In versione orante, il Salmo 145,4-5 rammenta l'impegno catechetico vigente all'interno della comunità d'Israele: «Una generazione narra all'altra le tue opere, annunzia le tue meraviglie. Proclamano lo splendore della tua gloria e raccontano i tuoi prodigi»43.

        3. Maria, «soggetto» e «oggetto» di evangelizzazione
        Se la Madre di Gesù fu così vitalmente connessa ai misteri della nostra redenzione, ella divenne necessariamente «soggetto» e «oggetto» di catechesi nell'ambito della fede cristiana. Vediamo di spiegarci, in due momenti.
                a) In primo luogo, la Madre di Gesù divenne soggetto di catechesi, in quanto ella stessa fece conoscere «le grandi cose» compiute dal Signore nella propria persona. Lei, in effetti, fu la principale fonte di informazione per l'infanzia e la prima adolescenza di Gesù. Questa dottrina, radicata saldamente nella Scrittura, è comune ai Padri e agli scrittori della Chiesa a partire dai secoli IV-V. Asseriva, ad esempio, san Bruno di Segni (†1123): «Niente avremmo di tutto questo, se Maria non l'avesse custodito. Queste cose ci vengono dai suoi tesori»44. Diversi autori, antichi e moderni, ricavano questa conclusione dal testo di Lc 2,19: «Maria, dal canto suo, conservava tutte queste cose, ponendole a confronto nel suo cuore» (cfr. anche Lc 2,51b). In altri termini, Maria - in virtù della sua eccezionale missione - sapeva di non appartenere più a se stessa, bensì al mondo. Non poteva, quindi, ripiegarsi gelosamente sugli eventi ai quali fu chiamata a collaborare. Perciò ella avvertì la necessità di partecipare alla Chiesa nascente le notizie dei fatti salvifici, di cui fu protagonista singolare e immediata. Questo sarebbe avvenuto a seguito della Pentecoste, cioè dopo che lo Spirito Santo concesse anche alla madre del Signore la comprensione armonica delle varie componenti del disegno salvifico.
                b) In secondo luogo, la Madre di Gesù divenne oggetto di catechesi, nel senso che la Chiesa, a sua volta, prese ad annunciare e a celebrare «le grandi cose» suscitate da Dio in lei. E questo avvenne sia nella predicazione orale del messaggio cristiano, sia nella redazione scritta del Vangeli. In questi libri sacri lo Spirito Santo, mediante gli autori umani dei medesimi, testimonia alla Chiesa di ogni tempo quanto il Signore, anche per mezzo di Maria, ha fatto «per noi uomini e per la nostra salvezza».

Conclusione

La Pasqua fu l'epicentro della questione mariana. A Seguito dell'illuminazione decisiva che la Risurrezione proiettò sulla persona di Cristo, la Chiesa apostolica delle origini fu indotta a riflettere anche sulla identità e sul ruolo della Santa Vergine, e sempre in stretta connessione con la persona del Figlio. Se egli dal grembo della tomba (la terra-madre!) è asceso al Padre in maniera così arcana e prodigiosa, in che modo egli scese nel grembo di Maria (la donna-madre!) per apparire uomo fra gli uomini? Da qui si comprende perché la Chiesa fosse portata a congiungere il binomio «incarnazione-risurrezione» e a scoprire la presenza attiva della Madre di Gesù sia nell'uno che nell'altro di questi due massimi eventi salvifici. Facendo memoria delle «grandi cose» che Dio aveva compiuto nella Madre del Figlio suo, la comunità cristiana trasse le debite conseguenze per l'annuncio della Parola, per la catechesi. L'evangelizzazione, se vuole essere integra e fedele, dovrà estendersi anche a Miryam di Nazaret: Figlia di Sion, Donna - Madre del Messia Cristo e dell'intero popolo di Dio.

NOTE
1 Riprendo, in queste note, quanto avevo scritto un po' più diffusamente in un saggio intitolato Maria, Madre di Gesù, soggetto e oggetto di Catechesi. Riflessioni sugli scritti del Nuovo Testamento, in Aa.Vv., Il posto di Maria nella Nuova Evangelizzazione, Centro di Cultura Mariana « Madre della Chiesa, Roma 1992, pp. 53-74.
2 Prescindiamo volutamente, in questa sede, dalla questione sull'autenticità delle cosiddette «lettere deuteropaoline.
3 Per l'esposizione completa di questi sette testi, si potranno vedere le pp. 54-66 dell'articolo citato alla nota 1.
4 R. Penna, Lo Spirito di Cristo. Cristologia e pneumatologia secondo un 'originale formulazione paolina, Paideia, Brescia 1976, pp. 227-231, 273-275.
5 Nella tradizione biblico-giudaica la parola giustizia e il verbo corrispondente giustificare più volte hanno il senso di «ricompensa-trionfo-vittoria-gloria». Si tratta, cioè, di una «vittoria», di un «trionfo», di una «glorificazione» che Dio concede ai giusti in ragione e in ricompensa della loro « giustizia-santità ». Per es., la esaltazione escatologica di Sion-Gerusalemme è cosi celebrata dal profeta: «Allora tutti i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria» (Is 62,2). Cfr. A. Descamps, Les justes et la justice dans l'Evangile et le christianisme primitifs hormis la doctrine proprement paulinienne, J. Duculot, Gembloux 1950, pp. 87-92 (cfr., per es., Gdc 5,11; Is 5,16 nei LXX; 61,10; Pr 8,18; Odi di Salomone 17,1; 25,10-12; 24,4-7; 31,5-7). Anche la monografia di E. Peretto, La Giustizia. Ricerca sugli autori cristiani del secondo secolo, Marianum, Roma 1977, pp. 3-5, in particolare p. 4 nota 6.
6 Potrebbero valere, in certa misura, anche per l'apostolo Paolo le osservazioni fatte a proposito di Luca da parte di R. Laurentin, I Vangeli dell'Infanzia di Cristo. La verità del Natale al di là dei miti. Esegesi e semiotica. Storicità e teologia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1985, pp. 615-616 («Luca ha potuto conoscere Maria?»).
7 Trattazione esaustiva dell'argomento in R. Penna, Lo Spirito di Cristo cit., pp. 207-234 (per Gal 4,4-6) e pp. 281-288 (per 1Cor 15,42-49).
8 L. Legrand, L'Annonce a Marie (Lc 1,26-38). Une apocalypse aux origines de l'Evangile, Du Cerf, Paris 1981 («Lectio Divina», 106), pp. 153-215: «Jésus est fils de David en sa resurrection comme il est Fils de Dieu. Filiation davidique et filiation divine se completent mutuellement au niveau de la Resurrection».
9 A. Serra, Maria secondo ii Vangelo, cit., pp. 40-41, 94-101.
10 Idem, E c'era la Madre di Gesù cit., pp. 265-278.
11 Per la discussione tecnica di questa mia ipotesi di interpretazione, rinvio ai seguenti miei scritti: Sapienza e contemplazione di Maria secondo Luca 2, 19.51b, Marianum, Roma 1982, pp. 176-258; voce Bibbia, in Nuovo Dizionario di Mariologia, cit., pp. 252-261; Nato da Donna... (Gal 4,4). Ricerche bibliche su Maria di Nazaret (1989-1992), Cens-Marianum, Milano-Roma 1992, pp. 7-95 («I pastori al presepio. Riflessioni su Lc 2,8-20 alla luce dell'antica tradizione giudaico-cristiana»).
12 A. Feufflet, Jesus et sa Mere d'après les récits lucaniens de I'enfance et d'après saint Jean..., J. Gabalda et Cie, Paris 1974, pp. 58-69 e ss.; Ortensio da Spinetoli, Maria nella Bibbia, EDB, Bologna 1988, pp. 112-116.
13 0. da Spinetoli, op. Cit., pp. 115-116.
14 J. M. Alonso, La espada de Simeon (Lc 2,35a) en la exegesis de los Padres, in Maria in Sacra Scriptura (Atti del Congresso Mariologico-Mariano Internazionale tenuto a Santo Domingo nel 1965), Pontificia Accademia Mariana Internazionale, Roma 1967, pp. 183-285.
15 Per altri passi del Nuovo Testamento relativi alla medesima equazione simbolica (spada = Parola di Dio), cfr. El 6,17; Ap 1,16; 2,12.16; 19,15.21. Questo genere di simbolismo era già stato preparato abbondantemente dalla letteratura giudaica intertestamentaria.
16 Cfr. Lc 2,51b; 8,19,21; 11,27-28 con Lc 9,22.43-44; 18,31-32 e 24,6-7.25-27.44-46. Espongo questa lettura nella voce Bibbia, in Nuovo Dizionario di Mariologia, cit., pp. 263-266; anche in Maria secondo il Vangelo cit., pp. 112-119, 127-128.
17 J.M. Alonso, art. cit.
18 A. Feuillet, op. cit., pp. 58 -69 e ss. Si intrattiene, con ricca documentazione, su questa esegesi A. Valentini, Il secondo annuncio a Maria (Redemptoris Mater 16), in Marianum 50 (1988), pp. 290-322.
19 A. Valentini, art. cit., p. 315: «Luca stesso presenta Maria con i discepoli alle origini della Chiesa (At 1,14). Ella vive con essi le esperienze fondamentali della salvezza, e dunque le persecuzioni che, iniziate con Cristo, continuano nella comunità dei credenti. La Chiesa non solo sarà, come Cristo, segno contraddetto, ma verrà "trafitta" come Maria, a motivo di lui, a causa del suo Nome».
20 A. Serra, voce Bibbia, in Nuovo Dizionario di Mariologia, cit., pp. 266-271.
21 Cfr. Lc 2,41 con Lc 22,1.7.8.11.13.15; 23,54.
22 Cfr. Lc 2,41.42 (varianti).43.45 con Lc 13,33; 18,31-34; 19,28-24,53 (cfr. in particolare 24,18); At 4,27.
23 Cfr. Lc 2,48 con Lc 24,17 (cfr. Mc 16,6; Mt 28,5; Gv 20,15).
24 Cfr. Lc 2,44.45.48.49 con Lc 24,5 (cfr. Mc. 16,6; Mt 28,5; Gv 20,15).
25 Cfr. Lc 2,44.45 con Lc 24,5 (inoltre Mc 16,6; Mt 28,5: («Non è qui »).
26 Cfr. Lc 2,46 con Lc 24,21.27.46 (vedi ancora Lc 9,22; 18,33 e At 10,40).
27 Lc 2,46.49. Cfr. Gv 14,2; 20,17.
28 Lc 24,26.
29 Lc 9,51; 24,51; At 1,11.22.
30 At 2,33.
31 A. Serra, Maria a Cana e presso la Croce. Saggio di mariologia giovannea (Gv 2,1-12 e 19,25-27), Centro di Cultura Mariana «Madre della Chiesa», Roma 1978, PP. 7-75 (terza ristampa 1991, con aggiornamento bibliografico fino al 1990 alIe pp. 77-78). Anche la voce Bibbia, in Nuovo Dizionario di Mariologia, cit., pp. 274-284.
32 Maria a Cana e presso la Croce cit., terza ristampa 1991, pp. 79-122; voce Bibbia, in Nuovo Dizionario di Mariologia, cit., pp. 284-292.
33 A Serra, «Fecit mihi magna» (Lc 1,49a). Una formula comunitaria?, in Manianum 40(1978), pp. 305-343; oppure in E c'era la Madre di Gesù cit., pp. 188-224.
34 Gen 12,1-3.
35 Dt 34,10-12 nei Settanta.
36 Gen 50,20.
37 2Sam 7,21.25-26; 22,5 1.
38 1Re 1,37.47; cfr. 1Cron 29,25; 2Cron 1,1.
39 Ger 33 [cap. 40 nei Settanta],3.
40 Est 10,3f.
41 Gdt 15,8.10.
42 Lc 1,58; cfr 1,16-17.80.
43 A. Serra, Sapienza a contemplazione di Maria secondo Luca 2,19.51b, Marianum, Roma 1982, pp. 134-137; Idem, Maria secondo il Vangelo, cit., pp. 128-129.
44 Commento a Luca 1,3 (FL 165,365).
45 Sapienza e contemplazione cit., pp. 285-298; Maria secondo il Vangelo cit., pp. 129-131.
 

 

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