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PARADIGMA ANTROPOLOGICO


1. La verità dell'uomo

La verità dell’uomo ci viene svelata innanzitutto dalla rivelazione biblica della Genesi, quando Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine (ºélem), a nostra somiglianza (demût)» (Gen 1,26). E l’autore ribadisce: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Da notare che immagine e somiglianza non si pongono in senso ascendente; al contrario, somiglianza attenua l’immagine, escludendo la parità dell’uomo collettivo con Dio. Permane però la somiglianza divina che rende l’uomo persona: «Il termine concreto 'immagine' implica una similitudine fisica, come tra Adamo e suo figlio (5,3). Questo rapporto con Dio separa l’uomo dagli animali. Suppone inoltre una similitudine generale di natura: intelligenza, volontà, potenza; l’uomo è persona». Si attua qui la prima forma di dialogo: quella di Dio creatore che pone l’uomo nell’esistenza come sua immagine. Rispondendo al Tu divino, l’uomo realizza la sua persona. Per K. Barth l’uomo è immagine di Dio perché può entrare in relazione con Dio stesso e con il proprio simile. Egli è costituito come 'Io in relazione al Tu', proprio come avviene in Dio, che il Nuovo Testamento presenterà non come solitario ma come comunione tra Padre, Figlio e Spirito Santo. L’antico racconto jahvista della creazione della donna (Gen 2,18-24) esplicita il significato personalistico-relazionale della coppia umana. Soltanto di fronte alla donna, al suo simile che gli sta innanzi, «l’uomo scopre se stesso come essere autonomo e libero e perciò come persona». Ciò significa che il compito dell’uomo e della donna, vera effigie di Dio, consiste nel vivere come immagine di Dio Trinità e giungere ogni giorno ad una più perfetta somiglianza con lui, come interpreta la tradizione orientale. Essere imago Trinitatis non implica analogie a sfondo sessuale, ma piuttosto assume la comunione trinitaria come «modello utopico e paradigma regolativo della struttura ternaria delle relazioni che si stabiliscono all’interno della famiglia umana: la reciprocità dei Due (Io-Tu) si apre al Terzo trascendente (Noi), lo Spirito dell’Amore, che custodisce la distinzione e la suggella nella comunione». Uomo e donna sono immagine di Dio in quanto esseri personali, dotati cioè di autonomia e di relazione, di autopossesso o potere d’introspezione e di autodonazione o relazionalità oblativa: «grazie al carattere personale dell’essere umano ambedue - l’uomo e la donna - sono simili a Dio. Essere persona ad immagine e somiglianza di Dio comporta anche un esistere in relazione, in rapporto all’altro "io"».

2. L’uomo nuovo in Cristo
Partiamo da una frase programmatica del Concilio Vaticano II a proposito dell’uomo che in Cristo scopre la propria identità e vocazione:(GS 22). Ci troviamo di fronte a un principio antropologico basilare: l’uomo è rivelato compiutamente dalla persona di Cristo, di cui Adamo era un abbozzo. L’essere personale di Cristo, del primo Adamo, svela l’essere personale dell’uomo, creatura capace di dialogo con il Creatore e chiamato a realizzarsi nel rapporto d’amore con gli altri. In realtà, Gesù appare come un , per cui è aperto a Dio e conseguentemente agli altri uomini e al mondo: «Gesù Cristo fu il primo uomo della storia che realmente, in forma integrale, realizzò una relazione pienamente filiale con Dio, fraterna con tutti gli uomini e di signoria di fronte al mondo che lo circondava, cosmico e sociale. Egli sciolse il nodo aggrovigliato di relazioni che ogni uomo è e ricollocò l’uomo nella sua situazione originaria di figlio, fratello e signore. Perciò egli è per eccellenza e in modo esclusivo l’ e il Figlio dell’uomo e di Dio». Gesù non è solo in perenne relazione con il Padre e con lo Spirito, ma è pure l’accoglienza fatta persona degli altri, in particolare dei peccatori e degli emarginati, tra cui i bambini e le donne. Gli altri, in questo caso addirittura i peccatori, sono accolti in Gesù di Nazaret prima ancora di ogni loro decisione, per il fatto che sono stati amati mentre erano ancora peccatori ( Rm 5,8). I peccatori sono amati per sempre in Cristo, nella sua morte per loro, con un irrevocabile ( 2Cor 1,19-20). Anzi, l’essere per i peccatori non è solo la finalità stessa della missione di Gesù, ma costituisce la sua personalità in quanto il Padre l’ha reso addirittura peccato (2Cor 5,17-21). Gesù non è concepibile teologicamente senza l’alterità del peccato umano. L’altro lo con-costituisce. Gesù è, come egli stesso si definisce a proposito del corpo eucaristico, un . La relazione, l’, non sopraggiunge in un secondo tempo al suo , ma coincide con esso.

3. Maria paradigma antropologico
«All’inizio è la relazione» vale anche per Maria. Maria è presentata dal NT con titoli relazionali o funzionali: «Sposa di Giuseppe» (Mt 1,18.20.24); «Madre di Gesù» o «sua madre» (Mt 12,46;13,55; Mc 3,31; Lc 8,20: Gv 2,1.3.5.12; 6,42;19,25); «Madre del mio Signore» (Lc 1,43); «madre del discepolo amato» (cfr Gv 19,27); «Serva del Signore» (Lc 1,38); «quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20); «colmata di grazia» (Lc 1,28), passivo divino e titolo funzionale. Ciò significa che la persona di Maria non si comprende senza l’altro cui fanno riferimento le sue qualifiche: Giuseppe, Gesù, il discepolo amato, il Signore, lo Spirito, l’Altissimo. Maria raggiunge la massima importanza dal fatto che ella è costitutivamente in relazione al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, in quanto madre dell’Unigenito. In Maria l’essere e la relazione coincidono, sicché ella è definita come relazione. Tutta la vita di Maria è stata una pro-esistenza, un dono di sé nelle mani di Dio per i suoi piani di salvezza. Se come madre non può che relazionarsi al Figlio ed soffrire dolori atroci per il suo smarrimento nel tempio e per la sua crocifissione, come credente e discepola si abbandona fiduciosamente a lui e invita i servi a fare altrettanto: «Fate quello che egli vi dirà» (Gv 2,5). Anche la sua interiorità è proiettata sul mistero di Cristo, poiché ricorda e medita tutte le parole ed eventi anche incomprensibili che lo riguardano (cfr Lc 2,19.52). Un esimio rappresentante della mariologia del nostro secolo, Heinrich Köster (+ 1993), ha salutato nella risposta responsabile di Maria all’Angelo «la data di nascita della personalità cristiana». In lei troviamo - secondo l’espressione del Bérulle - «la persona più degna che potrà mai esistere dopo le Persone divine»; una persona che nasce sotto lo sguardo di Dio che la guarda con amore e la chiama ad inserirsi responsabilmente nella storia della salvezza. E lei risponde accogliendo la proposta divina con libertà e generosità. La Vergine presenta in se stessa la vera icona dell’uomo secondo il piano di Dio e nel suo rapporto essenziale a Cristo: un essere dall’io interiore profondo e responsabile ed insieme come radicale relazionalità. Proprio a motivo della sua relazionalità fondamentale e della sua solidarietà con il popolo di Dio, la Vergine assume il ruolo di collaboratrice di Dio nella salvezza dell’uomo. L’intuizione perspicace di Ireneo scorge nel consenso di Maria una portata salvifica universale: «Come Eva, dunque, disobbedendo, divenne causa di morte per sé e per tutto il genere umano, così Maria [...] obbedendo divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano». Balza agli occhi dei commentatori la «portata sociale» e la «causalità effettiva» del comportamento sia di Eva che di Maria: ambedue sono strappate da un recinto individuale e privato e operano all’interno della storia religiosa del mondo per la rovina o per la salvezza degli uomini.

4. Maria, eco di Dio per gli uomini
La santità e l’assenza di egoismo rendono Maria trasparenza del divino e catalizzatore dell’incontro con la Trinità. Mentre il peccato nasconde e offusca il volto di Dio e dell’autentica religione, la grazia manifesta l’opera di Dio nella storia della salvezza. Luigi Grignion da Montfort ribadisce contro i «falsi illuminati» (Segreto di Maria 21) che Maria non rappresenta un impedimento per l’unione divina, appunto perché ella «è fatta soltanto per Dio» (SM 21) e spiritualmente è «così unita e trasformata in Dio» (Vera Devozione 164; cfr. VD 75). Perciò, «la divina Maria, completamente immersa in Dio, è ben lontana dal divenire un ostacolo ai perfetti nella via dell’unione con Dio» (VD 165). Il contesto del discorso montfortano su Maria «toute relative» è cultuale. Montfort intende mostrare che la lode e l’onore resi a Maria non si fermano a lei ma sfociano nella lode di Dio. Così, infatti, ella stessa si è comportata quando alla lode di Elisabetta ha risposto con il Magnificat. Il motivo di questo atteggiamento è la sua costitutiva relazionalità a Dio, sicché non esiste nessun rischio che Maria rappresenti un ostacolo all’unione con Dio. Vale la pena citare tutto il passo monfortano in esame: «Ogni volta che tu pensi a Maria, Maria pensa per te a Dio. Ogni volta che tu dai lode e onore a Maria, Maria con te loda e onora Dio. Maria è tutta relativa a Dio, e io la chiamerei benissimo l’essere relazionale a Dio, che non esiste se non in relazione a Dio, o l’eco di Dio, che non dice e non ripete se non Dio. Se tu dici Maria, ella ripete Dio…» (VD 225). L’interpretazione di Maria come essere in relazione è fatta propria e lanciata da Paolo VI a commento del capitolo mariano della Costituzione Lumen Gentium del Concilio vaticano II: «Soprattutto desideriamo che sia posto chiaramente in luce come Maria, umile serva del Signore, è tutta relativa a Dio e a Cristo, unico Mediatore e Redentore nostro». Anche il contesto del discorso di Paolo VI è quello degli impegni pratici che scaturiscono dalla promulgazione del capitolo VIII della Lumen Gentium e dalla proclamazione di Maria Madre della Chiesa: maggiore preghiera a Maria e attribuzione a lei del giusto culto, assimilazione dei suoi comportamenti vedendo in lei il modello dei discepoli del Signore, illustrazione del fatto che Maria «è tutta relativa a Dio e a Cristo», spiegazione della «vera natura» e degli «scopi del culto mariano». Qui Paolo VI si pone in dimensione ecumenica, riprendendo con altre espressioni la natura relazionale della stessa devozione mariana: «E parimenti si illustrino la vera natura e gli scopi del culto mariano nella Chiesa, là specialmente dove sono molti fratelli separati, in modo che quanti non fanno parte della Comunità cattolica, comprendano che la devozione a Maria, lungi dall’essere fine a se stessa, è mezzo invece essenzialmente ordinato ad orientare le anime a Cristo e così congiungerle al Padre, nell’amore dello Spirito Santo». Alla nostra ricerca di un "tipo antropologico" per il terzo millennio ha risposto la fede additando innanzitutto Cristo, l’uomo relazionale per eccellenza, e Maria, la persona umana tutta relativa a Dio e agli esseri umani. Cristo è modello trascendentale a motivo del suo essere Dio e uomo, Maria rimane modello categorico totalmente umano, in particolare per la Chiesa che si pone dinanzi a Cristo come la sposa dell’alleanza. Da ambedue impariamo a considerare la nostra vita come pro-esistenza in contesto di solidarietà e di relazionalità, cioè a non rimanere uno accanto all’altro, ma con l’altro, per l’altro e nell’altro: ideale che suppone come base e come effetto la partecipazione all’essere stesso di Dio che è Amore.

Bibliografia
S. DE FIORES, Maria, modello antropologico per il nuovo millennio in Madre di Dio, n. 4-aprile 2002, p.10; ID., La pro-esistenza di Maria di Nazareth nel contesto della relazionalità, in Ricerche teologiche 6(1995) pp. 213-227; ID., Maria, paradigma antropologico per il terzo millennio, in PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA CULTURA, CONSIGLIO DI COORDINAMENTO FRA ACCADEMIE PONTIFICIE, Maria «aurora luminosa e guida sicura» della nuova evangelizzazione, Atti della settima seduta pubblica, Vaticano, 29 ottobre 2002, Città del Vaticano 2002, pp. 34-52; A. AMATO, Maria di Nazareth, paradigma dell’antropologia cristiana, in Miles Immaculatae 41(2005) pp. 37-61; ID., Maria e la Trinità. Spiritualità mariana ed esistenza cristiana, Cinisello Balsamo 2000; G.P. DI NICOLA, Maria persona in relazione tra sociologia e teologia, in Theotokos 2(1994) pp.197-261; M. DOSIO, Maria di Nazaret, icona di femminilità, in Scienze dell’educazione 36(1998) pp. 381-408; C. DOTOLO, Maria risposta alle attese della cultura contemporanea, in B. SCALISI-E. VIDAU (ed.), Maria e la cultura del nostro tempo. A 30 annni dalla Marialis Cultus. Atti del XV Colloquio internazionale di mariologia, Patti (Me), 16-18 aprile 2004, Roma 2005, pp. 127-152; ILDEFONSO DE LA INMACULADA, Antropología y mariología, in EstMar 57(1992) pp. 277-308; M.M. MURARO - M.M. PEDICO- L. M. BURANI (ed.), Lo sguardo di Maria sul mondo contemporaneo, Atti del XVII Colloquio internazionale di mariologia, Rovigo, 10-12 settembre 2004, Roma 2005, pp. 163-197; M.M. PEDICO, Maria di Nazareth, icona del “genio della donna, in Theotokos 4(1996) pp. 625-639; M. T. PORCILE SANTISO, María, arquetipo de lo femenino, in EphMar 44(1994) pp. 287-295; S. ROSTAGNO, Marie, modèle du rapport de l’être humain avec Dieu, in Études théologiques et religieuses 67(1992) pp. 227-242 ; G.L. RUIZ DE LA PEÑA, Immagine di Dio. Antropologia teologica fondamentale, Roma 1992; K. RAHNER, Maria Madre del Signore. Meditazioni teologiche, Fossano 1962; ID., Praticare con coraggio il culto mariano, in Società umana e Chiesa di domani. Nuovi saggi X, Roma 1986; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai vescovi della chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella chiesa e nel mondo, 31 maggio 2004; I. DE LA POTTERIE, Maria nel mistero dell’alleanza, Genova 1988.

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- ANTROPOLOGIA
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