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  Myriam nelle opere di Sholem Asch (†1957) - 2° Parte 
GiudaismoDal libro di Mario Masini, Maria di Nazaret nel conflitto delle interpretazioni, Edizioni Messaggero, Padova 2005, pp. 250-263. 2° Parte pp. 257-263

 

Il racconto del parto di Myriam e della nascita di Gesù (126-144) è ancor più indecifrabile nei dettagli, e tuttavia ricco di significatività. Sulla falsariga del racconto lucano (Lc 2, 1-20) Asch descrive con molti particolari i fatti che conducono al rinvenimento del luogo ove avvenne la nascita di Gesù: è una stalla già occupata da tre pastori - nel corso del racconto essi finiscono per identificarsi con i tre Magi del Vangelo di Matteo -, i quali si ritraggono lasciando lasciando libero il luogo affinché «la madre possa dar compimento alle promesse del suo grembo», però non senza aver prima offerto «una mangiatoia affinché serva di culla per il bambino». Quando i pastori furono usciti, Myriam disse: «É di buon auspicio, Giuseppe, che i pastori siano venuti a benedire il bambino. I Patriarchi erano Pastori». E Giuseppe: «Hanno anche lasciato doni per il nostro bambino: alcuni cartocci di incenso, del profumo e questi cofanetti».

A questo punto la descrizione dell'Asch si sposta all'esterno per rilevare i segni di luce e di vita che si vengono manifestando. La notte si illumina di «una luce nuova, come se raggi madraperlacei si fossero intrecciati con l'atmosfera». I pastori che vegliavano il gregge nelle campagne «da parecchie ore venivano osservando gli insoliti raggi che scendevano dal cielo», ma erano «terrificati dalla constatazione che tutta l'oscillante lucentezza della Via Lattea era sospesa sopra Betlemme. Mai essi avevano visto la massa galattica emettere una luce tanto sfolgorante». «Poi anche il paesaggio cambiò aspetto. Una corrente di caldo spazzò l'atmosfera. La terra si liberò dal peso dell'inverno ed emise il soffio della primavera. E improvvisamente i pastori videro l'inverno trasformarsi in primavera. Allora udirono il silenzio rotto da un rumore morbido, che non capivano da dove provenisse. E videro delle scie bianche volteggiare nel cielo orientale, muovendosi in direzione di Betlemme. Poi i veli che nascondevano il cielo all'improvviso si apersero e lasciarono vedere la fiamma di fuoco che scendeva verso i pastori inginocchiati. In mezzo a questo fuoco stava un angelo, e una voce disse....» I tratti di questo racconto - la luce, il fuoco, la voce - nostrano che Asch narra la nascita di Gesù dandole come sfondo, sia pure in forma attenuata di molto, la rivelazione di Yhwh a Mosè (Es 3,1-6), la teofania del Sinai (Es 19,16-20). É il modo scelto dall'Asch per significare che egli ritiene la nascita di Gesù come un momento di rivelazione divina.

Il pensiero dell'Asch è ulteriormente chiarificato dal messaggio che l'angelo rivolge ai pastori: esso corrisponde a quanto si legge in Luca (2, 10-12), ma con una significativa variante: Il testo evangelico (v. 11) recita: «Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è Cristo Signore» = (Messia e Dio); secondo Asch, l'angelo dice: «vi è nato un salvatore che è il Messia». A quale Messia pensa Asch? Egli conclude la sua narrazione con le parole dei pastori, simili a quelle del racconto evangelico (v. 15): « Affrettiamoci ad andare a Betlemme per vedere con i nostri stessi occhi ciò che Dio ci ha fatto conoscere». Ma Asch omette di riferire quello che dice il Vangelo, cioè che i pastori andarono a Betlemme e di fatto «trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino» (v. 16). Ricordando la religione dell'autore, questa omissione è significativa, anche perchè il racconto dell'Asch sul Natale finisce su questa omissione. Infatti egli passa subito a narrare la persecuzione di Erode, per ordine del quale «dieci cavalieri entrarono come un fulmine a Betlemme» informandosi sui bambini nati in questa città «al tempo del censimento» di Quirino. Vennero a sapere che vi era «nato soltanto uno e che era sparito con i suoi genitori senza lasciare la minima traccia di sé» (160). Ancora una volta Gesù scompare dalla vista di Asch.

É ben vero che Asch colloca il parto di Maria e la nascita di Gesù nell'atmosfera di eventi celesti ai quali non è estranea la potenza divina, e tuttavia egli non insiste nel descriverli con la concretezza dei fatti accaduti nella storia: infatti essi sono affidati prevalentemente al messaggio dell'angelo del Natale. Si potrebbe dire che, al limite, la nascita di Gesù è un messaggio celeste, ma non per questo anche un evento compiutosi nel mondo e nella storia.

Invero, è tradizionale negli antichi scritti cristiani extracanonici astenersi dal descrivere la nascita di Gesù; tutti la lasciano velata nell'abbaglio della luce. I vangeli apocrifi, che pur intrecciano attorno al testo evangelico molteplici arabeschi - talvolta frutto della fantasia, talaltra recupero di memorie omesse dagli scritti canonici - si arrestano anch'essi di fronte al mistero e utilizzano il simbolo della luce per velare il fatto della nascita di Gesù e nel contempo per svelare il mistero di colui che nasce. La Natività di Myriam del Pairo Bodmer V racconta così la nascita di Gesù: «Una nube oscura copriva la grotta. E subito la nube iniziò a ritirarsi dalla grotta; e apparve una luce grande nella grotta, tanto che gli occhi non la potevano reggere. E poco dopo anche quella luce prese a ritirarsi, fino a quando apparve un bambino: venne e prese il seno di sua Madre Maria»146. Lo stesso tipo di narrazione si presenta con varianti soltanto lievi, nel Protovangelo di Giacomo: «Una nube splendente copriva la grotta. E subito la nube si ritrasse dalla grotta, e nella grotta apparve una gran luce che gli occhi non potevano sopportare. Poco dopo quella luce andò dileguandosifino a che apparve il bambino: venne e prese la poppa di sua madre»146.

Neppure gli evangelisti descrivono in qual modo siamo avvenuti il parto di Maria e la nascita di Gesù, così come nessuno di essi narra come sia compiuta la risurrezione di Gesù. Gli evangelisti sono rispettosi del mistero, e perciò lasciano il mistero dentro il suo alone di luce: infatti ciò che ci rende inaccessibile il mistero non è la sua oscurità, ma l'eccesso abbagliante della sua luce. E tuttavia il Vangelo si esprime spesso con termini che nella loro essenzialità valgono più di una lunga narrazione in quanto riescono a condensare la concretezza e la luce del mistero. Uno di questi termini è quello utilizzato sia da Matteo sia da Luca per significare la maternità di Maria: è il verbo greco τικείν (Tiktein), il quale significa propriamente il generare mediante parto, il partorire. L'evangelista Giovanni (16,21) lo adopera in riferimento alla gioia ma anche al travaglio della donna nel normale partorire. Nel Vangelo di Matteo (1,21.25) questo verbo è adoperato dall'angelo - portatore celeste del messaggio di Dio, così come il profeta ne è il portatore umano - per annunciare a Giuseppe: «Maria, tua sposa, partorirà un figlio»; è utilizzato anche dall'evangelista per affermare che, di fatto, «Maria partorì un figlio».

Ancora più ampio e significativo l'utilizzo del verbo τικείν (Tiktein)  da parte di Luca, che non inutilmente Paolo (Col 4,14) qualifica come "medico". Rivolgendosi ai pastori, l'angelo del Natale dice loro, secondo il testo greco (Lc 2,11): «Vi annuncio un vangelo (ευαγγελίζεσθαι) di grande gioia». Questo verbo di gioia è condensato dall'angelo nel verbo τικείν. La versione italiana lo rende con «è nato», ma il testo greco nella sua letterarietà recita: «è stato partorito». La parola dell'angelo non lascia spazio alla possibilità di pensare che il bimbo nato possa venir considerato come un essere divino preesistente che ha assunto all'improvviso parvenze umane, come narrano gli avatara della religione induista. In essi non si narra di persone umane, fisicamente nate da donna, come invece Paolo afferma scrivendo che Gesù «è nato da donna» (gal 4,4). Secondo il Vangelo, infatti, il neonato è frutto di una gestazione protrattasi nel tempo e della quale sono ormai «compiuti i giorni» (Lc 2,6). E per indicare la fattuale conclusione di essa il testo evangelico adopera per due volte (vv. 6.7) il verbo greco τικείν. Immettendosi in questi precedenti storico-teologici l'angelo del Natale dice: «Oggi è nato partorito" a voi [...] Cristo-Signore» (v. 11). Del resto anche l'angelo Gabriele aveva annunciato a Myriam non soltanto una gravidanza ma anche un parto, anch'egli adoperando il verbo τικείν  (Lc 1,31)147. Nella narrazione che l'Asch fa della nascita di Gesù non si riscontra altrettanta concretezza.

Al pari degli altri scrittori giudaici, l'Asch non prosegue il racconto della vicenda terrena di Myriam fino al tempo della sua presenza nella Chiesa (At 1,14); e tuttavia non conclude la narrazione con il Venerdì Santo, ma la protrae fino al giorno di Pasqua, e in questo modo trova la possibilità di proporre una presenza di Myriam, che oltrepassa quanto dicono gli stessi vangeli.  La vicenda utilizzata dall'Asch è quella della visita delle donne al sepolcro di Gesù nel mattino di Pasqua riferita dai Vangeli sinottici e in particolare da quello secondo Giovanni (c. 20). Le parole di Maria di Magdala la quale dice di aver visto il sepolcro aperto ma di non avervi trovato il cadavere di Gesù innescano una discussione in cui Pietro, Giovanni e Maria danno una propria interpretazione della risurrezione. Secondo Myriam, Gesù si è «già rivelato a coloro che avevano maggior bisogno di lui, cioè agli umili». Secondo Giovanni è inutile aspettare che Gesù si renda nuovamente presente perchè «il Maestro è presente in noi». Secondo Pietro, Gesù deve ritornare perchè «egli è il buon Pastore che deve guidare il suo gregge ai pascoli verdeggianti». L'espressione con cui Myriam afferma che spetta a Pietro mostrare ai seguaci di Gesù il cammino da seguire, mette Pietro in grave imbarazzo e induce al silenzio «i discepoli e i fratelli di Yeshuah», i quali sentivano «svanire quel poco di speranza che era loro rimasto». É in questa situazione che, «all'improvviso, il corpo di Maria ha un fremito e i suoi occhi si volgono a un punto dello spazio». I presenti vedono Myriam dapprima impallidire, poi sospirare, poi sorridere, poi piangere. Infine Myriam «sorridendo, dolcemente, teneramente, familiarmente, disse: Tinoki! Tinoki!». All'udire queste parole «i discepoli si volsero all'indietro ed ecco che stava davanti a loro, tutto bianco, Colui al quale stavano pensando. [...] E udirono la ben nota voce dire loro: Šalom, alei'hem! Pace a voi!» (Gv 21,36) (532).

Su questo incontro terreno/celeste con il Figlio si conclude quanto l'Asch dice di Myriam sul filo di un racconto che è un romanzo guidato dall'intenzione di significare un modo di riconoscere la verità di Maria.
 

NOTE
146 L'infanzia di Maria nel più antico testo cristiano, XXXVIII, 5 - XXXIX, 4, Oscar Mondadori, Milano 1992, pp. 77-78. Il testo originale si trova a Ginevra; qui è citata l'edizione curata da L. Moraldi.
146 Protovangelo di Giacomo, 19, 2, in Apocrifi nel Nuovo Testamento/1, Utet, Torino 1994, p. 136.
147 Quello che il vangelo afferma senza dettagliare è stato descritto da santa Brigida (nata in Svezia nel 1303 e morta a Roma nel 1373), qualificata come la "mistica del Nord" europeo. In una delle sue "visioni" ella descrive (cosa del tutto inusitata) il parto di Maria e la nascita di Gesù. Brigida si esprime con molta discrezione e infinita delicatezza ma riferisce con vigoroso realismo e molteplicità di dettagli quello che altri, evangelisti compresi, non hanno osato descrivere. Davvero l'ardire dei mistici non conosce frontiere. Cf. Revelaciones, libro VII, cc. XXI-XXIII (a cura di B. Gergh), ed. Almqvist & Wirksell, Uppsala 1967, pp. 187-190. Testo anche in The Liber Celestis, VII, 21.22.23, a cura di R. Ellis, Oxford 1987. Scelta e tr. it. di A. Mancini, Le celesti rivelazioni, Edizioni Paoline, Milano 1960, pp. 143-144 (ed. anche in italiano). Il testo di Brigida di Svezia può essere letto anche in M. Masini, Natale. Racconto, memoria, poesia, Città Nuova, Roma 1998, pp. 76s; Id., Natale. Quello che il Vangelo non dice, Messaggero, Padova 1997, pp. 147-152.

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Inserito Venerdi 7 Maggio 2010, alle ore 10:07:18 da latheotokos
 
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