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TEODORO II DUKAS LASCARIS



Imperatore, uno dei più importanti cultori della teologia bizantina del XIII Secolo.

1. Cenni biografici ed opere
a) Nacque a Nicea nel 1222 e precisamente nel giorno stesso in cui suo padre, Giovanni III Dukas Vatatzes, succedeva al cognato Teodoro I Laskaris nella guida dell'Impero di Nicea. Teodoro ricevette un'ottima educazione con l'aiuto di eccellenti maestri quali Niceforo Blemmides e Giorgio Acropolita, che gli insegnarono le discipline letterarie, filosofiche e teologiche. Divenne non solo un bravo studioso, ma anche un uomo d'azione e lo dimostrô quando, ancora giovane, fu costretto ad occuparsi di affari di stato al posto del padre, indebolito dall'epilessia, morbo che egli stesso ereditò fin dalla nascita e che dovette portare con sé come un peso gravoso per tutta la vita. Nel 1254 succedette al padre nel governo dell'impero. Durante i quattro anni di regno risolse difficili problemi di natura militare e diplomatica con i Bulgari, gli Epiroti e i Selgiuchidi del sultanato di Iconio. Nel 1258 abdicô in favore del figlio Giovanni IV e si ritirò come monaco in monastero. Morì l'anno successivo a soli 36 anni di età.
b) Lasciô numerose e notevoli opere di carattere letterario, filosofico, teologico e politico, composte in gran parte prima del suo breve regno. Di lui si conserva anche una copiosa raccolta di lettere, utili ed importanti per la storia della teologia del suo tempo e per la cronologia dei suoi scritti, molti dei quali sono stati da lui stesso datati. Ha composto una decina di trattati teologici, tra i quali si annovera il suo capolavoro che è la Teologia cristiana, in otto libri. Dei soggetti investigati ricordiamo quelli sulla processione dello Spirito Santo, in polemica con la teologia latina, sui nomi divini, sulla Trinità. Ha composto trattati anche su questioni morali, ma più in forma di esercitazioni retoriche che non di approfondimenti e di esposizioni teologiche.

2. Scritti e pensiero a carattere mariano
Tra gli scritti di contenuto mariano si collocano: un encomio per la festa dell'Acatisto, tuttora inedito, nel quale manifesta la sua incontenibile esultanza e gratitudine alla Vergine per l'incessante protezione accordata all'Impero bizantino, da lei protetto e ripetutamente liberato dalle invasioni nemiche. Tra i canoni dedicati alla Vergine, uno denominato il Grande canone paracletico alla Madre di Dio è stato inserito nel libro liturgico bizantino dell'Horologion. Nei suoi canoni mariani l'imperatore riconosce il soccorso che ha ricevuto da Maria nella sua esistenza travagliata dall'infermità e da tanti problemi, e non cessa di invocarla con umiltà e fiducia, affinché intervenga sempre in suo aiuto, sia nella vita spirituale che in quella materiale. I suoi sentimenti verso la Madre di Dio sembrano condizionati da un certo senso di pessimismo e di sconforto, forse prodotto dalla consapevolezza delle sue vicende personali, alias dalla sua fragile salute che acuiva il bisogno di un aiuto dal cielo. Pertanto il suo pensiero mariano esprime un carattere molto personale, intimo, egocentrico, a volte persino melodrammatico quando descrive la sua situazione esistenziale sulla quale invoca gli interventi della Vergine.

3. Implorazione d'aiuto dalla Madre di Dio
Nel Grande canone paracletico, cosiddetto per una certa lunghezza delle sue strofe, Teodoro proclama fin dalle prime battute di sentirsi debitore verso la Vergine santa per quello che ella ha fatto in suo favore nei momenti difficili della sua vita; e per questo non cessa di rivolgerle la sua lode incondizionata e il suo ringraziamento. Nello stesso tempo avverte un bisogno intenso di rinnovare la sua fiducia in lei e di continuare a far conto del suo aiuto: «La bufera dei malanni continua a sconvolgere la mia mente, gli sciami delle ambasce ottenebrano il mio cuore; tu però che hai messo al mondo la Luce vera, quella eterna, fa' splendere sopra di me la luce della consolazione. Con onnipotente energia, o pura, tu mi hai liberato da innumerevoli angustie, da condizioni avverse, dalle sventure dell'esistenza; perciò a te elevo inni e canti per l'immensa compassione e per l'aiuto che mi hai offerto». La chiama «avvocata», perché con la sua preghiera ella ottiene dal Figlio suo ciò di cui egli ha urgente bisogno in uno stato di estrema necessità che gli causa sconforto e pessimismo. Proprio per questo si rivolge a lei con insistenza: «Privo di tutto, t'invoco in pianto: o Avvocata porgi sollecitamente aiuto al tuo servitore infelice che implora ardentemente la tua protezione. I tuoi benefici e le tue grazie sono per me meravigliosi, o mia Signora; per questo celebro, esalto e canto inni alla tua premura immensamente grande. Su di me infuria l'uragano dei mali; i marosi delle avversità stanno per sommergermi; ma tu, o Madre, stendi la tua mano premurosa, perché tu sei la mia difesa, il mio affettuoso soccorso. O Madre di Dio, o Signora, io riconosco che tu hai sradicato il potere della morte e hai dato la Vita; hai distrutto l'inferno chiamando alla vita chi era destinato alla terra». Sua convinzione è che non vi sia un rifugio più sicuro, più affidabile e più disponibile della Madre di Dio, per cui non occorre cercare altrove quello che solo lei può garantire: «Presso quali altri potrò rifugiarmi; dove mi dirigerò per trovare salvezza, o purissima? Quale abitacolo mi aprirà le porte; quale amico mi offrirà riparo e protezione; chi nelle prove verrà in mio soccorso? Io spero e confido soltanto in te; di te sola mi glorio e fiducioso ricorro con amore solo a te». La conclusione del Grande canone paracletico si snoda in un contesto di gioia, di speranza e di certezza che invita a rivolgere la propria preghiera alla Madre di Dio. Ella infatti «può tutto», in virtù del ruolo che il Signore le ha assegnato nella storia della salvezza: «Non disdegnare né disprezzare, o benigna, il lamento, le lacrime, e i gemiti miei. Piuttosto accoglimi e porta a compimento i miei desideri. Tu infatti puoi tutto, perché sei la Madre del Signore onnipotente e sovrano; perciò rivolgi il tuo sguardo propizio alla mia così infelice povertà». Ed è la povertà estrema a spingere l'essere umano verso la Vergine, nella quale è riconoscibile la ricchezza della grazia divina consegnata quasi per gestione alle sue cure materne. Può sembrare che Teodoro se ne renda tanto più conto, quanto più le sue vicende personali di salute e le difficoltà obiettive nella conduzione degli affari di governo gli provocano stati d'animo angosciosi, marcati da insicurezza e timore per la cui soluzione egli trova che solo la Madre del Signore possa offrirgli rimedi validi e speranze certe per il futuro. Oppure si ha a che fare con semplici frasi fatte, attinte dal linguaggio religioso comune e liturgico, che esprimono pensieri e sentimenti suggeriti da esigenze retoriche? Non è facile rispondere a tale interrogativo. Viste la sicurezza e le capacità di governo con cui è riuscito a gestire alcune situazioni di crisi politica e militare, nasce il sospetto che egli alzi un po' troppo i toni sulle sue pretese difficoltà personali, le sue gravi esitazioni e le sue paure, che lo avrebbero spinto a ricorrere con accenti drammatici alla Madre del Signore. Comunque il suo frasario è ben costruito e avvincente, anche se qualche dubbio rimane sulla sincerità che dovrebbe ispirarlo.

4. Rallegrati!
Nel Canone alla Madre di Dio, pubblicato da Eustratiades, il tono e i contenuti suonano diversamente da quelli del Grande canone paracletico. La struttura metrica dell'intero canone e quella dei chairetismoi, con cui l'autore sollecita la Vergine a rallegrarsi per le cose meravigliose che il Signore Dio ha operato nella persona di lei, per le funzioni a lei affidate nella storia della salvezza a favore degli uomini. Lo si vede già nelle prime battute: «Rallegrati, prezzo di riscatto delle anime, Vergine Madre che hai messo al mondo la gioia; rallegrati, o Regina; rallegrati, tempio di Cristo; rallegrati, o santissima; rallegrati, difesa e fortezza delle anime. Rallegrati, primizia della felicità; rallegrati, o Signora, che hai cancellato la maledizione; rallegrati, o sposa di Dio; rallegrati, o nube splendente di Cristo; rallegrati, verga divina che spezza il tormento delle passioni». Nell'intero canone, le otto odi che lo compongono sono modellate in forma di apostrofe, con cui il discorso è indirizzato direttamente alla Madre di Dio, per invitarla a rallegrarsi; e solo alla fine di ogni ode si ha una breve strofa in forma deprecatoria, nella quale Teodoro presenta una richiesta di grazia, di protezione o di aiuto soprattutto nelle necessità e nei percoli della vita spirituale. Si legge nella prima ode: «Donami una fonte di lacrime e l'umiltà del cuore, o Madre di Dio; (dammi) una vita irreprensibile, o tu che sei senza macchia, affinché possa celebrare la grandezza della tua misericordia». Nelle odi successive invoca dalla Vergine forza e sicurezza contro i nemici dell'anima, ossia le passioni, le tentazioni e i demoni che cercano di allontanarlo dalla pratica dei comandamenti di Dio. Sente che la sua preghiera ha un certo diritto di essere esaudita, perché Teodoro si considera un servitore della Madre di Dio, alla quale si è donato totalmente: «Io che sono tuo servo corro sempre da te, o benigna. In te sola, o lodatissima, io posseggo una sicura ancora di salvezza in mezzo alle difficoltà... A te ho affidato lo spirito, l'anima e la debole carne gridando: Madre di Dio, rifugio e potente aiuto, liberami, o benedetta, dall'ignoranza, dalla pigrizia e dalla smemoratezza». Il canone è quindi imbastito su un intreccio di prevalenti motivi encomiastici che enfatizzano le grandezze della Madre di Dio e di pressanti invocazioni a lei rivolte da Teodoro per ottenere misericordia e protezione.

5. Simbolismo mariano
Il Canone alla Madre di Dio, incluso da Nicodemo Agiorita nel suo Theotokarion, presenta le otto odi interamente composte da chairetismoi, aggiungendo anche il kathisma (recitato da seduti) tra la sesta e la settima ode, secondo lo schema usuale del canone, mentre nei due canoni precedenti il kathisma era assente. Questo canone si fa subito notare per l'abbondante simbolismo biblico diluito in tutte le sue strofe. Alcune metafore e figure attinte dalla Scrittura non costituiscono una novità: sono ben note in tutta la tradizione mariana della Chiesa, sia in Oriente che in Occidente. Dove il Laskaris si rivela più originale, sono le strofe in cui inserisce immagini mutuate dalla realtà della sua vita e del suo mondo e suggerite dalle circostanze quotidiane che deve sperimentare o affrontare. Per limitarci a questo secondo tipo di simbolismo, possiamo dare alcuni esempi più originali e significativi di immagini contenute nel presente canone con le quali Teodoro qualifica la Madre di Dio: esperta della gioia, vivente lettiga, giglio dal dolce aroma, vigneto fruttifero, inespugnabile fortezza, gaudio seducente, stupendo spettacolo per gli angeli, mistica pinza, vigna non potata, rifugio non toccato dai marosi, ricupero dei caduti, ulivo fiorito, compimento della legge, letizia divina, abisso insondabile, santa causa di tutti i beni, gioiello puro, porto sereno, rifugio di pace, consolazione degli afflitti, vanto dei monaci santi, sostegno del mondo, stella che non tramonta, conchiglia purpurea, buon profumo dei credenti, muraglia imprendibile, tesoro dei poveri, ricchezza degli indigenti, cibo degli affamati, rifugio degli ammalati, sommità indicibile, mistero incantevole, vanto dell'universo, propiziazione del mondo, soave delizia della lingua dei credenti. La fantasia poetica del Laskaris sembra non avere limiti nel ricorrere ad immagini ed espressioni derivanti nella maggior parte dei casi dal linguaggio familiare. In una forma talvolta icastica e talvolta pittoresca, esse riescono a dipingere la figura eccelsa della Madre di Dio con tratti e sfumature tali che, anche nella sua grandezza unica, appare pur sempre una creatura, sia pure particolarmente amata da Dio. Però si deve riconoscere che il Laskaris, nell'usare in gran numero questi vocaboli poetici o espressioni simboliche, appare sovente ripetitivo e neppur sempre a lunga distanza.

Bibliografia

GAMBERO L., Fede e devozione mariana nell'impero bizantino. Dal periodo post-patristico alla caduta dell'Impero, San Paolo, Cinisello Balsamo 2012, pp. 272-281; Patrologia Graeca (PG) vol. 140, 764-780; AA. VV., Anthologion, vol. IV, Lipa Roma 1968, pp. 1162-1175; GUILLAUME D., Theotokarion, Parma 1996; AA. VV., Testi Mariani del secondo millennio, Vol. 1 Secoli XI-XV , Città Nuova, Roma 2005, pp. 308-318.






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