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TINDARI



Il Santuario mariano più antico e più visitato della Sicilia.

1. Le origini di Tindari
a) Tindari è una delle antiche colonie greche di Sicilia, fondata da Dionigi di Siracusa nel 396 a.C., come avamposto dei suoi possedimenti sul Mar Tirreno. Nel 254 a.C. Palermo fu conquistata dai Romani; mentre la città di Tindari  insieme ad altre città si sottomise spontaneamente al nuovo invasore, consapevole che qualsiasi resistenza contro la potenza di Roma sarebbe risultata vana. Nel 146 a.C. i Tindaritani oramai sotto il dominio Romano parteciparono alla terza guerra punica, combattendo con valore, distinguendosi tra gli altri soldati. Ottenuta la vittoria sui Cartaginesi, Scipione l’Africano ammise pubblicamente che grazie al valore dei soldati Tindaritani, si riuscì a distruggere Cartagine. In segno di riconoscimento per tale valore, Scipione restituì la statua di Mercurio alla città  di Tindari, precedentemente trafugata dai Cartaginesi. Dell'antica Tindari, rimangono oggi l’anfiteatro romano che in estate è adibito a spettacoli classici; le mura perimetrali della città e delle terme.
b)  Nel V secolo d.C., Tindari fu nominata sede vescovile; a testimonianza del nuovo status ci sono i numerosi menzionanti nelle cronache ecclesiastiche sicule, arricchite dalle partecipazione dei suoi vescovi ai sinodi. Papa Martino, il 5 ottobre del 649 inaugurò il Concilio Lateranense, nella “Basilica del Salvatore” dove vi parteciparono 115 vescovi, tra cui  il Vescovo di Tindari. La città fu distrutta dagli arabi nell’836 e risorta durante la dominazione normanna, quando il “Gran Conte Ruggero” vi fondò un monastero benedettino. 

2. Il culto della Madonna nera e la sua Icona
a) Per quanto riguarda l’origine del culto della “Madonna nera del Tindari” non ci sono negli anali notizie certe e ben definite. Le ipotesi si perdono  nella notte dei tempi, partorendo leggende che la devozione popolare ha fatto proprie. Di un dato possiamo essere sicuri: il periodo delle persecuzioni iconoclaste avrebbe fatto nascere il culto della “Madonna nera”. Il 17 ottobre 1954 nell’occasione dell’Anno Mariano, Pio XII con un  radio messaggio rivolto al popolo siciliano, volle far riflettere sull’immensa fortuna che la terra di Sicilia ha avuto nel periodo delle persecuzioni iconoclaste, per aver accolto le innumerevoli icone della “Theotokos”. Con lo scorrere dei secoli, la Sicilia ha subito diverse dominazioni, e in qualche modo anche quella bizantina. L'isola è stata rifugio, così, per tanti monaci che scappavano da Bisanzio portando con se le icone della Madonna che riuscivano a salvare dalla furia iconoclasta. La presenza di questi santi monaci ha arricchito il popolo Siciliano, nella teologia e la liturgia greca, valorizzando l’immagine della “Madre di Dio” e rafforzando la devozione in essa. Quindi non è stato soltanto il salvataggio delle icone ma avvenne anche un apporto di cultura ortodossa e di pietà mariana. Attorno a quelle sacre icone furono costruiti dei Santuari, destinati a diventare fari della devozione mariana per i posteri.
b) La “Madonna Nera di Tindari” non fece eccezione, giunse in Sicilia, secondo la tradizione, su una nave proveniente dall’oriente, sottratta in qualche modo alla devastante ideologia iconoclasta. Durante una tempesta nel mare Tirreno la nave cercò rifugio nella baia di Tindari per non affondare; terminata la tempesta i marinai volevano riprendere il largo, ma la nave non si muoveva in nessun modo; cercarono di remare, inalberarono la vela ma fu tutto inutile. I marinai, non sapendo il motivo di questa situazione anomala pensarono che la nave fosse sovraccarica e iniziarono ad alleggerirla del carico della stiva. La nave era quasi vuota ma non si spostava, restava nella stiva soltanto la cassa contenente il Simulacro di una “Madonna Nera” lasciato per ultimo, pensando che non sarebbe stato necessario metterlo a terra. Soltanto dopo la sofferta decisione di scendere la cassa contenente la “Madonna Nera”, la nave fu liberata da quella che sembrava un’ancora invisibile e solo così poté riprendere la sua rotta. Ripartita la nave, gli abitanti del posto si diedero da fare nella spartizione di quell’insolito carico lasciato sulla spiaggia. Lo stupore maggiore fu nel momento dell’apertura della cassa contenente il Simulacro della “Madonna Nera”. Nei presenti subito balenò il pensiero di dove collocare la sacra statua. La decisione finale e unanime, fu di trasportare l’immagine della “Madonna” sul luogo più alto di quel versante e fu scelto il Tindari dove una prosperosa comunità cristiana era già esistente.
c) Purtroppo dell’autore del Sacro Simulacro non possiamo sapere la paternità, tanto meno la frazione di tempo in cui fu scolpito. Con questi presupposti possiamo solo considerare lo stile della lavorazione della “Sacra immagine” e del particolare che subito spicca all’occhio. La “Madonna Nera” tiene ben stretto sul suo grembo suo figlio, cosa che induce a ipotizzare che essa risalga ad un’epoca posteriore al “Concilio di Efeso” in cui si definì la divina maternità di “Maria”; quindi probabilmente tra il quinto e il sesto secolo in qualche località dell’oriente. La provenienza orientale potrebbe essere avvallata dalla sua postura, in atteggiamento seduto mentre regge suo Figlio che con la mano destra sollevata benedice. Un’altro particolare che non passa inosservato all’occhio attento di chi guarda la “Madonna Nera” è il fatto che“La Vergine Maria” è coperta da una tunica rossa sopra la quale indossa un manto di colore azzurro, e sul capo porta una corona tipicamente orientale, sembra un turbante decorato con motivi arabeschi dorati, ricavato nello stesso legno.

3. L’antico Santuario della Madonna di Tindari
a) Sulle origini della remota chiesa antecedente al “Vecchio Santuario” del 1552 dedicata alla “Madonna Nera”non ci sono fonti documentati attendibili, ma saltando probabili ipotesi dell’esistenza di un luogo di culto tramandato dalla memoria popolare. La chiesa di cui non ci sono documenti che attestino la sua possibile esistenza, potrebbe essere stata costruita durante il periodo in cui Tindari fu sede di diocesi, e successivamente andata distrutta assieme alla città stessa nel 1544 per mano del pirata Algerino Ras Dragut sopranominato il “Barbarossa”. É probabile anche che la primitiva chiesa sia stata costruita sulla stessa area dove sorgeva un tempio pagano, e successivamente ristrutturato in un tempio cristiano. Questa supposizione è suffragata dalle notizie, sia pur frammentarie, dell’esistenza della diocesi di Tindari. Quindi è logico pensare che in essa vi erano delle chiese; in particolare quella che custodiva il “Sacro Simulacro”. Basandosi sulle testimonianze di antichi scrittori, sembra essere probabile che la chiesetta, assieme a qualche casa sia scampata alla distruzione della furia degli Arabi e successivamente ampliata. Su questa supposizione però non ci sono prove certe.
b) L’anno della costruzione del vecchio “Santuario” risale al 1552 per volere di Mons. Bartolomeo Sebastiani, Vescovo di Patti. Nella vecchia struttura vi sono annessi dei locali per il pernottamento dei pellegrini che si dedicavano al culto. Un particolare viene subito alla mente: la data scolpita sul portale d’ingresso: 1598, data che presumibilmente potrebbe essere l’anno del completamento del portale stesso. Sostanzialmente il “Vecchio Santuario” in questo arco di secoli dalla sua costruzione è stato sottoposto a vari restauri, ma strutturalmente non è stato interessato. Questo  piccolo “Santuario” non fu più idoneo a contenere i devoti della “Madonna Nera”sempre più numerosi. A soluzione di questo problema per fortuna non si è voluto avvalersi dell’opzione dell’abbattimento del “Vecchio Santuario” per costruirne un altro più grande sulla stessa area dove sorgeva quello più piccolo, quindi è stato risparmiato contro ogni pensiero di ampliamento, ed è un gioiello di architetta gelosamente custodito. Il Vecchio Santuario per ben quattro secoli ha accolto migliaia di pellegrini e penitenti elevando la loro preghiera e la loro mente a “Colei ch’è la Madre di Dio e Madre nostra” .

4. Un nuovo tempio per la Madonna Nera
Il Santuario esistente era diventato inadatto ad accogliere i sempre più numerosi pellegrini. Mons. Pullano per risolvere questo increscioso problema, individuò come soluzione più logica alla realizzazione del nuovo “Santuario” l’utilizzo del terreno della villa adiacente a quello vecchio, prevedendo la demolizione di alcuni locali ma lasciando intatto l’antico “Santuario”. L’otto  dicembre 1957 venne posta la prima pietra, proveniente dalle rovine del sito archeologico greco-romano, già benedetta precedemente il 30 dicembre  1956 da “Papa Pio XII”. Sua Ecc. Mons. “Giuseppe Pullano” (1953-1977) nel programma del suo episcopato al primo posto ha voluto la costruzione di questo nuovo Santuario della “Madonna del Tindari”, e si prodigò alla sua realizzazione fino alla morte avvenuta il 30 novembre 1977, non potendo realizzare il desiderio di fare coincidere l’inaugurazione del nuovo “Santuario”con la data del suo 25°anniversario della sua ordinazione, che cadeva il 29 giugno 1978. A causa di questa morte improvvisa del “Grande Vescovo”, il nuovo “Santuario” fu consacrato in onore della “Madonna Nera” il 1 maggio 1979 da “S. Em.za il Cardinale Salvatore Pappalardo”. Mons. Pullano, tuttavia, realizzò il passaggio del Simulacro della Madonna nel nuovo tempio ancora non ultimato. Il “Simulacro della Madonna di Tindari” fu traslato, infatti, il 6 settembre 1975, in contemporanea alla benedizione degli spazi interni completati dai costruttori. Quella stessa sera “Mons.Pullano celebra la prima “Messa” nel costruendo“Santuario” alla presenza di una moltitudine di fedeli. Il giorno seguente è sempre “S. Em.za il Cardinale Salvatore Pappalardo”a concelebrare la solenne “Messa”assieme a “Mons. Pullano” il quale nell’omelia definisce il nuovo “Santuario”l’anticamera del paradiso.

5. L’architettura del Santuario
a) La nuova dimora della “Madonna Nera”, ha 3 navate a croce latina con transetto quadrato e absidi semicircolari, con pianta a sviluppo “Basilicale”. La Chiesa è lunga m.64 e larga m.24; il basamento è in marmo billiemi e le falde della copertura sono rivestite di ceramica azzurre. Sul fianco settentrionale adiacente alla navata sinistra è stato costruito un gran loggiato “lungo 76 metri e largo 8”,che permette di ammirare il suggestivo panorama dei laghetti di Marinello. La facciata si innalza sulla piazza, sopraelevandosi per lo sviluppo della torre campanaria, le porte sono in bronzo ed ai lati di quella centrale sono collocate le statue dei santi “Pietro e Paolo”.
b) Entrando nel Santuario ci si immette in un atrio decorato da numerose vetrate istoriate, al disopra del quale è situato un grande organo a canne; la navata centrale è delimitata da colonne ottagonali con basi di marmo bianco, e sulla volta si trova un grandioso affresco di 75mq. che raffigura “il Trionfo della Madonna di Tindari”. Collocati su basi di bronzo, che hanno forma di nuvola si innalzano 4 maestosi angeli, anch’essi di bronzo, che sulle mani protese sorreggono il trono della “Vergine Maria”. Dietro il colonnato dell’abside, sulle pareti sono decorate da alcuni mosaici che rappresentano i momenti più salienti della storia del “Santuario”.

6. L’iter del restauro della Madonna di Tindari
a) Il “Manufatto Sacro” durante il corso dei secoli non è rimasto immune alla legge di natura del deterioramento organico mostrando tutti i segni del trascorrere del  tempo, richiedendo un restauro urgente. Già dalla prima ricognizione gli addetti al restauro evidenziarono che le parti originali del “Simulacro della Madonna” erano pochissime, constatando essere assembrata con stoffe è diversi pezzi di legno. Durante il lavoro di restauro non trovarono nessun tentativo di restauro risalente al periodo medievale. Nella stessa immagine sono leggibili invece le vicende che si sono susseguite nei secoli; interventi inevitabili, praticati da persone competenti e alle volte da maestranze inesperte e privi di ogni gusto. Il mondo accademico e di fede chiedeva di tracciare un percorso storico dell’immagine e di intervenire a salvaguardia della sua integrale conservazione. I nodi vengono al pettine agli inizi degli anni ottanta, mentre è Vescovo di Patti Mons. Carmelo Ferraro, ma solo nel 1995 il nuovo Vescovo Mons. Ignazio Zambito d’accordo con il rettore del Santuario Don Antonio Gregorio,concordarono per un vero e risolutivo intervento di restauro.
b) L’organo ufficiale per il restauro  interessò la Sovrintendenza ai Beni Culturali di Messina che, con la supervisione della dottoressa Ciolino e un’èquipe di storici dell’arte, di alcuni teologi, prendono in consegna nell’ottobre dello stesso anno il “Sacro Simulacro” trasferendolo in un laboratorio presso Palermo. Appena iniziati i lavori di restauro con grande stupore l’equipe scopre ai piedi del basamento del “Sacro Simulacro” una frase, incisa nel legno; recita: “Nigra sum sed formosa”. Questa frase riprende il “Cantico dei Cantici”che significa la “bellezza di Maria” nel colore brunito del viso. Dagli esami del legno si stabilisce che il manufatto è di cedro con l’inserimento di elementi estranei che servono da puntellatura. Già da subito la struttura lignea è apparsa fatiscente per la mancanza di diverse parti ridotte in polvere, per l’azione delle termiti e dei tarli. Assurda è stata l’opera di diversi falegnami, che negli ultimi due secoli hanno innestato nel “Sacro Simulacro” tavole, tele di sacco, chiodi e cunei per migliorare la struttura, senza dimenticare gli interventi dei pittori che sovrapponevano vernici e stucchi senza cognizione di arte. Come ipotizzato dopo una accurata ripulitura, gli occhi risultarono aperti, sebbene occultati da secoli da incrostature, fumo, vernici e colori stratificati.
c) Giorno dopo giorno mentre il restauro va avanti, si materializza la consapevolezza che le fattezze della “Madonna” non appartengono alla cultura bizantina né a quella latina. Sembrano tratti mediorientali “palestinesi o siriane”, di chiara matrice araba. Finita l’analisi delle ridipinture degli ultimi secoli, l’equipe dei restauratori  scopre, sotto la camicia  della “Vergine Maria”delle finte pieghe e una tavola lignea trecentesca. Il manto medievale della “Madonna”, non corrisponde allo stile di Bisanzio, ma richiama alla tradizione latina. La mano destra della “Vergine Maria”si presenta molto danneggiata, ricoperta di materiale terroso con le dita legate con del filo di ferro. Disperata è la condizione della struttura, mancante di non pochi pezzi, tenuta in piedi da tavole e assi in maniera fatiscente. I restauratori, dopo parecchie disinfestazioni interne ed esterne, per non disperdere alcun frammento di colore e decorazioni, intervengono mediante particolari colle naturali per riattaccare la pittura alla superficie lignea,che acquista nuova compattezza. Per la ricostruzione dell’unità architettonica del “Simulacro”gli esperti utilizzano legno di tiglio, riempiendo le lacune di stucco. Questo delicato intervento si serve di preparazione per i delicati ritocchi ad acquarello, nelle zone prive di colore, secondo il metodo del rigatino, consistente nell’applicazione  di numerose linee perpendicolari, che solo un occhio intelligente nota. Questa  tecnica evidenzia  la differenza tra le parti restaurate e quelle rimaste originali.
d) Non è casuale né arbitraria la composizione cromatica della “Madonna Nera” i cui colori sono indicativi di un semantico sistema ricco di valori simbolici che rispondono all’idea teologica del medioevo europeo e mediterraneo, che trasmette con la pittura pensieri ed emozioni. Il giallo-oro del diadema mediorientale della “Madonna Nera”,sembra possedere il sole del "Pantocratore”. Anche gli abiti scintillano di lamelle e filamenti aurei, epifania dei colori del cosmo. Molti elementi stilistici indicano come autore un artigiano  della scuola francese, probabilmente originario dell’Alvernia o della Borgogna, che al seguito dei crociati visse in Medio Oriente. Ipoteticamente un crociato anch’egli, con il pallino della scultura del legno. È probabile che un ricco committente, un principe normanno, un abate, o un vescovo del meridione d’Italia o della Sicilia, gli commissionò la creazione di un “Simulacro Ligneo”destinato al culto. Ed egli lo realizzò utilizzando un albero di cedro, tipico della regione, secondo l’arte dello svuotamento del tronco, pratica  diffusa in quel periodo nel sud della Francia. In questa realizzazione è evidente che l’artista ha cercato di lasciare qualche traccia delle sue radici, non tralasciando lo stile costantinopolitano e della tradizione mediorientale. L’artista, realizzando il “Simulacro della Madonna Nera” seduta come una regina tenente sulle sue ginocchia il “Logos”, - espressione della dimensione teologica e culturale del romanico – unisce, sebbene con diversità di forme e di linguaggi, l’Oriente e l’Occidente, lasciando per i posteri un messaggio quale sacramento di unità. Se adesso possiamo ammirarla in tutta la sua bellezza, dopo molti secoli, per il continuo susseguirsi di manomissioni inesperte sull’icona lignea della “Madonna di Tindari” e grazie all’amore di un“Grande Vescovo” e della sua chiesa.

Bibliografia
CAMARATA F., Tre grandi Santuari di Sicilia: Valverde, Tindari, Vena, Tesi di Laurea in Scienze Religiose, I.S.S.R. "San Luca", Catania 2015,  pp. 63-84; GIORDANO R., Tindari città di Maria, Edizioni Santuari Madonna del Tindari, Tindari (ME) 1993; ID., Tindari una stella per la Madre di Dio, Grafiche Abramo, S.P.A., Catanzaro 1987; MOLLICA M., Tindari dalla città greca al culto della Madonna Nera, Armando Siciliano Editore, Messina 2000; CORDIER U., Guida ai luoghi misteriosi d’Italia, Edizione Piemme, Casale Monferrato 1996; AA.VV. Nigra sum sed formosa, Industria Grafica, Agrigento 1996; DI PEA S., Santuari mariani d'Italia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2014, pp. 230-231; MARCUCCI D., Santuari mariani d'Italia. Storia, fede, arte, Edizioni Paoline, Roma 1983, p. 94.






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