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OTTOCENTO


1. La temperie culturale dell'Ottocento
a) Dopo l'accentuazione culturale dell'immaginazione nel Seicento barocco e della ragione nel Settecento illuminista, emerge nell'Ottocento «l'avvento del regno dell'uomo del sentimento». Non si tratta di una condizione psicologia pacifica, in quanto il romanticismo non solo si oppone agli orizzonti intellettuali dell'illuminismo e dell'idea1ismo, ma penetra nell'ethos spirituale dell'uomo come dissidio interiore, lacerazione del sentimento, che aspira all'infinito e non risulta mai appagato. Mentre G. W. Friedrich Hegel (1770-1831) stabilisce come principio basilare della sua filosofia: «Tutto ciò che razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale», che implica l'abbandono della categoria dell'amore per assumere quella della ragione,  Ludwig Feuerbach (1804-1872) scorge nell' amore il significato fondamentale dell'esistenza e il costitutivo dell'essere: «Mentre la vecchia filosofia diceva: ciò che non è pensato non esiste; la nuova filosofia dice invece: ciò che non è amato, che non può essere amato, non esiste. (...) Ma non solo oggettivamente, anche  soggettivamente l'amore è criterio di esistenza - criterio di verità e realtà. Dove non è amore non è neanche verità. Ed è qualche cosa soltanto colui che ama qualche cosa - non essere niente e non amare è la stessa cosa. Quanto più uno è, tanto più ama e viceversa». Da parte sua Friedrich Schleiermacher (1768-1834), nei suoi Discorsi sulla religione (1799), oppone all'assolutismo hegeliano della razionalità l'importanza del sentimento come via per raggiungere l'Assoluto e insiste sulla risposta affettiva del soggetto di fronte all'intuizione dell'Eterno. La religione è un'esperienza, un'interiorizzazione dell'Infinito nel finito. Sul versante del romanticismo René de Chateaubriand (1768-1848) pubblica l'opera Le génie du christianisme (1802), vera sveglia del sentimento religioso. Di fronte al diffuso pregiudizio che considera il cristianesimo come un culto barbaro e perciò nemico della ragione e dell'arte, l'autore mostra che la religione cristiana è fra tutte «la più poetica, la più umana, la più favorevole alla libertà, alle arti e alle lettere». Con questa ed altre sue opere Chateaubriand ravviva in Francia e in Europa l'entusiasmo per la bellezza del cristianesimo e per i suoi vantaggi nella società. Tutto questo produce nell'Ottocento un cambiamento di atmosfera generale, una cesura con svolta emotiva rispetto al secolo precedente: recede un cristianesimo austero di tipo giansenista a vantaggio di una pietà più sentimentale, festosa, familiare e soprattutto più mariana.
b) E in realtà il romanticismo lascia il suo sigillo sulle espressioni letterarie mariane del periodo. Perle di valore sono quelle dei poeti dell'Ottocento, a cominciare da quella offerta da W. Goethe (1749-1832), che non voleva essere considerato romantico, nel suo Faust. Altamente intrisa di sentimento e la préghiera che Margherita rivolge a Maria: «Oh inchina, del dolore regina, benigno il viso tuo sul mio soffrire!». Il secondo Faust si conclude «con la comparsa della Madonna in una trasfigurazione altamente romantica non rintracciabile in nessun'altra opera del tempo». Similmente Giosuè Carducci (1835-1907) rivela lo spirito romantico nello stupendo finale de La chiesa di Polenta, contestualizzando il saluto a Maria in un orizzonte di felicità estetica, di silenzio cosmico e di oblio del passato, mentre la commozione diventa irrefrenabile: «Ave Maria! Quando su l'aure - corre l'umil saluto, - i piccioli mortali scovrono il capo, - curvano la fronte Dante ed Aroldo. - Una di flauti lenta melodia - passa invisibil fra la terra e il cielo: spiriti forse che furon, che sono e che saranno? - Un oblio lene de la faticosa vita, - un pensoso sospirar quiete, - una soave volontà di pianto l'anima invade. - Taccion le fiere e gli uomini e le cose,  - roseo '1 tramonto ne l'azzurro sfuma, - mormoran gli alti vertici ondeggianti - Ave Maria». Occorre appurare fino a qual punto il rigurgito del sentimento in opposizione al!a pura razionalità eserciterà un influsso sulla mariologia e sul culto mariano del periodo.

2. Il sentimento nella mariologia dell'Ottocento
a) Stranamente nessuna accentuazione del sentimento si trova in genere nei teologi e nei mariologi dell'Ottocento, che con Ludovico da Castelplanio, autore della possente opera Maria nel consiglio dell'Eterno ovvero la Vergine predestinata alla missione medesima con Gesù Cristo (4 volumi per un totale di 1887 pagine), si propongono di seguire la filosofia scolastica e «di dare unità scientifica alla scienza della Vergine». La figura di Maria, sotto l'influsso della cultura del privilegio, ereditata dall'Ancien régime, tende ad isolare Maria sul piano della grandezza e della santità immacolata, piuttosto che su quello della bontà, come faceva il Nouveau recueil de cantiques (Rennes 1851), che si compiace d'invocare Maria «la buona Madre, la Madre sempre tenera». Se per Francesco De Paola la Madre di Dio è «la persona più nobile, ed elevata di quante mai vi siano state, e vi siano, in Cielo ed in Terra», per Ludovico da Castelplanio «la Vergine Maria è una specialità, e una singolarità; costituisce il principio di un ordine nuovo; e la missione di lei non fu data a chicchessia, né ad altri dopo di lei si darà mai». L'entusiastica accoglienza della definizione dell'Immacolata Concezione nelle nazioni cattoliche mostra la sintonia di essa con il sensus fidelium e anche con la cultura corrente favorevole al privilegio. Ne consegue la singolarità ed unicità della Vergine in rapporto a tutte le altre donne: «Ora Maria, tuttoché donna verace, non è già una donna ordinaria, e comune, ma è una donna privilegiata, miracolosa; nuova affatto pel suo immacolato concepimento, per l'abbondanza delle sue grazie, per la santità della sua vita, per l'altezza della sua dignità; e una donna singolare affatto, ed unica fra tutte le donne, Singulariter sum ego (Ps 140)».
b) Un caso particolare è rappresentato dal celebre predicatore teatino Gioacchino Ventura che, da una parte, «apre la moderna letteratura mariologica sulla maternità spirituale» e quindi accoglie il sentimento filiale nel culto di Maria e, dall'altra, giunge ad una disumanizzazione della Madre nei rapporti con il Figlio, proprio sul Calvario. Ventura intende superare una visione naturalistica della Vergine, «Giacché si attribuiscono a Maria a pie della croce sentimenti ed affetti che, se sono assai naturali a supporsi nel cuore di una madre, che vede sotto i propri occhi spirare fra gli strazi più atroci il proprio figliuolo, non sono però conformi al ministero sublime che Maria sosteneva sul Calvario di Corredentrice del mondo». La situazione paradossale della «Corredentrice del mondo» contempla la presenza del due amori per il Figlio e per gli uomini, che «lottano insieme come i due gemelli lottavano nel seno di Rebecca: collidebantur in utero parvuli». Trionfa l'arnore per gli uomini, tanto che Maria rivolge al Padre queste parole: «Voi lo condannate, anche io lo condanno. Si, muoia il mio Figlio sopra la croce; vi rimanga pure per voler vostro confitto finché vi esali l'ultimo spirito, purché voi siate soddisfatto ed ubbidito, e gli uomini salvi: Crucifige, crucifige eum». Questa interpretazione stoica e disumana di Maria di fronte alla morte del Figlio ritorna con dose maggiorata nell'arcivescovo di Ban, Michele Basilio Clary (1778-1858), che pone sulle labbra di Maria un linguaggio ai limiti della crudeltà, decisa com'è ad immolare lei stessa il Figlio al posto dei carnefici: «Se per la Redenzione del mondo, per la salute dell'uomo richiedesi, che la mia mano si armi di ferale istrumento per immolarlo; io, io stessa compirò il Sacrificio, io stessa trafiggerò la vittima del peccato». Maria è vista come la donna forte, immobile ai piedi della croce: «più che duro scoglio inflessibile in mar burrascoso ne sostenne sempre la piena, la frenò, respinse».

3. Il sentimento nel culto mariano ottocentesco
a) Nell'Ottocento, quanti discorrono del culto di Maria nella Chiesa cattolica si compiacciono generalmente d'insistere sul suo carattere affettivo e filiale, prendendo di mira i protestanti e talvolta anche i rivoluzionari, che hanno condotto una «guerra feroce» al culto di Maria. Valga per tutti l'arringa di M. Schiaffino: «Perché nascondere fatti che avremmo creduti impossibili ad accadere in città cattoliche ed italiane? Non furono contaminate da mani infami le immagini della castissima Madre? Non furono per sacrilegio nefando spezzati i simulacri di Lei, posti dall'avita pietà lungo le nostre strade ( ... ). E vi fu peggio ancora: non solo coi fatti si attentò all'onor di Maria, ma con la licenza fescennina della stampa si versò a piene mani il disprezzo sopra di Lei, sopra i suoi devoti ottenebrando le menti di funestissimi errori». Nel fare spazio al sentimento nel culto in genere e in quello di Maria in particolare si distingue il citato Gioacchino Ventura, per il quale I'affetto filiale per la Vergine proviene dalia fede e nello stesso tempo è «una specie d'istinto religioso, un moto indeliberato, un bisogno del cuore»: «Questo sentimento innato di tenerezza figliale (sic) per Maria ha la sua radice nella vera fede; é uno dei frutti ch'essa produce, dei sentimenti ch'essa ispira: e dacché il Figlio di Dio non ha dato che il suo vero discepolo diletto, il vero fedele, per figlio a Maria, costui solamente ha di questa figliolanza il sentimento, e ne compie i doveri». Dunque per Ventura «la ragione di quell'amore universale, si costante, si tenero e industrioso della vera Chiesa verso Maria» è la scena del Calvario, dove Cristo «ha costituito la Chiesa figlia di Maria, ed ha dato ai membri di questa Chiesa, insieme col titolo, il cuore ancora di figliuoli di Maria ed il sentimento profondo ed indelebile di questa figliolanza, come a Maria diede quello della maternità». Anzi Si può dire che Cristo stesso trasferisce nei suoi veri discepoli «la stessa tenerezza figliale» che egli ha per Maria. Ne consegue una differenza notevole tra l'atteggiamento dei cattolici e quello dei protestanti, i quali non partecipando ai sentimenti e affetti di Cristo per la Madre, «non sentono essi perciò nulla di tenero, di dolce, di affettuoso per Maria. Il loro cuore è per lei freddo ed indifferente: Essa è per loro donna, e non madre. Se hanno alcun sentimento di stima per la Gran Donna, non hanno alcun movimento di dilezione per la Madre amorosa. Se la venerano, se la onorano, al loro modo, questo culto è tutto di mente e di ragione, ma non di cuore e di sentimento; e un culto di stima, di opinione, che non risveglia alcun affetto; un culto arido e freddo, un culto insomma che non è culto: giacche una pratica qualunque di religione, a cui è straniero il cuore, è un omaggio sterile, filosofico, astratto della mente; ed un tale omaggio esce dalla sfera degli atti di religione, e di culto non merita nemmeno il nome». Ventura può concludere che «l'invocazione e il culto di Maria è segno di vera religione».
b) In Inghilterra troviamo due oratoriani, convertiti dall'anglicanesimo, Frederick Wilhelm Faber (1814-1863) e John Henry Newman (1801-1890), con posizioni non univoche circa il sentimento nel culto di Maria. Faber, nelle sue opere teologiche e ascetiche, mostra grande interesse e amore per la Madre di Dio. Nell'opera All for Jesus (1853) parla di certe persone che si chiedono «fin dove deve arrivare la loro divozione alla santissima Vergine e il limite a cui si deve fermare il loro amore». Quando si risponde o che la loro divozione non sarà mai troppa; che, presa come conviene, non è possibile spingerla all'eccesso e che finalmente non si mette nessun limite a il loro amore, esse considerano questi sentimenti come «una pia esagerazione». A meno che si rimandi all'amore stesso di Gesù per sua Madre: «Voi dovete amare Maria quanto l'amò Gesù». L'autore è convinto che il culto di Maria fa parte del culto di Gesù, altrimenti «tutte le volte che noi rendiamo qualche omaggio alla Madre, noi rubiamo al Figlio qualche cosa la quale sappiamo che gli appartiene; il che è sacrilegio». Per lui «la divozione a Maria può essere riprensibile in quanto alla sua natura, ma non mai in quanto al grado di fervore che vi si può mettere». L'autore può concludere: «Oh, per amore di Dio, noi dobbiamo imparare ad amare di più Maria. Bisogna che questa divozione cresca in noi come la grazia; che si fortifichi come l'abitudine della virtù; che aumenti ogni giorno in fervore e tenerezza, fino all'ora in cui Maria verrà ad aiutarci a morire e a subire senza timore il terribile giudizio». Tale tenera e fiduciosa pietà di tipo alfonsiano non risponde totalmente al gusto di J. H. Newman, che nell'opera Sviluppo della dottrina cristiana (1845), osserva che «il tono» della devozione tributata alla Vergine Maria («pieno di affetto e di ardore... di compassione e di affetto... commovente e vivace») è «del tutto diverso» dal culto reso alla Trinità e a Cristo («linguaggio ineffabile, maestoso, solenne e pacificatore»). Newman opta per la classica riservatezza inglese nelle manifestazioni del culto verso Maria e si sente a disagio di fronte alle «italianate» introdotte da Faber. Nella nota Letter to the Rev. E. Pusey (1865), difende il culto reso a Maria come fondato oggettivamente su dati sicuri, anche se non si può negare che «in alcuni luoghi è caduto in abusi, ed e divenuto anche superstizione; perché lo stesso processo che porta a maturità, conduce anche alla decadenza». Newman distingue la devozione «sana» verso la beata Vergine da quella «artificiale». Prima ancora egli distingue la fede dalla devozione, nella quale troviamo le espressioni popolari di affetto, legittime poiché la persona umana non è solo intelletto e la religione non è solo un processo intellettuale. Particolare attenzione merita il beato Bartolo Longo (18411926), che si rivolge al popolo esercitando su di esso un influsso formativo mediante opuscoli di grande successo. Egli si dedica all'elaborazione di una spiritualità mariana, diretta soprattutto alle classi più abbandonate. La vibrazione del sentimento è una qualità della preghiera popolare, che si attua di fronte a Maria, persona attualmente viva, attiva, dotata di sentimenti, potente e materna nello stesso tempo. Per questo il beato Bartolo adotta un linguaggio che procede dal cuore e si dirige al cuore. Quando compone la Novena d 'impetrazione, corretta e ultimata il 20 agosto 1879, egli non si ritiene soddisfatto se non quando sente «aprirsi una vena di lagrime, che giungevano a bagnare lo scritto». La Supplica chiama Maria «augusta, benedetta, buona, cara, coronata, onnipotente per grazia» e la invoca «Regina di pace e di perdono, Madre nostra, madre dei peccatori, nostra avvocata e nostra Speranza ... ». Di fronte a Maria vivente, il primo atteggiamento è quello del contatto personale con lei nella preghiera, in particolare con la recita del rosario.
c) Gli eccessi dell'accentuazione del sentimento non si fanno attendere. Il culto della Vergine assume toni di affettuosità, che in don Bosco (1815-1888) si accompagna ad impegno cristiano totale e non scade nella leziosaggine, ma in altri autori ascetici e nei predicatori moltiplica titoli e simboli, senza escludere un abusato linguaggio amatorio. Il libro «A Maria Madre di Dio. Pio sfogo d 'amore» (1882) di Flavio Amoretti appare a prima vista l'esempio tipico di un'affettuosità tra l'ingenuo e lo sdolcinato, ma a ben considerare esso è piuttosto un esempio d'inculturazione nell'Ottocento caratterizzato proprio dal sentimento. E questa la prospettiva che l'autore sceglie deliberatamente, richiamandosi al verso: «Amor mi mosse che mi fa parlare», per cui ad un severo Aristarco che «gridasse all'esagerazione, all'errore» risponderebbe che «il rigor della scuola mal si addice a pio e poetico sfogo d'amore». Egli comunque si richiama alla dignità quasi infinita della Madre di Dio, il cui elogio non assoluto ma relativo è «implicitamente un inno a Dio», e chiede di piamente leggere «quello che piamente ho scritto». Amoretti non tratta di Maria, ma parla con lei dalla prima all'ultima pagina, dichiarando con compiacenza molte volte il suo amore per lei, che vince ogni paragone: «Io lo sento, o Maria, e però t'amo e t'amo assai ( ... ). E si, che t'amo, t'amo assai, t'amo quanto altro amante fra i più caldi caldissimo ti abbia amato finora (...). Ma se altri come altri ti ama, io con tutte le forze del cuore e dello spirito sopra tutti gli altri ti amo, ed amo vederti svelata, più che il cieco ama la luce (...). Ah sì, Maria, mi è grato il dirlo e mi è dolce il ripeterlo, qui è dove più che altrove io sento che t'amo... t'amo assai... t'amo più che l'ape non ama il timo, più che le caprette non amano gli odoriferi colli (...). Ah! Sentitelo tutti, o astri o venti o colli o selve o torrenti: io amo Maria, e l'amo più che la vita non ama il calore, più che il salice non ama l'onda del rio ( ... ). Io lo sento questo amore, lo sento vivissimo signoreggiarmi l'animo: ed è per esso che io ti amo, o Maria, t'amo assai ( ... ). T'amo, t'amo assai, t'amo più che la vita non ama l'amore, più che l'amore non ama la vita ( ... ). O mio bene, o mia gioia, o dolcissima sede di tutti i piaceri dell'anima mia, e sola de' pianti miei alleggiatrice; o cara compagna dell'amor mio e del mio dolore, ora che t'amo, ora è che veramente io vivo. Oh! Maria! Oh Maria!». Più frequentemente la pietà mariana tende ad esprimersi in una molteplicità di pratiche, che finiscono in quell'introvabile Arsenale della devozione (1876) dove si raccolgono le preghiere del cattolicesimo ottocentesco. Non meraviglia, pertanto, che alcune voci (L. Veuillot, E. Hello) si siano elevate per deplorare taluni eccessi e talvolta per mostrare cammini mariani alternativi.

4. La critica al sentimento
a) Il riflusso trascina il culto mariano verso l'assenza di creatività di espressioni, nonché verso un mancato confronto con la vita del tempo. La nota e deplorata Art Saint-Sulpice si compiace di immagini oleografiche e promuove la devozione alla Sacra Famiglia, come «immagine di una vita rurale, idilliaca, senza conflitti, in contrasto rispetto ad una Francia che si industrializza e si urbanizza». Dinanzi all'accumulo di preghiere, che suppone una pietà individualistica, devozionale e spesso staccata dalla liturgia, non tardano a formularsi proteste e duri giudizi. Geremia Bonomelli (1831-1914), vescovo di Cremona, pur non espungendo il sentimento dalla religione, anzi riconoscendogli la dote di «far sentire dolce e cara la verità», combatte il sentimentalismo identificandolo con «una religione senza doveri, una larva di religione, un albero dai fiori vaghi e odorosi ma senza frutti». Bonomelli deplora l'inondazione di nuove devozioni e di troppe pratiche di pietà, quando si trascurano i doveri di famiglia e la giustizia. Egli richiama ad un culto innanzitutto interno, «della mente e del cuore», mette in guardia da una devozione interessata, ed esorta «ad una pietà soda, virile e gagliarda» verso la Vergine Madre.
b) Nell'Ottocento la connessione tra devozione a Maria e attività educative, caritative, promozionali e oggetto di studio e insieme realtà costatabile. Ciò mostra che il sentimento non è stato sterile o passeggero, ma ha prodotto frutti in campo sociale. Nel congresso mariano di Livorno, procedendo alla ricerca del perché «il sentimento della carità vive, si ringagliardisce, vigoreggia solo là dove è il culto di Maria», il prof. Vigo lo trova nel fatto che «la devozione a Maria versa nel cuore una tal piena di dolci e sante ispirazioni che sono forte usbergo contro il vizio e che dischiudono la fonte ad ogni sentimento forte e gentile». Nel medesimo congresso non si è voluto separare il culto mariano dalla carità e P. Semeria propose «un banchetto ai poveri» a spese dei congressisti.
c) Su un piano più formativo e promozionale si pongono tanti sacerdoti e laici, uomini e donne, fondatori e fondatrici di istituti religiosi, che spesso portano un nome mariano. Ad esempio, per Don Bosco «Maria è la madre benigna che incoraggia, che esorta a proseguire l'opera educativa» ed è all'origine di ogni altra sua attività apostolica.

Bibliografia

DE FIORES S., L'affetto di pietà filiale verso Maria lungo l'epoca moderna, in AA. VV., La figura di Maria tra fede, ragione e sentimento, Edizioni Marianum, Roma 2013, pp. 292-306. Si rimanda alla ricchissima bibliografia allegata dall'autore alla sua ricerca; ID., Maria sintesi di valori. Storia culturale della mariologia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005. ; PUPPO M., Romanticismo, in BRANCA V. (dir.), Dizionario critico della letteratura italiana, 3, UTET, Torino 1974; FEUERBACH L., Principi della filosofia dell'avvenire, Einaudi, Torino 1971; SCHLEIERMACHER F., Sulla religione. Discorsi a quegli intellettuali che la disprezzano, Queriniana, Brescia 1989; LAGREE M., Religione popolare e populismo religioso nel XXsecolo, in DELUMEAU J. (a cura di), Storia vissuta del popolo cristiano, SEI, Torino 1985, pp. 737 e 750; GOETHE W., Il Faust, Mondadori, Milano 1944; BENZ R., Il movimento romantico, in MA G. - HEUSS A., (a cura di), I Propilei. Grande storia universale Mondadori, 8. Il secolo diciannovesimo, Mondadori, Milano 1966; SACCENTI M. (a cura di), Opere scelte di Giosuè Carducci, UTET, Torino 1993; FATTORINI E., Il culto mariano tra ottocento e novecento. Simboli e devozione. Ipotesi e prospettiva di ricerca, Franco Angeli, Milano 1999.






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