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TEODORO STUDITA


1. Cenni biografici e spiritualità
Personalità poliedrica, asceta esemplare, legislatore e organizzatore della vita monastica e strenuo difensore del culto delle icone, Teodoro è noto anche come melode, che ha cantato la grandezza e la santità della Madre di Dio, arricchendo la liturgia bizantina con inni pregni di contenuto teologico e spirituale, come pure di suggestiva ispirazione poetica. Nato a Costantinopoli intorno al 759 da una famiglia di alti funzionari imperiali, ai vantaggi materiali e di carriera preferì la fedeltà ai propri ideali cristiani e, tra l'altro, ai principi della iconodulia. A 22 anni entrò nel monastero. di Saccudio, ex proprietà della sua famiglia, e si dedicò alla pratica della vita ascetica sotto la guida spirituale di suo zio Platone. Ordinato sacerdote dal patriarca Tarasio, a 35 anni fu nominato igumeno del famoso cenobio .costantinopolitano di Stoudion, dove operò alacremente per incrementare la vita religiosa, lasciando un'impronta notevole nelle Regole del cenobio, tanto che i monaci lo considerarono il fondatore del cenobio dal quale presero il nome di studiti. La storia lo annovera tra i più eminenti riformatori del movimento monastico orientale. Durante la seconda fase della persecuzione iconoclasta, pagò la sua fedeltà all'ortodossia con la prigione e l'esilio, dove fu costretto a recarsi per ben tre volte, dove lo colse la morte nell'826 e dove ebbe la prima sepoltura. Soltanto dopo la restaurazione dell'ortodossia le sue spoglie furono riportate trionfalmente a Costantinopoli nell'844. La Chiesa bizantina lo venera come Santo e campione nella difesa delle icone. Egli ne fondava il culto sulla convinzione che l'icona è tutt'uno con la persona raffigurata, anche se essenzialmente si tratta di cose diverse. E l'amore che le unisce e che deve sostenere l'atto di venerazione. In effetti i fedeli che amano Cristo e lo pregano davanti ad un'icona, uniscono quest'ultima alla sua persona. Senza questa operazione della mente e del cuore nessun oggetto di culto sarebbe sacro. Perciò anche l'iconografo deve accompagnare il suo lavoro con la preghiera.

2. La Madre di Dio nelle Opere di Teodoro
a) Tra le opere dello Studita, presenti nella Patrologia Greca, ricordiamo i tre trattati polemici contro gli iconoclasti (Antirrhetici) , le orazioni, i sermoni catechetici, un abbondante epistolario, e le istruzioni sulla vita monastica (Piccola Catechesi e Grande Catechesi). In questi ultimi scritti Teodoro chiarisce e sviluppa la sua concezione della vita monastica, che egli fonda sulla pratica dell'obbedienza all'igumeno, sulla preghiera liturgica, sulla povertà personale e sul lavoro manuale. Chiaramente si avvertono gli influssi di Pacornio e Basilio di Cesarea, il che spiega anche i motivi per cui lo Studita ha dato la preferenza alla vita cenobitica piuttosto che a quella eremitica.
b) Per quanto concerne il suo pensiero sulla Madre di Dio, ha modo di parlare o di alludere a lei con una certa frequenza in tutti i suoi scritti. In particolare le dedica due sue omelie: Sulla Natività e Sulla Dormizione. Altre due brevi omelie per la festa dell'Annunciazione e una per la vigilia della Dormizione non parlano quasi per niente di Maria. La liturgia bizantina ci ha trasmesso di Teodoro anche due canoni paracletici, antifone mariane (theotokia) e antifone che si riferiscono alla Madre di Dio ai piedi della croce (staurotheotokia).

3. La Madre di Dio e la controversia iconoclasta
a) Nella controversia sulle immagini sacre anche Teodoro, prima di toccare la questione della legittimità del loro culto, affronta il problema metafisico del contenuto e del valore gnoseologico dell'icona. Egli parte dal fatto che Maria è una testimone chiave dell'Incarnazione, in forza della sua divina maternità. Gli iconoclasti osservavano che sarebbe disonorevole per Cristo essere raffigurato mediante procedimenti materiali e che sarebbe meglio per noi contemplarlo in una visione spirituale. Ad essi Teodoro replica: «Se fosse stata sufficiente la sola contemplazione spirituale, Cristo si sarebbe accontentato di venire tra noi in forma spirituale. A che pro allora la sua apparenza e finzione corporea10, se non voleva rivestire realmente il nostro corpo?». L'autore va dunque alla radice essenzialmente cristologica del problema. Gli iconoclasti insistevano sull'impossibilità che le realtà soprannaturali venissero raffigurate sensibilmente. Per conseguenza l'umanità glorificata di Cristo non poteva essere adeguatamente dipinta su una tavola di legno, essendo stata trasfigurata e divinizzata dalla gloria celeste e divenuta pertanto inafferrabile (aleptos). Teodoro prende la difesa delle icone perché è perfettamente consapevole che il loro rifiuto si risolverebbe, in ultima analisi, in un attentato alla fede nel mistero del Verbo Incarnato. Negare che il Cristo possa essere dipinto significherebbe negare che egli abbia una natura e un aspetto corporeo. Perciò ribadisce: «Per questo noi veneriamo Cristo e la sua immagine, la Madre di Dio e la sua immagine, i santi e le loro immagini ». Lo Studita è consapevole dell'obiezione degli avversari. Essi si chiedono: Che cosa rappresenta l'icona; l'immagine di Cristo o il Cristo stesso? E rispondono: sicuramente non le due cose, perché la realtà e la sua raffigurazione non sono la stessa cosa. Ma a Teodoro non manca la risposta giusta: «Nessuno è mai stato abbastanza insensato da confondere sostanzialmente la verità e la sua ombra, la natura e la sua denominazione, l'archetipo e la sua riproduzione, la causa e il suo effetto, al punto di pensare che le due cose si ritrovino l'una nell'altra, o semplicemente in una delle due, così che si possa credere e affermare che Cristo e la sua immagine sono la medesima cosa. Secondo la sostanza, una cosa è Cristo, un'altra è l'immagine di Cristo, anche se un solo e medesimo vocabolo le indica in modo identico. Se si considera la natura dell'immagine, si può perfino dire che non è né Cristo né l'immagine di Cristo, ma legno, colore, oro, argento, o qualche altra materia che la qualifica. Invece se la si considera una figura conforme all'originale, si dice che è il Cristo o la rappresentazione di Cristo. In tal caso è Cristo per omonimia o la riproduzione di Cristo in forza della relazione, dal momento che la riproduzione è una vera copia dell'archetipo, come il nome è sempre nome di colui che viene nominato».
b) Coerentemente con quanto ha detto dell'immagine di Cristo, Teodoro tira le conclusioni anche a proposito delle immagini della Madre di lui e dei santi. Infatti se è perfettamente accettabile che il Verbo Incarnato possa essere raffigurato nelle icone, a più forte ragione è legittimo rappresentare la Madre sua e i santi: «Inutile scrivervi riguardo alla Theotokos e a ciascuno dei santi di cui si fabbricano le icone Direi una sciocchezza se dicessi che non si può raffigurare un uomo. Coloro che negano che Cristo è circoscritto, lui che è il capo del corpo della Chiesa, hanno voluto contemporaneamente concludere che le membra di Cristo non sono visibili, dal momento che-tutti siamo il corpo di Cristo e le sue membra, ognuno per la propria parte. Fanno confusione quando sostengono che la Theotokos non possa essere dipinta e che neppure colui che da lei è nato, che si e nutrito al suo seno e che da lei ha ricevuto ciò che ha formato il suo corpo, possa essere dipinto». Con un ricorso implicito alla categoria aristotelica della generazione, lo Studita afferma l'identità di natura tra il generante e il generato: «Tale è colei che partorisce e tale è colui che da lei viene generato. Orbene, se la Madre di Cristo ha una natura circoscritta, circoscritto sarà pure il Cristo, giacché è suo Figlio, quantunque per un altro verso egli sia Dio in virtù della natura divina. Se non fosse circoscritto, non sarebbe consustanziale con la Madre; e questa non sarebbe più sua Madre. Ma tutto questo sarebbe un'assurdità».
c)
L'autore fa un passo ulteriore: se Cristo ha assunto la nostra carne, non solo è possibile ma è addirittura doveroso raffigurarlo. Egli si è volutamente reso visibile agli uomini affinché costoro, tramite la sua icona, possano raggiungere la sua persona stessa. Teodoro lo afferma anche nella strofa di un suo inno: «Dio, apparso nella carne per essere dipinto secondo la carne, senza dubbio ama essere contemplato nella sua materia, lui che è stato visto nella materia...O prodigio! Quando viene dipinto egli si rende in qualche modo presente». Questa presenza, sia pure intenzionale, costituisce giustamente il fondamento del culto che viene attribuito alle sacre icone. Esse vengono in certo qual modo personalizzate, per cui si può dire che le immagini di Cristo e di Maria sono Cristo e Maria, salva ovviamente la differenza tra l'immagine e la persona in quanto tale. A Cristo si deve il culto di latria in quanto Dio; alle sue icone e alle icone di Maria e dei santi il auto relativo dovuto alle cose sante».

4. Grandezza spirituale della Theotokos
Lo Studita ha un concetto elevato della santità della Madre di Dio, che egli intende non solo come assenza di peccato, ma soprattutto come ricchezza di grazia e di doni ricevuti dal Signore. Quanto all'assenza di peccato, qualche studioso vi include anche il peccato originale, concludendo che Teodoro pensasse all'Immacolata Concezione; conclusione molto inverosimile. Comunque rimane vero che egli lodi con accenti superlativi la bellezza spirituale, la grandezza e la dignità della Madre di Dio. Basterebbe leggere l'omelia sulla Natività della Vergine per farsene una buona idea. Già la prima parte, pur essendo di carattere narrativo, espone i fatti legati alla nascita della Vergine in modo tale da intercalare il testo con rilievi ed esclamazioni di stupore e di ammirazione verso la neonata protagonista dell'evento salvifico. La seconda parte non è altro che una lunga esposizione encomiastica nella quale la figura di Maria viene esaltata con continue allusioni bibliche e riferimenti al mistero dell'Incarnazione. Citiamo come assolutamente significative e sintomatiche le ultime battute del testo: «Ave, o piena di grazia, creatura e nome spiritualmente più ricco di ogni gaudio. Da te è venuto al mondo Cristo, gioia immortale e medicina per la tristezza di Adamo. Ave, o paradiso, giardino più beato dell'Eden. In te è germogliata ogni pianta di virtù e da te è brillato l'albero della vita. Uniti a lui, noi ritorniamo alla vita originaria, volgendo le spalle a quella spada di fuoco di cui parla la Scrittura (cfr. Gen 3,24). Ave, o città risonante del grande sovrano, per usare la parola di Davide (cfr. Sal 48,3). In te si apre la reggia dei cieli e vivono nella gioia i terrestri che vi sono iscritti come cittadini». Lo stile un po' enfatico e gonfiato non toglie nulla alla densità di contenuto di una composizione oratoria che oltre a tutto si arricchisce di accenti mirabili e sinceri.

5. La Madre di Dio e il mistero della salvezza
Riprendendo l'antico parallelo Eva-Maria, lo Studita definisce la Madre di Dio strumento di salvezza per Eva, perché lei, figlia di Eva, ha rimosso dalla madre la primitiva maledizione. In tal modo il sesso femminile poteva ritrovare in Maria quella dignità e quella gloria che aveva perduto nella prima donna. Scrive: «La figlia è divenuta il rimedio per la madre, il prodotto nuovo della divina creazione, la primizia santissima del genere umano, la radice del ramo uscito dalla bocca di Dio, l'esultanza del primo genitore». Sono tematiche familiari alla tradizione patristica, che confermano la continuità della dottrina mariana nelle chiese orientali.

6. La Dormizione della Theotokos
Nell'omelia sulla Dormizione, Teodoro esprime la sua fede nell'esaltazione corporea della Vergine alla gloria celeste attraverso immagini prese a prestito dalla Scrittura, quali: monte Sion e monti eterni, cielo terreno rivestito di immortalità, luna spirituale illuminata da Dio, arca santa emigrante verso la superna Gerusalemme. Prima di passare alla parte narrativa, l'omileta illustra il significato e la finalità dell'evento salvifico. Maria ha lasciato la terra attraverso un passaggio sereno che non è proprio una morte ma una dormizione. La sua presenza nel mondo celeste non comporta un distacco affettivo dal mondo dei credenti e non elimina il suo coinvolgimento nella loro vicenda terrena. Al contrario Maria è in condizione di svolgere un vero ruolo di mediatrice e di interceditrice in loro favore presso il Figlio: «Mentre ora la sua voce materiale, divinamente ispirata, tace sulle sue labbra, ella apre la sua bocca che diventa eternamente supplice in favore di tutto il genere umano: Ora, resa immortale, apre quelle mani corporee che hanno sostenuto Dio e le solleva verso il Signore per la salvezza del mondo». Con un'altra allusione al parallelo Eva-Maria, lo Studita richiama il mistero della morte, entrata nel mondo attraverso la caduta di Eva e sconfitta dalla vittoriosa resistenza di Maria. Così questa, nella sua persona, riportava alla vittoria quel genere femminile che era stato sconfitto nella persona di Eva. Maria pertanto diventava motivo di allegrezza per tutte le donne, dal momento che la maledizione della donna ereditata da Eva si trasformava in benedizione in colei che è «figlia della benedizione».

7. Timore riverenziale verso la Theotokos
Teodoro considera la pietà verso la Madre di Dio molto legata alle sue icone. Chiarisce questo punto nell'omelia per la Dormizione: «Quel suo aspetto mortale, che ha la chiarezza del sole, sebbene sottratto al nostro sguardo, continua tuttavia a risplendere nella sua icona dipinta, che ella mostra alle popolazioni per suscitare un salvifico contattò di opportuna venerazione, nonostante l'opposizione degli eretici». Si tratta di una devozione che si coniuga con un certo timore riverenziale, che ha un evidente legame con il timore di Dio, disposizione comunemente richiamata nella tradizione bizantina, che rivive anche oggi, soprattutto negli scrittori spirituali monastici, i quali insegnano che il cristiano deve procedere sul cammino della salvezza tra il timore e la speranza, come, ad esempio, ammoniva lo staretz Ambrosio, uno dei massimi maestri di vita spirituale del secolo XIX. Il timore riverenziale verso la Madre di Dio viene ispirato e giustificato dalla sua grandezza e dalla sua esaltazione celeste. Né va dimenticato che il pensiero mariano di Teodoro appare come una evidente testimonianza della profonda pietà mariana che animava la vita dei monaci di Stoudion, della solennità e del decoro con cui celebravano le funzioni liturgiche e devozionali in onore della Vergine santa. Teodoro è anche il primo autore ad informarci della pratica di un digiuno di 40 giorni in preparazione alla festa della Dormizione, il 15 agosto.

Bibliografia
GAMBERO L., Fede e devozione mariana nell'impero bizantino. Dal periodo post-patristico alla caduta dell'Impero, San Paolo, Cinisello Balsamo 2012, pp. 54-64; SPIDLIK T., Le concept de l'image chez les Pères jusqa'au Concile de Nicée II, in Studia Patristica 23, pp. 84ss; VAN DE VORST C., À propos d'un discours attribué à St. Jean Damascène, in Bibliteca Hagiographica Gtaeca 23 (1914), pp. 128-132; HOECK J. M., Stand und Aufgaben der Damaskenos-Forschung, in OCP 17 (1951), 38, nota 85; JUGIE M., La doctrine mariale de saint Théodore Studite, in Echos d'Orient 25 (1926), pp. 421-447; ID., L'Immaculée Conception dans l'Ecriture et la tradition orientale, PAMI, Roma 1952; GUINDON H.M., De la proskynèse chez Saint Théodore le Studite à l'exemplarité mariale de Vatican II, in De cultu mariano saeculis VI-XI, vol. 3, PAMI Roma 1972, pp. 349-382; ESQUARDA BIFET J., Culto y devociòn mariana en San Teodoro Studita, Ibid., pp. 383-394. 






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