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ORTODOSSIA


1. Maria l'"onnipresente"
Più che di presenza, sarebbe più corretto parlare di onnipresenza della Beata Vergine nella vita delle comunità ortodosse. Essa, infatti, è presente nella pietà popolare, nella liturgia, nell’iconografia, nella spiritualità, nella catechesi, nella teologia. Non c’è chiesa o casa che non abbia la sua icona mariana, così come non c’è un fedele ortodosso che non sia profondamente devoto della Theotókos. Gli ortodossi si sentono profondamente in sintonia con la chiesa cattolica nella devozione mariana. Nell’antica Russia, ad esempio, su tremila monasteri, la metà di essi era consacrata alla Madre di Dio. I pellegrinaggi ai santuari mariani, come quello ad esempio all’isola di Tynos il 15 agosto di ogni anno in Grecia, fanno parte della pietà popolare ortodossa. Scriveva Sergej Boulgakov: «L’amore e la venerazione della Madre di Dio costituiscono l’anima della pietà ortodossa, il cuore che riscalda e vivifica tutto il corpo. Il cristianesimo ortodosso è la vita in Cristo e in comunione con la sua Madre purissima, è la fede in Cristo Figlio di Dio e della Theotókos, è l’amore per Cristo inseparabile dall’amore per sua Madre». Facciamo subito due precisazioni. La prima riguarda il fatto che la presenza di Maria nella pietà ortodossa non è solo di tipo devozionalistico e folcloristico, ma ha il suo solido fondamento teologico nella presenza permanente della Beata Vergine in tutta l’estensione del mistero salvifico di Cristo. La seconda precisazione riguarda il termine ortodosso, che etimologicamente significa «retta opinione», ma che nel nostro discorso indica quelle comunità cristiane, separate dalla chiesa cattolica con lo scisma d’Oriente del 1054. Tali comunità sono costituite oggi da patriarcati e chiese autocefale, tutti sostanzialmente autonomi. Aggiungiamo subito, che, al di là delle divergenze – come il rifiuto, ad esempio, dell’infallibilità papale e del suo primato di giurisdizione universale –, tra la chiesa cattolica e le comunità ortodosse c’è un fondamentale e prezioso patrimonio comune, costituito dall’accettazione della S. Scrittura e della tradizione patristica e conciliare soprattutto del primo millennio, dalla fede nella Trinità e nel mistero dell’incarnazione, dalla vita liturgica e sacramentale, dall’anelito alla santità, dall’esperienza monastica, dalla vita di apostolato e di missione. Ma è soprattutto la devozione mariana che unisce la chiesa cattolica a quella ortodossa. Afferma giustamente il Papa nella Redemptoris Mater: «Desidero [...] sottolineare quanto la chiesa cattolica, la chiesa ortodossa e le antiche chiese orientali si sentano profondamente unite dall’amore e dalla lode per la Theotókos» (RM n. 31).

2. La presenza di Maria nella Liturgia
Afferma Alexis Kniazeff: «Nella liturgia e nella pietà della Chiesa la parola che caratterizza il posto della Theotókos è onnipresenza. Innanzitutto Maria è onnipresente nell’anno liturgico». Tra le dodici feste solenni, chiamate di prima classe, cinque sono infatti feste mariane: la Natività di Maria, 8 settembre; la Presentazione al Tempio della Theotókos, 21 novembre; l’Ipapantí (l’incontro o la presentazione di Gesù al tempio), 2 febbraio, festa allo stesso tempo mariana e cristologica; l’Annunciazione, 25 marzo; la Dormizione o l’Assunzione, 15 agosto. Ce ne sono altre mobili, come la festa dell’Akáthistos (quinto sabato di Quaresima) o quella della Sorgente vivificante (venerdì della settimana di Pasqua). Ci sono poi numerosissime feste legate alle icone, ai miracoli, alle apparizioni. L’innografia mariana è abbondantissima e molti inni fanno parte dell’ufficio bizantino. Sono frequenti i tropari mariani, e cioè strofe isolate più o meno lunghe, che si suddividono in theotokia e stavrotheotokia: i primi celebrano la Theotókos, i secondi la sua presenza misericordiosa presso la croce di Gesù. Leggiamo un theotókion feriale (Modo VIII): «Salve, tu che hai ricevuto da un angelo la gioia dell’universo; salve, tu che hai partorito il tuo Creatore e Signore, salve, tu che hai meritato di divenire Madre di Dio. Salve, porta del Re della gloria che solo l’Altissimo ha attraversato e sola ha conservata sigillata, per la salvezza delle anime nostre. O fedeli, con inni magnifichiamo la Madre di Dio, il fondamento solido della nostra fede e il dono della pietà per le nostre anime, esclamando: “Ave, tu che hai contenuto nel tuo grembo la pietra della vita; ave, speranza dei confini della terra, liberazione degli afflitti; ave, Vergine e Sposa!”. Vergine immacolata, salvaci con le tue preghiere, muovendo le viscere materne al tuo Figlio e nostro Dio. O porta spirituale della vita, immacolata Madre di Dio, libera dai pericoli coloro che accorrono a te con fede, affinché glorifichiamo il tuo santissimo parto per la salvezza delle nostre anime». Ecco un esempio di stavrotheotókion (Venerdì Santo): «15. Oggi è appeso al legno colui che ha appeso la terra sulle acque. Il Re degli angeli è cinto di una corona di spine! È avvolto di una porpora mendace colui che avvolge il cielo di nubi! Riceve uno schiaffo lui che nel Giordano ha liberato Adamo! Lo sposo della Chiesa è fissato con chiodi. Il Figlio della Vergine è trafitto da una lancia. Adoriamo la tua passione, o Cristo! Mostraci anche la tua gloriosa risurrezione! Vedendoti appeso alla croce, o Cristo, la Madre tua gridava: "Quale mistero strano io contemplo, o Figlio mio? Come puoi morire, con la tua carne confitta al legno, tu, che sei l’elargitore della vita?"».

3. Maria nell'Inno Akathistos
Uno dei più celebri inni liturgici ortodossi è l’Akáthistos, grandioso inno greco che celebra il mistero di Maria. Il nome deriva dal fatto che si cantava o si ascoltava in piedi, così come si fa per il vangelo. Afferma E. Toniolo: «Indubbiamente è il più bell’inno mariano dell’antichità e di ogni tempo, monumento letterario di primissimo valore, capolavoro liturgico di importanza ecclesiale. Nel rito bizantino ha un posto di privilegio: gode infatti di una sua propria festa liturgica, il 5° sabato di quaresima, detto appunto “sabato dell’Akáthistos”; anzi viene celebrato parzialmente anche nei precedenti quattro sabati di quaresima o la sera del venerdì, per maggiore comodità dei fedeli». L’inno inizialmente serviva come ringraziamento a Maria per la protezione miracolosa e potente accordata contro i nemici, soprattutto a favore della città di Constantinopoli, consacrata a Maria. Dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, la Beata Vergine non fu implorata solo per proteggere le città, ma per conservare nei cuori la vera fede dei padri. L’inno (seconda metà del V e primi anni del VI secolo, di autore ignoto, ma grande poeta e teologo) è composto da 24stanze, che celebrano Maria in chiave cristologica ed ecclesiale. Diamo un indice sommario del contenuto.
        a) Parte narrativa
        Le prime 12 stanze, di indole narrativa, presentano il mistero della nascita di Gesù.
1. L’annunciazione dell’angelo a Maria con la prima sequela di Ave: «Ave, per te la gioia risplende; Ave, per te il dolore s’estingue...»;
2. Lo stupore di Maria: «Il tuo singolare messaggio all’anima mia incomprensibile appare: da grembo di vergine un parto predici, esclamando: Alleluia!».
3. Maria chiede spiegazioni all’angelo.
4. Lo Spirito Santo renderà fecondo il seno della Vergine.
5. La visita di Maria e l’esultanza del piccolo in seno a Elisabetta: «Ave, perdono soave del mondo. Ave clemenza di Dio verso l’uomo; Ave, fiducia dell’uomo con Dio. Ave, Vergine e Sposa!».
6. La fede di Giuseppe.
7. Il canto dei pastori, che inneggiano al Dio-Pastore e alla Madre dell’Agnello-Pastore.
8-9. L’arrivo e l’adorazione dei Magi che contemplano Gesù tra le braccia materne: «Ave, o Madre dell’Astro perenne».
10. Il ritorno dei magi diventati predicatori di Cristo.
11. La fuga in Egitto.
12. L’incontro con Simeone.
        b) Parte tematica
        Le altre 12 stanze sono tematiche e celebrano Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa.
13. Il concepimento verginale di Gesù.
14. Questo evento fa elevare gli occhi al cielo.
15. Maria, vera madre di Dio.
16. Stupore degli angeli di fronte all’evento dell’incarnazione.
17. Il parto verginale rende muti gli oratori brillanti, ma fa cantare il cuore dei fedeli: «Ave, sacrario d’eterna Sapienza; Ave, tesoro di sua Provvidenza».
18. Dio nostro pastore venne tra noi come mite agnello.
19. Maria vergine, inizio e modello della chiesa santa.
20. L’uomo non può mai cantare adeguatamente le grazie del Signore.
21. Maria viene celebrata nella sua maternità spirituale, come madre della chiesa e fonte dei misteri battesimali: «Ave, per noi sei la fonte dei sacri Misteri; Ave, tu sei la sorgente dell’Acque abbondanti. Ave, in te raffiguri l’antica piscina; Ave, le macchie detergi dei nostri peccati. Ave, o fonte che l’anime mondi; Ave, o coppa che versi letizia. Ave, fragranza del crisma di Cristo; Ave, tu vita del sacro banchetto».
22. Il mistero pasquale distrusse il peccato.
23. La presenza misericordiosa e protettrice di Maria nella Chiesa: «Ave, tu sei per la Chiesa qual torre possente; Ave, tu sei per l’Impero qual forte muraglia. Ave, per te innalziamo trofei; Ave, per te cadon vinti i nemici. Ave, tu farmaco delle mie membra; Ave, salvezza dell’anima mia. Ave, Vergine e Sposa!».
24. Supplica finale: «Grande ed inclita Madre, Genitrice del sommo fra i santi, il santissimo Verbo, or degnati accogliere il canto! Preservaci da ogni sventura, tutti! Dal castigo che incombe tu libera noi che gridiamo: Alleluia!».
Ecco in sintesi la teologia dell’Akáthistos: «Su quest’ordito, che fonde Figlio e madre, cioè la causa principale divina e la causa strumentale umana nell’operare l’unica salvezza, si svolge tutta la teologia dell’inno».

4. Maria nella teologia ortodossa
A ragione, quindi, gli studiosi ortodossi affermano che per conoscere quello che le chiese ortodosse pensano di Maria bisogna leggere i loro testi liturgici e pregare con loro. Si può affermare comunque che gli ortodossi vedono Maria in riferimento a Cristo. Per questo, salvo recenti eccezioni, non c’è la tradizione di un vero e proprio trattato di Mariologia, la quale costituisce un capitolo o della cristologia, come una parte del mistero dell’incarnazione, o della ecclesiologia, come un aspetto del mistero della chiesa. Nel primo caso si sottolinea la maternità divina di Maria, nel secondo caso la sua paradigmaticità ecclesiale. Nel primo caso viene glorificata la sua verginità feconda, nel secondo la sua piena «divinizzazione » a opera della grazia. Mentre il primo aspetto evidenzia l’originalità di Maria, come Theotókos, il secondo mette in risalto la sua imitabilità, dal momento che essa partecipa alla perfezione alla quale ogni battezzato viene chiamato per vocazione. In realtà è il titolo Theotókos, letteralmente «genitrice di Dio» a riassumere la comprensione della fede ortodossa circa la Beata Vergine, dal momento che collega subito Maria a Cristo. In questo appellativo non si vede in primo luogo un titolo di glorificazione mariana, ma uno strumento per salvaguardare la realtà dell’incarnazione del Verbo. Maria diede alla luce non un uomo in comunione con Dio, ma una singola persona che era Dio e uomo allo stesso tempo. Per questo Maria è Theotókos. Anche altri titoli e appellativi presenti nella tradizione ortodossa fanno riferimento all’incarnazione: il roveto ardente (Es 3,2), la porta d’oriente attraverso la quale non passa nessuno eccetto il grande principe (Ez 44,1-3), il vello di Gedeone (Gdc 6,36-38; Sal 71,6), il carro di fuoco, la stanza nuziale della luce, il libro della parola di vita, il paradiso vivente, il santo tronco, il Paradiso mistico. Si tratta di designazioni cristologiche, che sottolineano il ruolo di Maria nell’incarnazione. Evidenziano anche il suo assenso libero a questa missione. In questo contesto emerge il titolo di nuova Eva: come la prima volontariamente disobbedì, così Maria, la nuova Eva, volontariamente obbedì. Un inno ortodosso dei vespri di Natale dice: «Cosa possiamo offrire a Te, o Cristo, che per noi sei apparso sulla terra come uomo? Ogni creatura ti fa un regalo: gli angeli un inno, i cieli una stella, i magi i loro doni, i pastori i loro omaggi, la terra una grotta, il deserto, una mangiatoia, e noi ti offriamo una Vergine Madre». Maria è la piena realizzazione dell’umanità deificata per grazia, senza che ciò la allontani dall’umana natura o la renda irraggiungibile. Come membro più perfetto della chiesa, comunione dei credenti in Dio, viene invocata a pregare per tutti. Il fedele ortodosso nella preghiera a Maria non pensa legalisticamente ai suoi meriti o alla sua indulgenza, ma al suo ruolo di Madre benevola nella chiesa comunione. Per questo uno dei titoli più usati è quello di «Gioia di tutti quelli che soffrono». Due icone esprimono il significato cristologico ed ecclesiologico di Maria. La prima si trova nell’iconostasi immediatamente a sinistra delle porte regali e rappresenta Gesù bambino tra le braccia di sua madre. In questa icona, come nella maggior parte delle altre, Maria non appare da sola ma col suo Figlio: è l’icona dell’incarnazione del Verbo. La seconda icona, di tipo ecclesiologico, è quella della Déisis, che spesso appare nella parte superiore dell’iconostasi: vi si rappresenta Cristo in trono e a lato, con la testa china e le mani alzate, Maria. È Maria, la madre di Dio e membro della chiesa, che prega il suo figlio e intercede per la chiesa. In sintesi la dottrina mariana ortodossa si articola attorno ai seguenti quattro punti: Maria è Theotókos (madre di Dio); è Aeipárthenos (semprevergine); è al di sopra delle potenze celesti e dei santi; assiste e intercede per la chiesa e l’umanità. Gli stessi ortodossi, però, rilevano che la loro tradizione mariana vive in un paradossale squilibrio. Mentre Maria è onnipresente nella pietà popolare e nella liturgia, essa è alquanto carente nella riflessione teologica: «Nei catechismi e nella dogmatica ortodossa non troviamo alcuna mariologia particolare. Il tema di Maria è trattato all’interno della cristologia». L’esuberanza liturgica e la sobrietà teologica vengono spiegate col fatto che il ruolo di Maria nell’ortodossia viene visto e vissuto più sul piano esperienziale ed esistenziale, che su quello teorico. Si aggiunge, inoltre, che il linguaggio teologico sembra essere inadeguato e superfluo per Maria. Il suo mistero viene maggiormente evocato nel linguaggio poetico e simbolico della dossologia liturgica, che si presenta, così, come una traduzione a livello popolare degli impegnativi concetti cristologici e mariologici dogmaticamente elaborati nei primi concili ecumenici. Non possiamo non aggiungere che nella tradizione ortodossa slava non mancano interessanti sviluppi teoretici sulla figura di Maria nella ecclesiologia eucaristica di A. Chomjakov, nella corrente «sofiologica» di V. Soloviev, P. Florenskij, S. Bulgakov, nella corrente neopatristica di G. Florovskij, V. Losskij, J. Meyendorff, A. Schmemann, O. Clément. Resta comunque il fatto che l’ortodossia, salvo eccezioni, non registra un vero e proprio sviluppo dogmatico in mariologia. Di qui l’origine di una forte resistenza all’accettazione del magistero pontificio cattolico e di un’altrettanto radicata avversione alla recezione dei due ultimi dogmi mariani della Chiesa Cattolica, l’Immacolata Concezione e l’Assunzione. Anzi, per l’Immacolata Concezione di Maria l’interpretazione corrente nell’ortodossia è quella di considerarla Immacolata solo a partire dall’Annunciazione, quando ebbe luogo la sua completa «kátharsis» ad opera dello Spirito Santo: «L’assenza del peccato originale in Maria è inaccettabile per l’ortodossia, dal momento che Maria è totalmente dalla parte degli uomini, i quali, secondo le Scritture, sono tutti peccatori (Rm 3,23). Anche la Madre di Dio appartiene ai peccatori (sebbene non peccasse). Nella liturgia questo pensiero è sottolineato dal fatto che anche per lei [...] è offerto il sacrificio di Cristo: dalla prosforà ["offerta" e cioè il pane consacrato] viene staccato un pezzetto per la madre di Dio e posto davanti all’"Agnello". Alla fine del servizio eucaristico questo pezzetto viene inzuppato nel Sangue di Cristo».

5. Maria nell'Iconografia ortodossa
Se non si ha una ricca riflessione teorica su Maria, l’ortodossia ha in compenso, oltre alla lussureggiante tradizione liturgica, una superba teologia dell’icona. L’ultimo concilio ecumenico tenutosi in Oriente, il Niceno II (787), nel periodo delle lotte iconoclastiche, definì la legittimità della venerazione delle immagini, «siano esse l’immagine del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della immacolata Signora nostra, la santa madre di Dio, degli angeli degni di onore, di tutti i santi e pii uomini». Le secolari dispute sulle immagini hanno fatto dell’icona bizantina più una realtà teologica, che un’espressione artistica «neutrale». L’icona, infatti, appartiene alla costellazione della teologia, della liturgia e della spiritualità orientale. Essa è considerata una sintesi teologica e teologia in immagini. Il suo fine non è tanto l’orizzonte estetico, quanto la divinizzazione dell’uomo. Per questo come opera d’arte non è un assoluto: è tutta tesa a comunicare la coscienza di fede della chiesa nell’animo dei fedeli. L’icona è strettamente collegata al culto e alla liturgia della chiesa bizantina. Anzi è questa la sua funzione primaria, insieme agli inni sacri e alla musica: «L’iconografia e la liturgia sono due trascrizioni di una medesima fede teologica e tradizione ecclesiale». Non si tratta di una semplice somma – parole più immagine –, quanto piuttosto di una «sinergia che eleva a potenza l’annuncio dato». Essendo l’icona il maggior coefficiente del culto, «ogni icona ha un posto preciso nel quadro dell’anno liturgico e nel complesso sistema dei cicli e delle feste che il calendario e i libri liturgici contengono». L’intero anno liturgico è vivo e presente nelle icone. Sia il Temporale, che ha il suo vertice nella solennità della Pasqua, sia il Santorale danno occasione e spunto a un vero e proprio annuncio evangelico attraverso le icone26. Il Santorale, ad esempio, contiene feste e ricorrenze divise in cinque classi: le prime due classi sono dedicate rispettivamente alle celebrazioni di Cristo e di Maria. Tutte queste ricorrenze sono rappresentate nelle icone, a loro volta collegate con l’innografia liturgica: «Iconografia e innografia liturgica per la chiesa d’Oriente sono due modi, paralleli e intimamente collegati, di espressione liturgica basilare. Come l’iconografo attraverso la propria opera d’arte, così la ricca innografia giornaliera esprime il contenuto, il significato di una festa». Facendo parte essenziale della liturgia, le icone vengono incensate, portate in processione, venerate in chiesa e fuori, si che diventano l’anima della spiritualità orientale. Con il loro intrinseco riferimento liturgico, le icone fanno di una abitazione privata una «chiesa domestica», e della vita quotidiana del fedele una liturgia continua. La suggestiva realtà dell’icona esprime meglio di qualsiasi altra forma artistica e culturale la fervente devozione mariana delle chiese ortodosse. Anche la RM ha riconosciuto solennemente questa «teologia della bellezza», che rende l’icona bella non tanto perché artistica, quanto soprattutto perché è teologicamente vera. La RM presenta otto modelli di icone bizantine mariane: Theotókos, Odigitria, Déisis, Pokróv, Eleoúsa, Glykofiloúsa, Vladimirskaia (La Madonna di Vladimir), Pentecoste.

6. Maria nel dialogo cattolico-ortodosso
È fuori di dubbio che cattolici e ortodossi condividano le stesse verità di fede circa Maria Theotókos e Assunta. Nella teologia ortodossa, però, Maria sembra che voglia allontanare da sé l’attenzione dell’approfondimento teologico, indicando Gesù come centro del mistero della salvezza: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5); oppure, ripetendo le parole di Giovanni il Battista: «Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3,30). È un fatto che, nell’ormai ventennale dialogo ecumenico cattolico-ortodosso, che ha già prodotto quattro documenti Maria non sia ancora entrata nell’agenda. Si tratta di uno «strano silenzio», in parte spiegabile con la decisa opposizione degli ortodossi al dogma papale dell’Immacolata Concezione (1854). Certo, sarebbe paradossale che tra cattolici e ortodossi, che condividono una intensa pietà mariana, Maria diventasse segno di divisione e non invece di unità e di comunione. Come abbiamo già accennato, una spinosa quaestio disputata è quella relativa al dogma dell’immacolata concezione di Maria. Secondo la Bolla Ineffabilis Deus di Pio IX, la coscienza di fede cattolica ritiene rivelata «la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale». I teologi ortodossi non accettano questo dogma: «Per gli ortodossi il dogma romano diminuisce la Vergine; trasformandola in uno strumento di grazia predestinato, esso diminuisce la sua umanità e le toglie la grandezza di colei che liberamente, manifestando la sua umiltà e la sua purezza, dice per tutti noi il suo fiat». Per l’ortodossia Maria non sarebbe nata senza peccato originale: «Solo nel momento in cui la Vergine fa coincidere la sua volontà con quella divina, ella viene totalmente purificata. L’Immacolata Concezione non è rivolta a Maria, ma alla Concezione Immacolata del Verbo divino». La purificazione della B. Vergine sarebbe quindi avvenuta al momento dell’annunciazione. In uno studio dedicato proprio a questo tema, S.N. Bulgakov affermava perentoriamente: «Nell’insieme il dogma cattolico del 1854 corrisponde all’espressione non corretta di un’idea giusta: quella dell’impeccabilità personale della Madre di Dio. Per esporlo utilizza mezzi non validi». Ciò significa che il rifiuto di questo dogma non implica da parte ortodossa la negazione della perfetta santità di Maria. È questo il rimprovero che lo stesso Bulgakov rivolge a qualche esasperato polemista anticattolico: «Purtroppo i polemisti ortodossi, spinti da zelo eccessivo, giunsero a negare non solo la formula dogmatica erronea, ma la verità stessa; si misero a disquisire sul carattere non impeccabile della Madre di Dio». Pur affermando la santità di Maria gli ortodossi ribadiscono che essa, facendo parte dell’umanità, non potè non essere sottomessa al peccato originale e alla morte: «La Madre di Dio non poteva essere concepita senza la colpa originaria dei figli di Adamo, avendo dovuto pure ella attraversare la porta della morte [...]; se la Madre di Dio fosse stata concepita senza macchia originale, non avrebbe potuto pronunciare liberamente il suo fiat dal momento che la sua volontà personale coincideva con quella divina, ma sarebbe stata scelta, ossia predestinata e quindi privata di quel libero arbitrio che caratterizza la specificità dell’uomo rispetto agli altri essere creati del cosmo». John Maximovitch presenta una sintesi dell’avversione ortodossa al dogma dell’immacolata concezione di Maria. Tale dogma: 1. non sarebbe fondato sulla Scrittura, dove si dice che solo Gesù è senza peccato (1 Gv 3,5); 2. sarebbe in contrasto con la tradizione, che sottolineerebbe l’eccelsa santità di Maria e la sua purificazione ad opera dello Spirito Santo al concepimento di Cristo; 3. non avrebbe senso, dal momento che il concepimento di Maria, a sua volta, richiederebbe l’immacolato concepimento dei suoi genitori e così via; 4. sarebbe ingiusto, perché Dio offrirebbe a Maria grazie che non darebbe ad altri, 5. negherebbe, infine, ogni virtù alla Beata Vergine. La conclusione, però, è che la negazione del dogma non implica la negazione dell’eccelsa santità di Maria: «La Chiesa ortodossa venera la Madre di Dio come un essere superiore ad ogni altra creatura, “più onorabile dei cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei serafini” (inno liturgico). È impossibile esprimere con semplici parole la venerazione e la preghiera che ciascun’anima fedele le innalza insieme a tutta la Chiesa: “Ogni intelligenza rimane impotente nel lodare” la sua purezza e la sua santità».

Bibliografia
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