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MORTE DI MARIA


La definizione dogmatica dell'assunzione prescinde dalla morte di Maria, senza che Pio XII insegni pertanto l'immortalità. Egli ha voluto prescindere da questa questione e dove parla in suo proprio nome evita tutte le espressioni che indicano la morte; non è arrivato tuttavia fino ad eliminare le testimonianze tradizionali che esprimono l'assunzione in legame con la morte. Egli non ha in nessun modo censurato o messo in sospetto questa Tradizione; ha citato testimoni che parlano della morte, ma non ha voluto pronunciarsi sul carattere dogmatico di questa affermazione. Il problema che si presentava a lui e che si presenta oggi dipende da due punti:
 
 1. La Tradizione insegna la morte di Maria come insegna l'assunzione?
 a) La risposta offre più difficoltà di quel che sembrerebbe a prima vista. Certamente la morte è insegnata in modo generale dal IV secolo in poi. Numerosi sono gli altri autori che ritengono questa affermazione come inseparabile dall'assunzione e parte integrante della fede. Ma si è sollevata una questione: si tratta della Tradizione in senso stretto (trasmissione della Rivelazione divina nella Chiesa) o di una tradizione di origine umana che vi si troverebbe immischiata? L'affermazione della morte è un insegnamento dogmatico o un modo di parlare comune e comodo? La questione si pone tanto più che gli apocrifi che hanno diffuso il tema della morte contengono ben altri particolari che sono stati accettati per tanto tempo senza che abbiano il minimo valore dogmatico o storico. Un'altra questione si pone: al momento in cui si è rinunciato a parlare della morte di Maria e durante i lunghi secoli in cui questa idea si è diffusa, non si era scoperto che la Vergine era esente dal peccato originale. Se la si sottopone così facilmente alla legge comune della morte, non è forse, in una larga misura, perché la si riteneva soggetta alla legge universale del peccato originale, secondo la formula di Davide di Benevento: "In praevaricatione primi parentis, peccatrix fuit, sicut et omne genus humanum"?
 b) A questo si aggiungono due dati minori:
 -  L'opinione immortalista si è espressa nella Chiesa e non è stata censurata. La si trova per la prima volta nel prete Timoteo di Gerusalemme o di Antiochia (IV-V secolo) secondo Jugie: "La Vergine è fino ad oggi immortale, poiché colui che fece in lei la sua dimora la trasferì nei luoghi della sua ascensione". Nel XVII secolo un autore anonimo ha scritto un Tractatus de immortalitate B. V. M., che C. Balic ha editò a Roma nel 1948. M. Jugie, che fu uno degli artefici della definizione, sta all'origine della corrente immortalista moderna che ha come principali rappresentanti: T. Gailus e G. Roschini. Alcuni di questi autori hanno assicurato di essere stati incoraggiati da Pio XII stesso.
 - Se questa prima corrente è realmente infima, in rapporto al complesso della Tradizione, si possono notare in questa seconda dei dubbi, delle esitazioni, delle riserve sulla morte: questo fin dal primo testo che affronta la questione ex professo: Epifanio di Salamina. Senza dubitare della morte, Godescalco di Limburgo (†1095) esprime questa restrizione: "Non est dignum tuam corporis solutionem appellare mortem, sed tantum Virginis dormitionem vel assumptionem" (Opusc. 5, Sermo De B.M.V., 13).
 
 2. L'affermazione dogmatica dell'assunzione implica la morte?
 
Un fatto impressiona i teologi che hanno riflettuto seriamente su questa questione: mentre ogni sorta di convenienze e di implicazioni conducono in modo convergente e senza restrizione al fatto della glorificazione corporale della Santa Vergine, le convenienze in favore della morte sono allo stesso tempo meno numerose e contrastate da altre.
 a) L'argomento più forte a favore della morte è che Maria doveva essere configurata a Cristo nella sua morte prima di aver parte alla sua risurrezione: questo tanto più che ella è il modello universale dei redenti. Ma non le era sufficiente essere configurata sul Calvario mediante la compassione quando «una spada» di dolore «trapassò la sua anima» (cfr. Lc 2,35), quando «morì in spirito» con Cristo, secondo una espressione tradizionale, che risale ad Arnaldo di Chartres (XII secolo)? Se la configurazione alla morte di Cristo si è effettuata solamente in questa maniera (spiritualmente e non materialmente), la relazione con Cristo e con la Chiesa non risulta che più armoniosa sotto molti riguardi. Infatti sotto molti rapporti Maria somiglia alla Chiesa più che a Cristo. Più precisamente, là dove ella si differenzia da Cristo, è per somigliare alla Chiesa. Poiché non è morta sul Calvario allo stesso tempo che Cristo, ma si è configurata spiritualmente alla sua morte, come la Chiesa fa con la fede e il lavacro di rigenerazione, converrebbe che dividesse con la Chiesa anche il privilegio dell'immortalità. Infatti, ad interpretare bene il testo, sembra che la Chiesa, il giorno della parusia, non morrà (lTs 4,17; 1Cor 15,21; 2Cor 5,2-4); L'immortalità è dunque postulata dal fatto che Maria anticipa nella sua persona ciò che la Chiesa attua collettivamente dopo di lei, dall'origine santa e senza macchia fino alla glorificazione corporale. Maria, rivestendo l'immortalità senza spogliare il corpo mortale sarà più perfettamente l'icona escatologica della Chiesa incorruttibile. La più forte delle ragioni date a favore della morte è dunque neutralizzata a molti titoli.
b) Un'altra ragione sta in questo: Maria, che non ha conosciuto il peccato, ha per lo meno assunto le pene del peccato, il che le ha permesso di cooperare più efficacemente alla redenzione del peccato. In questa linea, non conviene che abbia assunto la pena maggiore, quella della morte? L'argomento è impressionante, ma ha anche le sue contropartite. Infatti, secondo la ferma credenza della Chiesa, Maria è stata esente dalle principali pene inflitte ad Eva: disordine degli istinti (concupiscentia), servitù della libido (Gn 3,16 b), dolori del parto (Gn 3,16 a). L'immortalità completerebbe armoniosamente questa serie di esenzioni. Senza dubbio Maria non è stata esente dalle sofferenze introdotte in questo mondo dal peccato: ha sofferto l'angoscia al momento del dubbio di Giuseppe (Mt 1,19), l'esodo verso Betlemme, la vana ricerca di un alloggio, la scomodità della mangiatoia (Lc 2,1-7), la persecuzione di Erode e la fuga in Egitto (Mt 2,13-19), la vita povera a Nazareth, la perdita di Gesù nel tempio (Lc 2,41-50), primo colpo della «spada» predetta da Simeone (Lc 2,35), la compassione del Calvario (Gv 19,25-27), infine le persecuzioni contro la Chiesa (At 1,14 e 4,1-7; 5,33-42; 12,1.25; cfr. Àp 12,2.13-15). In breve Maria ha portato la maggior parte dei fardelli comuni, ma non tutti. La legge che rende conto di queste due serie di costatazioni può essere formulata così: Maria ha subìto le pene di provenienza esterna (persecuzioni, cattiveria e perversione degli uomini, prove legate alla complessità come al disordine di questo mondo), ma non quelle che provengono dall'interno, cioè quelle che derivano per ogni uomo dalla degradazione della propria natura. A questo riguardo, la soluzione che «sistemerebbe tutto» sarebbe che Maria, come Cristo, fosse morta di morte violenta per questo che Epifanio e parecchi altri sono stati sedotti dalla ipotesi del martirio. Ma niente conferma una tale supposizione. Se Dio avesse voluto dare a sua Madre questa eloquente conformità alla propria passione, non ne avrebbe lasciato trapelare qualcosa? Di che cosa è morta dunque l'Immacolata? Non si capisce bene perché un eccesso d'amore avrebbe portato con sé la separazione dell'anima, piuttosto che l'assunzione di questo corpo verginale. Non si capisce in che cosa questa morte in un trasporto mistico la conformerebbe maggiormente alla morte dolorosa e violenta di Cristo redentore, stritolato dai peccati del mondo: questa morte che lei condivise così profondamente mediante la compassione.
c) Gli argomenti con i quali si prova l'assunzione hanno tendenza a «provare troppo», come hanno notato quelli che li hanno valutati seriamente. Per dire altri menti, questi argomenti tendono a provare l'esenzione dalla morte, non la morte e la risurrezione. Tale è il caso dell'argomento tratto dalla maternità divina, sviluppato da Doni Frénaud, in Études mariales, 6 (1948), pp. 119-147: «La maternità divina, in quanto relazione e comportamento, era almeno parzialmente inammissibile... Lo stato di morte di Maria infliggerebbe una imperfezione essenziale a questa relazione e comportamento» (p. 146). In questa prospettiva, confessa Dom Frénaud, «il vero problema e la vera difficoltà sono... nel trovare i motivi accidentali abbastanza forti per, giustificare una morte contraria alle esigenze della maternità divina» (p. 144). L'argomento tratto dalla verginità in parte implica la stessa difficoltà. Citiamolo sotto la forma più caratteristica: il testo di S. Giovanni Damasceno (PG 96, 741 B), citato da Pio XII nella Bolla Munificentissimus (AAS 42 [1950], p. 761): «Bisognava che colei che aveva conservato intatta la sua verginità nel parto conservasse il suo corpo senza alcuna corruzione». Che lo si voglia o no (e questo vale per i due argomenti citati, così come per l'argomento classico tratto dall'Immacolata Concezione), la morte, per breve che sia, implica ineluttabilmente corruzione del corpo della Theotokos, del corpo verginale, del corpo di colei che fu senza peccato fin dalla sua concezione. Infatti la morte essendo, per lo meno secondo la tesi tomista generalmente accettata, la separazione dell'anima e del corpo, il corpo si trova corrotto dal momento che l'anima se ne separa; perché l'anima non è solamente il principio vitale del corpo, bensì anche la forma sostanziale: lo costituisce intrinsecamente. La distinzione fondamentale deve essere stabilita non tra l'anima e il corpo, ma tra l'anima e la materia che essa informa. Infatti il cadavere, a dispetto delle apparenze, non è più il corpo. Un corpo è una materia vivente, informata dall'anima. Il cadavere è la figura lasciata su questa materia dall'anima scomparsa, come l'impronta lasciata dal piede su un suolo mobile. Non è dunque più un corpo, ma una materia inanimata, dotata di una forma nuova e inferiore; anzi non si tratta di una forma, ma di una molteplicità di forme perché il cadavere non ha maggiore unità che l'insieme di grani di sabbia nei quali il piede ha impresso la sua forma passando. Questa materia ha cessato di appartenere alla persona morta ed ha fatto ritorno al ciclo della natura. La morte, in cui la forma sostanziale rinuncia al corpo a profitto di forme inferiori, risponde esattamente alla definizione filosofica della corruzione (corruptio est motus quo amittitur forma substantialis). Che la disgregazione del cadavere sia arrestata da certe condizioni naturali o da un intervento miracoloso di Dio, non impedisce che vi sia alienazione di questa materia e che il cambiamento del corpo in cadavere realizzi il concetto di corruzione. Di qui appare il problema che si pone. La ragione teologica tende a stabilire l'incorruttibilità del corpo di Maria, ed è questo che una gran parte della Tradizione afferma. Vi è dunque qualche ripugnanza a parlare, a suo riguardo, di corruzione. Questo corpo preservato in modo così stupefacente nella sua verginità corporale, Dio lo avrebbe abbandonato a una lesione più grave?
d) Questo sviluppo non mira ad esagerare la difficoltà, ma a valutarla onestamente. Tentiamo di appianarla, quanto è possibile con una distinzione:
 - Vi è da una parte la nozione filosofica di corruzione che noi abbiamo definito. Cristo stesso l'ha subìta, come attesta S. Tommaso (Quodlibet 3, art. 4). Certamente al livello della persona la sua unità non fu spezzata. Il suo corpo restò ipostaticamente unito al Verbo (e restava a questo riguardo un divino mistero durante il triduum mortis). Ma al livello della natura, questa unità fu infranta. Vi fu, dice S. Tommaso, sulle tracce di S. Giovanni Damasceno, vera mors, vera corruptio.
 - Vi è d'altra parte la nozione empirica. La corruzione è allora distruzione e dissoluzione degli elementi di cui il corpo era composto. Questa decomposizione dell'organismo Cristo non l'ha subìta. Ed è in questo senso che S. Tommaso intende, seguendo S. Giovanni Damasceno, la parola del Sal 15,10: «dabis sanctum tuum videre corruptionem». Maria non ha subìto la corruzione nemmeno in questo senso. Secondo la Tradizione costante della Chiesa, Cristo non ha permesso che la carne di sua Madre - la Virgo incorrupta - conoscesse la putrefazione. Ma non vi sono obiezioni assolute al fatto che ella abbia conosciuto la corruzione nel primo significato della parola. Dal punto di vista metafisico tuttavia questa soluzione all'ingrosso lascia posto a qualche perplessità. Infatti il corpo di Cristo morto conserva in un certo modo la sua identità. Come dice S. Tommaso (Summa theologica, III, q. 50, a. 5 ad 2) restava idem numero ratione suppositi (lo stesso numericamente in ragione della persona che esso assumeva, benché, per il fatto della morte, non sia più idem numero ratione speciei: lo stesso numericamente in ragione della specie), perché il cadavere come tale non appartiene più alla specie umana. Il corpo di Cristo morto non aveva più l'unità che dà l'informazione dell'anima, ma quella che gli conservava l'appartenenza ipostatica alla persona del Verbo. Al contrario il cadavere della Vergine, se essa morì, perse la sua identità. Divenne puramente e semplicemente altro, estraneo alla persona di Maria. Fece ritorno alla pura molteplicità del ciclo della natura. Niente legava più alla Madre di Dio il residuo di questo corpo che aveva generato il Figlio di Dio, e il fondamento della maternità divina se ne trovava momentaneamente alterato. In assenza di ogni dato positivo fermo su questo punto, ci si domanda con perplessità se colui che ha preservato il corpo di sua Madre (questo santuario) da ogni deflorazione, ne abbia permesso l'alienazione, la disintegrazione reale, anche se essa non è che apparente, che implica la corruzione metafisica.
e) L'imbarazzo che ne risulta si manifesta con una grande molteplicità di soluzioni: senza parlare della vecchia teoria orientale, secondo la quale il corpo di Maria era deposto sotto l'albero della vita fino al giorno del giudizio, gli autori pensano a una morte più o meno lenta, o anche istantanea. Al limite, C. De Coninck ha sostenuto la tesi seguente: Maria sarebbe stata glorificata istantaneamente, ma questa glorificazione avrebbe implicato la morte: morte senza corruzione, poiché coinciderebbe strettamente con l'istante della glorificazione. Ma la scienza e l'ingegnosità che l'autore dispiega a servizio di questa seducente ipotesi non fanno che rendere più evidente il carattere disperato dell'impresa. Allo stesso modo gli autori esitano a riguardo della ragione della morte, causa naturale come il martirio, accidente, o anche malattia, o ancora morte d'amore... Tutto sarebbe semplificato, certamente nell'ipotesi rivoluzionaria di Rahner secondo cui ogni anima, all'istante della morte, troverebbe un corpo glorificato, secondo la nuova creazione, per la virtù della risurrezione di Cristo. In questa ipotesi, i corpi risuscitati non dovrebbero più niente alla materia di quaggiù, e la tomba vuota diventerebbe una precisazione imbarazzante. Bisogna entrare in una «demitizzazione» tanto radicale, quale che sia la tendenza dei nostri spiriti moderni a vuotare il mistero della salvezza da tutte le interferenze nell'ordine delle cause seconde? Siamo dunque modesti su queste questioni, perché ignoriamo quasi tutto: sia il meccanismo della morte, l'esperienza dell'al di là e il modo esatto della risurrezione sia la fine terrena del destino di Maria, interamente ignorato dalla storia. La morte di Maria è verosimile, senza dubbio, verosimiglianza resa rispettabile dall'ondata di autori che l'hanno accettata. Ma si è in diritto di pensare, con Epifanio, che la fine di Maria resti un mistero, nascosto in Dio, e che bisogna che noi ci rassegniamo a ignorare quaggiù.
 
Bibliografia
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VEDI ANCHE
- ASSUNZIONE DI MARIA AL CIELO






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