D'ANNUNZIO GABRIELE [1863-1938]
Ave, sorella
I Quando in terra a le soglie umili venne Gabriele (d’intorno anche fiorìa la terra al novel tempo?) udì la pia Donna, tremando, il rombo de le penne.
Ma quel Messo, in un dolce atto e solenne a l’Eletta parlò:- Bene ti sia; il Signore sia teco; ave, Maria. – E il fremito de l’alte ali contenne.
Non io vengo su alte ali recando divin messaggio. Ahi troppo io feci schiava l’anima e troppo il mio servire è antico!
Ma pur, tese le mani come quando ne la serena puerizia orava, io dolcemente - Ave, sorella - dico.
II
Ave dico. -Per quante volte il mite lume de li occhi suoi misericordi ne’ miei torbidi spiriti discordi ridusse in pace ogni più trista lite;
(deh come belli su da le ferite non anche chiuse i fiori de’ ricordi balzan fiammando! Tremano i precordi in gran dolcezza. O fiori, aulite, aulite!)
per quante volte a la soave nostra madre ella terse con man leniente le lacrime ch’io feci a lei versare;
per quante volte seppe addormentare ne le sue braccia il mio figliuol dolente, Ave dico, ave dico; e il cuor si prostra.
III
O sorella, felice sposa uscendo da la mia casa che di pianti suona, volgi la faccia sotto la corona tu lacrimosamente sorridendo.
Io muto dietro a te le braccia tendo, o mia sorella, o mia sorella buona; la man ben usa al gesto che perdona, la cara man che mi sanava io prendo.
Ti volgi tu, ne’ veli; e mi conforti porgendomi tra i fior la bianca fronte ove già luce il sogno de ‘l futuro.
Quindi varchi la soglia. E teco porti quel ch’era in me, sopra le glorie e l’onte, più sereno più giovine e più puro!
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