ETÁ PRENICENA
É il periodo storico che va dalla fine della predicazione apostolica al primo Concilio ecumenico celebrato a Nicea nel 325.
1. Maria nell'età prenicena É questa l'epoca che risente più direttamente dell'influsso della predicazione apostolica e che ricalca lo stile e i contenuti degli scritti neotestamentari. Pertanto, come la sacra Scrittura fa soltanto delle rare e brevi affermazioni a proposito della madre di Gesù, la stessa situazione si ripete negli scrittori cristiani di questo periodo. Tuttavia le allusioni alla Vergine santa sono sovente inserite in un contesto tale di professione simbolica, da apparire delle chiare ed esplicite testimonianze della fede e della dottrina tradizionale della Chiesa in quel tempo. Giova qui ricordare che la teologia cristiana ha iniziato a esprimersi con la cristologia; e precisamente con la preoccupazione della Chiesa primitiva di formulare una definizione cherigmatiga della persona del Salvatore e della sua missione sulla terra. Dapprima il punto focale dell'insegnamento cristologico della Chiesa consistette nel mistero della risurrezione del Signore. Ben presto però la Chiesa rivolse la sua attenzione anche agli eventi della nascita di Gesù; e se questo fatto inizia1mnte si verificò in misura ancora limitata, dobbiamo riconoscere che la scarsità dell'interesse riguarda le modalità storiche della sua nascita e non il mistero stesso della sua incarnazione, che da sempre appartiene all'oggetto principale del cherigma apostolico. Gli antichi cristiani ritenevano fuori dubbio sia l'origine divina della persona di Cristo sia il suo perfetto essere umano; ma ritenevano altresì che il suo agire sarebbe incomprensibile se ridotto a schemi di categorie puramente umane. La prima preoccupazione cristologica della Chiesa si riferiva alla questione delle relazioni tra natura umana e natura divina nel Cristo e tra questi, in quanto Figlio, e il Padre suo. Due tentativi di soluzione, diametralmente opposti l'un l'altro ma concordi nel negare i dati della rivelazione, apparvero ben presto all'orizzonte del pensiero teologico. La setta degli ebioniti, derivante da gruppi giudeo-cristiani, negò la divinità di Gesù e la sua nascita verginale, considerandolo quale semplice figlio naturale di Giuseppe e di Maria. Gli ebioniti però lo accettavano come messia e ne attendevano il ritorno glorioso: La soluzione opposta, quella dei doceti, negava invece l'umanità di Cristo, riducendola a mera apparenza. I doceti costituivano un gruppo particolare nel più vasto movimento religioso-culturale dello gnosticismo. Essi insegnavano che Gesù non ebbe un corpo reale; che solo in apparenza si mostrò nella carne, sofferse e morì sulla croce. In realtà egli era un essere del tutto spirituale; e perciò neppure la sua nascita da Maria fu reale. Egli passò attraverso lei senza prendere nulla dalla sua carne. Queste prime eresie cristologiche hanno offerto ai più antichi Padri della.Chiesa l'occasione di riaffermare con forza la verità su Gesù. Essi non fanno uso di ragionamenti teologici, ma ripropongono con un carisma tipicamente evangelico il messaggio che Cristo ha annunciato di se stesso. Questa dottrina: è ciò che costituisce il cherigma apostolico primitivo, nel quale si possono riconoscere le seguenti affermazioni cristologiche: - Gesù è nato verginalmente da Maria per opera dello Spirito Santo; - è morto ed è risorto; - è stato glorificato alla destra del Padre; - ritornerà alla fine dei tempi. Osserviamo dunque come la nascita verginale di Gesù da Maria facesse parte del cherigma centrale del cristianesimo primitivo. D'altra parte questo conferma come nei primi secoli non si conoscesse nella Chiesa nessun insegnamento mariologico separato da quello cristologico. La funzione svolta da Maria viene presentata come strettamente legata alla persona del Figlio suo.
2. Maria alla fine dell'era prenicena a) Il periodo che abbraccia la seconda metà del III secolo e i primi decenni del IV, più o meno fino al Concilio di Nicea (325), riveste un'importanza storica considerevole. In esso infatti si verificarono mutamenti radicali nell'Impero romano per quanto concerne la Chiesa cristiana che, da una condizione di illegalità e di perseguibilità, passò a uno stato di legittimazione che le consenti di dissipare a poco a poco quell'atmosfera di diffidenza, di sospetto e di ostilità in cui era tenuta dalla società civile. Ma la politica degli imperatori, dall'editto di Costantino in poi, se da una parte favorì il progressivo sopravvento del cristianesimo sulla religione pagana, dall'altra condusse la Chiesa a subire il fenomeno deteriore del cesaro-papismo che sovente si rivelò pesante non solo per ciò che si riferiva al governo pastorale della cristianità, ma anche nell'ambito del magistero ecclesiale. In questo scorcio di tempo l'attività teologica attraversò un periodo di stasi durante il quale anche la dottrina mariana conobbe sviluppi poco significativi, dei quali possediamo oggi testimonianze letterarie relativamente scarse. Con il sorgere dell'eresia ariana, la cristianità era stata investita da una grave crisi dottrinale che mise in discussione il dogma trinitario e le sue implicazioni cristologiche. Per conseguenza tutto lo sforzo di riflessione e di apologetica era indirizzato alla difesa dell'ortodossia contro le deviazioni ereticali di Ario e dei suoi seguaci, i cui influssi dilagarono un po' dappertutto tra le popolazioni dell'Impero romano, arrivando a contagiare anche delle popolazioni barbariche. Il tema dominante che si impose nel dibattito teologico di allora fu quello della consostanzialità del Verbo di Dio con il Padre, nell'eternità del mistero trinitario. Rispetto a questa verità centrale, la dottrina mariana rimase un po' nell'ombra e gli spunti che emergono dagli scritti di qualche autore sono pochi. b) Nell'Africa romana, Cipriano, vescovo di Cartagine e martire (m. 258), fu il primo autore che vide una connessione reciproca tra il testo di Gn 3,15 e quello di Is 7,14: «Sta scritto nel profeta Isaia: E il Signore parlò ancora ad Achaz dicendo: Chiedi per te un segno dal Signore tuo Dio Iassù in alto... Perciò il Signore stesso vi darà un segno: Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio e lo chiamerai Emmanuele; egli mangerà burro e miele; prima di conoscere e di far vedere il male, egli scambia il bene» (Is 7,1045). Dio aveva predetto che il seme destinato a schiacciare il capo del diavolo sarebbe provenuto da una donna. Nella Genesi si legge: "Porrò inimicizia tra te e la donna, tra il tuo seme e il suo. Esso ti schiaccerà il capo e tu vedrai il suo calcagno" (Gn 3,15)». Il poeta latino Giovenco, di origine spagnola, compose, verso il 330, un'opera poetica dal titolo Evangeliorum Libri, una specie di parafrasi in versi dei quattro vangeli. In essa l'autore ci propone, della Vergine santa, un'immagine sobria, delicata e suggestiva, che appare tuttavia come quella di una vera e propria protagonista accanto al Figlio, in quegli episodi evangelici nei quali viene menzionata. In oriente emerge la figura prestigiosa di Gregorio Taumaturgo (m. Ca. 270), che per cinque anni fu discepolo di Origene alla scuola di Cesarea di Palestina. A lui la tradizione attribuì a torto numerose omelie mariane pseudoepigrafiche. Gregorio di Nissa ne scrisse la biografia, dalla quale risulta che il Taumaturgo, fu il protagonista della prima apparizione mariana di cui abbiamo notizia nella storia della Chiesa.
Bibliografia GAMBERO L., Maria nel pensiero dei Padri della Chiesa, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1991, pp. 15-17 e pp. 94-97; HARNACK A., Lehrbuch der Dogmengeschzchte I Bd.,Friburgo i B. 1894; DELIUS W., Geschichte der Marienverehrung, Monaco-Basilea 1963; GIOVENCO, Libri delle Testimonianze 2, 9, PL 4, 704; CSEL 3, 1, 73. 2 1, 52-79, CSEL 24, 6-7; 1, 296-306, 18-19; 2, 135-138, 47; 2, 725-732, 74.
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