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SACERDOZIO E MARIA


Nell’udienza generale del 12 agosto 2009, in pieno anno sacerdotale, Benedetto XVI si è soffermato sul «nesso tra la Madonna e il sacerdozio», «nesso profondamente radicato nel mistero dell’Incarnazione», preceduto dal «» di Maria e proiettato verso il mistero pasquale: «Così Maria è realmente e profondamente coinvolta nel mistero dell’Incarnazione, della nostra salvezza. E l’Incarnazione, il farsi uomo del Figlio, era dall’inizio finalizzata al dono di sé; al donarsi con molto amore nella Croce, per farsi pane per la vita del mondo. Così sacrificio, sacerdozio e Incarnazione vanno insieme e Maria sta nel centro di questo mistero».Il Papa prosegue evidenziando il rapporto di maternità e filiazione tra Maria e il discepolo amato, quindi tra lei e il sacerdote ministeriale, con un’esegesi precisa del testo di Gv 19,25-27, in base al testo greco, per cui il figlio «prese Maria nell’intimo della sua vita, del suo essere, “eis tà ídia”, nella profondità del suo essere». Benedetto XVI non parla qui del sacerdozio di Maria, lasciando verosimilmente tale questione ai teologi, che ne hanno già parlato. 

1. Due differenti approcci al Sacerdozio di Maria
Dobbiamo subito precisare che altra è l’impostazione del problema prima del concilio vaticano II, altra quella dopo la grande assise conciliare incentrata sulla Chiesa, popolo di Dio, cui riconosce la prerogativa sacerdotale.
1.1. Impostazione pre-conciliare
Reagendo all’impostazione luterana per cui il ministero sacerdotale è una funzione delegata dal popolo, il Concilio di Trento ha definito l’istituzione dei sacerdoti ministeriali da parte di Cristo, perché consacrino il pane e del vino in sua memoria (cf. DS 1740-41.52). La teologia post-tridentina insisterà sulla figura del presbitero «separato» dagli uomini per essere alter Christus, che offre il sacrificio della messa «per» il popolo e diviene superiore agli angeli e perfino alla stessa Madre di Dio. A tale accentuazione, che insiste sulla dignità dei presbiteri nella Chiesa, conseguono l’emarginazione del sacerdozio comune dei fedeli e insieme l’indebolimento della partecipazione della Vergine allo stesso sacerdozio. È vero che agli inizi del Settecento l’espressione Virgo sacerdos entra a San Sulpizio nell’inno liturgico dei vespri Quam pulchre graditur Filia principis, composto dal suddiacono Urbain Robinet (1706), che in suggestiva melodia gregoriana accompagnerà la cerimonia della rinnovazione delle promesse clericali. Poi il titolo Virgo sacerdos conosce una fase di entusiasmo nel periodo che va dal 1864 al 1916, per influsso di P. Giraud, della madre Marie Deluil-Martiny e di mons. Van den Berghe che hanno interpretato il titolo in prospettiva vittimale. Giungono allora due orientamenti sicuri del magistero pontificio di san Pio X. Da una parte egli approva e indulgenzia nel 1907 una preghiera in cui s’invoca Maria «Madre di Cristo sommo sacerdote, Sacerdote e insieme Altare (Epifanio), …Vergine sacerdote». E d’altra parte nel 1913 i cardinali inquisitori decretano che «deve essere condannata l’immagine della beata Maria Vergine vestita dei paramenti sacerdotali». Pubblicato nel 1916, il decreto scarta da Maria il sacerdozio gerarchico o ministeriale allora in primo piano ed obbliga ad una maggiore precisione di linguaggio. Dopo gli interventi del s. Officio, prevale tra i mariologi la teoria di p. E. Hugon che riduce il sacerdozio di Maria ad una metafora (ed. 1912,19-20) o la posizione di G.M. Roschini (e di Alastruey, Cuervo, García-Garcès…) che attribuisce a lei un sacerdozio «in senso del tutto improprio».Autori come C. Dillenschneider e R. Garrigou-Lagrange spiegano anche il perché negano il sacerdozio a Maria: perché ella come donna non può condividere il carattere sacerdotale e le funzioni del sacerdozio gerarchico. Oppure i teologi accantonano il tema, seguendo una lettera del card. Merry del Val (22 dic. 1927) che ritiene conforme alla mente del s. Officio «lasciare dormire interamente tale questione che le anime poco illuminate non potevano comprendere esattamente». Ciononostante alcuni autori continuano a trattare della Vergine-sacerdote, manifestando una profonda diversità di vedute. Come si può notare da questa panoramica, la questione del sacerdozio di Maria non ha avuto una soluzione capace di unificare gli sforzi dei mariologi. Essi si trovano impigliati nelle maglie del riferimento al sacerdozio di Cristo e a quello ministeriale, ai quali Maria non può essere assimilata. Per cui si tende a identificare Maria nel sacerdozio dei fedeli, considerato però metaforico, cioè non reale.
1.2. Nuova impostazione del Vaticano II
Il concilio Vaticano II determina una svolta ponendo in primo piano non già il sacerdozio ministeriale, ma «l’unico sacerdozio di Cristo» varia mente partecipato alla Chiesa. Alla prospettiva dell’accentuazione delle differenze, si sostituisce quella della comunione nella sorgente e nella finalità, pur evitando ogni confusione: «Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo» (LG 10). I documenti conciliari non traggono le conseguenze da questa impostazione del sacerdozio partecipato a tutto popolo di Dio e perciò anche alla Vergine, né applicano a lei il titolo di “tipo” nell’ambito del sacerdozio universale. Teologi e mariologi non hanno ancora preso in particolare considerazione l’appartenenza di Maria al popolo sacerdotale. Infatti, se consultiamo la bibliografia mariana post-conciliare sui rapporti tra Maria e il sacerdozio, notiamo che a differenza del boom registrato nel solo 1942 con circa trenta titoli, nel periodo 1973-1998, cioè in 25 anni, troviamo solo una decina di studi sull’argomento. Si va tuttavia verso la visione della Vergine come figura prototipica della Chiesa ministeriale e carismatica, in quanto in lei coincidono servizio e carisma, ministero e santità.

2. Maria partecipe del sacerdozio del Popolo di Dio
2.1. Maria laica ma di stirpe sacerdotale, partecipe del popolo sacerdotale veterotestamentario
Circa lo status di Maria, quale donna ebrea, la prima cosa da rilevare è che era laica, come emerge da tre prospettive:
a) Dal punto di vista sociologico. Innanzitutto Maria era una donna israelita, quindi era esclusa dall’esercizio di qualsiasi funzione sacerdotale. Alla donna competeva solo l’ambito privato, come l’educazione dei figli fino a cinque anni, mentre la vita pubblica era riservata agli uomini. I suoi poteri erano ristretti in ogni ambito, specie in quello religioso: al tempio stava in un atrio separato, più vicino al profano che al sacro. Poteva assistere ai riti, ma dopo essersi purificata e solo per ascoltare senza intervenire.
b) In senso storico-dinastico. In Israele lo status sacerdotale non era acquisibile perché ereditario. Orbene Maria apparteneva a famiglia sacerdotale? A parte che la genealogia di Gesù contempla tra i suoi ascendenti Sadoc (Mt 1,14) e Levi (Lc 3,29) ambedue di dinastia sacerdotale, Maria risulta imparentata con Elisabetta (Lc 1,36), «discendente da Aronne» (Lc 1,5). Maria-Luisa Rigato può concludere un suo dotto studio: «L’appartenenza di Maria ad una famiglia levitica e alla classe sacerdotale [...] appare fondata». A Maria però non concerneva la duplice genealogia che è stabilita dalla parte di Giuseppe e comunque non poteva essere erede del sacerdozio proprio perché era donna.
c) In ottica vocazionale. L’annunciazione, il punto più importante della vita di Maria, la stabilisce in uno statuto essenzialmente laicale. Così la presenta Luca mediante il processo antitetico che la oppone al sacerdote Zaccaria. L’angelo entra nella casa di Maria (Lc 1,26) e annuncia la dimora di Dio nella persona di una donna laica: «...la mediazione sacerdotale paradossalmente si secolarizza e si laicizza: per mediare la sua presenza Dio non sceglie più il sacerdote, ma una persona laica: Maria di Nazareth». La giovane Maria non si trova nel tempio per offrire il culto a Dio, ma nella ferialità quotidiana delle mura domestiche: ella ha la meglio sul vecchio e incredulo sacerdote Zaccaria, in quanto consente alla proposta dell’angelo con un atto di fede esemplare che sarà lodato da Elisabetta (Lc 1, 42...). Anzi in Maria si opera una sostituzione: lei stessa diviene il tempio vivente del Dio vivo. Lo annota puntualmente Benedetto XVI: «... il racconto meraviglioso dell’annuncio a Maria, [...] fa vedere che Maria, l’umile donna di provincia che proviene da una stirpe sacerdotale e porta in sé il grande patrimonio sacerdotale d’Israele, è “il santo resto” d’Israele a cui i profeti, in tutti i periodi di travagli e di tenebre, hanno fatto riferimento. In lei è presente la vera Sion, quella pura, la vivente dimora di Dio. In lei dimora il Signore, in lei trova il luogo del Suo riposo. Lei è la vivente casa di Dio, il quale non abita in edifici di pietra, ma nel cuore dell’uomo vivo». La Vergine di Nazareth, senza mutare status laicale, si manifesta in tutta la sua esistenza come donna fedele alle prescrizioni e allo spirito della prima alleanza. Verosimilmente ha udito più volte nella sinagoga proclamare le parole di Dio al popolo sul Sinai: «Voi sarete per me un regno di sacerdoti, una nazione consacrata» (Es 19,6). Israele tutto intero è «un popolo consacrato a Jahvè» (Dt 7,6), per cui Isaia poteva affermare: «E voi, voi sarete chiamati sacerdoti di Jahvè; e sarete detti ministri del nostro Dio» (Is 61,6; cf. 56,6 s). Il vangelo di Luca presenta Maria come una credente praticante che va al tempio per la sua purificazione dopo il parto e ogni anno si reca a Gerusalemme per la festa di pasqua (Lc 1,22-23.41), anche se come donna non era obbligata al pellegrinaggio. La legge di Mosè, che Maria continuerà ad osservare in certa misura anche nel periodo postpentecostale insieme alla prima comunità cristiana (At 2,46: «frequentavano il tempio»; At 5,12: «Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone»), ha forgiato in senso profondamente religioso la sua persona. Con ogni verosimiglianza Maria frequenta la sinagoga di Nazaret e prende posto non in mezzo all’assemblea ma nel reparto riservato alle donne. Nella sinagoga tutto è orientato verso l’armadio che contiene un Sefer Tôrah, una copia del pentateuco. La Legge (Tôrah) rappresenta per l’ebraismo la rivelazione divina e la fonte della vita. Essa è «il centro di tutto il culto sinagogale». Secondo un uso antichissimo che si fa risalire allo stesso Mosè, la Scrittura viene letta e commentata più volte la settimana. Ascoltando le varie parti della Bibbia, Maria acquisisce personalmente il senso del primato di Dio e della sua Parola, poiché secondo tale Parola trasmessa da Gabriele orienterà tutta la sua vita (Lc 1,38). Non poteva sfuggirle il momento fondante del popolo ebraico, l’esodo dall’Egitto, che i parenti avevano il dovere di trasmetterle: «In quel giorno racconterai a tuo figlio dell’uscita dall’Egitto» (Es 13,8). Maria esprimerà la sua esperienza di maternità verginale in rapporto al Figlio di Dio con i termini dell’esodo, in cui Dio «ha fatto cose grandi e meravigliose» (Dt 10,21; cf. Lc 1,49).  La pietà giudaica insegna a pregare con i salmi e a meditare in silenzio: due modalità della preghiera che si riscontrano in Maria (cf. Lc 1,46-55; 2,19.51). Nel Magnificat (Lc 1,46-55) si ha l’eco di vari salmi. Come i pii ebrei, che si misurano costantemente con il testo scritturistico per trovare l’agire di Dio nella storia, Maria da silenziosa esegeta confronta nel suo cuore gli eventi con la Parola di Dio per comprenderla e realizzarla (Lc 2,19.51).
2.2.
Maria partecipe del sacerdozio universale della nuova Alleanza
Con il NT il sacerdozio regale del popolo eletto si trasferisce o meglio si allarga a tutto il popolo cristiano, come intepreta l’apostolo Pietro nella sua catechesi battesimale: «Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1Pt 2,4-5). Questi sacrifici spirituali sono la preghiera, la lode e l’azione di grazie, gli atteggiamenti di penitenza, di fede e di amore, che devono passare attraverso la necessaria mediazione di Cristo, l’unico sommo sacerdote. È importante notare che i credenti costituiscono un «sacerdozio santo». È dunque tutto il popolo, ricolmato dello Spirito di Cristo, ad avere un sacerdozio. Tutti i cristiani sono sacerdoti! Stabilito questo principio, la conclusione inoppugnabile e inequivocabile è che anche Maria è sacerdote o sacerdotessa, nel senso che partecipa al sacerdozio universale dei fedeli, a sua volta partecipato da Cristo sommo ed eterno sacerdote. Se il sintagma Virgo sacerdos poteva suscitare una volta l’equivoco di attribuire a Maria il presbiterato, nell’impostazione conciliare del sacerdozio dei fedeli, ossia attualmente, ogni equivoco è eliminato da quella espressione. Se tutti i cristiani sono sacerdoti, anche Maria prima cristiana è sacerdote. Vediamo di concretizzare il sacerdozio di Maria negli atti in cui esso si esprime e si rivela. Oggi possiamo distinguere con Severino Dianich «un sacerdozio dei fatti e un sacerdozio dei riti», poiché alla luce del NT il sacerdozio del popolo di Dio si attua sostanzialmente attraverso il rito liturgico dell’Eucaristia («Fate questo in memoria di me») e mediante l’offerta della propria vita: «...vi esorto ad offrire il vostro corpo come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1).
a) Maria esprime il suo sacerdozio mediante i riti liturgici. Il gesuita Francesco Suárez (†1617), considerato la massima autorità degli ultimi 4 secoli in campo mariologico, s’interroga se Maria abbia ricevuto i sacramenti della nuova alleanza. E incomincia ad escluderne tre: l’ordine sacro, poiché come donna non poteva essere ordinata prete, la confessione in quanto l’Immacolata non commise mai peccati personali, e il matrimonio perché ella lo aveva ricevuto prima che Gesù lo istituisse come sacramento. Invece è certo che Maria ha ricevuto il battesimo, «come insegnano tutti i teologi » – aggiunge Suárez – per offrire l’esempio a tutti gli altri fedeli e per essere abilitata a ricevere il sacramento dell’eucaristia». Circa il rito del sacramento della confermazione, Suárez ammette che Maria non lo ha celebrato ma nella Pentecoste ne ricevette in abbondanza gli effetti: il carattere, la grazia e il dono dello Spirito. D’accordo con lui, Campana afferma: «La cresima, Maria la ricevette insieme agli apostoli nel giorno della Pentecoste». Questo principio che scorge nella vicenda terrena di Maria un evento che supplisce la confermazione e ne rende praticamente superfluo il rito, ci sembra valido e applicabile al sacramento del battesimo. Infatti è chiaro che chi incontra Cristo in persona, sacramento primordiale e universale di salvezza, non ha bisogno dei sacramenti ecclesiali che sono segni di tale incontro. Come la discesa dello Spirito su Maria e sugli apostoli li ha dispensati dal ricevere la cresima, lo stesso vale per il battesimo. Per la Madre di Gesù, salutata dall’angelo Gabriele come da sempre «colmata di grazia» (Lc 1,26), la sua immacolata concezione è come un battesimo elevato alla massima potenza, in quanto anticipando i meriti della sua passione e risurrezione Cristo mediatore la preserva dal peccato originale. Del resto, lo stretto contatto non solo fisico ma anche spirituale di Maria con Gesù nella fede e nell’amore è stato per lei fonte inesauribile di grazia, del carattere o sigillo, di aggregazione alla Chiesa, di carismi e di santità. Quando poi il Figlio sale al Padre allora Maria partecipa all’eucaristia, sacramento dell’incontro con Cristo pane di vita. E gli Atti degli apostoli testimoniano che la comunità di Gerusalemme, di cui faceva parte Maria, era assidua nella preghiera e nell’insegnamento degli apostoli, e pur continuando a frequentare il tempio, attuavano quotidianamente il nuovo rito dell’Eucaristia, secondo il comando di Gesù: «Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo» (At 2, 46-47). Specifichiamo subito che la specifica particolarità è dovuta al fatto che Maria ha partecipato, per vocazione divina e in modo sublime, all’opera redentrice di Cristo, cioè agli atti sacerdotali con cui Gesù ha offerto la sua vita e la sua morte come sacrificio per la remissione dei peccati del mondo e per la nuova ed eterna alleanza. La Madre infatti sapeva che il Figlio era venuto «per salvare il popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21); anzi l’oracolo del laico Simeone le aveva preannunciato la tragica sorte di Gesù sotto i colpi dell’opposizione di molti cuori ed insieme la spada incombente sulla sua anima quando la contraddizione avrebbe toccato il massimo grado (Lc 2,34-35). E la sua presenza ai piedi della croce non avrebbe causato la rivelazione da parte del Crocifisso della sua maternità nei riguardi del discepolo amato (Gv 19,25-27), se non ci fosse stata una piena partecipazione al sacrificio redentore del Figlio e alla rinascita dei figli di Dio.
b) Maria esprime il suo sacerdozio nella vita mediante il dono di sé. Superati i sacrifici espiatori della prima alleanza, rimane spazio per i sacrifici spirituali dei cristiani, poiché hanno ricevuto «un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1Pt 2,5). Anzi Paolo li invita insistentemente ad offrire il proprio corpo, cioè la propria persona «sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Anche per Maria l’oblazione sacerdotale si attua già nella come Presentazione o offerta di sé al tempio trasmessa dall’apocrifo Protovangelo di Giacomo e sostenuta dal documento esseno del tempio scoperto dal rabbino David Flusser. Il dono di sé si perfeziona nelle tre fasi più importanti dell’esistenza di Maria. All’incarnazione ella non solo mette a disposizione dell’Altissimo il suo corpo perché da esso prenda vita il corpo di Gesù che sarà offerto come oblazione gradita a Dio sulla croce, ma anticipa l’accettazione di Cristo del sacrificio della  «nuova alleanza in obbedienza al Padre» (Eb 10,5-9), con la sua disponibilità alla volontà dell’Altissimo espressa dalla parola dell’angelo. La volontà oblativa di Maria appare dalla sua opzione fondamentale di offrire la sua vita in piena disponibilità al piano divino: ella non offre qualche cosa, ma se stessa come dono totale (Lc 1,38). Si tratta di un culto reso in mezzo al mondo, nella ferialità della vita a Nazaret o altrove, per cui Maria esercita un’esemplarità in particolare per i laici, come osserva il Vaticano II: «Modello perfetto di tale vita spirituale e apostolica è la beata Vergine Maria, regina degli apostoli, la quale, mentre viveva sulla terra una vita comune a tutti, piena di sollecitudini familiari e di lavoro, era sempre intimamente unita al Figlio suo, e cooperava in modo del tutto singolare all’opera del Salvatore»(AA, n. 4). Al Calvario l’oblazione spirituale di Maria raggiunge la massima intensità, poiché si unisce al sacrificio cruento del Figlio crocifisso per la redenzione del mondo: là il sacerdozio della Vergine appare nel compito unico di rappresentare la Chiesa che accoglie la redenzione e vi coopera. E là culmina la partecipazione sacerdotale di Maria, in quanto presso la croce del Figlio ella continua a realizzare la sua virtù fondamentale che ha suscitato la lode di Elisabetta: la fede esemplare di serva del Signore, implicante la fedeltà fino alla fine. Infatti Gesù a Cana fissa un appuntamento alla Madre quando sarà giunta la sua «ora» (cf. Gv 2,4), l’ora della passione-glorificazione. E Maria è puntuale al rendez-vous del Figlio con la sua presenza presso la croce, dove egli le rivelerà la sua missione materna nei confronti del discepolo amato (Gv 19,25-27). Ella è là nella «donna partoriente», personificazione della comunità messianica, che passa dal dolore del parto alla gioia per la nascita del figlio, in questo caso il nuovo popolo di Dio. Maria partecipa alle sofferenze di Cristo raggiungendo «un vertice già difficilmente immaginabile nella sua altezza dal punto di vista umano, ma certo misterioso e soprannaturalmente fecondo ai fini dell’universale salvezza» (GIOVANNI PAOLO II, Salvifici doloris, 25). Ma ella è unita al sentimento di abbandono, sperimentato da Cristo nei riguardi del Padre, poiché «è testimone, umanamente parlando, della completa smentita» della promessa di Gabriele circa il regno eterno del messia davidico (Lc 1,33). Come il Figlio la Madre si abbandona a Dio senza riserva e «partecipa mediante la fede allo sconvolgente mistero di questa spoliazione» (RM 18). Nell’esistenza gloriosa infine Maria partecipa all’attività salvifica del Figlio a favore dei propri figli secondo lo Spirito. È una conseguenza dello schema biblico della «bassezza-esaltazione» che si applica al giusto dell’AT, in modo sommo a Cristo, quindi a Maria e infine a tutta la Chiesa. Secondo tale schema, al momento kenotico segue quello operativo-salvifico che contempla l’assunzione al cielo, l’intronizzazione nel regno e la glorificazione del corpo. Maria è ormai gratificata delle quattro doti delle persone risorte: incorruttibilità, splendore, potenza e spiritualità (1Cor 15, 42-44) e con Cristo, spirito vivificante, può esercitare il suo ruolo materno nella rigenerazione dei figli di Dio. In cielo, come tutti gli eletti, Maria celebra la liturgia eterna e intercede per gli esseri umani la grazia della salvezza.

3. Maria tipo del Popolo sacerdotale
Non basta avere appurato che Maria partecipa al sacerdozio dei fedeli. Occorre aggiungere con i teologi contemporanei che il sacerdozio di Maria «va collocato dalla parte del sacerdozio comune, del sacerdozio dei fedeli, anche se con una propria specifica particolarità» oppure «in misura sublime ». In tal modo si raggiunge la tipologia, che include l’esemplarità, per cui si può affermare che Maria è «tipo del popolo sacerdotale». Il termine latino typus (etimologicamente viene dal greco ed evoca l’impronta di un «typtein», di un colpo di police) contiene una ricchezza di valori non del tutto traducibile con le parole «figura», «immagine» o «modello». Il tipo è la rappresentazione viva, eminente e concreta di una realtà invisibile alla quale è intimamente congiunta. Il tipo include tre elementi:
a) Rappresentazione di un contenuto spirituale o di un valore da parte di una figura concreta;
b) Vincolo reale interno, fondamento della rappresentazione;
c) Esemplarità o carattere di modello morale conseguente alla rappresentazione.
Ora i tre elementi costitutivi del tipo si applicano a Maria quanto al sacerdozio, fino a poter affermare che ella è, dopo Cristo archetipo supremo e al seguito di lui, tipo del popolo sacerdotale.
3.1. Maria rappresentazione concreta del contenuto spirituale del sacerdozio
Certamente la madre di Gesù non è un’astrazione né un’idea, ma una persona reale e storica, che testimonia la realtà dell’incarnazione. Ora nella persona concreta di Maria, soprattutto in alcuni eventi di Cristo cui ha partecipato nella sua vita terrena, brilla il «sacerdozio santo» proprio del popolo di Dio che abilita ad «offrire vittime spirituali, gradite a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1Pt 2,4-5). Maria offre se stessa al Padre in piena disponibilità alla parola divina e offre il Figlio nella presentazione al tempio e sotto la croce, e rinnova questa offerta con la comunità di Gerusalemme celebrando nello «spezzare il pane» il memoriale della morte del Signore. Maria rappresenta in modo vivo il valore del sacerdozio universale, anche lei – in senso proprio e non metaforico – è sacerdote! Anzi per rappresentare è necessario esprimere il valore del sacerdozio in maniera eminente. Ora, come ha precisato Paolo VI, se «non possiamo attribuire alla Ma donna le prerogative proprie del sacerdozio [ministeriale]», colei che è al vertice dell’economia della salvezza «precede e supera il sacerdozio». La precedenza di Maria dunque non è solo cronologica, ma soprattutto è assiologica, perché nessuno, sul piano della santità e della vicinanza a Cristo, può svolgere come lei il servizio sacerdotale. Ed è bella la testimonianza che la comunità lucana esprime, ponendo sulle labbra di Maria il Magnificat, il cui primo versetto si potrebbe tradurre: «Con tutta la mia vita lodo il Signore ed esulto in Dio mio salvatore», in quanto tutto l’io di Maria (anima e spirito) è impegnato nel rendere grazie all’Altissimo.
3.2. Vincolo reale interno, fondamento della rappresentazione
Il tipo non è una rappresentazione esterna o estranea a noi, nel qual caso il prenderlo in considerazione dovrebbe considerarsi un optional. Esso deve inserirsi nell’intimo della propria realtà, come inizio perfetto e condizionante positivamente lo sviluppo di tutto l’organismo. Nel caso di Maria in ordine al sacerdozio universale, si deve ammettere che ella è «membro eminente», quindi legato a noi dai vincoli di fraternità umana e cristiana, e questo già basterebbe per avvicinare il tipo riconoscendolo all’interno dell’organismo che è la Chiesa. Ma si deve procedere oltre, perché Maria – come l’ha proclamata Paolo VI – è «Madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo di Dio, tanto dei fedeli come dei pastori, che la chiamano madre amorosissima ». In questa linea Giovanni Paolo II giunge a chiamare Maria «la madre del sacerdozio, che abbiamo ricevuto da Cristo» ed esorta i presbiteri perché affidino a lei il proprio sacerdozio. Se è così, se cioè Maria è nostra sorella e nostra madre, quello che avviene in lei in ordine al sacerdozio ci concerne da vicino e dobbiamo prestare la dovuta attenzione.
3.3. Esemplarità o carattere di modello morale conseguente alla rappresentazione
Se il Concilio Vatcano II osserva che i fedeli «innalzano gli occhi a Maria, la quale rifulge come modello di virtù davanti a tutta la comunità degli eletti» (LG 65), dobbiamo all’esortazione apostolica Marialis cultus di Paolo II (1974) la presentazione della Vergine «quale modello dell’atteggiamento spirituale con cui la Chiesa celebra e vive i divini misteri» (MC 16). Siamo in pieno ambito cultuale, quindi nell’esercizio del sacerdozio regale e per alcuni ministeriale. E proprio in tale contesto vengono evidenziati egregiamente gli atteggiamenti esemplari della Madre di Gesù, che rivestono una speciale importanza per una partecipazione sentita ed efficace ai divini misteri: «Maria è la Vergine in ascolto... in preghiera... madre... offerente» (MC 17-20). La stessa Marialis cultus non manca di applicare il riferimento di Maria al «sacrificio eucaristico, memoriale della morte e resurrezione» del Signore, che la Chiesa compie «in comunione con i Santi del cielo e, prima di tutto, con la beata Vergine, della quale imita la carità ardente e la fede incrollabile» (MC 20). Continuando su questa linea, Giovanni Paolo II riconosce a Maria il titolo inedito di donna eucaristica e lo spiega nella sua duplice dimensione dell’esemplarità e della presenza.

4. Conclusione
a) La nostra riflessione sul tema di Maria come Virgo sacerdos e tipo del popolo sacerdotale ci ha convinto della legittimità di tali titoli, per il semplice fatto che se tutti i cristiani sono sacerdoti in quanto partecipi del sacerdozio regale della comunità ecclesiale, non vi è ragione di escludere Maria. Anzi Maria è sacerdote prima di noi e meglio di noi per essere nella Chiesa rappresentazione concreta ed eminente della condizione fondamentale del popolo di Dio, partecipe della mediazione di Cristo sia ascendente (mediante l’offerta di se stessi e della vittima sacramentale) sia discendente (mediante la testimonianza della vita e l’intercessione).
b) Sulla scia del Vaticano II, il «sacerdozio ministeriale andrebbe sempre indicato col termine presbiterato; mentre il termine sacerdozio andrebbe riservato al sacerdozio di Cristo e al sacerdozio di tutto il popolo di Dio». Tutti siamo sacerdoti, alcuni divengono presbiteri mediante l’imposizione delle mani e l’unzione con il crisma. Questa precisazione terminologica legittima, senza possibilità di equivoci, il titolo Virgo sacerdos. Mentre infatti nel passato il sacerdozio indicava in primo piano e in senso proprio i ministri ordinati, relegando spesso al senso improprio e metaforico il sacerdozio universale, con il Concilio Vaticano II si rovesciano le posizioni. In primo piano si pone il sacerdozio di Cristo, poi si parla del sacerdozio universale dei fedeli e all’interno e al servizio di questo si tratta del sacerdozio ministeriale (episcopato e presbiterato). Dicendo Virgo sacerdos non si dovrebbe più pensare ad attribuire a Maria il sacerdozio presbiterale o ministeriale, ma il sacerdozio comune a tutti i membri della Chiesa (sacerdozio vero e proprio, non metaforico) in misura eccellente. Questa situazione non pregiudica l’attribuire alle donne di oggi un ministero confacente con le loro aspirazioni e con le necessità della Chiesa.
c) Poiché Maria precede il sacerdozio ecclesiale, in quanto cronologicamente prima cristiana e assiologicamente più santa di noi, bisogna riconoscere a lei una tipologia che la colloca ad un grado eminente rispetto a noi. Ella possiede i tre elementi costitutivi del tipo: rappresentazione concreta ed eccelsa del compito sacerdotale, in quanto unita più di ogni altra creatura al sacrificio redentore del Figlio, vincolo interno con tutti noi in quanto sorella di fede e madre di tutto il popolo di Dio compresi i pastori, esemplarità quale modello degli atteggiamenti cultuali di ascolto, offerta, preghiera e maternità, anzi donna proiettata verso l’eucaristia durante la sua vita terrena. Possiamo dunque ritenere dimostrato il titolo che compete a Maria di tipo del popolo sacerdotale. Ne consegue che Maria diviene ispiratrice dei laici nell’esercizio dell’ufficio sacerdotale partecipando attivamente alla liturgia e trasformando la propria vita in un culto spirituale reso a Dio. Maria è l’esempio più perfetto di partecipazione liturgica in quanto Vergine in ascolto, in preghiera, offerente e madre che continua a generare Cristo nel mondo. La coscienza di essere popolo sacerdotale, cioè partecipi della mediazione sacerdotale di Cristo, condurrà ad una vita santa, ispirata all’esempio della Vergine Madre che ascolta, prega, soffre ed offre e diviene un raggio di luce che penetra nella selva oscura del cammino umano e lo trasforma – secondo il programma sempre attuale di Pio XII – da selvatico in umano, da umano in divino.

Bibliografia
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VEDI ANCHE
- MODELLO DEL SACERDOTE
- VIRGO SACERDOS
- VOCAZIONE SACERDOTALE
 






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